Don Carlo – Omelie da 12-2016 a 9-2018

[30/12/2016, 13:57:18] Omelia: 30 dicembre 2016.

“È giunta l’ultima ora”.
Perché c’è un’ultima ora, c’è una prima e un’ultima. Il tempo è contato, non è infinito. Questo pone ad ogni uomo una domanda drammatica: per che cosa mi è dato il tempo? Che ci devo fare con il tempo? Cosa devo scoprire e realizzare nel tempo? Questa domanda drammatica è posta a tutti gli uomini ma non tutti se la pongono. Se la pongono quelli che pensano che sono sempre una minoranza, perché per chi non pensa i problemi diminuiscono, tendono a scomparire ma così diminuisce anche l’intensità della vita, la vita di un uomo diventa molto più una vita da animale per chi non pensa. Per che cosa a noi è dato il tempo, che cosa c’è nel tempo da conoscere, da vivere?
“Nella pienezza del tempo venne ad abitare in mezzo a noi”.
Il nostro tempo è abitato e ha una pienezza da scoprire. Il tempo per i cristiani non è più qualcosa che passa ma il tempo è Uno che viene, Uno che c’è da scoprire e che mi viene incontro all’istante. Che bello in questi giorni ci facciamo gli auguri di buon anno, guardiamo l’anno passato e immaginiamo il futuro, aver da condividere quello che abbiamo scoperto nel tempo passato e Chi ci attendiamo di incontrare nel tempo futuro. Come? Il come lo conosciamo solo nel passato, il futuro non ha come, nessuno sa il come ma noi sappiamo Chi in qualunque come ci verrà incontro.

[04/01/2017, 13:57:18] Frankie: Omelia matrimonio di Francesco e Giusy.

30 dicembre 2016.

“Nessuno mai ha preso in odio la propria carne”, la propria umanità.

Grida Paolo, lui che invece aveva odiato la carne quando è stato fondamentalista: aveva come scopo l’adorazione di Dio e per questo massacrava gli uomini, massacrava quella degli altri perché prima aveva massacrato la propria. E la scoperta di Paolo, che ha impressionato tutta l’umanità fino al dodicesimo secolo, era la scoperta che la fede in Gesù ha come primo scopo non l’adorazione di Dio ma la realizzazione dell’io. Questo faceva inorridire i fondamentalisti.
Mi viene sempre in mente nel dodicesimo secolo sant’Anselmo e una serie di altri grandi che si chiedevano, sfidati dal fondamentalismo islamico, qual è lo scopo del cristianesimo? Non riuscivano a rispondere se non quella frase del credo: “propter nos homines e propter nostram salutem”. Lo scopo per cui Dio viene al mondo è per noi uomini e per la nostra pienezza umana. Non c’è scritto nel Credo un’altra cosa, fino alla fine, fino alla resurrezione della carne degli uomini.
Questa è la scoperta di Paolo, il primo compito della nostra vita è amare la nostra carne, amare la nostra umanità, volere la nostra pienezza, il nostro splendore. “Vivens homo, gloria Dei”, la gloria di Dio è un uomo pieno di vita. Gli ebrei in un modo un po’ ricattatario – che gli veniva spontaneo per i tipi che sono – quando prendevano una batosta dai nemici, massacrati dicevano: “Signore noi portiamo il tuo nome”, cioè noi siamo i tuoi testimoni, tu sei il nostro sponsor se siamo devastati perdi il target, perdi una fetta di mercato, devi farci andare meglio le cose perché se no ci perdi tu.
Ecco lo scopo della nostra vita e lo scopo del matrimonio non è innanzitutto di volersi bene l’un l’altro, ma di volersi bene ognuno a se stesso innanzitutto. L’amore agli altri è una conseguenza: ama il prossimo come te stesso, se prima non ami te, non conosci, non ti godi il tuo bene, come fai a conoscere e volere il bene dell’altro? E anche per l’amar Dio con tutta la mente, con tutta le forze e con tutto te stesso, devi essere tutto te stesso, devi possedere tutte le forze, deve essere illuminata e sfolgorante la tua mente, vibrante la tua affettività, devi essere pieno di gusto della vita se no che gloria dai a Dio? Come fai a dar tutto a Dio se prima di tutto non l’hai provato? Questo è il cristianesimo e noi siamo felicissimi che la pienezza dell’uomo coincida con la gloria di Dio, altrimenti sarebbe un inferno se le due cose fossero in alternativa. Questa è la sfida cristiana dentro questo mondo che così raramente mette al centro l’uomo la sua pienezza e la sua bellezza. Lo scopo del matrimonio è che ognuno aiuti l’altro a voler bene a se stesso, che vi vogliate bene fra voi è la conseguenza inesorabile. Inesorabile, la mia vita grida questo.
Ma qual è la condizione perché ognuno ami se stesso, realizzi la propria grandezza umana?

“Cercate innanzitutto il regno di Dio”

Perché se tu cerchi il regno dell’uomo riduci l’uomo. Il regno di Dio è lo scopo più grade che esista nell’universo, non c’è nessuno scopo, nessun orizzonte che dia respiro se non il regno di Dio. E se non è per il regno di Dio che voi fate tutto allora è il regno di qualcun altro, o è il regno di lui o è il regno di lei o il regno della suocera, il regno dell’opinione comune, il regno del benessere, il regno di qualunque altro ed è un regno meschino. Non c’è niente che tiri fuori di più, che faccia fiorire la vostra grandezza, bellezza umana se non avere come scopo innanzitutto il regno di Dio. Non vuol dire che non dovete pensare alle vostre cose umane, perché Cristo non le viene a distruggere, non le viene a minimizzare, anzi dovete pensare a tutte le cose della vostra vita. Non è che Cristo le banalizza, le mette in secondo ordine, gli dà il loro scopo vero. Gesù in fondo non è venuto a cambiare le cose, le cose sono quelle per chi crede e per chi non crede. Chi conosce Gesù non è che ha una vita diversa, un lavoro diverso, più soldi, più salute, no. Ha le condizioni più o meno dolorose, più o meno gioiose degli altri uomini, Gesù ha svelato la destinazione delle cose. Ci svela a che cosa siamo predestinanti, per che cosa ogni cosa è stata destinata. Ti fa vedere per che cosa le cose sono fatte, che sono fatte per un compito bellissimo, più grande che più grande non c’è. L’unica cosa che dà respiro, che libera dalla meschinità è avere come primo scopo per cui si fanno tutte le cose la gloria di Dio. E dopo vedrete il miracolo, tutto il resto vi sarà dato in aggiunta, tutto il resto è la vostra fioritura umana. Vedrete che il vostro io fiorisce, diventa grande, respira. Alzarsi al mattino, avere come scopo il Suo regno dà respiro, vi rende splendidi, rende la nostra intelligenza più intelligente, più luminosa, cogliete il senso di ogni cosa, l’affezione più vibrante, intensa, il godimento della vita è cento volte di più. Se manca questo tutto diventa piccolo, diventa meschino si inaridisce. Queste cose vengono date in aggiunta ma è un’aggiunta da parte Sua, non da parte nostra. Se invece l’aggiunta la volete fare voi, volete metterci il vostro progetto, stabilire voi lo scopo delle cose – le cose hanno già uno scopo gliel’ha dato Quello che le ha fatte – voi dovete scoprire e dovete decidere se servirlo o no questo scopo ma se lo volete deciderlo voi, se volete fare voi l’aggiunta voi punterete sulle cose, fisserete la punta del compasso sulle cose e ridurrete la felicità ad avere più cose, più soldi, a mettere a posto più cose. Mentre l’aggiunta che fa Lui mette al centro voi stessi, le cose saranno tutte per voi, saranno tutte buone per voi. E allora sarà così intensa, così godibile, così bella la vita che sarete liberi dall’affanno perché se l’aggiunta la volete fare voi, volete stabilire voi lo scopo siete sempre in affanno perché vi sfugge una cosa, vi sfugge l’altra, vi sfugge l’altra sarete in affanno. E l’uomo che si affanna non si gode il presente mentre se al centro c’è Lui, c‘è il Suo regno sarà così bello il presente che non avrete da rimpiangere nessun passato che il presente è più bello perché con Lui si cresce, si va in avanti, non si rimpiange mai. Quando si rimpiange è perché avete cambiato scopo. E non avete il problema, l’inquietudine per il futuro, perché tanto il futuro non lo si può vivere fino a quando non diventa presente, se avete imparato a godervi il presente quando il futuro diventerà presente ve lo godrete e sarà molto più bello del presente di oggi. Questa è la sfida cristiana dentro a questo mondo pensate che portata ha, pensate agli amici, i colleghi, quelli che incontrate, pensate quelli che parlano per televisione, i politici, i giornalisti, che cosa può rappresentare dentro questo mondo un uomo che al mattino apre gli occhi, spalanca la finestra e ha questo respiro dentro. Un uomo che non odia la propria carne ma prova tenerezza, stima, ammirazione, entusiasmo per se stesso innanzitutto.

[08/01/2017, 17:23:26] Frankie: Omelia 5 gennaio 2017.

“Vieni e vedi”.
Vedi tu io non ti voglio convincere. Ti voglio libero, mi fido dei tuoi occhi, del tuo cuore. Prova e vedi se il rapporto con quell’Uomo è per te. Io sono uno che ama e chi ama ama la libertà dell’altro. E’ insopportabile il pensiero di un amore non libero, non sarebbe amore, sarebbe potere, costrizione o schiavitù non darebbe gusto a nessuno dei due. Questa è la sfida di Cristo che fa vibrare il cuore oggi come duemila anni fa, il cuore di Natanaele.

“Vedrai cose maggiore di queste”.

C’è ben altro che essere riconosciuto con intuizione sotto un fico mentre facevi la siesta. Certo sei un uomo serio, un israelita in cui non c’è falsità, ti è bastato questo sguardo per sentirti compreso, ed hai subito detto sì, Ti riconosco, Tu sei il Figlio di Dio, il Re di Israele. Ma questo è l’inizio, caro Natalaene, non dovrai rimpiangere questo, vedrai cose maggiori di queste. Se stai con me ci sarà uno stupore progressivo nella tua vita, ci sarà una speranza prorompente che cresce con gli anni. Avrai un volto tutto proteso al futuro. Con Me il meglio deve sempre venire!

Il test inequivocabile, introvabile da nessun’altra parte che l’esperienza cristiana è vera è che non conosce la parola rimpianto. Non c’è mai un voltarsi indietro, quel che c’è dietro per quanto bello è appena all’inizio. E’ l’innesco come il fiammifero per accendere la sigaretta, ma nessuno si fuma il fiammifero. Il primo incontro è soltanto l’inizio di un’avventura che comincia e non finisce ed infatti è per questo che si chiama vita eterna. E’ una vita che si innesca adesso e che ti fa guardare al futuro sempre come il meglio.

[08/01/2017, 17:23:26] Frankie: Omelia 6 gennaio 2017.

“A vostro favore per rivelazione vi è stato fatto conoscere il mistero”.
ἐπιϕάνεια, epifania, vuol dire manifestazione rivelazione del mistero perché la vita di un uomo dipende dal rapporto che ha col mistero. Ci sono 3 modi di rapportarsi al mistero: uno, gli atei la realtà è tutta misurabile non c’è nulla oltre quello che si tocca, che si vede, che si misura, è tutto lì, non c è nient’altro da cercare. Al massimo con il progredire della scienza si aumentano quelle conoscenze misurabili, misurate, è un aumento di quantità non di qualità, non c è nulla di diverso da questo. Le cose sono misurabili, toccabili, è tutto lì, non c è nient’altro. Niente è segno di niente, la realtà non è più segno, è solo misura. Un uomo così è costretto ad autoridursi, è costretto a reprimere i desideri più potenti che non sono mai soddisfatti da nessuna cosa misurabile. Le possedesse tutte, tutto il Big bang fosse in mano all’uomo e ne potesse godere il suo cuore direbbe “è tutto qui?” Un ateo, un materialista, oggi si direbbe un positivista, è costretto, negando il mistero, a negare il desiderio del mistero, le cose più grandi non se le può permettere. Una pena sconfinata ogni volta che incontro una persona che è così, una persona repressa, autoridotta. Non è audace, perde l’audacia, diventa irritabile, non può sopportare chi cerca qualcosa di più grande. Per questa persona la realtà non ha segno, non ha finestre, non c’è altro che quello che c’è.
Poi ci sono gli uomini religiosi che vedono la realtà come segno del mistero, sono certi che c’è, desiderano vederlo, provano a decifrarne la volontà ma rimane un mistero ignoto. L’ignoto fa confusione e soprattutto fa paura. Questi uomini sono fatti per una grandezza ma ne hanno paura, il mistero è fascinoso e tremendo diceva uno dei più grandi studiosi del secolo scorso, tedesco, Rudolf Otto, nel suo saggio più grande das heilige, il sacro: “il mistero è fascinoso e tremendo”, e l’uomo non può affidarsi al tremendo, ne ha paura. Tutti gli uomini religiosi conoscono la paura di Dio, attendono una punizione e quando un uomo ha paura poco o tanto è bloccato. Anche questi fino in fondo sono uomini bloccati, impauriti di fronte alla realtà. Paolo dice: a me, per voi, a noi, il mistero è diventato Epifania, manifestazione, rivelazione, si è fatto vedere in faccia, ci ha aperto il suo cuore. Sappiamo che faccia ha, cosa pensa, che amore e che potenza ha dentro di sé. Il mistero ha la faccia di un uomo, di un falegname, di un uomo crocefisso che muore perdonando chi lo ammazza, un uomo che dopo la morte ridiventa vivo, si ripresenta vivo e grida decine e decine di volte l’unico comando che Cristo ha gridato che non è un comando
morale, fate o non fate, ma un comando psicologico: non abbiate paura, perché temete uomini di poca fede? Il comando di Cristo non è un comando morale, Cristo non porta una nuova morale ma una nuova estetica, una nuova bellezza, la bellezza del desiderio, toglie la paura di desiderare. Davanti a un Dio che muore per te che paura hai? Davanti a Cristo che ha vinto pure la morte che paura hai del tuo futuro? Neanche la morte ti spaventa più, diventi un uomo audace, audace nel desiderio, questa è la caratteristica del cristiano. E questa audacia del desiderio realizza la profezia potente di un discepolo di Isaia-dal capitolo 60 in poi, non è Isaia ma un discepolo di terza generazione – dice: “a quella vista sarai raggiante – raggiante è la sposa nel giorno del matrimonio, ha tutto quello che desidera, ha a che cosa dedicarsi- palpiterà e si dilaterà il tuo cuore”. Il cuore palpita è l’esempio della tachicardia della ragazzina che si innamora a 14 anni, le farfalle nello stomaco, la tachicardia. Il destino fa questo effetto, i santi hanno questa vibrazione umana, sono raggianti, sono innamorati. Il cuore palpita con un affezione prepotente, esplosiva che nessun altro uomo conosce di cui l’innamoramento è soltanto un’approssimazione per difetto, è una pallidissima immagine, si direbbe nella teologia scolastica “analogatum princeps”, è Cristo non l’innamoramento. E poi un’affezione così intensa che il cuore palpita come mai palpita di fronte alle cose e si dilaterà, questo riguarda invece la ragione. La ragione si dilata, ha un angolo a 360 gradi, è capace di abbracciare tutte le cose, le può guardare tutte e può cogliere la bellezza di tutte le cose. Nasce lo sguardo katholikós, cattolico, totalizzante, inclusivo e non più esclusivo, la vita non è più out out ma et et. Nasce un uomo che abbraccia tutto, che si interessa di tutto, in cui non c è più una cosa che si contrapponga alle altre, questo si chiama centuplo nel cristianesimo. L’Epifania è data agli uomini perché facciano questa esperienza. La fanno ma ad una condizione sola, quella imposta in sogno ai Magi: tornare a casa per un altra strada. La casa sarà sempre quella, gli amici, le mogli, i figli, la terra e il cielo saranno sempre quelli ma voi ci dovete arrivare per un’altra strada, dovete vedere un altro panorama, assumere un altro punto di vista, vederle con un altro punto. Se tornate a casa e guardate le cose come prima ritornate nella tristezza sconfinata di prima. Se volete vivere il centuplo ogni giorno, dovete accettare ogni giorno di alzarvi e di guardare le cose con un nuovo punto di vista, quello di Cristo. Dovete ogni mattina rimettere in discussione il punto di vista della sera precedente, guardare di nuovo il volto di Cristo, il cuore di Cristo, il pensiero di Cristo, guardare le cose con lo sguardo che fa palpitare il cuore e che lo rilancia. Se smettete per un giorno solo questo lavoro della conversione dello sguardo che è solo il Suo punto di vista, riprecipitate o nel materialismo o nelle religioni che hanno paura di Dio. La conversione non è una tantum, ma una sempre, la conversione è di ogni giorno perché il centuplo, questa bellezza che la manifestazione di Cristo comporta, è grazia e la grazia, diceva il Concilio di Trento “nunquam appropriabilis”, mai diventa tua proprietà, non ti puoi fare il backup sulla chiavetta e te la salvi. No, ti è data. Devi rimanere sempre on-line con il mistero, sempre disponibile a ricevere in ogni istante la luce che è stata data ai Magi, a Paolo e a ognuno di noi, se no non potremmo essere qui.

[08/01/2017, 17:23:26] Frankie: Omelia

“In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone”

No, è sbagliata la traduzione. Impossibile che Dio, che è amore, non preferisca. Ma siamo matti? Προσωπολήμπτης
[prosopolemptes] vuol dire discriminatore, Dio non è un discriminatore, non Uno che non preferisce, ma siamo matti? Dio preferisce i Suoi figli uno per uno di un amore unico, come ogni padre e ogni madre.
È che il Suo amore non discrimina, quel che è dato all’uno non toglie nulla all’altro. È un amore inclusivo e non esclusivo.
Preferire, in questo caso, non vuol dire che ama di più alcuni invece che altri. No, Dio ama tutti, ma gli uomini non lo sanno quanto Dio li ama, come ognuno è preferito da Lui, non lo sanno e ha deciso di non dirlo a tutti contemporaneamente – poteva farlo -; ha deciso di dirlo ad uno, Uno, innanzitutto.

Dopo essere stato battezzato, immerso in quell’acqua, un uomo, Gesù di Nazareth, si sente dire: “Tu sei il mio figlio prediletto, preferito, in Te ho il mio compiacimento”. Mi piaci come nessun altro.

In quel caso “preferito” non vuol dire che è amato di più degli altri figli. Pre- vuol dire “prima”, non “di più”!
Sei quello che lo sa prima degli altri.
Tutti sono amati, ognuno in un modo unico, ma non sapendolo, vivono come se fossero sbagliati, come se nessuno volesse loro bene. Tu sei il primo a cui Io dico quanto amore ho per ognuno.
Se sei contento di questo, se questo amore, questa preferenza che io ti faccio sentire oggi, ti riempie, ti colma il cuore, capisci che devi cambiare vita, devi lasciare di fare il carpentiere, devi andare a gridarlo a tutti, devi correre nel mondo ed ogni uomo che incontri lo prendi per le spalle e gli dici: “Ma ti rendi conto che Dio ti ama? Mi manda a dirtelo. Io sono qui per farti sentire la preferenza di Dio”.

Dio ama tutti gli uomini in un modo unico, ma ha deciso, come metodo, di non dirlo in modo collettivo, ma di dirlo uno alla volta. Di preferire uno, che poi ne ha preferiti dodici, che poi ne han preferiti altri, fino a quando io ho sentito ho sentito, un giorno preciso della vita mia, come Dio mi preferisce e quel giorno la mia vita è cambiata. È diventata, come la vita di Gesù, vita pubblica. Non ho più potuto tenermelo per me, ho dovuto spendere tutta la vita per far sentire ad ogni persona che incontro, la preferenza che ha investito la mia vita.

Dio ha deciso di usare questo strano metodo, che sembra un metodo non democratico, che sembra un metodo ingiusto, inaccettabile, un metodo precario, affidandosi alla libertà dei Suoi prediletti, preferiti, quelli che ha scelto prima: questi possono pure tradire, rifiutare la preferenza, ed è vero, perché molti sono chiamati a sentire ‘sta preferenza, ma pochi gli eletti, quelli che poi alla fine si autoeleggono, decidono di spendere la vita, di avere come scopo della vita di andare a far sentire a ogni uomo la preferenza divina. Possono tradire brutalmente come Giuda, possono rinnegare miseramente come Pietro, possono sporcare questa preferenza, confonderla, immeschinirla, svuotarla – come facciamo noi coi nostri errori e i nostri peccati, la nostra tiepidezza, la nostra codardia -; Dio ha deciso di usare questo metodo. Oggi noi come Gesù siamo stati scelti e battezzati, βαπτίζειν [baptìzein] vuol dire immergere, inzuppare, come si fa con una spugna.
Siamo stati immersi in questo amore; come il fiume Giordano è arrivato fino a noi e ci fa sentire l’immane potenza della Sua preferenza.

