*Omelia 27 gennaio 2019*
“Nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di Lui”.
Ma cosa ha fatto da catturarli tutti in quel momento? Lo conoscevano, era vissuto lì per trent’anni, venticinque, legge la profezia di un profeta?! Eh no! Ai loro occhi, ai loro orecchi, in quel momento, Lui non legge un libro, legge se stesso. Le parole che pronuncia parlano di Lui, gli sta dicendo Chi è Lui dando coscienza di se stesso. Mentre parla incomincia a dire “Io” come mai lo ha detto prima. Ogni parole che gli esce, che sentono, pesa come un macigno, ha il peso intero della Sua Umanità: mai sentito un Uomo dire Io, dire tu, come Lui in quel momento. Lui stesso prende coscienza di se come l’ha presa poco tempo prima davanti al profeta Giovanni, sulle sponde del fiume. Dice “Io” e svela, con quella vibrazione che dramma un uomo ha nel cuore, che anche loro hanno dentro, senza averne coscienza. Sentono la vita che quell’Uomo ha dentro, come il primo canto che abbiamo fatto: “Quando vedrò il Tuo Volto?” Chi potrà colmare questo abisso che ho dentro? E loro che sono religiosi sentono, come ogni uomo religioso, come ogni profeta ebreo, che anche loro hanno il cuore come il Suo, che anche loro potrebbero dire “Io”, come lo dice Lui. Ma mentre percepiscono questo, hanno un moto di simpatía per Lui, si sentono in un attimo immedesimati, nello stesso momento tremano, gli scoppia dentro, lo dirà in seguito il Vangelo, un attacco di ira furiosa, violenta. Che lo porterà a spingerLo fuori, a condurLo fin sul ciglio la sopra a Nazareth, che ho visto più volte, per buttarLo giù. Mentre sentono un moto di simpatía totale per Lui – Lui dice quello che loro sono, loro sono come Lui – insieme una corrente alternata che li allontana da Lui, lo sentono blasfemo, un profeta ebreo non può condividere quello che dice in quell’istante, subito dopo: “Oggi si è compiuta questa scrittura che avete udito con i vostri orecchi”. Non solo ha dentro il grido che hanno loro, ma Lui grida anche un’altra cosa che oggi, in Lui, quel grido ha trovato risposta. Guardatemi, vedete, in me c’è il grido e c’è la risposta al grido, in me c’è, in me è presente, la domanda che è anche in voi e la risposta che a voi vi manca. Io sono insieme domanda come voi, come ogni uomo, ma Io sono anche Colui che porta in se la risposta, in me c’è Chi risponde, Io partecipo della domanda e della risposta. Lo direbbero tre secoli dopo a Nicea, esattamente in quel periodo, 325, il concilio di Nicea, Lui è Uomo e, insieme, vero Dio. E dice: “se tu vuoi puoi partecipare della certezza, non solo della mia domanda, ma della mia risposta”. Se ti immedesimi in me, se ti vuoi bene, puoi avere la stessa coscienza che ho Io, dire “Io”, come lo dico Io, dire “Tu” dire “Io” come lo dico Io. Questa è la sfida che quel giorno è stata lanciata in quella Sinagoga. Questa è la sfida cristiana! E dov’è oggi la Sinagoga? Dov’è che io incontro questa sfida e posso, se voglio, immedesimarmi, nella domanda di quell’Uomo e nella Sua risposta, essere certo come Lui. È sbagliata la domanda perché oggi non è più in una sinagoga che accade la sfida… Allora, sí!
Gesù non è mai uscito dal format giudaico, è per questo che li dentro non ha potuto esprimere la pienezza della rivelazione cristiana. Lo disse proprio alla fine: “Avrei molte altre cose da dire ma qui, in voi, non si possono svelare”. Farete le cose che ho fatto Io, ne farete di più grandi, ma la pienezza dell’esperienza cristiana non è fiorita in Palestina. L’ho visto il mese scorso: è fiorita nell’Asia Minore dopo la Pentecoste, quando Gesù non c’era già più!
Qual è verità? Qual è la sinagoga? συναγωγή, συνάγω vuol dire radunare, un raduno, il raduno – dice Paolo – il luogo dove si riceve la sfida e si può dare una risposta, si può partecipare di quello che c’è nel cuore di Gesù.
“Voi siete il corpo di Cristo, ciascuno per la sua parte”
La sinagoga è un corpo, il corpo che noi – alcune centinaia qua dentro – da mezz’ora stiamo formando. La sinagoga è quel legame misterioso, quell’affetto impensabile e assurdo – no?! – che c’è tra di noi, noi siamo quella sinagoga ogni volta che ci troviamo. Vale la pena che ci raduniamo per questa sfida, per essere insieme, l’uno per l’altro, questa sfida, per testimoniarci la bellezza esplosiva della risposta. Per meno di questa sfida non merita che ci troviamo, ci facciamo del male se ci troviamo per qualcosa di meno. Ma per vivere questa intensità merita sempre, in qualunque circostanza, che ci raduniamo, che formiamo la συναγωγή.