Omelia Don Carlo 16 settembre 2018

*Omelia 16 settembre 2018*

“Chi mi vuol seguire prenda la sua croce”.

La sua, perché la mia la prendo io, non la scarico su nessuno.
Ma tu devi prendere la tua.
Se uno vuole realizzarsi deve portare la sua croce. E qui scatta la ribellione, istintiva, perché non so voi, ma io sono fatto per godere. Perché devo soffrire?
Perché non c’è felicità senza ascesi; l’ascesi è il lavoro, la fatica e la lotta per la perfezione.
ἀσκέω (askeo) – ἄσκησις (askesis), in greco è un termine da Itis, da laboratorio di aggiustaggio.
Lo sapete cos’è l’aggiustaggio? La fonderia fa un pezzo grezzo e non c’ha mica le misure esatte, bisogna – con tanto di tornio, sega, lima etc.: tutti gli strumenti di aggiustamento della misura – portarlo al punto dell’incastro, a una tolleranza di non oltre 2 micron, 2 – 5 micron, millesimo di millimetro.
E c’è una fatica che dura mesi e mesi; mi ricordo sti poveri, quelli di prima ci mettevano quattro mesi a fare il cubo, a fare le 4 facce esatte, non ci beccavano mai e gli davano 4 (!): ecco, la fatica che fa l’uomo per andare alla misura del suo incastro. Ma io sono di metallo fuso, sono un uomo.
Perché tocca anche a me questa fatica, questa limatura, questa fresatura, questo tornio, questi trapani per raggiungere la perfezione del mio incastro nell’universo?
Il primo, che con una zampata folgorante come sapeva far lui, dà una ragione comprensibile di questo è Paolo.
Dice in una Lettera ai Romani che tutta la creazione, tutte le creature e anche noi gemiamo e soffriamo per le doglie del parto.
Ecco l’immagine: Apokaradokountes (apo: sporgente; karà: la faccia, il collo; dokountes: un pensiero fisso, una tensione esasperata, attesa ardente) – un termine coniato da lui: è come uno che sporge la testa e il collo per sbucar fuori, perché deve uscir fuori di lì per respirare, per ritrovar se stesso; si usa per il feto che deve essere partorito e per la madre che lo vuol partorire e non vede l’ora di liberarsene e per lo spettatore che è in mezzo allo stadio e sporge il collo e la testa per gridare “goal!”, per gridare il record. Ecco: vuol dire tutto teso a questo. San Paolo guarda tutte le creature e le vede così.
Il problema è che le creature sono tutte sceme, le cose e gli animali.
L’unico essere dell’universo che di questo può avere coscienza sono io. Tutte le altre nascono e muoiono dalle creature e non hanno il problema di finire e di morire; neppure gli animali, non hanno il problema del dolore e della morte, è biologico il meccanismo. Io no! Io sono l’unico, dentro la natura, che son destinato all’infinito, alla perfezione dell’infinito – perfetti come il Padre – sono destinato a diventare figlio di Dio, cioè a partecipare del divino. Io non sono Dio, ma sono chiamato a vivere “da Dio”, a goder le cose come le gode Dio, perché si deve spaccar tutta la mia misura naturale; ogni istante si deve rompere tutto, sennò io muoio nel carcere della mia misura, di quel che penso, di quel che sento, sarebbe l’inferno.
Quando mi sento morire, mi sento all’inferno, è esattamente perché ho rifiutato la rottura, ho rifiutato lo squarcio.
Io devo essere ripartorito una seconda volta: questa è la ragione della croce.
La vera croce non è che ti perseguitano o che t’ammali; è che anche se ti va liscio tutto si deve spaccare in ogni istante la tua misura.

Questo capovolge il criterio etico per il cristiano, perché diventa bene ciò che mi rompe, ciò che mi stressa, ciò che mi spacca. Il mondo pensa il contrario, anche il mondo che è dentro di me, a me viene spontaneo il contrario: a non voler che si rompa niente della mia vita, a non voler ciò che mi rompe, ciò che mi stressa, ciò che mi spacca; vorrei star lì riposandomi tranquillo, la mia spontaneità è questa.
Questa è la ragione della croce, anche andasse tutto liscio, se campassimo cent’anni senza malattie, se nessuno ci perseguitasse, se andasse tutto liscio il dramma sarebbe sostanzialmente uguale: se non si rompe la misura naturale tu non ti realizzi, non raggiungi la perfezione, e il tuo cuore si ribella, lo sa benissimo che sei fatto per quello.
Di fronte a questo dramma che Cristo porta nel mondo (questa è la ragione per cui Gesù viene odiato, il vero odio a Cristo è perché impone l’ascesi, cioè l’aggiustaggio, la rottura continua del tuo limite per diventare felice), dice all’uomo che se non accetta questo sarà all’inferno già qui sulla terra.
Per questo Cristo è odiato, perché risveglia il fuoco del cuore, che è fatto per questo.
Le più feroci persecuzioni che ho visto solo in Giappone nel ‘600, nascono da questo, perché la c’è una cultura che non conosce l’io. Il cristiano per il fatto che è cristiano attizza l’io, è per questo che è intollerabile un uomo che risveglia l’io, perché impone questo, non c’è più la serenità, star bene, star sereni, star tranquilli.

Quando noi scordiamo questo ci schieriamo, ci sono due partiti nel mondo, due tipi umani.
O l’uomo che ama se stesso ad ogni costo e quindi non si chiede più ‘quanto mi costa, quanta fatica, quanto lavoro, quanto tempo e quanti soldi?’, non si chiede più ‘quanto mi costa?’ la sua felicità, perché per lui la sua realizzazione non ha prezzo, è la lotta della vita, e la spende tutta per questo, e se trova Cristo che lo porta là gli va dietro per questo, non si chiede ‘quando mi costa?’.

Oppure il pigro, l’accidioso.
Il primo san Paolo lo chiama Apokaradokountes, cioè quello che è tutto teso come un feto ad essere partorito. Quell’altro è l’accidioso: ἀκηδία vuol dire la trascuratezza di sé, non me ne importa di me purché io stia in pace, è quello che sceglie, che preferisce il comodo al vero, questo è un uomo che odia sé stesso, anche se è calmo e sereno e sembra buono e politicamente corretto; è un vigliacco, vigliacco, che sceglie il vile, le cose vili, le cose che non valgono niente, pur di non far fatica.

Ogni istante, voi guardate la gente che incontrate durante tutta una giornata, guardatela in faccia: voi gli leggete in faccia che cosa stanno scegliendo in quell’istante, perché sapete cosa state scegliendo voi per voi stessi.