Qual è la condizione perché io, come Gesù, spenda tutta la vita per fare sentire agli uomini la preferenza di Dio?

Come dice Giovanni Battista che si ribella a dover battezzar Gesù: “No, non posso, sono io che ho bisogno di essere battezzato da Te”

“È proprio per questo, che tu senti così il bisogno di essere battezzato da Me, che sei andato tu a battezzarMi e a battezzare tutti gli uomini”.
“Io, che ho bisogno di essere battezzato”.
βαπτίζειν [baptìzein] – vi ho detto – un verbo frequentativo del verbo βάπτειν [bàptein] vuol dire “immergere ripetutamente”, “inzuppare” letteralmente; il verbo che si usa per le spugne.
Giovanni Battista si sente lui come una spugna: tutto un buco, tutto un bisogno, tutto un’esigenza, tutto una sete, tutto una fame, che ha bisogno di essere riempito dall’acqua dell’amore sconfinato di Dio.
È Lui che ne ha bisogno.

Ecco, io ogni mattina posso fare l’esperienza della preferenza di Dio e spendere la giornata per farla fare a quelli che incontrerò se ogni mattina quando mi sveglio mi sento come Giovanni Battista: io che ho bisogno, io che sono arido, vuoto come una spugna.
È questo bisogno, questa sete e questa fame che permette all’acqua del Suo amore di invadermi e a quel punto, quando mi ha invaso, mi ha inzuppato, durante il giorno chi mi tocca si bagna, è investito pure lui.
Benedette le esperienze che mi fanno sentire come una spugna: tutto un bisogno, tutto un vuoto.
Mi mettono nelle
condizioni di poter assaporare la bontà di Dio.
Maledette invece quelle esperienze che mi intasano di finte risposte, che mi riempiono di surrogati dell’amore di Dio, fossero anche persone che si dicono amici miei, che pretendono di essere loro un surrogato di quella
Preferenza eterna che ha deciso di investire la mia vita.

[09/01/2017, 15:04:01] Frankie: Vi inoltro omelia di don Carlo, qui di seguito. Prima, mi permettete di riportare le ultime righe del Vangelo di oggi

“Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. Subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.”

Ah, ecco chi sono, chi siamo. Uomini scelti.
Il mio sentimento di stamattina, nonostante sia il mio compleanno, non era questo. Ma la verità si è posta. Ed io l’ho ascoltata e subito il mio cuore l’ha riconosciuta.

Ecco chi siamo. Uomini scelti.

(Mari)

Omelia di oggi

Lasciarono le reti, la barca, i garzoni, il padre, cioè la loro vita, tutto, per cosa? Io lascio una cosa per una cosa più grande e più bella; non è umano se non lasciare una cosa piccola per una più grande.

Che cos’è che quel giorno li ha strappati dalle cose della loro vita, perfino dal rapporto con il padre? Che cosa c’è di più grande e più bello che hanno visto? Dove hanno guardato, cosa hanno seguito?
Un uomo che ha gridato davanti a loro “il tempo è compiuto”.
No, un ebreo non può dire “il tempo è compiuto”. Un ebreo sente che il tempo, un istante, un’ora, un giorno, la vita intera è incompiuta, è bisognosa, attende il compimento, tutta la storia è incompiuta, sarà compiuta il giorno in cui Dio entrerà nella storia attraverso un Uomo tutto pieno di Lui, tutto pieno del Mistero, ma questo non è ancora avvenuto! Eppure quell’Uomo dice: “Il tempo è compiuto”.
Come a dire: “Guardate me, guardate qui, guardate l’istante in cui ve lo dico, questo istante, in me è compiuto, quest’ora che siete con me è compiuta, questo giorno che avete vissuto con me fino all’ora decima ha la pienezza, ha il compimento”.
Lo guardavano, lo ascoltavano, e sentirono ragionevole quel giorno lasciar tutto; ma all’alba del giorno dopo, di nuovo, dovevano ridecidere se continuare a seguire Lui o tornare dalle barche, dai garzoni, dalle reti, dal padre. E dovettero risceglierlo, dovettero ancora guardare, guardare se in Lui c’era il compimento, se Lui faceva diventare pescatori di uomini, se il Regno di Dio era diventato vicino, era lì, alla portata, vi si poteva partecipare! Ed il terzo giorno, ancora, dovevano riscegliere. La conversione non è di un giorno, la conversione è di ogni giorno, ogni giorno, ogni mattina. Il giorno in cui ti alzi e procedi in automatico, in default, dai per scontato che va bene così, quel giorno non c’è più la bellezza, quel giorno perdi l’esultanza, quel giorno perdi l’entusiasmo, quel giorno hai perso le motivazioni, e la diventa pesante, diventa triste, diventa delusa.

Ogni mattina, qui di nuovo, a guardare quell’Uomo che ti dice “il tempo è compiuto”, a guardarLo in faccia, a vederLo se è compiuto nella Sua vita, a domandare di poterLo ancora sentire, di lasciar tutto,
per verificare che con Lui il tempo è compiuto. Basta vivere un istante, vale come una vita intera! Ogni mattina c’è da fare questa riscoperta, senza questo il cristianesimo diventa una religione come tante, della legge, delle pratiche, dell’abitudine. Non ti fa più pescare gli uomini perché non pesca più il tuo cuore.

[10/01/2017, 14:02:16] Frankie: L’omelia di oggi

“Parla con autorità”, non autoritarismo, non è potere sugli altri, ma potere su di sé, ôs exousian echon  (ὡς ἐξουσίαν ἔχων), viene fuori la potenza del suo essere, svela chi è veramente, il suo segreto, la sua grandezza, la sua certezza.

E di fronte a Lui anche gli altri si svelano: ha il potere di svelare se stesso e di smascherare gli altri. E quando Lui si svela la folla gli si attacca e la sua fama si diffonde in tutta la regione e i nemici, gli indemoniati, in questo caso, lo attaccano, tirano fuori la loro natura profonda, la malizia che hanno dentro, il sospetto e la menzogna: “Che vuoi da noi? Sei venuto a rovinarci!”

Ma come “che vuoi”? È il pensiero diabolico, il pensiero che Dio sia un padrone, un signore che vuole qualcosa da noi, che ci chiede qualcosa, che ci comanda qualcosa.
Tutte le religioni, poco o tanto, chiamano Dio Signore. Gesù non ha mai chiamato Dio Signore. Lo ha chiamato Padre, anzi Abbà, papà: l’affettuoso, l’intimo, quasi il vezzeggiativo.
Ma il segreto di Cristo è che Dio è Padre, non è signore, non è padrone: Dio non comanda, ma domanda all’uomo, si inginocchia davanti all’uomo e gli chiede di potergli voler bene, gli chiede: “mi vuoi bene?” Io voglio darti tutto me stesso, come un padre e una madre con un figlio, questo è il segreto, questa è la forza di Gesù.
Un cristiano non può chiamare Dio Signore, lo deve chiamare Padre, lo deve chiamare papà.
Se si immedesima con il cuore di Cristo, lui stesso parla con autorità: svela il suo segreto profondo e davanti a lui accade il miracolo e il dramma come accadeva quando arrivava Gesù: la fama si diffonde senza che lui faccia niente altro che questo. E  i nemici, con la menzogna che hanno dentro, si scatenano, come sta accadendo in questo tempo nella Chiesa: i Cristiani sono, per un aspetto, i più perseguitati anche cruentemente; dall’altra parte sono i più ammirati, guardate il Papa, è il leader del mondo, i santi sono i punti di riferimento, sono gli unici che riescono a capire qualcosa della confusione, della tragedia di questo mondo.

[12/01/2017, 08:34:05] Frankie: Questa omelia meravigliosa, dopo un giorno di collaborazione intensa… tutta per voi!
Buonanotte

“Tutti ti cercano”, tutta la città è riunita davanti a Te. Lo smarrimento, la constatazione smarrita di Pietro: non è possibile che lo cerchino tutti!
Da che mondo è mondo, ad alcuni non sta simpatico, gli altri non lo sopportano, per molti è indifferente. No! Quello lì lo cercano tutti, dopo il tramonto tutta la città è davanti alla porta: che cosa ha mai questo? Che cosa cercano tutti? Gli vanno a riversare i loro problemi, le loro malattie, i loro bisogni; vanno per quelli, ma di fatto cercano Lui, stanno bene con Lui.

E se chiedi alla gente: qual è il desiderio segreto? Star sempre con Lui, stare attaccati a Lui, dove c’è Lui.

Non è così l’amore?
Ti innamori, il desiderio che scopriamo è star sempre con quella persona, per tutta la vita, e ci provi, sperando che funzioni.

Ma lo sconcerto di Pietro, l’incomprensione di Pietro è quando Lui dice “andiamocene altrove”, o quando si sveglia al mattino e c’è già la gente dietro che Lo cercherebbe: “É fuggito in un luogo solitario”.
Che strano questo amore! L’amore che Gesù porta nel mondo e che cattura tutti è un amore asimmetrico: loro hanno come scopo di star sempre con Lui, come in ogni amore umano, io con te e tu con me, noi sempre insieme. Cristo, invece, che è quello che li ama tutti, che infiamma il cuore di tutti, che parla con autorità, che non dà tregua a nessuno, invece spiazza Pietro perché il Suo amore è asimmetrico: Lui si sottrae a loro, a monte e a valle. A monte: va in un monte deserto a pregare, a cercare il Mistero di cui ognuna di quelle persone è figlia, è creatura. Lui non può amare quelle se non conosce e se non ama il Mistero che le fa in quell’istante e che le vuole in quell’istante. Non è stando con loro che li ama, ma andando a conoscere e ad amare Quello che li fa, dedicando la vita a cercare Colui che li fa.

E poi, dopo un istante, quella giornata, quella serata in cui si è realizzato l’evento della comunione miracolosa con tutti: “Andiamocene altrove negli altri villaggi.” Non c’è più da indugiare lì. Ho scritto nei cuori, non c’è da scrivere nient’altro, non c’è da tirare conclusioni. Mi hanno visto, hanno conosciuto che tipo di amore ho per loro, tu hai visto da dove nasce questo amore, adesso andiamo altrove. Adesso è tutta responsabilità loro, basta con quella folla, basta con quella gente.
Basta un istante per vedere Dio. Adesso a Lui tutta la folla deve rispondere. È l’opposto degli amori naturali, in cui lo scopo è star sempre insieme e, quando scopri che quello poi non è Dio e ti tradisce, nascono le delusioni e magari anche i delitti passionali.

L’amore vero non è un amore simmetrico, ma asimmetrico: questa è la drammaticità e l’aspetto affascinante che «il Dio/uomo» ha portato nel mondo e ha offerto alla nostra esperienza.

[13/01/2017, 08:09:08] Frankie: Omelia di oggi

Ammonendolo severamente, lo cacció via subito: “Guarda di non dire niente a nessuno!”
“Ma come non posso dire il miracolo che mi hai fatto! Anche gli altri ne hanno bisogno!”
No! Non hanno bisogno della guarigione dalla lebbra! Questo è il miracolo che io ho fatto a te perché ti converta, anzi lo ha fatto Dio attraverso di me per te, perché ti converta tu. Perché metti di mezzo gli altri? Non son problemi tuoi!
Vai in fondo al miracolo che ti ho fatto, vai al tempio, fai l’offerta a Dio e riconosci che questa cosa viene da Dio.
Non sei a posto perché non hai più la lebbra, sei a posto, se riconosci Dio: è la fede il gesto più grande dell’uomo, è stato fatto per la tua conversione.
Te senza la lebbra non sei felice, come gli altri che non ci hanno la lebbra, tu ti realizzi soltanto se riconosci Dio, questa è un aiuto a riconoscere Dio, ma gli altri anche loro, agli altri non serve la guarigione dalla lebbra. Cosa vuoi andare sul blog e mettere sul web.
Cosa serve? Mi complichi la vita! infatti gliel’ha complicata, non poteva più entrare pubblicamente in città. Perché tu andandolo a raccontare agli altri metti l’accento sulla guarigione, come se quello fosse il problema.
Il problema non è la guarigione, il problema è la conversione,
Il miracolo per gli altri, anche loro hanno bisogno di riconoscere Dio, il miracolo per gli altri non è la tua guarigione dalla lebbra, il miracolo per gli altri sei tu, il miracolo è un uomo miracolato, un uomo che riconosce Dio in tutte le cose, gli altri non han bisogno dei miracolo, anche tu, non te ne farò un altro la prossima volta, devi andare in fondo a questo. Il miracolo per gli altri sarai tu guarito, tu che riconosci Dio, è questo il vero miracolo.
Poi la conclusione la supplica di Gesù: “non indurite il cuore!”
Il vostro problema non è neanche la lebbra, non è neanche i peccati che fate, è l’indurimento del cuore che Luca chiama la sclerocardia, era un medico, l’indurirsi, il cuore diventa così rigido da diventare insensibile alle cose, si ferma, si ferma alla superficie delle cose, non percepisce quello che c’è dentro alle cose, “ma non capite” che le cose sono o segno di Dio o segno dell’io, l’insensibilità vi impedisce, di riconoscer Dio o di riconoscere l’io, che le cose o le fa Dio o le fa un uomo; ci sono date per incontrare Dio o per incontrare l’uomo che le fa. Il problema della vita è andare in fondo a quell’unica cosa, a quell’unico miracolo che Dio fa per te. Il resto sono complicazioni che ritardano il cammino, ritardano la realizzazione di te.

[13/01/2017, 11:18:53] Frankie: BARZELLETTA
Un ebreo dice ad un amico: “Ti ricordi di mio figlio? Tu sai che l’ho sempre educato nel rispetto della religione ebraica. E’ successa una cosa strana: l’ho mandato in Israele perché cresca da vero ebreo, e lui… e’ tornato cristiano”. ” Strano, gli dice l’amico, anch’io ho educato mio figlio nel rispetto della religione, ma quando l’ho mandato in Israele, e’ tornato cristiano anche lui”. “Questo e’ molto strano, parliamone al rabbino: “I nostri figli che abbiamo educato da veri ebrei sono andati in Israele e sono tornati a casa cristiani”. “Questo e’ molto strano perché anche mio figlio e’ andato in Israele e, malgrado sia stato allevato da vero ebreo, e’ tornato a casa cristiano”. Allora cosa possiamo fare?. E il rabbino:”Chiediamo al Signore: Signore di Israele, Dio di Abramo, Isacco e di Giacobbe, ascoltaci, vogliamo chiederTi un consiglio: i nostri figli, tutti degli ottimi ebrei, sono andati in Israele e sono tornati a casa cristiani, che cosa possiamo fare? “. E Dio: “Questo e’ molto strano, perché anche Mio figlio… “.

[13/01/2017, 16:55:57] Frankie: Omelia di oggi

“Si meravigliarono e lodavano Dio”

La meraviglia e la lode piena di gratitudine è il test della fede: si vede se credi se sei pieno di meraviglia, sei di fronte a una cosa che “«Non abbiamo mai visto nulla di simile!»”, più grande, non immaginabile e sei grato, lodi chi te l’ha data. Questo è il test della fede, della fede cristiana e cattolica. Se no è una sottomissione irrazionale, uno sforzo, un piegarsi ottusamene ma non c’è godimento. La fede cristiana fa godere di una cosa più bella e più grande che tu non avevi immaginato.
Quando manca la meraviglia, la gratitudine e la lode vuol dire che la fede sta morendo. Ma:

“«Non abbiamo mai visto nulla di simile!»”

Cioè questa Bellezza che ci meraviglia, che ci riempie di gratitudine non è assolutamente simile alle cose che già conoscevamo; l’abbiamo davanti agli occhi, ma può diventare nostra soltanto se accettiamo di spaccare quello che già sappiamo, quello che già conosciamo, perché non è simile, non abbiamo mai visto nulla di simile a questo. Per accogliere questo dobbiamo accettare di allargare le idee, le immagini, di correggere le abitudini, di rompere col passato, di essere disposti ad aprirci a una cosa più grande, cioè a convertirci. Questa Bellezza scompare se tu ti fissi, ti rinchiudi su quello che è simile a quello che sai già, se non fai posto al nuovo.
Questa è la drammaticità della conversione cristiana: quella Bellezza è davanti ai miei occhi, ma la vedrò e la gusterò dentro di me soltanto se accetto questa rottura drammatica.
Ogni istante c’è la scelta drammatica fra ciò che corrisponde alle esigenze più potenti del cuore o ciò che corrisponde alla mia idea, alla mia misura. Ogni istante noi abbiamo questa opzione di fronte.
Quello che ci aiuta ad accogliere quello che corrisponde al cuore e accettare il sacrificio drammatico dello spaccarsi della nostra misura è il suggerimento della lettera agli ebrei:

“Questi si sono persi perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede prima di loro”

Perché la fede ti arriva attraverso qualcuno, se tu ti stacchi dalle persone che hanno ascoltato prima di te, con cui ti è arrivato l’annuncio, da solo non ce la fai, ripiegherai inesorabilmente su ciò che corrisponde alla tua meschina misura. E allora auguri alla meraviglia ed è finita la gratitudine e la lode.

[16/01/2017, 11:18:37] Frankie: Omelia di oggi

“Santi per chiamata”

Paolo è il più intelligente della novità cristiana. Santi per chiamata, κλητοῖς ἁγίοις, tradotto quasi perfettamente questa volta; meglio dire santi perché chiamati, non chiamati perché santi, perché bravi. Quello che ci fa santi, cioè veri, nuovi, non è la nostra morale, l’essere bravi, capaci, ma l’essere chiamati e accettare la chiamata. È la chiamata accettata e accolta che ci fa nuovi, da questo nascerà un nuovo comportamento. Siamo santi perché chiamati e non chiamati perché santi; perché sentirsi chiamati, il nostro Creatore che viene nel mondo ci chiama: “vieni, ascolta quel che ho nel cuore per te, vieni vicino a Me, ascoltaMi, guardaMi negli occhi; guarda, guarda come ti guardo Io, guarda il mondo come lo guardo Io, accetta, lasciati investire dal vero che ho nel cuore per te”. Questa è la chiamata. Se un uomo la sente e dice:

“ecco vengo per fare la tua volontà”

Vengo, voglio quello che vuoi Tu, voglio capire quello che Tu pensi, voglio amare quello che Tu ami, voglio vedere la bellezza che Tu vedi, nel mondo e in me. Un uomo che accoglie questa chiamata, quell’uomo comincia a diventare santo, a diventare nuovo, a diventare più se stesso, veramente se stesso.
E si sente cambiare dentro, sente che il cuore suo ha cominciato a cambiare, ha dentro una luce, un fuoco, una bellezza, un amore che prima non aveva e comincia a dire:

“La tua legge è nel mio intimo”

La Tua legge, il Tuo pensiero, il Tuo cuore, la Tua natura mi è entrata dentro, mi ha cambiato dentro. Quello che muove è la legge del mio cuore che è dentro di me, non una legge esterna, non sono più schiacciato, ricattato, violentato da niente di esterno. Non mi muovo più da qualche cosa che accade fuori da me, ma ciò che mi muove è la legge stessa del mio cuore, il mio cuore stesso è la legge della mia vita. Sono un uomo libero.
Questa è la novità che Cristo porta. Prima di Cristo c’è sempre una legge esterna a cui sottomettersi che poco o tanto ti aliena, ti ricatta, ti violenta. Cristo ha posto la legge del cuore, ha svelato che la legge della vita è la legge stessa del cuore: non ti chiede di obbedire a nessuna legge se non alla legge del tuo cuore, ti fa vedere come è fatto il cuore, ti fa vedere che è fatto bene e tu da quell’istante diventi libero, perché non obbedisci più a nessuno che sia esterno a te. Dio stesso ti è entrato dentro, non è un signore che ti impone qualcosa. Tutte le leggi umani sono estrinseche, vengono dal di fuori, poco o tanto riducono la libertà. La legge di Cristo è la legge del cuore. Alcuni anni fa ho scoperto due frasi di Paolo che non me le dimentico più, che mi fanno venire i brividi della libertà ogni volta che le ripenso, quando scrive agli amici del Montenegro, i colossesi, che gli chiedono “dicci la legge cristiana, qual è; tutti hanno le leggi, i farisei hanno la loro, l’impero romano ha ben le sue leggi, la legge di Cristo qual è?”. San Paolo si spazientisce e disse a loro, poi a quelli Corinto che volevano le leggi, le regole dice: ὃ ἐὰν ποιῆτε, qualunque cosa facciate, ἐκ ψυχῆς ἐργάζεσθε, deve venire fuori dalla vostra psiche, dal vostro animo, dalla vostra sensibilità, fate quello che vi sentite dentro e basta, non chiedetemi delle regole. E ai Corinzi che gli hanno fatto la medesima domanda dice: ἕκαστος, ciascuno di voi, καθὼς προῄρηται τῇ καρδίᾳ, faccia quello che ha deciso τῇ καρδίᾳ, dentro al cuore, in fondo al cuore, metta il cuore in quello che fa, non con tristezza, non per ricatto. E poi quella bellissima frase μὴ ἐκ λύπης ἢ ἐξ ἀνάγκης· ἱλαρὸν γὰρ δότην ἀγαπᾷ ὁ θεός, perché a Dio gli piace colui che fa il dono con uno scoppio di verità come quando uno fa una risata, sente la barzelletta e scoppia. A Dio piacciono gli uomini che fanno le cose che gli esplodono da dentro, come ti esplode una risata.
Questa è la legge cristiana. Un uomo così è libero perché in quello che dice e in quello che fa ci mette il cuore. E tu sentendo le sue parole, vedendo le sue azioni, vedendo i suoi gesti, vedi il cuore, vedi quello che ha nel cuore, lo incontri, è un uomo incontrabile ma contemporaneamente è un uomo incontenibile, ingestibile.

