*Omelia 17 settembre 2018*
“Annunciate la morte del Signore affinché Egli venga”.
Il paradosso che fa saltare sulla sedia Paolo! Ma come puoi pensare di portare una cosa nuova nel mondo se vai ad annunciare la morte! Spendere tutta la vita per annunciare al mondo la morte di Gesù. Ma che gusto c’è? Ma che appeal ha per il cuore dell’uomo? Cosa mai ha questa morte che merita di spendere tutta la vita di un popolo intero: “Annunciate la morte del Signore affinché Egli venga”.
Ma se deve venire, vuole dire che non è morto, che dalla morte è passato ma che adesso è vivo, che siamo certi che tornerà, che la morte sarà cancellata e farà irruzione con Lui la vita definitiva.
Ha senso annunciare la morte di Cristo, e Paolo dice “mi vanto solo di quella” perché è la morte di Uno che non è andato ma che viene: questo è il cristianesimo.
Il tempo che passa, il tempo è cambiato il giorno che Cristo è risorto. Si è fatto breve, lo dicevamo l’altro giorno! Il tempo non è più qualcosa che passa ma Uno che viene. Il tempo viene capovolto di senso e l’uomo vive tutto in questa vibrante attesa. Ma chi può capire questo? Quale è l’uomo che può riconoscere questo, può vibrare, può essere contento dell’annuncio di questa morte, accoglierla e spendere tutta la sua vita per annunciarla? Che cuore ci vuole, che fede ci vuole?
Non quella di un pio ebreo, ma quella del centurione romano, un uomo di guerra, il cui mestiere era fare la guerra, sottomettere i popoli. Eppure, incontrandoLo sulle strade di Cafarnao, dove alloggiava spesso a casa di Pietro, dice Gesù: “Mai ho visto una fede più grande di questa, questo è l’uomo di fede”.
Ma come, non è quello che fa i sacrifici, che prega, che è buono, che va al tempio?
L’uomo che mi affascina, l’uomo che può capire quello che Io porto, è un uomo che ha il cuore del centurione. Cosa ha fatto quest’uomo? Perchè ha una fede così grande? Perchè è il tipo umano che può accogliere l’annuncio cristiano? Perchè di mesteriaccio fa il violento, fa il soldato di un popolo più imperialista dell’antichità, più feroce, del popolo che con un altro centurione avrebbe torturato e ucciso Gesù.
Ma quest’uomo ha un servo che gli dedica la vita e gli vuole tanto bene, questo servo è malato e non lo vuole perdere e va a dire a Gesù: “Guarda io te lo affido. No.. guarda ho già visto come sei e chi sei…non pretendo. Ti dico solo che ti affido il dolore che ho nel cuore. Non importa che ti sposti, non ti chiedo, non insisto “fammi questo, fammi quello”. Di te, per come ti vedo, mi basta una parola. Ti affido tutto il dolore che ho nel cuore. Io in questo dolore ci metto il cuore, per questo non pretendo di dirti come devi fare, dove devi venire”.
È un uomo nel cui grido tu gli vedi il cuore, è tutto lì in quel dolore e lo affida a Lui che ha davanti.
Per essere come quel centurione non c’è bisogno che di essere veri, reali, sinceri con quello che siamo in questo istante. Che miracolo sarebbe incontrare in un giorno almeno un uomo con un cuore così che tu lo vedi lo puoi incontrare, gli puoi entrare nel cuore. E’ un uomo che è tutto proteso a te. Questo è l’uomo che piace a Dio è il protagonista possibile dell’esperienza cristiana. Tutto il resto sono complicazioni.