Omelia 19 settembre 2018
“La più grande di tutte le virtù è la carità” e meno male! Se no Dio non sarebbe democratico, non sarebbe per tutti.
Se la virtù più grande fosse la fede sarebbe ingiusto, perché non di tutti è la fede.
E che colpa ne ha l’uomo se non può aver fede? Perché la fede è un riconoscimento di un fatto. C’è una conoscenza perché devi vedere, devi valutare, devi capire, devi usare la ragione, ma l’intelligenza non è uguale per tutti. È data dalla natura, a molti tanta, a molti poca. Si è intelligenti o stupidi per natura. Non è mica uguale e uno certe cose o le capisce o non le capisce. E non è un merito o una colpa avere un coefficiente alto o basso, avere avuto un’educazione o non averla avuta. Sarebbe ingiusto se la salvezza dipendesse dalla fede. Lo dice l’Islam, lo dice in parte un certo protestantesimo radicale della prima ora, esasperato.
No, Paolo dice che la tua salvezza, cioè la tua realizzazione umana, la tua bellezza, la tua pienezza umana non dipende dalla fede. Anche perché la fede, oltre che un fatto di conoscenza, nasce da un incontro e tu l’incontro non lo programmi, ti può accadere o non accadere. Te pensa nella mia vita, gli incontri che hanno dato una svolta alla mia vita son le circostanze più imprevedibili, indecifrabili, accostate lì che non c’entrano niente l’una con l’altra e comunque non le controllo io. Per fortuna che la virtù più grande, cioè quella che mi realizza, è la carità.
La carità, invece, non è un atto di conoscenza, ma di libertà. È ciò che io veramente desidero, è ciò che io veramente voglio, ciò che io veramente decido e questa è una capacità di tutti. È data a tutti nello stesso modo, non è come l’intelligenza che ne hai di più o di meno. La libertà è uguale e infinita in tutti. Ognuno può volere, ognuno può volere l’infinito, può amarlo, desiderarlo o odiarlo, accettare l’amore o rifiutare l’amore. La libertà non è la forza di volontà, che questa c’è chi ne ha di più, chi ne ha di meno, il depresso ne ha poca, non è un problema di forza, ma di tensione. È desiderare, è tendere, è volere, è domandare soprattutto. E di desiderare son capaci tutti, anche i depressi. Di volere, di tendere, di dire aiuto, son capaci tutti anche l’uomo più impotente, come il neonato può domandare. Anche mia madre che sta arrivando alla fine, eppure l’ho vista ieri l’altro con due occhi tesissimi a gridare e a domandare. Non può più fare niente, non parla più, muove solo gli occhi e ti riconosce e si vede la tensione all’infinito e si vedrebbe se fosse rassegnata, disperata, se avesse mollato la voglia del suo compimento.
Questa è la grandezza della carità, che è possibile a tutti. Dio dà in mano a me e ad ognuno la mia salvezza, la possibilità di realizzarlo è tutta in mano mia. Non di farcela da solo ma di desiderare di volere domandare. Questo sì. Questo fa dire ad ognuno, anche chi è nato di sinistra come me nel periodo democratico, che è veramente per tutti la sua proposta, non discrimina nessuno.