“non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai”

Oppure: “È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza [quello che hai dentro] fino all’estremità della terra”.

È un uomo che non ha più limiti, non lo controlla più nessuno, perché tutte le altre cose gli uomini te le possono impedire, ti possono anche inchiodare le mani a una croce, ma il cuore, il cuore è spirituale, il fuoco c’ha il fuoco e la libertà di Dio dentro. Il cuore non lo domina nessuno, come mi disse un’amica americana “you are unstoppable”, sei inarrestabile, non ti ferma nessuno. È Cristo che rende il cuore umano così, cioè libero.

[16/01/2017, 11:18:37] Frankie: “Perché i discepoli di Giovanni e dei Farisei digiunano?”

Ma perché il digiuno è l’espressione più comune, più efficace, più semplice delle religioni profonde. L’uomo religioso percepisce la mancanza, la voragine di mancanza che c’è nel cuore dell’uomo, che il mondo intero non colma il cuore dell’uomo. La vita è un mancanza: più gli uomini sono intelligenti, più denunciano- come Leopardi- la mancanza. Gli uomini religiosi esprimono questa mancanza, questo vuoto rinunciando al cibo che accentua il senso della mancanza e quindi la vita è triste fino a quando non ci sarà il compimento e in questo mondo il compimento non c’è.

Gli ebrei che sono i più religiosi di tutte le altre religioni hanno più di ogni altro il senso della mancanza, nella vita c’è una mancanza. Gesù, invece, rifiuta il digiuno perché la religione di Cristo è la religione della presenza, non dell’assenza, della pienezza, non dello struggimento e della nostalgia. I suoi discepoli non possono digiunare ma devono festeggiare perché lo Sposo è presente. La morale cristiana ha come scopo la festa. La morale cristiana è festeggiare Gesù e non c’è nessuna circostanza in cui non ci siano le tracce della Sua presenza. Per vivere con il tono della festa, per rintracciare in ogni circostanza, appunto, le tracce, intercettare le tracce della Sua presenza, occorre dentro la mente, dentro il cuore una parola viva ed efficace, non parole vuote, parole “findus”.

“Una parola che discerne- è acutissimo nella lettera agli Ebrei, lui queste cose le scrive perché le ha vissute- discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. Dice in greco “κριτικος” un logos, una parola capace di soppesare, di criticare, come un bisturi, come una spada a doppio taglio “I sentimenti e i pensieri dei cuori”, per intercettare in qualunque circostanza, fosse anche la croce, le ragioni della festa. Questo è il tono del cristiano dentro al mondo.

Che pena, come dicono queste due parabole, quando il cristiano perde il senso di questa novità e diventa la religione dell’assenza, della mancanza, della rinuncia.

Come uno che prende l’abito nuovo ma non fa la fatica di metterselo, lo fa a pezzi per rattopparsi il vecchio. Oppure la parabola che in Romagna è insopportabile “vino nuovo in otri vecchi” e così perdi e il vino e gli otri.

[17/01/2017, 11:32:44] Frankie: Omelia di oggi!

“Il padre illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati”.

Era il fuoco che bruciava dentro l’animo di Antonio, Sant’Antonio Abate che festeggiamo oggi. Ma non aveva nessuno con cui condividere questa speranza. La pena che aveva in cuore che non c’era nessuno, dove lui abitava, che comprendesse la speranza a cui un cristiano è chiamato. Aveva pena dei cristiani che non avevano coscienza della speranza che portavano.
Siamo al crollo dell’Impero romano, ormai Costantino ha fatto la religione di stato: tutti erano impiegati statali e formalmente erano tutti cristiani o democristiani o costantiniani. Nessuno era radicale, in faccia lui vedeva benissimo che nessuno aveva coscienza della speranza cristiana; per nessuno Gesù era tutto. Non avevano idea e non vide altro modo per affermare questo che fuggire dalla città, dalla società e andare nel deserto, come altri monaci, soli, anacoreti in quel periodo. Erano uomini radicali che avevano coscienza della speranza cristiana, ma non avevano nessun carisma in testa, nessuna modalità nuova e non avevano compagni con cui condividere la speranza; non videro altro modo che di allontanarsi dalla società, vivere da soli per tutta la vita per gridare al mondo e ai cristiani che di Gesù si può vivere, che era tutto. Poi verrà benedetto e un’idea ce l’aveva, ma non la poteva realizzare secondo lui dentro la città, dentro la società e andò fuori – ma con degli amici – nei boschi e nelle paludi e ricominciò un mondo nuovo. Noi siamo in un tempo – ha detto il Papa il 6 giugno nella bellissima lettera ai Vescovi ‘Iuvenescit Ecclesia’ che la Chiesa oggi può ringiovanire senza bisogno che fuggiamo nei deserti a vivere in solitudine, senza paura, perché noi oggi abbiamo il miracolo dei carismi. In questo secolo in cui i cristiani sono più perseguitati in poco più di 50 anni sono fioriti più di 100 carismi nuovi; pensate che nel 1200 solo due: Domenico e Francesco; 60 anni fa 4; 20 anni fa, nel ’98, erano già 54 i nuovi carismi fioriti nell’ultimo secolo, adesso sono 101. Carismi, cioè modi di sentire e di vivere il cristianesimo in modo costruttivo e gioioso e nella comunione dentro la società, dentro la realtà. Noi siamo chiamati oggi – non a fuggire nel deserto, non ad uscire dalla società – ma erano chiamati a vivere nel deserto di questa società, ognuno con il carisma e con la compagnia che Dio gli ha dato, per affermare la medesima cosa che volle affermare Antonio Abate nel deserto e gli altri monaci, con la stessa radicalità. Abbiamo una possibilità, una fioritura di possibilità, che loro non avevano, ma il compito è sempre lo stesso: è il compito che fu dato a Pietro e ai suoi 11 amici il giorno stesso di Pentecoste.

[02/02/2017, 12:18:03] Frankie: “I miei occhi hanno visto la Tua salvezza”.

Che cosa ha visto Simeone? Non ha visto Dio direttamente, Dio in questo mondo si vede solo indirettamente mediante dei segni.

Che segno ha visto? Ha visto un bambino, ha visto lo sguardo di Maria e di Giuseppe sul quel bambino e quei tre segni lo hanno messo davanti a Dio. Ha visto un fatto che gli fa dire: “Ora puoi lasciare che il tuo servo vada in pace”. Ha visto quanto era necessario per morire e per vivere, perché ci vuole la stessa certezza per morire e per vivere. “La morte fa parte della definizione della vita”, come diceva il grande storico medievale Huizinga.

Per poter vivere bisogna aver una fede che sia in grado di poter, che ti dia la libertà di poter morire. Ci vuole la stessa certezza, bisogna aver visto lo stesso fatto, ci vuole la stessa fede per morire e per vivere. Perché tutta la vita chiede l’eternità. Se non sei grado di vivere la morte non puoi neanche vivere la vita.

Adesso Simeone è pronto per morire perché è pronto per vivere e il tempo che gli resterà da vivere sarà una vita nuova per lui.

Ogni giorno io ho bisogno di vedere quello che ha visto Simeone. Ho bisogno di una fede che serva per vivere, che serva per morire. Se no non è una fede umana, ogni sera devo poter dire “i miei occhi oggi hanno visto”. Ogni mattina all’alba mi alzo e ho bisogno di vedere quel che vide Simeone quel giorno, di vedere un fatto che mi dia la libertà di vivere, la libertà di morire. Se no la vita non è vita fino in fondo.

“Luce delle genti e gloria del tuo popolo Israele”. Una fede così è luce per le genti, illumina la vita di tutta la gente del mondo perché è gloria del popolo scelto, perché è la bellezza della mia vita. Una fede così rende così bella la mia vita che io sono luce per le genti.

Qual è la condizione perché gli occhi di Simeone siano i miei, la sua fede sia la mia, una fede che serva per vivere e che serva per morire? Perché una fede che non serva per vivere e per morire è la cosa più penosa del mondo.

Qual è la condizione? Perché Maria e Giuseppe guardano stupiti e sconcertati: “e anche a te una spada [dice a lei e indirettamente anche a Giuseppe] una spada trafiggerà l’anima”.

Se vuoi vivere di una fede così devi lasciare che la tua anima sia trafitta, trafitta da tutto il dramma del mondo. Perché per avere una fede così devi avere una domanda altrettanto grande, devi vivere tutta la drammaticità del mondo, lasciare che il dolore del mondo sia il tuo dolore. Tutte le certezze di ieri sono frantumate e spazzolate via, devi ricominciare di nuovo a guardare il mondo, ad immedesimarti, ad avere una domanda così grande che di fronte al segno dici: “ho visto, ho visto”.

Perché il bambino c’era per tutti, com’è che soltanto Simeone e la vecchia profetessa Anna lo hanno riconosciuto? Perché avevano una domanda adeguata a quel segno. Domandavano una cosa così grande, scrutavano per vedere e lo hanno visto. E gli altri vedevano il bambino, Maria e Giuseppe e non si sono accorti di niente, perché la spada non gli trafiggeva l’anima, perché non prendevano sul serio il dolore, il dramma della vita, il dolore, il dramma del mondo, non capivano, non sentivano che tutta la vita chiede l’eternità.
Non erano pronti a morire perciò non erano pronti a vivere.

[02/02/2017, 12:18:13] Frankie: Qst spacca

[03/02/2017, 13:46:51] Frankie: Che cosa può alzarci il tono dello sguardo dopo la tristezza, l’amarezza di fronte al penoso episodio di Erodiade, che sacrifica il profeta per un capriccio? E la testa di gomma piuma di Erode, che cede così…che tristezza, che amarezza, che pena che il mondo sia guidato da persone di questo tipo, allora come oggi.
Cos’è che ci dà tono, che ci dà voglia di vivere?

“Che Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre”

La pienezza vista in Lui, che colpiva anche Erode, è la stessa, “ieri, oggi e sempre”; non viene meno lo splendore di Cristo, che colpiva Erode, che ha commosso è convertito Zaccheo e Maddalena, che ha entusiasmato Maddalena e le donne alla Risurrezione, che ha trasformato il povero Pietro nel primo testimone a Pentecoste riesce a far battere il cuore a tremila persone in un giorno. Quella pienezza lì, quello splendore che ha preso Paolo e ne ha fatto del persecutore il più splendido, intelligente e grintoso apostolo, quella pienezza lì è la stessa ieri, oggi e lo sarà sempre, perché quella pienezza è divina, quello è l’Uomo Risorto, non viene meno. Vuol dire che oggi io non devo rimpiangere Gesù, non devo rimpiangere Maddalena, Pietro, Paolo e nessuno: io posso vivere la medesima pienezza. Quella pienezza è l’Eterno dentro il mondo e non decade, come splendore, come potenza. Decade tutto nel mondo, decade anche l’atomo di Cesio che ogni 24000 anni si dimezza come potenza radioattiva. No! Il mondo finirà ma la pienezza di vita che c’era in Gesù io non la devo rimpiangere. La nostalgia, il rimpianto, il senso del decadimento non è cristiano; io sono un povero uomo oggi come lo era Pietro, come lo era Paolo, come Maddalena, come Zaccheo, ma io oggi posso vivere la stessa pienezza, anzi di più! Lo disse Lui: “farete quello che ho fatto io, ne farete di più!”.
Le condizioni sono solo due. Uno:

“Beati coloro che custodiscono questa novità con un cuore integro”

Integro non vuol dire bravo, che non faccia i peccati, che non ha difetti, non sarei io. Integro vuol dire che ce lo metto tutto, che non lascio fuori nulla di me. Cristo salva e trasfigura tutto ciò che Gli do ma solo quello che Gli do. Gli devo dare tutto, tutti i miei desideri, tutte le mie risorse, i miei limiti e i miei peccati: se Glieli do i miei limiti lì trasfigura, se Gli do il peccato e il male mi perdona e mi fa rinascere. Tutto quel che trattengo è perduto: “chi vuol salvare la sua vita la perde, chi la dona a Me gliela trasfiguro, gliela faccio risorgere, vivrà quello che ho vissuto Io”. Dentro il mondo fino alla fine del mondo ci possono essere uomini che vivono come ha vissuto Gesù, io oggi posso vivere così se Gli do tutto, se il mio cuore è integro, non bravo, non perfetto, integro, Gli do tutto!
Secondo:

“Producono frutto con perseveranza”

La condizione è la perseveranza, che non è quello sforzo che fa venire le ernie a degli stoici che si sforzano di rimanere fedeli, no! In greco c’è un termine molto più limpido, perseveranza è ὑπομονῆς, che indica anche tecnicamente il caricamento degli atleti: gli atleti un attimo prima di fare il gesto atletico sono tutti concentrati corpo e mente in un punto in attesa dello sparo, del via, di poter partire, in cui corpo e anima sono tutti tesi perché vogliono vincere una medaglia. Il cristiano non è un uomo bravo, ma un uomo vero, che ci tiene talmente a vincere la medaglia della propria realizzazione umana, che è tutto concentrato, attende l’attimo in cui deve fare quel gesto, in cui deve dire quel “sì”, non pretende di possedere neanche il tempo e il modo in cui il compimento accade. L’arbitro, quello che spara è un Altro.

[06/02/2017, 15:08:25] Frankie: Omelia di stamattina…
Quella di ieri, arriverà, siamo un attimo “indietro”…

“Accorrevano da tutta quella regione”.

Che cosa aveva? Non appena perché faceva qualche miracolo, non li ha mica guariti tutti!
I miracoli sono meno di cinquanta in tre anni, di vario tipo. Eppure tutti quanti lo toccavano o anche solo lo incrociavano nello sguardo venivano salvati, cambiati dentro, guariti nel cuore.

Che cosa cambiava in loro incrociando lo sguardo di quell’Uomo?
Incrociavano lo sguardo descritto nel racconto della Genesi che non è stato scritto evidentemente quando Dio ha creato il mondo, non è il primo libro della Bibbia. È stato scritto più di mille anni dopo che è iniziata la storia di Abramo, a metà dell’ottavo secolo. Il regno è finito, Gerusalemme è stata distrutta dai Babilonesi, sono ammazzati i capi, resi schiavi tutti gli altri, sono deportati a Babilonia. Non hanno più niente, non possiedono più niente, non sono più padroni di niente, lavorano da mattina a sera, vengono distrutti progressivamente, non sono padroni neanche del proprio corpo, sono schiavi. Eppure guardano, possono soltanto guardare le cose.

Guardano il cielo, guardano la terra e dicono: “Gioisca il Signore per le sue creature”. “Benedetto Signore per tutte queste creature”. Non ne possiedono nessuna, sono schiavi, condannati a morire, ma hanno questo sguardo sulla realtà. Guardano le cose e le cose sono create da Dio. Per il fatto che esistono, sono segno del loro Creatore, ti mettono in rapporto con Dio. Questo sguardo si chiama fede.
Per quanto la vita sia ferita, per quanto male ci sia, tutto questo male non toglie il fatto che tutte le cose che esistono, per il fatto che esistono, ti fanno vedere Dio, ti mettono in rapporto con Dio. Questo sguardo che si chiama fede, questo sguardo puro, radicale, che si chiama anche verginità – vuol dire sguardo intatto che attraversa tutto il male e vede l’origine di quelle cose – è la cosa più dura da mantenere. E non riuscivano a mantenerlo e sono venuti nell’attesa che venisse un Uomo che riportasse nel mondo lo sguardo di Dio che vede le cose e vede Dio. È per questo che quando quest’Uomo è venuto, quando lo hanno intercettato, accorrevano a Lui da ogni parte, perché con quell’Uomo ricominciava il mondo, ricominciavano a guardare il mondo con lo sguardo con cui l’ha fatto il Creatore del mondo.

Noi siamo stati scelti per intercettare quello sguardo così radicale, così puro, così esaltante, che ci fa gridare ogni giorno: “Creature tutte benedite il Signore”.
Senza quello sguardo si maledice il Signore, si maledice la vita.

Dove ritroviamo ogni giorno quello sguardo? Questa è la prima urgenza del mattino; non mettere a posto il mondo, ma reimparare a guardarlo come il mondo è. Questo il mondo lo fa ricominciare. Ogni mattina è la genesi, di nuovo l’inizio.

[07/02/2017, 10:16:07] Frankie: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza”

E qui nasce quella possente e suggestiva solitudine che un uomo cosciente prova, perché è fatto ad immagine di Dio, e di niente altro. E quella sete di pienezza gliela colma solo Dio. Un uomo così non potrà mai adorare la natura, diventare idolatra, perché lui non è immagine del mondo, della natura ma di Dio. Quando noi siamo delusi, ci lamentiamo che la natura è cattiva, che ci fa ammalare, che fa venire i terremoti è perché abbiamo dimenticato l’immagine di Dio che portiamo nel cuore, abbiamo adorato, siamo diventati idolatri, abbiamo trattato la natura come se fosse Dio.
Ma la natura non è Dio, noi non siamo immagine della natura. E, allora, a cosa ci serve la natura se non può prendere il posto di Dio, se non ci può togliere la solitudine, se non ci può fare compagnia? Perché ci è data la natura?

“Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato” che cosa provo?

Un’attrazione potentissima per la Bellezza di cui la natura mi parla e insieme uno smarrimento, una piccolezza, un’impotenza, una invincibile solitudine. Che ne devo fare, allora, della natura?

“Soggiogate, dominate la terra”

La natura è un oggetto da prendere, da conquistare, con la scienza, perché mi dia tutto quello che mi può dare, ma non da adorare, è da conquistare. Secondo è da interpretare – la natura è segno – con la cultura: la cultura viene da “cultus”, culto, rito religioso, la ricerca del Mistero; tutti gli artisti poco o tanto, anche quelli che si sentono atei, di fatto cercano la profondità della natura, il Mistero di cui la natura parla.
La natura è da dominare e da interpretare. Guai ad adorare la natura, aspettarsi che quella ci faccia felici.
Allora capite che volersi bene, l’affezione tra di noi, non è che noi ci facciamo compagnia, perché noi non siamo a immagine l’uno dell’altro, ma a immagine di Dio, lo diceva anche Platone. Solo gli stupidi quando si innamorano dicono “ho trovato la mia metà”, ma siete scemi?! Hai trovato un quarto – non la metà – a cui manca lo stesso pezzo che manca a te.
Volervi bene non vuol dire guardarvi negli occhi fino allo strabismo, vuol dire andare insieme alla ricerca di Colui che vi farà compagnia.

[08/02/2017, 08:03:30] Frankie: Omelia, in ritardo, di domenica!

“Io ritenni, in mezzo a voi, di non sapere altro se non Gesù Cristo crocifisso”: è il grido del convertito.
Chi si converte e incontra Dio dice: “Lui è tutto”.
Non c’è altro che questo -che Lui – da conoscere, da amare, da cercare.

