Omelia 11 febbraio 2019
“In principio Dio creò il cielo e la terra”.
Questa è la coscienza di un ebreo: ogni cosa – che vede e che tocca – è creata da Dio, è segno di Dio, lo mette in rapporto con Dio. Lui vede e tocca quella cosa, e vede e tocca Dio. Se no per un ebreo non è vero che vedi, non è vero che tocchi, se non arrivi a dire “Dio”. Questa è la fede, è lo sguardo, il pensiero, il dramma, il paradosso; e, quando l’ebreo dice questo? Dove nasce questa fede? Non è certo da quello che vede e gli accade in quel momento: siamo nel VI secolo, siamo nella deportazione babilonese, il tempo più tragico: il grande regno di Davide, Salomone e Filippo: il popolo è diviso, sono deportati, Gerusalemme è lontana e distrutta, non sanno affatto che ritorneranno, sono uccisi i capi e lì dove sono comanda Babilonia. Le cose non appartengono, niente appartiene più a Jahvè, tutto appartiene a Nabucodonosor.
Tutto è contro di loro, sono schiavi, deportati, tutto è male, la realtà è cattiva, quello che vedono.
È proprio in quel momento lì che viene scritto il racconto della Genesi. L’ebreo pensa a quel che vede e al fondo della coscienza c’è l’origine di quel che vede, di quel che pensa. Ciò di cui è certo non dipende da come va la realtà sociale adesso. E gridano all’inizio: “Bereshit bara Elohim”. All’inizio Dio creò, partorì, “bara” vuol dire il parto dei cetacei, delle balene. Tutto quello che c’è viene dal parto di un Dio buono. È cosa buona. All’origine tutto bene e l’origine non si perde mai. Tutto ciò che c’è qui non è di Nabucodonosor, è di Dio. E Dio è buono e la realtà, al di là del l’apparenza, non è contro di noi, è per noi. Il futuro è per noi. Ma che cosa fa dire così all’ebreo? Non ciò che vede adesso, ma ciò che ha visto finora! Che gli permette di andare in fondo, di penetrare, di andare alla radice, di avere questo sguardo radicale.
Che cosa hanno visto gli ebrei nella loro storia, prima, per arrivare a dire così? Ed io, che cosa ho visto, quali fatti, quali segni fondano la mia fede, mi danno la fede dell’ebreo deportato, condannato a finire – non sa che dopo settant’anni ritorneranno – gli sparuti, gli scampati alla spada, che hanno una fede, in quelle condizioni, che sfida il mondo, che sfida Babilonia. E la mia fede su quali fatti si fonda? Quali fatti mi danno la fede che sfida la Babilonia di oggi?