Omelia Don Carlo 4 novembre 2018

Omelia 4 novembre 2018

“Hai risposto saggiamente, non sei lontano”. Fuochino. “Nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo”. Acqua.

Perché non avevano ragioni da obiettare a Lui. Credevano come il primo scriba, ma la loro fede era priva di ragioni, sono rimasti disarmati, zittiti. L’altro invece aveva intuito il punto: amarLo con tutto, con tutto, con tutto.
Aveva uno sguardo totalizzante, aveva una ragione per dare tutto se stesso. Loro, invece, sono senza ragioni e decideranno, in breve tempo, di far fuori Gesù.
Perché non è umano credere senza ragioni adeguate; son disumani con Gesù, ma perché son disumani con sé.
Ma come si fa a non usare la capacità più grande che ci è stata data che è la ragione?
Senza ragioni non si è liberi, si è costretti. Si sarà fanatici, tanto, ma entusiasti e gioiosi, mai, perché il cuore è fatto per dare tutto, l’ha capito bene quello scriba.
Il cuore è “ragionevole”. La ragione è un abbraccio al totale. La fede senza ragioni adeguate è una fede che non si butta, che è tutta frenata, rachitica, é sentimentale e volontaristica, ma non dà gusto perché non ha gusto. Non esalta il cuore, lo spegne, lo reprime. Una fede priva di ragioni ci rende un po’ repressi, un po’ depressi o violenti. Non ci rende mai né lieti, né buoni, perché se non siamo buoni con noi, se imponiamo a noi una cosa che non è ragionevole, come facciamo a essere buoni con gli altri?
Quando noi siamo spenti, o peggio rancorosi e incattiviti, é per questo: perché ci mancano delle ragioni convincenti e avvincenti per quel che facciamo e perciò si va via, non si risponde agli altri, non abbiamo il coraggio perché non abbiamo il coraggio di rispondere a noi stessi.
Come nasce la prima fede ragionevole della storia: la fede che appassiona, la fede che abbraccia tutto, che sente che Dio merita tutto, tutto, tutto?

“Questi precetti che oggi ti dò”: dice Mosé nell’ultimo discorso che fa prima di abbandonare il popolo sul Monte Nebo – lui deve morire là in punizione perché si è lamentato con Dio e non può entrare nella terra promessa, vede il Giordano a 4 km ma lui non può entrare, deve passare le consegne del popolo, dopo 40 anni, a Giosuè, figlio di suo fratello e si ricorda del grande errore che ha fatto.

“Questi precetti che oggi ti dò ti stiano fissi nel cuore”, perché l’errore che io ho fatto – sembra dire Mosé – è quello di averli fissati su un’altra cosa (invece) che sui cuori. Ho fissato i precetti in due tavole di pietra, in due sassi.
Ma siamo matti?!
Quanto ha durato la legge fissata in due pietre, scolpita in due sassi. É bastato il vitello d’oro – il torello pieno di vitalità istintiva, di fecondità che era l’ideale degli egiziani che seguono il torello – le due pietre si sono frantumate, sono scomparse. LÌ Mosè ha capito che con la legge scritta su due pietre, su due sassi, non andava da nessuna parte; il popolo era già finito, la marcia era finita. La legge scritta sui sassi e sulla carta è arida! Non saranno mai quei precetti lí che possano entusiasmare il cuore. Gli unici precetti che valgono più del vitello d’oro – dice – sono quelli che stiano fissi nel cuore. Devono fissarsi nel cuore. Bisogna che i vostri cuori si immedisimino nei precetti, o meglio ancora, nell’origine di quei precetti! Da dove sono nati quei precetti, quelle regole, quei criteri lí per affrontare la realtà? Dovete immedesimarvi nell’esperienza originaria, quello che avete fatto i primi tempi.
Avevate bene il ricordo che eravate schiavi bastonati dal faraone, stati scelti senza merito, condotti per una strada di libertà; pian piano, man mano che passava il tempo, eravate piu liberi, più liberi, più liberi: è quell’esperienza lì, quella su cui io ho riflettuto. I criteri che ho capito, quei dieci criteri, sono la descrizione del metodo con cui siamo diventati liberi, fanno luce sull’origine, sulla strada, sullo scopo di quell’esperienza di libertà. Ecco, i precetti scritti nel cuore nascono dall’immedesimazione nell’esperienza dell’origine di libertà. In quel momento lì dei primi tempi eravate liberi, era ragionevole fare quei passi nel deserto; vi sentivate totalmente abbracciati e tutti lanciati ad abbracciare tutto quello che veniva incontro: un’esperienza perfettamente ragionevole. Avevate le facce che avevano sfidato il faraone, che eran
pronte a sfidare tutto il Medio Oriente. I precetti son nati lì, hanno fatto luce sull’origine, vi hanno reso coscienti, al punto tale che si son mossi, fissati sul cuore, coincidevano col cuore. Cuore e legge in quel momento coincidevano, il vostro cuore era diventato legge a se stesso, il mio era legge a se stesso.
Ubbidire a Dio coincideva con ubbidire a me; ero libero, eravate liberi. Ecco, un uomo i cui precetti son fissi nel cuore – che è legge a se stesso – che fa le cose non perché gliele dice Dio, ma per la
ragione per cui Dio gliele dice: che sono ciò che corrisponde al suo cuore, un uomo così basta vederlo una volta in faccia e te ne avanza! Dice, infatti, l’autore delle lettere agli Ebrei: “Gesù l’ha fatto” – dice – “ἐφάπαξ: una volta per tutte”. È bastato sulla croce, un momento, dire sì – quel sì che ha detto a Dio: “nelle Tue mani mi affido” – coincideva con il sì detto a
Se stesso; era la cosa più vera per Lui dire quel sì, una volta per tutte: un gesto totale, definitivo, a cui non manca niente, non c’è più bisogno di ripeterlo, dice quell’autore.
Infatti, l’uomo che Lo vide dire quel sì, più vicino a Lui, era il soldato, appunto, Longino, che la storia è pure romanzata.
A Longino gli è bastato vedere – ἐφάπαξ – quel gesto unico che gli ha illuminato la vita, quel gesto ha illuminato il mondo.
Il cristianesimo è nato da un Uomo la cui legge era fissa nel
Suo cuore. Dire io, dire la realtà, dire Dio, dire “i miei amici” era la stessa cosa.