Ogni convertito dice così; anche il fondamentalista, quando conosce Dio, dice: “Dio è tutto”.

È la conseguenza di questo giudizio vero – verissimo! – che ogni convertito conosce, che fa la differenza.

Si possono trarre da questo giudizio – giusto – due conseguenze opposte, confliggenti; un conflitto lacerante.

Si può dire: “Dio è tutto e il resto è niente”, come dice il fondamentalista. Niente. Bene che vada, me ne distacco progressivamente; una disistima, un disinteresse, un affievolirsi della passione umana per le cose, per il cosmo, per il mondo, per la storia, per l’impegno nel mondo: non si vede l’ora di vedere Dio direttamente, ci si disinteressa. È un pietismo bigotto, moralista, tiepido…
Quelli che Dante nell’Inferno condanna nel terzo Canto: “Questo misero modo/ tegnon l’anime triste di coloro/ che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”.
Non si cerca più nessuna grandezza nella vita, neanche la grandezza del peccato, ci si accontenta della piccolezza.
“A lor che lamentar li fa sì forte…”. Perché si lamentano tanto questi meschini?
“La lor cieca vita è tanto bassa/ che ’nvidïosi son di ogne altra sorte”.
Chi fa così ha fatto una scelta così cieca, con poca luce, così bassa, con un obiettivo così basso, che ogni altra sorte gli sembra meglio. Invidiano tutti, sono pieni di invidia, perché vedono in altri quello a cui loro irragionevolmente hanno rinunciato: all’impegno nel mondo.

Oppure la conclusione cristiana di Francesco che quando capisce questo -subito no, un po’ di fatica la fa, poi ad un certo punto, conosce davvero Gesù come tutto – arriverà a dire: “Laudato sii con tutte le creature”.
Se Dio è tutto, il resto è sacro, perché è Suo, se Lui è tutto, tutto è Suo. Il resto è bello, è degno di essere conosciuto e amato; anzi, il resto attende Lui.
Dire che Lui è tutto, che non conosco altro che Lui, mi proietta a conoscere tutto, a incontrar tutto, ad abbracciare tutto e a dire a tutto e tutti che sono Suoi! Tutto e tutti attendono Lui, attendono Lui attraverso di me.
Il mondo mi attende, ogni popolo mi attende, ogni cosa mi attende e io sono chiamato ad essere dentro il mondo il contrario di quello che dicevo prima – della violenza feroce che distrugge tutto, del disinteresse penoso degli ignavi, dei tiepidi…imperdonabile.

“Voi siete in questo mondo” – proprio perché Lui è tutto – “il sale della terra e la luce del mondo”.

Questo mondo attende voi, attende il sale. Attende che gli dia sapore, che gli dia gusto, che lo renda gustoso, perché se il mondo è di Cristo, ma non sa che è di Cristo – non sa perché esiste – non ha gusto a vivere. Noi siamo il sale per il mondo.

Senza di noi il mondo è insipido, perde sapore e si perde. Il sale dà gusto ai cibi e li conserva.

Senza i Cristiani si perde tutto, la vita è insipida. Quando è così, non è che noi possiamo puntare il dito; è colpa nostra. Quello che manca al mondo è stato dato a noi.

Non c’è scampo. E la luce fa vedere, la bellezza fa capire, fa camminare, dà ad ogni cosa il suo nome. É da questa conclusione positiva, secondo cui tutto il resto è sacro, che è nato nell’occidente cristiano il progresso della scienza, il progresso della cultura e dell’arte, la scoperta della dignità dell’uomo: un abbraccio totalmente positivo alla realtà. Conclusione data dallo stesso giudizio: non conosco altro che Lui, Lui è tutto e il resto è sacro, il resto è per me, il resto attende me.

Noi siamo stati scelti perché la vita dentro il mondo diventi questa avventura.

Noi non dobbiamo appiccicare Cristo alle cose, c’è già, è già tutto Suo, c’è già dentro; noi Lo dobbiamo solo riscontrare, trovar lì dentro, trovarLo come la bellezza di quelle cose. Non abbiamo bisogno di aggiungerci nulla, di far violenza alla realtà.

“Noi puntiamo sulla manifestazione dello Spirito e della Sua potenza”.

A noi è stata promessa -dentro queste cose, dentro il mondo – questa avventura di positività, di abbraccio. Ci è stato promesso di vedere la manifestazione dello Spirito, la potenza, il potere che ha Dio di rigenerare la realtà.

La condizione è che accettiamo di essere sale ed essere luce – il sale non ha bisogno di essere tanto, ne basta un pizzico per dare sapore a tutto; della luce ne basta un raggio – perché se non facciamo così, se non ci buttiamo dentro la realtà con questo cuore pieno di sale e di luce, che facciamo? Ci guardiamo tra di noi? Che cosa viviamo se non della realtà? Viviamo di sale e di luce? Non si può mangiare il sale, ti rovini; non si può guardare la luce, ti bruci gli occhi. Il sale non è fatto per essere mangiato, la luce non è fatta per essere guardata; sono fatti per essere immersi, per investire la realtà.

Anche noi, Cristiani, se ci chiudiamo, se non diamo la vita per trasformare il mondo, distruggiamo noi stessi, accechiamo noi stessi e troppe ne vediamo oggi, anche di persone di fede, che si consumano su se stesse – come i dischi della frizione che si auto consumano -che si bruciano. Non manca loro la fede, ne hanno anche troppa, manca loro la realtà; la più grande amica della fede è la realtà. Quando perdiamo la fede è perché prima abbiamo perso la realtà.

[08/02/2017, 10:57:34] Frankie: Omelia di oggi

“Non ciò che entra nell’uomo ma ciò che esce dall’interno lo rende puro lo rende impuro”.
Gesù sposta il baricentro dentro l’uomo. La mia decisione non dipende più dall’esterno, dalle circostanze esterne che mi condizionano.
Quel che decide della mia purità o impurità, della mia verità o falsità che la mia conoscenza sia pura, cioè trasparente -qui si tratta di purità della conoscenza non tanto del comportamento- o sia confusa falsa, non dipende mai dall’esterno sono io che ogni istante decido se essere vero, se essere falso, di riconoscere la realtà o di negarla. Sono io che ogni istante ho il potere di riconoscere che Dio plasma l’uomo, plasma me in questo istante – perché è vero io non posso plasmare nessuna delle mie cellule,
io potrei avere una neoplasia, una cellula tumorale addosso e non potrei impedirlo.
Io non ho il potere di plasmare niente di me in questo istante, nel mondo in questo istante.

Se io riconosco questo comincio a gridare “benedici, Signore, anima mia! Sei tanto grande, o Signore mio Dio, rivestito di maestà è splendore, avvolto di luce come di un manto. Mandi il tuo Spirito e rinnovi la faccia della terra.”
Se io riconosco la verità, rinnovo la faccia della terra, perché rinnovo la mia faccia, il mondo ritrova la sua dignità e incomincio a guardare il mondo come lo guarda Dio, siamo come di nuovo all’inizio.
Se io invece nego questo, mi faccio padrone dell’albero della conoscenza del bene e del male, deciso io cosa è bene e cosa è male, mi faccio padrone io della realtà, io comincio a fare uscire dal cuore i propositi impuri, i propositi cattivi, devasto la mia faccia e devasto la terra. Ogni istante io ho questo potere, mi mettessero in croce, nessuno può impedire di riconoscere che sono plasmato da Dio e di avere questa faccia che rinnova la terra.
Ma se non lo faccio io, nessuno lo farà mai al posto mio.
Nessuno come Cristo mette al centro me, il mio cuore ed il mio protagonismo dentro il mondo, mi rende libero dentro il mondo, non c’è nessuno. Oggi molti pensano che io sono condizionato dalla società o dai meccanismi psicanalitici interni, condizionato da tutto, nessuno mi dice che io sono libero e che in questo istante il mondo può essere rinnovato o devastato dalla posizione per cui il mio cuore lotta.

[13/02/2017, 10:30:14] Frankie: Omelia di ieri

“Quelle cose che occhio non vide, ne orecchio udì, ne mai entrarono in cuore di uomini, queste ha preparato Dio per quelli che Lo amano”.

L’annuncio Cristiano è di cose che occhio mai non vide, orecchio mai udì, nè mai entrarono nel cuore di uomo. Assolutamente nuove impensate, impensabili.
Te le trovi di fronte, ti stupiscono perché sono cose misteriose, mistero, in greco “misteryon” non indica confusione, irrazionalità, incomprensibilità, viene da dove viene anche mytos, muto, è un fatto che ti fa ammutolire, ti lascia senza parole perché tu usi il vocabolario dalla a alla zeta e arrivi alla fine e hai esaurito le parole e ti stupisci ancora, è più grande, non è l’inconoscibile ma l’ineseauribile, una volta che cominci a conoscerlo non finisci più. È la cosa che si conosce di più: per cui non basta la vita, ci vuole l’eternitá per andarci in fondo. Ecco il cristianesimo è l’annuncio di cose misteriose che non ti finiscono mai di stupire, ti stupiscono al punto che portano questa luce nuova su tutte le altre che prima non ti stupivano, che facevi per abitudine, che ti annoiavano, che erano assurde.
Adesso, invece, dilaga lo stupore e ti stupisce tutto, ti stupisci anche delle cose che per gli altri sono le solite cose: non ci son più le solite cose! L’indizio della fede cristiana autentica è uno stupore permanente che investe tutto.
Quante volte mi capita di dire a una persona – anche ieri sera una persona che ho sposato più di dieci anni fa poi non l’ho più vista – “ma non ti stupisce che dopo dieci anni c’è una freschezza tra noi?”- mi parlava del marito, dei figli, degli amici, del lavoro che ha dovuto cambiare, eccetera – e mi guardava. Quante volte mi scappa di dire così e uno dice: “si, ma me lo dici sempre!! Tu ti stupisci sempre!” Mi stupisco che tu ti stupisci ogni volta. Io dico: Si, è così! Questo è il cristianesimo, se non c’è questo indizio non è fede cristiana autentica. Chi è che può fare questa esperienza, stupirsi di continuo, non appena di Cristo, ma di tutte le altre cose?! Perché Lui rende le cose tutte misteriose, o meglio, ti fa vedere che son tutte Sue, supportano tutte in se’ il Mistero, tutte hanno una profondità inesauribile.
Per chi è questa esperienza qua, chi può farla? Che virtù occorrono? Che capacità occorrono? Due, che non sono due virtù morali, comportamentali: una è psicologica, l’altra è conoscitiva, che sono le virtù fondamentali dell’umano, di un uomo vero.
Primo: “Beato chi è integro nella sua via”. Integro nel suo desiderio. L’uomo, beato l’uomo che ha il desiderio dell’integralità e che vuole la propria realizzazione totale, che non si accontenta del parziale.
Ho sempre in mente il salmo 13, mi pare versetto 6, in cui si immagina che Dio è là nel cielo e che guarda giù dal davanzale sulla terra per vedere se tra gli uomini c’è uno tutto unito, tutto ìntegro, un uomo integrale nei suoi desideri che non rinuncia, che non inibisce – direbbe Freud – nessuno suoi desideri che li prende sul serio tutti, che vuole proprio un compimento totale. Come dice il Vangelo di oggi:
“Sono venuto non per abolire, ma per portare a compimento”… non andrà perduto nulla, Io voglio il tuo compimento, ma tu che cosa vuoi per te, vuoi davvero il tuo compimento, la tua realizzazione totale?
Davanti agli uomini stanno al vita e la morte, il bene ed il male, il parziale ed il totale: ad ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.

Dio viene nel mondo non per chiedere che noi ubbidiamo alla Sua Volontà, ma viene nel mondo per fare la nostra volontà, a ciascuno sara dato ciò che lui vuole! Dio viene per fare la mia volontà e mi darà tutto ciò che io voglio ma solo ciò che io voglio. Sui particolari non perde tempo.Se voglio il tutto mi da il tutto, mi da Se stesso, se non voglio non mi da niente: questo è il cristianesimo. Può fare questa esperienza di stupore crescente, solo l’uomo che è ìntegro nel suo cammino, che cerca e che cammina verso l’integrità di se, la sua realizzazione totale.
Chi non si vuole bene non sa cosa farsene del bene di Dio. Non è mai l’amore di Dio che ci manca, è l’amore di noi stessi che ci manca perchè Dio si innesta soltanto nel nostro, non ci tratta come dei bambolotti o come dei robot a cui caricare l’hardware ed il software, no! Ci tratta da liberi.
La seconda virtù che serve è l’ultima frase bruciante di questo Vangelo: ” Sia il vostro parlare sì sì, no no: il di più viene dal maligno”. Può fare questa esperienza soltanto l’uomo che dice sì sì, no no, senza “se” senza “ma” senza verbi, senza condizionali, senza congiuntivi. Senza aggiustamenti. Un uomo abbastanza spigoloso, quello di cui ha bisogno Dio. Io non ce l’ho con i bolognesi, però ci sono dei modi di dire a Bologna, no, quando chiedi ad uno cosa pensa vuole, cosa pensa: “dipende, bisogna vedere…” Dipende sempre non è mai o bianco o nero o rosso!

Dio vuole un uomo che abbia la lealtà di Dio: questo è bianco e questo è nero questo mi corrisponde, questo no, questo lo amo e questo lo odio!
Ha bisogno di un uomo che sia sincero con se stesso, che non bari, che non si auto prenda in giro, che riconosca quello che gli brucia dentro, che riconosca quello che vede fuori di se; di questo uomo Dio ha bisogno, ìntegro nel desiderio e leale, che chiama le cose con il loro nome. Tutto il resto, il cammino morale lo farà lui piano piano, piano piano, quando è utile, e spesso ci lascia nei nostri peccati per farci fare un salutare bagno di umiltà.

[13/02/2017, 10:30:14] Frankie: Omelia di stamattina!

“Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato, il suo volto era abbattuto”, perché gli affari gli vanno bene, ma se non è gradito a Dio lui è infelice.

Non c’è niente che dia pace al cuore di quello che noi facciamo: quando non siamo in pace, quando siamo irritati, quando abbiamo il volto abbattuto e non riusciamo a tenerlo alto – com’è psicologicamente fine – è perché sentiamo che non siamo in pace con Dio, non sentiamo la preferenza e il gradimento di Dio. Caino va fuori di testa e uccide suo fratello, perché pensa che l’opera di suo fratello, la sua offerta, è quella che lo rende gradito a Dio. Però poi si sente assassino di suo fratello e si dispera, dice: “Per me non c’è più possibilità di perdono, troppo grande la mia colpa.” Dove sta la disperazione di Caino? Che si misura e pensa che Dio misuri lui e suo fratello in base all’offerta che fanno, e siccome l’ha fatta grossa, ha ucciso il fratello per invidia, adesso non ha più speranza di perdono: “Tu mi scacci da questo suolo, dovrò nascondermi lontano da Te. Sarò ramingo.” Non ho scampo, sono disperato. Si misura con la sua opera, con quello che lui sa fare.

Ma “Dio pose a Caino un segno sulla fronte perché nessuno incontrandolo lo colpisse,” perché sulla bilancia di Dio non pesa l’opera di Abele o l’opera di Caio, neanche l’omicidio del fratello, sulla bilancia di Dio conta di più il segno dell’appartenenza di Caino a Dio, Dio ama Caino perché è Suo, non perché è bravo. E gli mette un segno sulla fronte perché nessuno lo colpisse più. “Nessuno più tocchi Caino.” Ma è un assassino! È mio figlio! Conta di più il fatto che è mio del fatto che è bravo od assassino.

“Offri a Dio come sacrificio la lode”, in gioco sul criterio che noi usiamo per misurare noi o per misurare gli altri c’è se la vita è una lode, una benedizione o una maledizione. Quando noi ci sentiamo maledetti, quando malediciamo la vita e gli altri è perché usiamo come criterio quello che noi facciamo, la nostra misura di noi e degli altri. Per essere in pace, per sentire che siamo benedetti, che la vita è benedetta c’è una sola possibilità: mettere a fuoco, mettere al centro del nostro sguardo su noi e sugli altri il segno in fronte che siamo di Dio. Non c’è altra possibilità di benedire la vita. Che cosa pesa di più sulla bilancia? Quello che io ho fatto o quello che Lui fa di me, il fatto che sono suo?

[20/02/2017, 17:09:20] Frankie: Omelia di oggi!

“Generazione incredula.”

Non ci sono riusciti, ma come? Incredula! Ma noi crediamo tutti in Dio, non esistono atei qui. Dico incredula perché, se dite che non è possibile, vuol dire che non avete fede. La vostra è una fede tarocca: per l’uomo di fede…tutto è possibile per chi crede. L’uomo di fede è un uomo di speranza, per l’uomo di fede non c’è mai il vicolo cieco, non c’è mai l’impossibile. Tutto, tutto ti dice che è possibile tutto, perché l’uomo di fede è un uomo che grida: “Il Signore regna, si riveste di maestà”.

Per l’uomo di fede Dio è tutto e regna su tutto, è presente in tutto. Per l’uomo di fede tutte le cose – ogni cosa, quella che ha davanti, me stesso in questo istante – sono Sue: io sono Suo! Dio è chi fa me, è chi fa questa cosa. Per l’uomo di fede ogni cosa lo mette in rapporto con Dio. É un uomo che non è più solo, che vede che Dio è tutto, che Dio è il creatore, ha fatto tutto e può far tutto, come fai a dire che è impossibile? Per l’uomo di fede tutto ti mette in rapporto con Lui e l’uomo di fede è curioso, è un uomo appassionato, che dà il cuore a Dio, perché è davanti a Dio e non è mai solo. L’uomo di fede è così pieno del fatto che Dio è tutto in tutto che il vero miracolo è lui.

Quando il povero padre del ragazzo capisce questo dice: “Aiuta la mia fede, aiuta la mia incredulità.” Si è anche dimenticato di chiedere il miracolo per il figlio, non ne ha neanche più bisogno, perché per l’uomo di fede tutto è miracolo, anzi il vero miracolo è un uomo che ha quello sguardo lì. La domanda più seria che si può fare: “Aiuta la mia incredulità, aiuta la mia fede.” Poi ha il coraggio di domandare il miracolo e Dio magari glielo fa, ma il vero miracolo non è quello che ti fa, il vero miracolo sei tu con questo sguardo.

[22/02/2017, 13:46:52] Frankie: Omelia

“Tu sei Pietro e su questa pietra”

“Tu sei Pietro” e sei roccia, sei fondamento ed il capo, non perché tu sei capace; tu sei Pietro perché Io ti ho chiamato ad esserlo e tu hai detto di “sì”.
Tu non sei capo perché capace, bravo – non ti dimostrerai né capace né bravo, né costante, né certo – ma perché sei chiamato ad esserlo. Tu non sei stato chiamato perché santo, sei santo perché chiamato, è dire di “sì” alla chiamata ed alla vocazione che ti rende capo, roccia, certezza, che ti rende santo.
Tu hai la fede non perché sei intelligente e cosciente, “né carne né sangue te lo hanno rivelato” il contenuto della fede; è grazia ma tu hai aperto le orecchie, gli occhi, il cuore, hai accolto la rivelazione, per questo sei capo, sei santo, sei il segno della fede per tutti.
Che respiro essere dentro la costruzione della Chiesa come Pietro; se c’è posto per il povero Pietro c’è posto per me e per tutti.
Perché siamo stati chiamati, perché Pietro è chiamato? Qual è il potere di Pietro? Perché è prezioso che nel mondo esista un posto in cui ci sta uno come Pietro e uno come me?

“A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli”

Tu hai il potere di sincronizzare la terra con il Cielo; mi viene in mente l’immagine di Dante alla fine del Paradiso:

“ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, [il mio desiderio e la mia volontà erano già insieme] / sì come rota ch’igualmente è mossa, [un’immagine un po’ meccanica, come un ingranaggio che fa girare un’altra ruota, più grande o più piccola di sé, in sincronia, alla stessa velocità, in armonia] / l’amor che move il sole e l’altre stelle”

Pietro ha il potere di sincronizzare le stelle con la terra, la terra con il Cielo; quello che accade in terra dove c’è Pietro è già in armonia con il Cielo, ha il potere di anticipare il Paradiso in terra.

[24/02/2017, 12:18:10] Frankie: Omelia di oggi!

“Domandavano se è lecito”.

Il loro problema era sapere se era lecito: secondo la lex, secondo la legge. Ma che problema è se una cosa è lecita o no?

Un uomo che volesse vivere si chiede se quella cosa è vera o non è vera, buona o cattiva, bella o brutta, che gliene deve importare se è secondo la legge o no?

La legge mica sempre è giusta. Io ho bisogno del vero, del bello e del bene. Un uomo che ha il problema di essere secondo la legge o no, un uomo che ha la preoccupazione della legge è un uomo che vuole nascondersi, che vuole che la legge decida per lui, vuole vivere senza pensare, senza decidere, saperlo prima, va avanti in automatico, gli basta essere a posto con la legge, non avere rogne. Questo è un uomo che non sarà mai libero, non sarà mai protagonista.

All’inizio della creazione non fu così. Gesù viene nel mondo per riportare lo sguardo dell’inizio, lo sguardo del Creatore sulla creazione, lo sguardo vero, bello, entusiasmante, tanto che Dio guardando il mondo così decide di fare festa: era troppo bello quello che aveva fatto.

Gesù è venuto nel mondo a ricominciare il mondo, a riportare nel mondo lo sguardo dell’inizio, lo sguardo che ha la freschezza dell’origine. Gesù è un uomo entusiasmante per gli uomini che voglio essere veri, liberi, felici, se stessi. È un uomo tremendo, un nemico che impaurisce, che terrorizza, che spinge alla violenza quelli invece che non hanno come scopo la libertà, la bellezza, la verità; che hanno come scopo la legge, hanno come scopo il comodo, di sistemarsi la vita; per quelli a cui non interessa di diventare protagonisti, interessa soltanto il comodo. Quelli avranno come nemico Gesù e dovranno cancellarlo dalla faccia della storia, 2000 anni fa esattamente come oggi.

[27/02/2017, 08:29:39] Frankie: Omelia di oggi

“Nessuno può servire due padroni”

“Nessuno può”, non “nessuno deve”, non è un problema morale, ma un problema ontologico, metafisico, nessuno riesce a servirne due perché il cuore è uno, tu di cuore ne hai uno e il cuore è integro ed è fatto per donarsi totalmente ad uno; il cuore non può disintegrarsi, farsi a pezzi. Sarebbe, prima di soggezione, paranoia, poi alla fine schizofrenia. La disintegrazione dell’io.
Quando tu ti senti a pezzi, frantumato, disperso, quando ti spegni, senti che ti spegni sempre di più, il tono diventa basso…è perché cerchi di servire due o più padroni oppure non ne hai trovato uno adeguato, che il tuo cuore lo meriti tutto, che lo prenda tutto, per cui ti senti libero di donarglielo tutto.
Tu sei felice solo quando fai un dono totale, ma devi avere di fronte chi quel dono lo prende, chi il cuore lo prende tutto, chi lo infiamma tutto, chi lo entusiasma…per di meno non è che non devi, non puoi, non ci riesci, se ti sforzi di farlo è un suicidio, ti fai del male.
È una legge dell’essere. La legge di Cristo non è una legge impositiva, cioè posta dall’esterno, estrinsecamente dall’autorità. La legge di Dio è la legge della realtà, è la natura delle cose. Non aggiunge e non toglie nulla al tuo essere.
Te lo spiega, ti apre il cofano e ti fa vedere come sei fatto, come funzioni dentro, viene perché tu sia performante, non per complicarci la vita. Bastiamo noi a complicarci. Non c’è bisogno che venga un Dio nel mondo a complicarci.

Ma per che cosa è fatto il cuore?
Chi è che merita il tuo cuore?
Quando al cuore vien dall’interno l’esuberanza di donarsi tutto?
“Cercate innanzitutto il regno di Dio.”
È soltanto il regno di Dio che prende il tuo cuore. Il cuore è stato fatto per regnare, per partecipare del regno di Dio, per essere re, per aver tutto, per abbracciar tutto, conoscere tutto, disporre di tutto, amare tutto, utilizzare tutto, valorizzare tutto. Soltanto il regno di Dio può prendere il cuore.
Quando noi ci sentiamo a pezzi, parziali, frantumati, dissociati, un vuoto, una mancanza…quando prevale la mancanza è perché non stiamo servendo il regno di Dio, l’unico regno che meriti il cuore, ma stiamo servendo un regno umano, il regno di qualcun altro, o il nostro stesso regno, quelle piccole cose su cui abbiamo potere, di cui pensiamo di disporre, asserviamo il cuore a chi lo rende schiavo, non libero.

E qual è il test? Che partecipiamo del regno di Dio, che serviamo il regno di Dio.

“Non preoccupatevi del domani. […] A ciascun giorno basta la sua pena.”

Quando non c’è più la preoccupazione, l’affanno, l’ansia per il domani, né la nostalgia, la malinconia di quel passato che non torna più. Quando sei libero di mettere il cuore nel presente. Il presente ha già la sua pena, ma quella pena ha una ragione adeguata per essere affrontata, per essere vissuta. Il problema della vita non è la pena – quanti figli, quanta sofferenza, quanto mi costa…-, ma quante ragioni ho, che ragioni ho per affrontarla. La vita è piena di fatica e di problemi: da quella di svegliarsi, alzarsi al mattino, da quella di concepire, partorire e tirar su dei figli, da quella di andare a lavorare, di curarsi quando ti ammali…
La vita è piena di pene, ma non tutte le pene ci fanno problema. Non è mai la quantità di pene a farci problema: è la carenza di ragioni. È il non avere davanti agli occhi quella bellezza adeguata a quella pena.
La vita è come una bilancia: da una parte c’è “quanto mi costa”, dall’altra c’è “quanto vale”. Se mi costa molto è perché vale poco. Quando vale molto non ci pensi neanche a quanto è dura.

“A ciascun giorno basta la sua pena”.

Non ti preoccupi più per il domani, sei libero di metter il cuore nel presente. Il passato è servito solo ad arrivare fino qua, è inutile pensarci, non si cambia più. È stato formattato in pdf, archiviato e backuppato. Non si tocca. L’unica sua funzione è arrivare a quel presente. Il futuro non c’è ancora e sarà sempre diverso, a che serve pensarci?
Il futuro si vive solo quando diventa presente. Se metti il cuore nel presente sarai pronto a vivere il futuro quando sarà presente.
Il test che sei entrato nel regno di Dio, che servi il regno di Dio e che partecipi della verità di Dio è che hai tutto nel presente, ti basta il presente. Il regno di Dio è un luogo, è un punto di luce nel mondo, un punto infiammato del mondo dove Dio regna, dove Dio è tutto. È un luogo che può essere casa, può essere un rapporto, un affetto, può essere anche la croce di un crocifisso bendato, massacrato. Anche quello può essere il regno di Dio.
È un luogo di cui Dio è re. In cui tutto è per Dio. Se tutto è per Dio, tutto è per me. Tutto è per me soltanto se tutto è per Dio. Quel che è per Dio è anche per me. Quel che non è per Dio è contro di me.

[01/03/2017, 09:45:57] Frankie: Omelia di ieri

“Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi”

I primi ultimi e gli ultimi primi. Scaravoltato tutto: cambia il valore, la classifica delle cose, come quando in un file Excel inverti l’ordine dei dati, AZ ZA. Cristo entra nel mondo e sconvolge l’ordine, il valore delle cose, le classifica.
Il primo sconvolgimento riguarda proprio gli uomini religiosi, che sentono che il cuore è fatto per l’infinito, guardano il mondo, lo vedono finito e proiettano il compimento del desiderio in un altro mondo, in un altro tempo, nell’aldilà; e vivono qui tristi e malinconici, digiunando, sperando poi di godere dopo. Cristo spiazza innanzitutto questi uomini dicendo: “No, già ora, già ora, in questo tempo, cento volte tanto”. Il cristianesimo è un Fatto che inizia già ora, non c’è niente da rimandare, il compimento comincia adesso, nel dopo ci sarà il compimento dell’adesso, sarà la stessa vita perfetta, compiuta, senza il male e con tutto il bene, ma è già questa, io so già che cosa mi aspetta, la festa è già cominciata.
I primi spiazzati da Cristo sono esattamente gli uomini religiosi, perché tendono a proiettare e non vivono il presente, sono uomini meno belli, meno pieni, meno veri, sono un po’ meno, sono uomini proiettati. Non per niente i geni dell’800 occidentale – Marx, Freud e Nietzsche – hanno accusato la religione di alienazione, perché prestavano il fianco a questo. Ogni religione poco o tanto rischia questo.
I secondi spiazzati, sfidati, sono gli atei, i materialisti, quelli che riducono tutto a quello che c’è in questo mondo, alla natura, alle cose che vedono e alle loro capacità; e questi sono uomini repressi, che non si possono permettere se non i desideri che loro stessi riescono a realizzare, ben poca cosa…I religiosi sono alienati, gli atei sono dei repressi, delle persone che si devono accontentare, che si auto-proibiscono i desideri di quelle cose che loro non riescono a fare, che la natura non gli può dare. Cristo sfida anche questi perché dice: “centuplo, centuplo, centuplo in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi”. Le stesse cose che hanno quegli altri chi segue Me se le gode, le capisce, le ama, le gode cento volte di più, cento volte di più, ma questo adesso dentro questo mondo, dentro la storia, già nel tempo presente.
Chi è che allora può accogliere, godersi tutto? Non c’è bisogno di essere religiosi, non è proibito agli atei, non c’è bisogno di essere morali o legalisti, anzi, quelli che puntano sulla morale, sulla legge ingessano un po’ tutto. I protagonisti, i protagonisti del cristianesimo, le persone più adatte ad accogliere la sfida di Cristo sono:

“Ti rendo lode, Padre, […] perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno”

Occorre essere piccoli, cioè riconoscersi piccoli di fronte alla grandezza innanzitutto dei propri desideri, che sono più grandi delle nostre capacità; piccoli di fronte alla grandezza della proposta di Cristo. Il piccolo è uno che si sente piccolo perché lo è, allora guarda, spalanca, è curioso, cerca, domanda aiuto, si lascia aiutare, è disposto a rischiare qualcosa di più grande di sé, perché il piccolo ha come unica grandezza il suo desiderio, deve decidere se vuole essere audace nel desiderio: Cristo ha solo bisogno di questo.
E chi è che non può essere piccolo?! Basta che uno sia quel che è.

[01/03/2017, 12:43:46] Frankie: Omelia di stamattina

*Omelia di oggi*

“Ecco ora il momento favorevole”, καιρὸς εὐπρόσδεκτος (kairòs euposdektos) dice Paolo.

καιρός (kairos) è un aggettivo che è stato sostantivato che sostituisce la parola “tempo” per i cristiani. Per i greci il tempo è il χρονος (Kronos), è tempo vuoto che girava sempre intorno, tornava sempre lì, non c’era unità. Per gli ebrei il tempo è l’attesa di un futuro ma sempre un futuro, il presente per tutti era fondamentalmente vuoto. Il cristianesimo entra nel mondo e grida: “ἦλθεν τὸ πλήρωμα τοῦ χρόνου”(elthen to pleroma tou kronou), venne la pienezza del tempo. Il tempo si è riempito, c’è un Fatto che lo ha riempito tutto. Da quel momento ogni istante è favorevole per conoscere quel Fatto, è occasione per lasciarsi riempire da quel Fatto, ogni istante è l’occasione propizia, il tempo favorevole. Può accadere quello che accadde duemila anni fa in ogni istante della tua vita, basta solo che tu sia attento ai segni, che tu lo rintracci, che tu abbia il cuore spalancato.
Proprio per questo ogni anno la Chiesa ha inventato il tempo della Quaresima, quaranta giorni per ritrovare l’attenzione al tempo, per riscoprire la possibilità che il tempo sia pieno in questo istante, per spalancare gli occhi, il cuore, acuire l’intelligenza, intensificare l’affezione, essere audaci nel desiderio. I segni della Quaresima sono stati immaginati per questo, per renderci di nuovo disponibili alla pienezza del tempo, perché ogni giorno il tempo sia pieno, del tempo siamo grati, non c’è più un istante da buttare, per chi fa memoria, per chi accoglie in quell’istante la pienezza del tempo accaduta duemila anni fa.
Ogni giorno c’è un tipo di preghiera ottusa, che distrae, superficiale, che fa uscire dalla realtà, c’è un tipo di preghiera che spalanca l’istante; ci sono della amicizie, dei dialoghi, degli affetti che distraggono, sono delle chat, fanno fuggire, svuotano il tempo, ci sono dei rapporti che ti permettono di cogliere la pienezza del tempo; ci sono delle letture che confondono, che rendono incapaci di giudicare la realtà, che ti rendono superficiale, ci sono delle parole profonde, potenti, come questo faro che mi permette di leggere.
Ogni istante, ogni giorno, l’attenzione ad utilizzare con gratitudine tutti i segni, parole, gesti, momenti, occasioni che ci vengono dati in questo tempo di Quaresima sono per gridare come san Paolo:

“Ecco questo è il momento favorevole. Ecco, ora, il giorno della salvezza”

Non c’è da attendere nulla, la festa definitiva è già cominciata.
Che rivoluzione in un mondo come quello di oggi – dove tutti si lamentano, gridano, soffrono, piangono, si disperano, dicono stupidaggini – incontrare persone che hanno in faccia la pienezza del tempo!

[06/03/2017, 14:28:55] Frankie: Omelia di oggi

“Siate Santi perché io il
Signore vostro Dio sono santo”

Santi cioè veri. Cercate la verità di voi stessi, la vostra realizzazione, la vostra bellezza umana.
Ascoltate il grido di felicità, di bellezza, di bene, di pienezza che insorge potentemente dal vostro cuore. Ascoltatelo e obbedite a quello.
Per questo voi siete fatti.
Voi sarete felici se realizzerete la vostra grandezza e bellezza umana.
Questa è la santità al di là di ogni riduzione sacrale, rituale, moralistica o legalistica.
Tanto è vero che i sintomi della santità, gli indizi di un uomo santo che sta diventando se stesso sono sintomi estetici prima che etici. Nel cristianesimo, nell’ebraismo vero, profetico o salmistico la santità è un fatto estetico di bellezza. L’etica è una conseguenza della bellezza. Un uomo che è felice, che è bello, che è realizzato ha un bene tale nel cuore che gli viene da riversarlo sul mondo, non viceversa.

Primo: “la legge del Signore è perfetta e rinfranca l’anima”
Uno è un uomo più rinfrancato cioè più libero dai meccanismi, più forte, più protagonista e meno condizionato dalle circostanze esterne o da quelle interne. Un uomo più libero. Franco vuol dire libero.

Secondo: “i precetti del Signore fanno gioire il cuore.”
Uno ha il cuore più gioioso. Il santo è un uomo più felice, se no a chi deve interessare?

Terzo: “il suo comando è limpido illumina gli occhi”
Un uomo che ha gli occhi più luminosi cioè vede di più la bellezza delle cose, ha uno sguardo più profondo sulle cose.
Tutto ai suoi occhi è più luminoso e più bello.

Questo è il santo. Solo un uomo così sarà capace di essere anche più buono e più giusto e non avrà neanche bisogno di mettere l’etichetta alle cose.
È un uomo che abbraccia chi incontra e ció che incontra senza neanche sapere come si chiama. Quando mai, quando mai, quando mai non sapevamo che eri te, che importa. Avete amato.
Per lui era sacro l’uomo che incontrava, l’uomo reale, le cose reali. È un uomo che abbraccia e che ama le cose che incontra senza bisogno di metterci sopra un’etichetta.
La fede cristiana è una fede esplicita ma anche implicita. Questi sono santi che cominciano a realizzare se stessi sul terra e poi andranno in paradiso senza neanche sapere che si chiamava Gesù. Non ce n’era bisogno.
Per il santo è sacra la realtà, è sacro chi incontra.
Che sfida quotidiane per me perché ogni giorno mi devo chiedere:”ma io dov’è, che cos’è che oggi rinfranca il mio animo? Che oggi fa gioire il mio cuore? Che oggi rende luminosi i miei occhi?” Devo trovarlo ogni giorno e che sfida per chi mi incontra perchè questa sfida non è per gli uomini che vogliono diventare bravi, buoni o che amano i riti religiosi o che amano la legge morale.

Se la santità è questo, sfida l’uomo semplicemente l’uomo che abbia la voglia di godersi la vita.

[08/03/2017, 09:11:16] Frankie: “Voi dunque pregate così”, come prego Io.
Perché se non pregate non vivete in pienezza la vita, pregare è lo sguardo pieno, radicale, che va alla radice, è un’affezione piena che investe, abbraccia, brucia per ogni cosa. Gesù guarda ogni cosa, la guarda fino in fondo e in fondo ad ogni cosa c’è il Creatore di quella cosa. Guarda ogni uomo, guarda Sé stesso; in fondo, all’origine di ogni uomo, all’origine di Lui c’è il Padre. Guardare ogni cosa e riconoscerne il Creatore, guardare ogni uomo – a cominciare da sé stessi – e dire “Padre” è lo sguardo pieno, intenso, vero, che fa scaturire un’affezione totale, una passione totale. Questo è la preghiera per Gesù. Pregare è vivere pienamente la vita, coincide: chi non prega è un superficiale, è un tiepido, è un inerte, non vive la vita.
Ma guardando questo Padre, alla luce del Mistero del Padre, Lui capisce perché Gli è data la vita: per ringraziarLo. E vede tutto il bene che c’è nella vita e tutto questo bene Gli parla del Padre e Lo riempie di gratitudine e di struggimento e non vede l’ora di vederLo, di poterLo incontrare e vederLo in faccia. Ogni cosa genera lo struggimento del volto del Padre. Per questo è data la vita: per ringraziarLo e per attendere l’abbraccio definitivo. E alla luce del volto del Padre, Gesù vede tutto il male che c’è nel mondo e dice: “ma liberaci dal male”. Gesù non dice: “spiegaci il male”. Al Figlio non può passare neanche per la testa che il male abbia un senso e che il male venga dal Padre. Il male c’è ma non viene dal Padre, viene dalla ribellione al Padre, al dono del Padre e perciò non ha senso. Se il male avesse senso non avrebbe senso il bene.
Il male è per definizione ciò che senso non ha. Che non doveva essere fatto. Gesù non dice: “spiegaci perché c’è tutto questo male”; dice soltanto: “toglilo via”. E guardando il Padre, guardando i segni del Padre Gesù è certo che tutto il male sarà vinto. E un giorno – dopo la storia – saremo liberati dal male, ma questa certezza ci rende adesso certi che siamo liberi nel male, adesso il male resta ma noi siamo già liberi dentro, siamo già liberi di attraversarlo senza che ci schiacci, siamo già certi che il male non vince, che vince il Padre.
Ogni mattina qui a domandare di poter vedere ciò che Gesù vede guardando la realtà.

[08/03/2017, 10:09:14] Frankie: Omelia di venerdì scorso.

“Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte”, perché siete uomini religiosi, e ogni uomo religioso percepisce la mancanza: una mancanza radicale, bruciante, e ha bisogno di affermarla, di sospendere anche l’alimentazione del corpo, per gridare che non di solo pane vive l’uomo.
Del pane, per un po’, si può fare a meno, ma dell’altro pane, quello che può saziare quella fame vertiginosa che ha detto, no. “Anche io”, dice Gesù, “ho fatto all’inizio, per una volta, 40 giorni di digiuno, per capir quel che dovevo capire, che non di solo pane vive l’uomo”.
Il digiuno serve a sottolineare la mancanza, è un’esperienza di mancanza materiale come segno di un’altra mancanza radicale.
È la caratteristica di ogni religione: è religione della mancanza. Chi si muove per una mancanza, per un bisogno, poco o tanto è sempre in affanno, sempre ricattato: gli manca sempre qualcosa, non è mai libero, se gli togli una piccola cosa è incartato, ed è sempre in affanno, alla ricerca di cerca di segni, di miracoli, di cose cui aggrapparsi in modo ossessivo e compulsivo, è un uomo non libero fino in fondo.
I miei discepoli, invece, non digiunano, perché la fede cristiana non è la religione della mancanza, ma della presenza, perché lo Sposo è presente. È presente quel che basta a riempire la vita, anzi, ci vuole tutta la vita per conoscerlo, per assimilarselo, per mangiarselo, questo nuovo pane, perché ha preso la forma di un pane, che sazia chi ha fame. Una volta che hai cominciato devi spendere tutto il tempo non a lamentarti di ciò che manca, ma a gustarti ciò che c’è, come dice Dante nel X canto del Paradiso: “Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba”, “S’esser vuoi lieto assai prima che stanco”.
Vuoi esser lieto? Comincia a mangiare e goditelo.
Se no ti estenui, ti stancherai, tornerai alla religione della mancanza.
Chi parte dalla presenza ogni mattina non ha più bisogno, non gli manca niente. Gli basta contemplare, accogliere di nuovo, assimilare, spendere quel giorno per approfondire un po’ di più la conoscenza di quella presenza, e va incontro alla realtà libero, non ha più bisogno di aggrapparsi ossessivamente e compulsivamente a segni personali, ha già tutto. Contemplando quel fatto, mangiandosi quel pane, tutte le mille piccole cose di un giorno si trasfigurano, ognuna diventa miracolo. Non servono più miracoli eccezionali, ogni cosa a quella luce può diventare miracolo. È libero perché nessuno gli può più togliere niente, non parte da una mancanza, ma dall’esuberanza di una pienezza. Il risultato non ha bisogno di raggiungerlo, ce l’ha all’inizio, perciò lo raggiunge sempre, perciò è lieto di poter donare questa esuberante pienezza.

[08/03/2017, 18:39:13] Frankie: Omelia di oggi

Le folle si accalcarono attorno a Gesù e sappiamo bene…
Per toccarlo, per ottenere dei miracoli; e Gesù, che altre volte ha apprezzato questo grido che le folle avevano -l’espressione drammatica, potente, del bisogno che avevano dentro – oggi dice alle folle che si accalcano: “questa è una generazione malvagia”. Cerca un segno nel senso di un prodigio di un miracolo materiale che risolva un problema da una parte, ma più profondamente che li travolga che li costringa a dire di sì

“No, con questi segni basta! non ne faccio più! non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona.”
Giona andò a Ninive, la capitale dei nemici, quelli che più volte avevano distrutto Gerusalemme e deportato gli ebrei.
Va dai nemici, attraversa la città, predica per tre giorni e questi si convertono, cambiano vita.
A Ninive non è andato con la spada, non è andato con le minacce, non li ha ricattati, non ha fatto nessun tipo di pressione neppure psicologica, anzi Giona, lo sappiamo, era intimidito, la prima volta è fuggito, é scappato si è fatto mangiare dalla balena, quindi ha fatto tutto fuorché fare delle pressioni, è soltanto andato con la sua miseria umana, col suo cuore spalancato che cercava Dio e ha toccato il cuore con il proprio cuore perché era profeta di Dio. Queste folle, questa generazione è malvagia perché vuole un segno più potente di quello di Giona, vuole dei miracoli, vuole delle pressioni, vuole qualcuno che li travolga.
Non vogliono prendersi la responsabilità della loro vita, non vogliono usare la loro testa, non vogliono dire il loro si libero, vogliono essere travolti, vogliono qualcuno che si metta al loro posto. Non sarà dato loro nessun altro segno, se non quello di un uomo che col suo cuore rompe il loro cuore e basta.
Dentro questo mondo che cerca la felicità sempre da qualcosa di esterno, dalle strutture, dalla politica, dalla medicina, da mille altri artifici, dalla scienza, dalla psicologia,
noi, dentro questo mondo, siamo chiamati a essere come Gióna, a essere come Gesù, a sfidare il cuore di ogni uomo, a illuminare la ragione di ogni uomo, a provocare la libertà, a eccitare il desiderio profondo che ogni uomo si porta dentro con la nostra personale testimonianza, altrimenti noi rendiamo questa generazione ancora più malvagia di quello che è.
Dio il mondo lo salva, ti dá un cuore nuovo, come gridava Davide, ma se accetti di mettere in gioco il tuo cuore, allora te lo fa nuovo. Ma se tu cerchi dei pretesti per smarcare, per ottenere la felicità come se fosse un tablet, touch-boom, touch-boom, no! Ti metti in gioco tu!!
Se non ti vuoi bene tu, neanche il bene di Dio ti serve a qualcosa

[23/03/2017, 11:15:37] Frankie: “Stava cacciando un demonio che era muto e cominció a parlare”

Nella concezione ebraica un po’ semplificata e schematica ci sono due modi di stare al mondo e di guardare la realtà: lo sguardo di Dio che si chiama fede e lo sguardo del demonio. Che differenza c’è?
L’uomo indemoniato è l’uomo muto, non parla, non ha niente da dire perché a lui le cose non dicono niente, le cose sono cose e basta. Non sono segni di niente, non mettono in rapporto con Dio. Guarda le cose, sono cose e basta, e non lo soddisferanno mai, e alla fine lo lasceranno sempre deluso, amareggiato, risentito.

“Chi non raccoglie con me, disperde”

Per l’uomo che ha questo sguardo, che non raccoglie, cioè non guarda le cose con lo sguardo di Cristo non ci raccoglie mai niente di interessante; sono sempre deludenti, è tutto disperso, ha l’idea dello spreco: guarda indietro la vita e non valeva mai la pena, niente vale mai la pena fino in fondo, alla fine neanche la vita vale mai fino in fondo. È un uomo con un tono basso, arido, disaffezionato.
Cristo è venuto per portare nel mondo lo sguardo vero. Appena interviene Cristo in mezzo a quella folla, la prima cosa che accade è che il muto comincia a parlare. Le cose ricominciano a parlare, ricominciano a essere serie. Ogni cosa lo mette in rapporto con Dio. Ha mille cose da capire, ha mille cose da dire, si guarda indietro e valeva sempre la pena impegnarsi con quella cosa, con quell’altra, con quell’altra, perché ogni cosa ai suoi occhi lo mette in rapporto con Dio, è segno.
Gesù viene nel mondo perché le cose diventino quel che sono: segno, rapporto con Dio, che arricchiscono il cuore dell’uomo e lo fanno parlare bene, di ogni cosa, valeva sempre la pena, un uomo grato ed entusiasta.
Ma i miracoli che Gesù fa non mettono a posto il mondo e non risolvono i problemi. Gesù normalmente non si ripete: tanti affamati, due pezzi di pane; tanti lebbrosi, quattordici guariti; tanti ciechi, tre guariti; tanti indemoniati, quattro o cinque liberati.
A che cosa serve allora Il miracolo? A convertire la gente? Neanche a quello, perché di fronte al miracolo:

“le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl”.

Lo stesso miracolo ottiene l’effetto opposto. Dipende dalla disposizione del cuore.
Gesù non è venuto per sottomettere la gente a Dio, per convertire per forza, non ha come scopo la sottomissione. Ha come scopo la provocazione della libertà, per costringere ognuno a riprendere posizione, a riscegliere istante per istante fino alla fine della vita, perché a Lui interessa prima la libertà che la salvezza.

[24/03/2017, 17:43:06] Frankie: Omelia di oggi

Ama con tutto: con tutto il cuore, con tutta la forza, con tutta la mente, con tutto te stesso.

Ma come posso dare tutto? Ma non per uno sforzo, non può il mio cuore spontaneamente esplodere, donarsi tutto, infiammarsi tutto: cosa c’è nel mondo che prenda tutto il cuore?
Tutte le cose sono limitate, incompiute, imperfette, ferite. Come è possibile questa esperienza di totalità?

“Hai detto bene, Maestro, e secondo verità”. Punto.

Disarmato, questo scriba, e dopo di lui nessuno ha più il coraggio di interrogare. “Hai detto bene”, è così. Mi hai inchiodato, mi hai messo di fronte all’evidenza. Mi fai vedere la realtà così com’è, senza nulla aggiungere e nulla togliere. Questa è la forza di Gesù, la forza del cristianesimo: una fede che non fa che rendere evidente la realtà. La realtà bella, entusiasmante, che prende tutto il cuore.
Il cristianesimo non ha regole imposte alla realtà: non ci aggiunge nulla e non ci toglie nulla. Te la fa vedere così com’è, nella sua immensità e bellezza. Tutta la realtà ti rende presente il Suo creatore; Lui, attraverso le cose, ti prende tutto.

Non è per uno sforzo, per un fascino spontaneo, per una passione: è un cedimento alla bellezza della realtà.
Il cristianesimo è l’unica religione al mondo, l’unica cultura al mondo che coincide con la realtà! Cristo è venuta a farla vedere per quella che è, perché senza non la si vede, non è bella, non ci prende tutto. La forza di Cristo disarmante è che toglie le incrostazioni, toglie ciò che c’è dentro, fa emergere quello che è, il suo fondo. La fede cristiana ti rende le cose quotidiane nella loro autenticità, senza artificiosità.

Ecco, il cristiano è un uomo che non è religioso, è se stesso, limpido, spontaneo, vero. Le cose, le cose quotidiane, per un uomo di fede, per Gesù, hanno l’autenticità, la fragranza di un cibo appena cucinato.
Stamattina non mi viene altra parola che la fragranza. Un dolce appena cotto, la minestra dell’Emilia Romagna appena cucinata. Ecco, tutta la fragranza, la bellezza delle cose così come Dio le ha fatte la prima volta e come saranno in Paradiso. Cristo è venuto ad anticipare questa autenticità, questa fragranza sulla terra. È per questo che la fede cristiana non ha neanche bisogno di essere esplicita, può benissimo essere implicita.

Il giudizio universale (Mt 25): avevo fame, avevo sete, ero in carcere… “Ma quando mai, Signore?”

Quando l’avete fatto alla realtà, l’avete fatto all’essere, a voi.

Io non ho bisogno di rinominare le cose, il problema è il contenuto.
Questo è il cristianesimo, la nostra forza in questo mondo è l’autentica fragranza delle cose così come sono.
Niente è più entusiasmante di questo e questo ci rende pazienti, ci libera dalla preoccupazione e dalla violenza perché sappiamo che il tempo ci darà ragione.
Possiamo aspettare tranquillamente: il tempo piano piano si imporrà. Il tempo è amico del cristiano, non ha bisogno di forzare, di anticipare.

[28/03/2017, 18:26:11] Frankie: Omelia di domenica

“Un tempo eravate tenebra ora siete luce nel Signore”

Tenebra – luce, questo è il passaggio che avviene, e che dà inizio alla fede cristiana: il passaggio dalle tenebre alla luce, dall’ignoranza alla coscienza, dalla confusione alla chiarezza.
La fede cristiana è un problema di conoscenza, non è un problema di fiducia. Il Santo non è un uomo che si fida di Dio, è un uomo che conosce Dio e non ha bisogno di fidarsi, Lo conosce.
La conoscenza è più che la fiducia, la fiducia è un problema di chi non conosce Dio a sufficienza, cioè di tutte le religioni; il problema di fidarsi, di sottomettersi senza capire… il Cristianesimo no!

Nel Cristianesimo la fede non è sostanzialmente una fiducia, ma è sostanzialmente una conoscenza. Si può dire “fiducia”, ma fiducia pienamente ragionevole, pienamente razionale: mi fido perché Ti vedo, vedo Chi sei, cos’hai in cuore, Ti vedo negli occhi. Questo è il Cristianesimo, vedere negli occhi di Dio, vedere quello che Dio pensa, perché gli occhi sono lo specchio del pensiero: si vede negli occhi ciò che uno pensa, anche perché da un punto di vista fisiologico il nervo ottico – io lo so bene – è l’unico nervo che non fa parte dell’occhio, ma del cervello stesso, è il cervello che arriva direttamente lì e si intravvede dallo sguardo il pensiero.

L’uomo non bara più. È un uomo che conosce ciò che Dio pensa, e gli vedi negli occhi il cuore, e si immedesima nel suo pensiero: splende, è luminoso, lo fa passare dalla confusione alla chiarezza, e vede le cose come le vede Dio – questa è la fede cristiana – e sono belle, son tutte utili, ognuna ha un senso. Non esiste una cosa al mondo che non abbia un senso, son tutte utili: il cristiano sa che fare, sa dove metterle, conosce lo scopo di ogni cosa, lo scopo è il punto di vista sintetico che ti fa capire il valore e l’utilità di una cosa, la sua bellezza, il suo godimento, ed è così pieno, il cristiano, di questo godimento che gli scoppia il cuore.

“Il mio calice trabocca”

Ecco cosa dice un cristiano di sé: il mio calice, il mio cuore, il luogo della conoscenza trabocca di luce, di una bellezza tale che tutto il mio comportamento nasce da questo traboccare, è un traboccamento, un’esuberanza di ciò che ho dentro.
“Ex abundantia enim cordis os loquitur”, la mia parola parla dell’esuberanza del cuore, tutto mi esplode dall’interno, senza sforzo, anzi è incontenibile, come dice Paolo agli amici di Colossi: “ὃ ἐὰν ποιῆτε, ἐκψυχῆς ἐργάζεσθε”,
ogni cosa che voi fate, da quel che vi sentite dentro, esplode, come un coperchio che salta, incontenibile; c’è una bellezza che non si contiene. Non è uno sforzo: il cristiano non fa le cose per sforzo, anzi lo sforzo ci sarebbe per contenere queste cose dentro, si dovrebbe sforzare per non farle. Non è sforzato, ma è spontaneo, libero nel fare: le cose gli vengono dal cuore e, nelle cose che dice e che fa, gli si legge il cuore, gli si vede quello che è lui. Si vede, in quel che dice e fa, quello che ha dentro gli viene spontaneamente. Ha la spontaneità che caratterizza l’etica cristiana, che non nasce dalla legge, ma dall’estetica, da una bellezza esuberante che è dentro il cuore. È per questo che il cristiano non è sforzato e non sforza neppure gli altri, non ne ha bisogno; è un uomo paziente, non vuole convincere gli altri, né tantomeno costringere; non dice “fidati di me”, non dice “convinciti”, dice “guarda, guarda perché quello che io penso coincide con la realtà”, perché la verità – dicevano nel Medioevo – è “adaequatio rei et intellectus”: è la corrispondenza tra quello che penso e quel che c’è, “guarda me e prima o poi capirai, ti do tutto il tempo della vita, hai tutta la vita intera per capire”.

La Chiesa ha sempre detto che sono due le “vie sanctitatis”: la “via innocentiae” e la “via penitentiae”. La “via innocentiae” è quella di coloro che sono semplici, leali, chiamano le cose col loro nome, imparano dalla realtà, ma sono circa il 3% dei santi, la maggior parte dei santi non si affida, è dura, è cocciuta, nega l’evidenza per tanto tempo, ma, a furia di sbattere la testa contro la realtà, alla fine capisce, vede la realtà, l’abbraccia, la guarda come la guarda Dio e si converte.
Diceva il professore Del Noce che “chi nega l’evidenza non può essere corretto da un ragionamento, ma solo dalla realtà”, puoi solo continuare a mostrargli la realtà, la verità e la bellezza della realtà: si convertirà quando si piegherà alla realtà. Per questo il cristiano è paziente, non ha bisogno della violenza, lascia la vita intera ai suoi nemici, perché prima o poi vuoi che non incrocino la realtà? E se la guardano per un istante e la vedono nella sua autenticità, come la vede Dio, cambiano.
Questo è il Cristianesimo, Dio ha bisogno di un uomo così, di un uomo di cui si vede il cuore, nelle cui parole e nei cui gesti si vede il cuore, si vede che quelle parole e quei gesti nascono dal cuore. Dio non ha bisogno di uomini bravi, adeguati, capaci, preparati per questo. Ha bisogno di uomini che abbiano il cuore leale, come deve dire il profeta Samuele a Iesse, il padre di Davide, che dovendo presentare i figli per diventare re – era la tribù regale – glieli presenta in ordine di grandezza, di importanza, di preparazione; e gli presenta il primo, che era alto, che aveva il “physique du rôle”, alto due metri, che aveva studiato, aveva fatto legge, economie, scienze sociali, era preparato, aveva fatto le scienze militari, sapeva tutto per fare il re. Il profeta lo guarda e non lo vuol vedere: “Ma come, perché? È perfetto.” No! “Non guardavo il suo aspetto, né la sua alta statura, io l’ho scartato perché non conta quel che vede l’uomo, l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore, e questo non è il cuore giusto”. Per ultimo arriverà il povero Davide, che era fulvo, biondiccio, un po’ effemminato, faceva il cantautore, andava in giro, non aveva studiato, faceva il pastore, andava in giro sempre con le infradito e le bermuda e la fionda, a fare innamorare – era bravissimo a cantare – le donne che incontrava; ma era, agli occhi di suo padre, il più inaffidabile in assoluto, non voleva presentarlo, perché diceva: “Se fanno re questo, tutti i popoli rideranno dietro a noi che abbiamo un re cantautore effemminato”. Appena Samuele lo vede prende il corno dell’olio e lo consacra: è lui, perché gli altri saranno ben preparati – e questo non è uno preparato -, ma questo è il cuore giusto, perché questo è un cuore che quando vede la bellezza non capisce più niente, cioè non capisce più… è un uomo che dà tutto il cuore alla bellezza e, siccome Dio è bellezza, farà degli errori, farà di tutto, ma questo condurrà il popolo a capire la vera natura di Dio, che è bellezza.

[29/03/2017, 12:23:11] Frankie: Omelia di stamattina

“Come il Padre che resuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole”.

“Io sono la resurrezione della vita, chi crede in Me non morrà in eterno”.

Questa è la sintesi della tua sfida: ogni mattina, qui, tutto me la rilancia in faccia, mi sconvolge il cuore . Le parole che qui si sentono, i segni di questo fuoco, le facce vostre che vengono qui, percosse una volta da questa sfida, a risentirla ogni mattina… perché dopo che il cuore l’ha sentita una volta la deve risentire per verificarla. Perché nessun uomo che non sia pazzo può dire questo “Io resuscito i morti, chi crede in Me non morirà”. Un uomo che non sia pazzo non può dire questo. E, da come lo dice, lo capisci, se è pazzo o se è vero. Soprattutto se accetti il criterio di un realismo inesorabile che Lui ti dà per verificarlo.
Cosa cambia vivere con questa coscienza o senza questa? Cosa porta di nuovo questa sfida se è fondata, se è ragionevole, se è documentata nella storia della vita? Cosa manca ad un uomo che non ha questa certezza dell’eternità che Tu fai irrompere nel mondo con Te stesso, dall’istante in cui Ti si accetta?
“Buono è il Signore verso tutti, la Sua tenerezza si espande su tutte le creature”. Senza questa sfida manca la tenerezza. Questa sfida ti fa investire di tenerezza in tutte le creature. La tenerezza non ha bisogno di riferimenti filologici, ve li risparmio questa mattina. Tutti sanno cosa è, perché tutti associano la tenerezza a vedere un bambino e a quello che ti viene voglia di fare appena lo vedi: il bambino ti ispira tenerezza. È piccolo, fragilissimo, bisognoso di tutto, con un destino infinito, è destinato alla felicità infinita, eterna. E lui te lo grida, tutte le sue cellule ti gridano questo, e lui è tutto proteso a questa felicità, ed è tutto impotente a realizzarla. Ti viene voglia di prenderlo in braccio per aiutarlo a fare almeno un passo verso questa felicità. Chiunque, anche il più ateo degli atei, guarda così un bambino: se si lascia prendere, fa così.
Ecco: questo sentimento che provi di fronte ad un bambino, se sei sano, naturalmente, lo provi verso tutte le creature. Il più estraneo, il più antipatico, il più cattivo, quello che ammazzeresti, se sei certo della sfida di Cristo risorto, ti fa provare come primo moto la tenerezza, ti vien da guardarlo così, tutte le cose così: espungi da ogni creatura che vedi, di schianto, il veleno. Non prevale, al primo impatto, il veleno, prevale questa tenerezza di fronte a Lui. Poi ci dovrai fare la guerra, dovrai metterlo all’ergastolo, magari, se lo deve fare. Ma il primo moto… Anzi, questo lo fai con questa ultima tenerezza.
E la prima creatura per la quale provi tenerezza, la più impossibile, è per la creatura che sei tu. La certezza di Cristo risorto fa questa differenza, in una giornata.
Per questo chi l’ha provata deve tornare qui a risentirla, a rispondere, di nuovo, ogni mattina.

[29/03/2017, 21:51:16] Frankie: Omelia di ieri sera

“Misuro altri mille cubiti di quell’acqua […] era un torrente che non potevo attraversare, perché le acque erano cresciute […] navigabili. […] un torrente che non potevo passare.”

Un torrente, un’immagine potente detta in Medioriente nella steppa e nel deserto. I torrenti sono sulle Alpi, noi li conosciamo. Ma parlare di torrente nel deserto, nella steppa, fa venire i brividi come immagine, è impensabile, impossibile, è quasi un ossimoro (la figura retorica), cioè è impossibile, il ghiaccio bollente, qualcosa che non sta, non può essere un’endiadi.

Eppure il profeta Ezechiele, per pulire il format che hanno in testa gli Ebrei, per spazzare via le immagini rigide che hanno, per scuoterli usa questa immagine. Per dire che quando arriva Dio nel mondo, quando nel mondo ‘’è un uomo nel cui cuore fa irruzione Dio, che dice di sì a Dio quell’uomo è un torrente nella steppa, un torrente nel deserto, è una cosa impensabile, che porta un torrente di vita.

“Su una sponda e sull’altra vidi una grandissima quantità di alberi da una parte e dall’altra”. Una vita impensabile! “Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente [fa rinascere la vita]: il pesce vi sarà abbondantissimo, […] tutto rivivrà. […] Crescerà ogni sorta di alberi da frutto, [dentro nella steppa e nel deserto] le cui foglie non appassiranno [non appassiranno nella steppa e nel deserto!]: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno [non è ogni anno, ogni mese! Il centuplo!]…

Un uomo di fede, un uomo nella cui vita Dio fa irruzione – e che permette a Dio di fare irruzione – diventa un torrente, si guarda indietro e vede trasformarsi la steppa ed il deserto dietro di se: È rinata la vita!

Guardate gli uomini di fede, guardate dove sono passati, sono stati un torrente. Io guardo la mia vita, mi guardo indietro – ho 71 anni, io non ho fatto niente, ma Dio ha fatto di me un torrente, succede proprio così. Come può accadere che un uomo diventi un torrente? Faccia rinascere la steppa ed il deserto lì dove arriva?

Di cosa ha bisogno Dio perché un povero uomo – lui sta parlando ai deportati, ragazzi, con Ezechiele siamo all’epoca della deportazione a Babilonia, che speranza possono avere? Dio fa il popolo con il resto degli scarti, gli scampati alla spada, quelli che non li hanno neanche ammazzati perché non erano buoni né per gli uni, né per gli altri, erano insignificanti, non facevano più paura a nessuno, quelli che i nemici non avevano neppure passato per la spada e che non erano buoni a fare gli schiavi, e, niente, non vi era neanche il pericolo che andassero a fare dei danni, a fare angherie, a fare qualcosa. Quelli, scartati perfino dai nemici, sono quelli su cui Dio punta per rifare il mondo. Ed il mondo verrà sempre rifatto così. Ed oggi questa steppa e questo deserto Dio li vuole far rivivere creando, attraverso un uomo che non è nulla, un torrente di vita.

Di cosa ha bisogno quel giorno che va a Gerusalemme alla piscina di Bedtzetà, di cosa ha bisogno per prendere un uomo malato da 38 anni, incancrenito, tra l’altro lamentoso: “Perchè a me nessuno mi prende, quando arrivo c’è un asino che dà la spinta a quell’altro e mi passan sempre davanti e io non sono raccomandato, e tanto (…)”.

Di cosa ha bisogno, cosa gli chiede? Prende il più lamentoso, prende quello che da 38 anni è lì e non ha mai incrociato la grazia, gli disse: “Vuoi guarire?” Di schianto.

Uno dice: “Ma come? Sono Qui!”, ma non è mica vero che lui vuole, perché dice: “Sì Signore, però io non ho nessuno e quando vengo c’è un angelo che fa passare un altro davanti, son dei raccomandati e io son sempre qua da 38 anni”. E comincia la lamentela. Lui gli ha chiesto: “Vuoi guarire?” E lui continua a lamentarsi, a dire che non ci sono le condizioni. Poi c’è un istante in cui lui, lamentandosi, finisce il fiato e, mentre prende respiro, Gesù lo guarda, non gli ripete la domanda, e di schianto, mentre lui prende fiato, lo fulmina, come a dire: “Hai da dire ancora? Ti ho chiesto se vuoi guarire.” Nell’attimo in cui non riprende a lamentarsi gli dice: “Alzati, prendi la barella e parti!” Ha avuto un istante in cui si è arreso e ha smesso di lamentarsi, in quell’istante quell’uomo è diventato un torrente in mezzo ai Giudei. Così torrente, così pieno di potenza e di fecondità che ha sconquassato la steppa, che l’han fermato, l’hanno interrogato, l’hanno richiamato e, disarmato, dice: “Sì, sì, sono io, sono quello. Sì, Sì. Non so come dire, ma me l’ha detto lui e io l’ho presa…non so.” Non sa dire, non sa dire come è successo!

Ha solo accettato, in un istante di arresa, si è arreso in un istante, ed è iniziato il torrente. A quel punto i Giudei decidono di perseguitare Gesù perché anche loro avevano il punto di resistenza. Perché quello di cui ha bisogno Dio per farti diventare un torrente di vita è che tu non metta avanti né “se”, né “ma” e dici “Se vuoi, se mi puoi guarire”, perché quello che i religiosi pensano è che occorra fare la volontà di Dio per cambiare il mondo, mentre è il contrario: non occorre la volontà di Dio, che c’è già tutta, occorre la volontà di un uomo, di un uomo che non voglia obbedire, ma che voglia obbedire al proprio cuore, che voglia guarire, Dio ha bisogno di un uomo che voglia fare la propria volontà, che voglia realizzare se stesso, non serve altro a Dio, altro che fare la volontà di Dio…che l’uomo diventi se stesso! Ma tu ti vuoi bene?

Come Bernardo che, quando andavano i postulanti a dire se potevano andare nei monasteri, leggeva a loro il salmo 33 quando nell’attacco dice: “Ma esiste un uomo al mondo che voglia giorni pieni di bene e godersi la vita? E tu cosa rispondi?” Quelli che gli rispondevano “Io lo voglio!” li prendeva, erano una minoranza, agli altri diceva quello che dice Dante ai rivieraschi: “tornate a riveder li vostri lidi” perché se veniste con me “rimarreste smarriti”, li rimanda a casa!

Ecco di cosa ha bisogno Dio! Quello invece che ostacola Dio, che può neutralizzare il miracolo appena fatto è quello che dicono i Giudei: “Lo perseguitavano perché faceva tali cose di sabato.
Il miracolo lo aveva fatto, era innegabile, era diventato già un torrente che stava allagando Gerusalemme, era evidente che dovevano ucciderlo.

Che cosa oppongono? Non “il miracolo non c’è stato, il torrente non c’è”. No! Era davanti agli occhi il miracolo e l’uomo torrentizio, c’era già tutto. Il problema qual era? Che se lo facesse di giovedì o lo facesse di Domenica si poteva accettare il miracolo, ma facendolo di sabato…eh il sabato non si può!

Quello che può bloccare Dio è o tutta la lamentela dell’uomo prima del miracolo, che non dice “io lo voglio” e basta, oppure prendere a pretesto che sì accade, ma non è come io avevo pensato, avevo chiesto il moroso in questo modo, la salute, il lavoro in questo modo, e, siccome sì, il miracolo me lo ha fatto, ma non era esattamente secondo il format che io avevo in testa, allora non c’è.

Invece occorre, perché Dio possa fare di me un torrente, la disponibilità assoluta, come – scusate l’ennesima cyber-parabola – qull’app dell’iPad, che serve per scrivere, in cui, quando devi fare un nuovo documento che non è supportabile da quelli standard che avevi predisposto, c’è un comando che dice: “pulisci formato”. Sformatta tutto, sii disponibile al nuovo imprinting che io ti sto per dare.

Ecco Dio ha bisogno, per entrare nella vita, che io pulisca il formato che ho già in testa.

[04/04/2017, 10:35:42] Frankie: Omelia di oggi

Gli dissero allora “ma Tu, Chi sei?” perché da quando ti abbiamo incontrato, da quando sei entrato nella nostra vita, hai acceso questa domanda, hai acceso il fuoco, hai qualcosa dentro di Te, metti qualcosa dentro di noi che non conosciamo, ma da cui non ci possiamo liberare: “Tu chi sei?”.
“Io non sono di questo mondo, sono in questo mondo, ma non sono di questo mondo, porto dentro questo mondo il fuoco che infiammi il vostro Essere, il fuoco, il desiderio di qualcosa che non conoscevate, ma per cui siete fatti, di cui l’Onnipotente può rivelare”.

“Ma allora Tu, chi sei?” “Voi conoscerete che Io sono, Io sono”.
Voi ricevete l’Essere, non siete l’Essere, lo ricevete ogni istante, lo perdete ogni istante, e alla fine perderete tutta l’energia del vostro Essere, voi morirete. Io sono l’Essere, io possiedo gli Esseri, io sono l’eternità, entrata nel mondo”. Davanti a Me il vostro essere si infiamma, scoprite di essere fatti per l’eternità, scoprite il desiderio in voi dell’eterno, che la vostra vita non finisca più.

Ogni mattina noi siamo qui, a reinfiammare il desiderio dell’Essere, dell’eternità, per ritrovare davanti a Te la certezza che l’Essere esiste, che l’Essere eterno esiste, che noi ne potremo partecipare seguendo Te, domandandolo a Te, per cui potremo dire: “anche io sono, non possiedo l’Essere, ma affidandomi a Te possiedo una vita che non finirà mai più”. Noi siamo in questo mondo come gli altri uomini, ma ci portiamo addosso il fuoco di un altro mondo, e viviamo per incendiare questo mondo, come noi siamo stati incendiati.

[05/04/2017, 15:59:24] Frankie: Omelia di oggi

“La verità vi farà liberi”

Sarete felici solo se sarete liberi. Dio era onnipotente ma non era felice, non era felice di comandare delle persone che gli obbedissero. Il cuore di Dio è amore, per questo Dio si è inventato il big bang, il mondo, e ci ha messo dentro delle persone libere, per godersi l’avventura di corteggiare un amore libero.
La storia del mondo è la storia di un corteggiamento, Dio è un corteggiatore di persone libere, non ha gusto ad aver persone che gli obbediscono; ha gusto ad aver persone che cedono, come un innamorato vede cedere la persona che ha corteggiato, che cede per amore, perchè vede una bellezza e un amore mai sperimentato prima.
La gioia più bella al mondo è corteggiare ed essere corteggiato, lo sa Lui.
Questa è la storia della mia vita, della tua: accettare, riconoscere il corteggiamento di Dio e cedere al Suo amore e scatenarci in un baleno a imitar Dio, a corteggiare quelli che ancora non lo conoscono.
Questa è l’unica immagine adeguata della vita, non c’è esperienza che ci faccia più felici di questa. La libertà Dio ce l’ha data all’origine e non ce la toglie nessuno, la possiamo solo perdere noi.

“Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”

La perdi soltanto se diventi schiavo del peccato. Il peccato, come dice la parola αμαρτία…τυγχάνω vuol dire centrare, cogliere il centro della questione con la freccia, αμαρτία vuol dire invece perdere il centro; τυγχάνω colgo il centro, αµαρτάνω vado fuori dal centro, vado fuori, mi fisso su un particolare. Il peccato ci rende schiavi perché ci fissa su un particolare e in fondo è una meschinità.
E siamo noi che decidiamo se cercare il centro, il punto centrale, il punto essenziale, l’amore del Dio che ci fa liberi, oppure accontentarci, fissarci su delle cose secondarie, su dei particolari.

Cristo è venuto nel mondo per liberarci dal peccato:

“Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero”

Lui è venuto per renderci possibile ogni volta che abbiamo peccato di centrare di nuovo il bersaglio, ci svela dov’è il bersaglio e ci aiuta a colpirlo. Questa è l’avventura cristiana, le altre immagini non colgono il punto di fondo.

[06/04/2017, 12:13:46] Frankie: Omelia di oggi

“Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno”

Come ogni ebreo vive nella speranza di vedere il giorno del Messia, di vedere la faccia di un uomo per il quale Dio è tutto.

Che faccia ha un uomo per il quale Dio è tutto? Due facce possibili, o la faccia cattolica di Francesco D’Assisi: se Dio è tutto, tutto è di Dio, tutto è sacro. E’ un uomo che corre con le braccia spalancate per godere di tutto e per abbracciare tutto e tutti. Oppure la faccia di quei giudei che appena Lui dice così: “raccolsero le pietre per gettarle contro di Lui”. La faccia della religiosità fondamentalista: se Dio è tutto, il resto è niente, va cancellato, niente vale se Dio è tutto.

“Raccolsero quelle pietre per gettarle contro di Lui” apparentemente perché non sopportavano la Sua faccia. Di fatto la Sua faccia illuminava la loro, era la propria faccia che non sopportavano perché non erano disposti a dire che se Dio è tutto il resto è sacro, il resto mi è dato da amare e da abbracciare, a questo non erano disposti, non sopportavano la loro faccia e dovevano distruggere la Sua.

Ogni istante, quando noi abbiamo davanti agli occhi la faccia del Messia, la faccia di un uomo per il quale il Mistero è venuto, dobbiamo scegliere se raccogliere le pietre per distruggerlo oppure se corrergli incontro per abbracciarLo, per immedesimarsi con Lui, per diventare noi la faccia di un uomo per il quale Dio è tutto. Perché ogni uomo anche chi non è ebreo inconsciamente attende di vedere il Suo volto e se lo vede come Abramo ne è pieno di gioia.

[07/04/2017, 19:19:10] Frankie: Omelia di oggi

“Ti lapidiamo per una bestemmia perché Tu che sei uomo ti fai Dio”

Non c’è in questione la natura di Dio, cioè l’incontro con Te, ma la statura dell’uomo. Tu non ti puoi permettere di dire che l’uomo è figlio di Dio, tu togli qualcosa a Dio così. Perché per dire che Dio è grande, bisogna annullare, abbassare, comunque, l’uomo. Ogni grandezza data all’uomo è tolta a Dio. Questa è l’idea di ogni fondamentalismo.
Per Gesù è il contrario, Dio è così grande, è così Dio, che si può permettere di fare un Uomo grande come Lui, di chiamare un uomo Figlio Suo, come direbbe Pietro,
di fare degli uomini θείας κοινωνοὶ φύσεως, degli esseri partecipi della natura stessa di Dio.

Cristo è entrato nel mondo non mettendo a tema Dio, non ha posto una questione teologica, ma antropologica!
Ha posto la questione della statura dell’uomo e ha detto che l’uomo ha una statura infinta. E’ fatto per l’infinito è grande come Dio.
Dio ha fatto un essere – che non c’era – l’ha fatto per partecipare dell’eterno, del divino. Di Lui stesso.
L’uomo ha dentro di sé un fuoco, che si chiama “senso religioso”, senso del mistero, che lo protende all’infinito.
“Dall’angoscia e dal vuoto salvami, Signore”, Gesù è venuto per liberare l’uomo dal angoscia.
Perché l’affermazione che Dio è grande, che Dio è infinito, non toglie l’angoscia all’uomo, ma l’angoscia non lo schiaccia.
Dio toglie l’angoscia all’uomo non dicendo che Dio è grande, ma che l’uomo stesso è grande! Dicendo che l’uomo ha un’attrazione per l’infinito, che è fatto per l’infinito, che l’uomo partecipa dell’infinito, inizia sulla Terra e si compie definitivamente dopo.
Soltanto la certezza che la mia è una statura infinita, che esiste l’infinito per cui sono fatto, mi libera dall’angoscia.
Quando noi siamo schiacciati dall’angoscia non è la fede in Dio che ci manca, è la fede nell’uomo, è la stima di noi stess, possiamo avere una fede enorme in Dio, dire che Dio è grande, grande, onnipotente, ma se Dio è grande ed io sono piccolo più ho fede e più ho l’angoscia.
Non è mai la fede in Dio che toglie l’angoscia all’uomo, è la stima dell’uomo che toglie l’angoscia agli uomini., che gli dà respiro.
Dentro il mondo, noi siamo chiamati a testimoniare questo. E quando lo testimoniano accadrà sempre come davanti a Gesù quel giorno, prima in Giudea poi oltre il Giordano: “alcuni raccolsero di nuovo le pietre, per catturarLo e lapidarLo e, invece, in quel Luogo molti credettero in Lui”. Non è un problema di quelli che credevano in Dio o non credevano in Dio, ma la discriminante è tra quelli che sono disposti a stimare se stessi e la propria grandezza, a riconoscere che l’io non è nient’altro che il fondo di me, cioè il Padre che mi sta facendo adesso, o quelli che per affermare Dio poco o tanto hanno l’audacia, la superbia e la presunzione di poter disprezzare se stessi, e credono di fare un servizio a Dio, umiliando se stessi, invece che stimando la propria grandezza. Questa è la differenza.

[11/04/2017, 12:52:09] Frankie: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio […] in lui”

Ora, che è stato tradito da uno dei suoi amici, scelto, preferito come gli altri. Ora, che sarà rinnegato tre volte dal capo di questi amici, da Pietro.
Ora Io sono glorificato, ora si svela che amore ho dentro di Me. Io ho scelto Giuda e Pietro, ho capito dove andava a finire, che Giuda mi avrebbe tradito, dico a Pietro che mi rinnegherà tre volte prima dell’alba; eppure ho preferito Giuda e Pietro e li continuo a preferire. E dirò a Giuda quando tornerà fra qualche tempo, mi bacerà per tradirmi e gli dirò ancora “amico, con un bacio mi tradisci”. E a Pietro dopo che mi ha rinnegato tre volte dirò: “Mi ami tu più di costoro?”.

Ecco che cosa si svela in questo momento tragico: “Io sono glorificato”, cioè si svela, si manifesta davanti al mondo, che amore mi ritrovo dentro. Un amore che preferisce, che preferisce in eterno, che non smette di preferire anche quando uno ti tradisce e l’altro ti rinnega. Lì chiamerò ancora amici, chiederò ancora il loro amore, una preferenza che non verrà meno nonostante il tradimento e il rinnegamento.

Da dove mi viene questo amore? Che bellezza e grandezza è mai questa che mi ritrovo dentro?

“Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino agli estremi confini della terra”

Perché sulla terra un amore così non c’è, Io stesso non me lo spiego. Un amore così libero, libero perfino dalla moralità, dall’immoralità degli amici, che ama liberamente e che ama la loro libertà, e che sta per dire a Giuda, ha appena detto a Giuda “quello che vuoi fare vallo a fare, non ti impedisco di farlo, amo la tua libertà e ti continuo a preferire”.
Le nazioni non conoscono questo Amore, io devo vivere perché tutte le nazioni del mondo, gli estremi confini della terra conoscano questo amore che mi esplode dentro al cuore.
Ed ogni mattina siamo qui, per rubarTi il segreto di questo Amore.

[12/04/2017, 15:04:35] Frankie: Omelia di oggi

“Sono forse io?”

Tu l’hai detto non Io e se l’hai detto qualche motivo ce l’hai. C’è qualcosa che te lo dice, è la realtà che te lo dice.

Io non sostituisco la realtà, la illumino. Sono come l’evidenziatore, non scrive nulla, evidenzia quello che già c’era.

Se tu dici questo c’è qualcosa che te lo fa pensare.

Come fa respirare la sfida di Gesù. Lui non parla a nome della realtà, non la sostituisce, la illumina.

Gesù non giudica, il giudizio è del cuore. Il cuore alla Sua presenza si illumina. È il cuore stesso di Giuda che il giorno dopo lo giudicherà così ferocemente da rendergli insopportabile la vita. E Giuda si toglierà la vita. Nessuno ha giudicato Giuda se non il cuore stesso di Giuda. Nessuno ha punito Giuda se non la realtà stessa che lui ha tradito. Davanti a Gesù il peccato non è contro Gesù, non è contro Dio è contro la realtà. La punizione non viene da Dio. Dio è misericordia, ti offre sempre la sua intimità.

“Colui che intinge nel mio piatto…”, il massimo gesto di familiarità glielo offre ancora nel momento del tradimento.

Gesù non giudica, abbraccia. È il tuo stesso cuore che giudica.

Fa respirare la sfida di Cristo, ti rende libero, ti rende protagonista.

Non aggiunge, non toglie nulla alla realtà, la illumina. Non aggiunge nulla, non impone nulla al tuo cuore, lo illumina, lo rende cuore, lo rende protagonista.

Non c’è bisogno per essere cristiani di essere adeguati a qualcosa.

L’unica virtù richiesta per essere cristiani è la sincerità e la lealtà, chiamare le cose con il loro nome, abbracciare la realtà. Se l’abbracci ti premia, se la tradisci ti punisce.

Il cristianesimo è l’unica esperienza umana che fa respirare che fa godere della realtà, che rende te protagonista nella tua vita.

È per questo che è così affascinante ma così tremenda per chi è insincero e sleale.

[21/04/2017, 21:24:23] Frankie: Omelia di oggi

“Non vi è, infatti, sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che noi siamo salvati”

Non vi è altro nome, altro potere, altra persona per cui possiamo essere salvati.
Chi può dire così? Come fa uno a dire che non vi è altra possibilità che questa?
E’ perchè le ha provate tutte, questo è un uomo che sfida ogni persona che incontra: gli domanda la salvezza, che cosa hai trovato tu? Che cosa riempie la tua vita?

La salvezza, “salus”, vuol dire salute, vuol dire floridezza della vita, esuberanza di vita.

Questo è un uomo che ha una fede critica, una fede piena di sfida, una fede che scatena la ricerca, che scatena la virtù. Non una fede che trovata la risposta non cerca più niente… è il contrario!
L’incontro con Cristo ad un uomo così gli ha innescato la ricerca, gli ha innescato l’avventura della sfida. La risposta che ha trovato non lo addormenta, ma lo scatena, gli porta una pienezza tale che vuole vedere che cosa hanno trovato gli altri, per scoprire se c’è di più, per offrire quello che ha scoperto lui.

Un uomo così, che sfida tutto e tutti con quello che ha scoperto, è un uomo che impara da tutto e impara da tutti.
E’ un uomo che ruba ad ogni persona, ad ogni incontro, ad ogni circostanza il suo segreto, che si arricchisce attraverso tutto.
E’ un uomo a cui la realtà svela sempre il segreto che porta. Un uomo agli occhi del quale la realtà diventa evidente.

“Evidèr” vuol dire svela, tira fuori in superficie, porta sul desktop quello che c’era dentro all’hard-disk, gli fa vedere il segreto,
tanto che tutto ai suoi occhi diventa evidente, tanto che nessuno dei discepoli osava domandarGli: “Chi sei ?”
perché sapevano bene che era Lui. Gli si leggeva in faccia a tutti loro sei quello che vedevano, era evidente per tutti che era Lui.
Aveva una capacità di sguardo, di percezione, di evidenziare la realtà per cui non c’era più bisogno di chiederglieLo, neppur bisogno di dirlo.
La loro stessa faccia coglieva quello che c’era e diventava uno specchio, una parabola che lo rilanciava. Chi li vedeva, vedeva quello che loro vedevano.
Ecco come diventa un uomo che ha questa fede, un uomo che evidenzia la realtà, per cui la realtà parla.
Un uomo certo, un uomo libero, un uomo che sfida Dio, un uomo a cui chiesero: “Ma con quale potere voi fate questo?”

Come con che potere?!
Che incarico avete? Che ruolo avete, di che cosa siete capi? Di niente, se non della nostra vita, di quel che viviamo.

Qualche tempo fa, una persona importante, che ha fatto e sta facendo carriera nella chiesa, mi dice:
“Ma tu, scusami, di che cosa sei capo?”
“Io capo?”
“Sì, cioè il tuo ruolo…”
“Io sono capo della mia vita, capo dell’istante che vivo, metto il cuore nell’istante che vivo.”
“Sì, ma non è possibile perché quando parli tu buchi lo schermo, cioè ti si deve stare a sentire, tu dimmi che ruolo hai e di che cosa sei capo…”

Si è messo a fare delle ipotesi che mi faceva ridere.

Io vivo l’istate, è l’istante che mi riempie di vita, è l’istante che si impone a me e io impongo a chi mi vede quello che io vedo.

Ecco la fede che può seminare questo mondo, in parte triste e depresso, in parte stupido, in parte violento ed esasperato, confuso.
Una fede così si fa notare, una fede così moralizza gli sguardi, i cuori, l’attenzione, una fede così può spingere chi è disponibile a rinascere.

[23/04/2017, 20:56:41] Frankie: L’omelia di oggi.

“Lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo”.

Uno spettacolo che faceva godere tutti, non riuscivano a staccare gli occhi da quelle tremola persone che erano un cuore solo e un’anima sola. Tutto in comune. Mai vista una roba simile. Tremila, di 17 etnie diverse, dei tipi impossibili tra di loro eppure un cuor solo e un’anima sola.

“Ma un senso di timore era in tutti”.
Era un incubo quella bellezza. Una bellezza che ti schianta, da cui non puoi distogliere gli occhi, da cui non puoi scappare, che ti blocca e che ti paralizza. Non ti puoi neanche avvicinare.
Avevano paura.
Gli ebrei chiamano Qabod, Yahweh, una bellezza da incubo che viene tradotta come la gloria di Dio, Qabod. Gloria ma nel senso più piccolo. Avete presente certi… come quando c’è una cosa che non puoi più non guardare, che ti inchioda lì, ti incolla ma hai paura, sei bloccato, sei inchiodato non puoi andare né avanti, né indietro, non puoi scappare via perché è troppo bella, non ti puoi avvicinare perché ti terrorizza.

Questo gli ebrei la chiamano, Qabod Yahweh, gloria di Dio, perché Dio è fatto così.
Quando lo vedi è la cosa più affascinante ma ne hai paura. Tutte le religioni conoscono il timore di Dio, la paura di Dio. Tutte, perchè quella bellezza… tremila persone dove non c’è più giudeo, nè greco, nè schiavo, nè libero, nè barbaro, nè sciita, né maschio, né femmina, c’era un tale livello in cui erano un cuor solo ed un’anima sola tutti. Mai vista una cosa così. Neanche in una famiglia è possibile un’unità così. Dove ognuno conserva il suo volto, la sua lingua, la sua faccia, anzi, è ancora più luminoso, più lui, più originale, più diverso e più unito. Una roba così non l’avevano mai stata vista, la vedevano lì, ma insieme ne avevano paura perchè quella bellezza li faceva pensare a Dio, li metteva davanti a Dio e di Dio avevano paura.
Come ogni uomo religioso ha paura di Dio.
Chi non è religioso non ne ha paura perché non ci pensa, non lo conosce perché è superficiale. Non ha questa profondità di sguardo.
Cosa vince quella paura? Cosa ti libera da Dio?
Cosa ti permette di cedere alla bellezza, di entrare nel campo magnetico e di lasciarti prendere totalmente?

“Se non metto le mie dita, se non metto la mia mano io non credo” .

Se io non mi posso inginocchiare davanti a Lui, adorare Lui, dire un attimo prima “sì” a Lui, io a questa gente non riesco ad aderire.

Tommaso lo sa bene e la paura di Dio lui l’ha vinta soltanto davanti a Gesù quando ha riconosciuto chi era Gesù. Se non riconosci Gesù che unisce quelle tremila persone, di quelle hai paura.
Ti sembra di perderti ad entrare in quella comunità, di perdere te stesso.
Senza la fede personale, il sì personale a Gesù, Tommaso capisce che di quella cosa ha paura anche lui. Soltanto il volto di Cristo Risorto, riconosciuto personalmente, a cui tu dici il tuo sì con la tua fede personale, ti permette di non perderti dentro quella unità, di non avere paura di Dio. Solo Gesù risorto grida decine di volte: “non temete, perché avete paura?”. “Metti qua la tua mano, metti qua il tuo dito”, “avete qualcosa da mangiare?”
Soltanto Gesù risorto toglie la paura di Dio.
Beato Tommaso che hai creduto ma sarai ancora più beato quando per credere non avrai bisogno di diffidare, di dubitare, di prendere le distanze dai tuoi 10 amici che ti avevano testimoniato di me già una settimana fa perché Tommaso in quel momento non riesce ad aderire fino in fondo a Pietro e agli altri dieci che conosceva bene. Ha bisogno un attimo prima di inginocchiarsi e di dire:”Signore mio, Dio mio.” Allora sarà libero di aderire fino in fondo.
Ed è beato perché ha capito questo. Ma sarà ancora più beato quando per dire di sì a Cristo non avrà bisogno di prendere le distanze dagli amici. Avrà uno sguardo così profondo sugli amici da vedere trapelare Cristo attraverso di loro.
Quando i limiti, i difetti degli amici ci allontanano da Cristo non è perché sono i loro limiti, i loro difetti, il loro male che ci allontana da Cristo. È la nostra superficialità di sguardo che ci allontana da Cristo. La fede cristiana è riconoscere Cristo non prendendo le distanze dagli amici come ha fatto prima Tommaso, non poteva fare diverso probabilmente, ma quando abbracciando gli amici con tutti i loro limiti li abbracci, li tocchi, gli metti le mani addosso con le dita, le mani, tocchi il loro corpo e toccando loro tocchi Cristo.
Sennò sei ancora superficiale, sennò non è vero che li abbracci, non è vero che li tocchi.
Se toccandoli e abbracciandoli contemporaneamente non tocchi e non ti inginocchi davanti a Cristo.
Cioè una sola ragione per prendere le distanze dagli amici, dai fratelli di fede, per troncare dei rapporti definitivamente senza se e senza ma: quando quelli ti scandalizzano. Perché può essere che un certo amico che prima è una finestra spalancata che ti fa vedere la bellezza del sole, può essere che ad un certo punto ti scandalizzi, si sporchi, ti blocchi lo sguardo e in quel caso Gesù disse: “Se un occhio, una mano un piede, un rapporto ti scandalizza, taglialo!”. Ma poi dovrai cercare un’altra finestra, un altro rapporto per toccare Cristo.

[24/04/2017, 12:33:20] Frankie: Omelia

“Era morto ed è tornato in vita. Perduto, è stato ritrovato”

Oggi gli Agostiniani celebrano il giorno della conversione di Sant’Agostino che insieme a San Paolo è l’emblema del convertito. Il convertito è un uomo che non sceglie, non percorre, le strade giuste, ma quelle sbagliate.
Ma perché si può convertire e diventare santo?
Non perché ha fatto le scelte giuste, ma perché aveva la ragione giusta per far quelle scelte.
Era sbagliata la scelta, ma era giusta la ragione; era sbagliata la strada intrapresa, ma era giusta la meta. È la verità della meta, la verità della ragione, che gli permette – prima o poi – di convertirsi. Se uno ha la meta giusta, può sbagliare mille strade, ma alla fine ci arriva, perché paragona quello che scopre con quello che desidera e capisce che non è arrivato dove voleva arrivare e può cambiare.
Perché l’uomo può cambiare, si può convertire.
È diabolico dire: “io sono fatto così”, “per come quello è fatto, non può cambiare”. No! Io sono libero, tu sei libero, posso sempre cambiare, ma quello che mi permette di cambiare è avere la meta giusta.
E qual è la meta giusta?

“Crea in me Signore un cuore puro”.
La meta giusta la conosce il cuore, sta scritta nel cuore. Il vero problema è se ho un cuore puro o impuro.
Puro vuol dire trasparente come un vetro limpido che lascia trapelare la luce che vien dal fondo del cuore, il grido della felicità totale che viene dal cuore. Se il cuore è impuro, non vede chiaro, è confuso, è sordo, non sente quella voce, non intravede quel filo di luce e non ci arriverà mai.
Da che cosa nasce il cuore puro?
Il cuore puro è un atto di libertà; tu decidi ogni istante se vuoi essere puro o se vuoi essere impuro; il cuore puro non dipende da Dio, dipende da te.
Tu domandi a Dio che il cuore puro rinasca in te, sei tu: il fatto stesso di dire a Dio “Crea in me un cuore puro”, in quell’istante il cuore diventa puro, diventa trasparente, perché si rivolge a Dio, si rivolge all’infinito. Il cuore puro è un atto della tua libertà, tu ogni istante decidi che cosa vuoi, a che cosa tendi.
Non hai il potere di riuscirci, ma di tendere sì – e la tensione la esprimi domandando – e Dio mille miracoli non te li fa, ma se gli chiedi il cuore vero te lo dona in un istante.

[26/04/2017, 12:30:29] Frankie: Omelia

La festa della Madonna del buon consiglio: almeno due consigli oggi, nel rapporto con Dio.

Il primo, dà il consiglio a Dio stesso: mentre Gli domanda che intervenga, Gli spiega bene qual è il problema, non han più vino. Ha l’audacia di domandare, di spiegare bene a Dio di che cosa c’è bisogno, è certa che Lui a noi ci tiene, che ci vuole bene ed ha la faccia tosta di dare a Lui consiglio su cosa deve fare, rischiando la correzione pesante che si prende: “donna, che c’è tra me e te?”, non la chiama neanche “mamma”, ma “donna”, con un tono a presa di distanza, abbastanza esplicito. Corre questo rischio perché è così certa del rapporto che si può permettere di dirGli di che cosa, secondo lei, c’è bisogno.

Ma poi, dopo la correzione – “sui tempi e sui modi non devo rispondere a te, non è giunta la mia ora, non faccio i conti con te, rispondo a Dio” – il secondo consiglio: “fate quello che vi dice”, fidatevi, vale la pena fidarsi; e valse così la pena che il miracolo fu esorbitante, andò ben oltre le aspettative, fu sorpassata a destra e a sinistra, perché il miracolo del vino buono fu tale fa mandare fuori di testa perfino il sommelier.

Eppure questo fu l’inizio dei miracoli di Dio nel mondo; che il primo segno del Suo amore e del Suo potere, il miracolo, sia quello sul vino fa andare fuori di testa e bestemmiare gli uomini più religiosi e più pii che non mandano giù lo scandalo, ma non lascia indifferente il cuore di nessuno, anche il più materialista a cui piace godersi la vita e basta non può restare indifferente di fronte al miracolo del vino buono: nessuno, né degli uomini più religiosi e pii, più morali, né degli uomini più edonisti, materialisti.
Il miracolo, il volto di un Dio che entra nel mondo e la prima cosa che fa è quella di un ottimo vino: chi poteva immaginare un Dio che profuma di vino e i Suoi amici sbevazzoni che puzzano di vino?!? Ma questa è la forma con cui il cristianesimo si presenta di schianto dentro al mondo.

[27/04/2017, 14:33:20] Frankie: Omelia di oggi!

“Vi avevamo proibito di insegnare in questo nome e voi avete riempito la città del vostro insegnamento”

Questa è l’accusa, perché questa è l’opera di chi ha incontrato Gesù: riempire la città del Suo insegnamento. L’insegnamento, insegnare, trasformare in segno di Lui ogni cosa. Negli occhi degli apostoli ogni cosa era segno, parlava di Lui, metteva davanti agli occhi Lui. Le cose in sé sono già Sue, è l’uomo di fede che vede il Mistero che le cose portano e Gli dà un volto attraverso quelle cose. Per l’uomo di fede, per l’uomo che ha incontrato Gesù risorto, in tutte le cose fa irruzione Lui, si svela il Suo volto; dove passavano quegli uomini Dio si rendeva presente, faceva irruzione nei loro occhi, nei loro gesti, Lui irrompeva e gli altri che li vedevano si trovavano di schianto davanti a Dio e non lo potevano sopportare:

“All’udire queste cose essi si infuriarono e volevano metterli a morte”

Perché non sopportavano di rimanere alla Presenza di Dio, non potevano più nascondersi, se Dio irrompe nella vita al centro c’è Lui e tu non sei più padrone, non può più fare quello che vuoi. Tutto è Suo. E gli uomini hanno paura di Dio, il terrore di Dio, temono che a mettere al centro Dio vengano emarginati loro, che a dire che Dio è tutto significhi che loro sono niente. Questa è la paura degli uomini, innata, si chiama peccato originale.
Che cosa può togliere agli uomini questa paura? O può togliere ai credenti di Cristo risorto la paura degli uomini che hanno paura di Dio, può renderli liberi?

“Gustate e vedete com’è buono il Signore”

È bello ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. Soltanto un uomo che vede Dio e gusta Dio, capisce che è meglio, che è bene ubbidire a Dio, è bene che Lui sia al centro, perché se Lui è al centro io regno con Lui, io godo del Suo potere, godo dell’eternità che Lui ha portato nel mondo. Se sono io il padrone delle cose rovino tutto.
Ogni giorno noi possiamo smontare il pregiudizio della paura di Dio dal cuore degli uomini o spazzare via dal nostro cuore la paura degli uomini che mi vogliono mettere a morte, soltanto se ogni giorno noi possiamo gustare quanto è buono il Signore, vedere, sperimentare, documentare che è meglio ubbidire a Dio, che ci si guadagna.

[08/05/2017, 07:49:02] Frankie: Omelia di oggi

“Sappia con certezza la casa di Israele” – dice Pietro.

Sappia con certezza. Senza certezza non puoi vivere perché non puoi costruire se non sei certo, non costruisci su un affetto, non ti butti mai, non verrà mai fuori il matrimonio, non investi, non metti su un’azienda, non inizi niente, sei bloccato, paralizzato, rattrappito, sarai sempre un po’ smarrito, una personalità un po’ rachitica, che non ha fascino. Senza certezza sei condannato a questo. Pietro lo sa bene come è diventato certo e cosa è diventato lui diventando certo. E’ stato chiamato kefa, roccia. Ed era la roccia, non era un uomo bravo, non era un uomo senza peccati, ma Pietro era certo e la sua affezione era esplosiva, scomposta, oscillante ma grande. Dopo 2000 anni Pietro è una roccia, Pietro è Pietro e quello che è costruito su questa roccia non prevalebunt. Le porte degli inferi non lo butteranno mai giù. Pietro è una personalità antisismica nessuna magnitudo può buttarlo più giù-
Come Pietro è diventato certo?
Cosa dobbiamo fare?- gli dicono in tremila dal cuore trafitto.”Convertitevi”, punto.
E’ la conversione che rende l’uomo certo, convertitevi, voltatevi da un’altra parte. Letteralmente “converso” è dietro front, nel linguaggio dell’addestramento delle caserme romane. Guardate dalla parte opposta a cui avete guardato fino ad ora. Convertitevi anche alla realtà, conversione non è a Dio, o meglio, a Dio perché Dio è la realtà. Al fondo di ogni cosa c’è il Creatore di quella cosa. Dio è la realtà vera, quella con la R maiuscola. Quella che noi vediamo e tocchiamo non è la realtà, è l’apparire, l’apparenza, il segno ma realtà vera, quella con la R maiuscola, è quella Realtà che fa tutto, da cui tutto viene. La conversione è la conversione a Dio che coincide con la realtà perché se non coincidesse a me di Dio non mi interesserebbe niente. Dio è interessante perché è ciò di cui la realtà parla, di cui tutte le cose belle parlano altrimenti perché mi dovrei interessare a Dio. Dio è interessante soltanto se è la bellezza di ogni cosa, la verità di ogni cosa, la profondità, il godimento totale di ogni cosa. La conversione è alla realtà. Infatti Gesù con una immagine che non deve sfuggire.. una delle immagini di sé qual è?
“Io sono la porta delle pecore”. La porta per cui passi e attraversi e entri dentro la dimora che è la realtà. Senza di me tu sei un brigante, sei un ladro o sei un estraneo, uno che non ha il verso che ha perso la bussola. Senza di me tu non ci entri, la realtà ti sfugge. Convertirsi vuol dire convertirsi alla realtà, penetrare la realtà, andare fino in fondo ad ogni cosa che vedi e che tocchi, andandoci fino in fondo trovi ciò che ti fa diventare grande, ciò che ti infiamma come Pietro, ciò che ti rende certo.
Gesù non è la sostituzione della realtà, non è che c’è la realtà invece noi crediamo in Gesù, la realtà è brutta per fortuna che c’è Gesù, ma siamo scemi! Gesù è la porta che mi introduce alla realtà se no che fascino avrebbe Gesù? Gesù merita che io lo segua perché mi converte, mi fa voltare a vedere il punto punto dentro cui si entra dentro il mistero della realtà. Per questo Gesù è così amabile. Perché affrontando la vita con Lui, pensando come Lui avendo i suoi criteri, il suo punto di vista, la sua valutazione delle cose il suo sentimento, il suo gusto delle cose la realtà mi si spalanca. La realtà è un’avventura ,la realtà non la riduco più a delle briciole o alla sua apparenza. Posso, è ragionevole dare la vita a Gesù come Pietro solo perchè lui mi introduce alla realtà, solo perché non resta furori dalla realtà nulla. Mi dà uno sguardo che la tradizione chiama cattolicos,, cattolico, totalizzante che abbraccia tutto come lo abbraccia Dio che conta perfino i capelli del capo. Con Gesù un capello della realtà non ti sfugge, tu conosci, capisci il senso di ogni cosa e puoi godere di ogni cosa. E’ Gesù la porta che ti fa entrare dentro. Infatti l’esperienza viene da questa parola, experiri, viene dal greco iἐκ-πορεῦω (Ek-poreuo), buco. Gesù è quello che ti fa penetrare, fare il tunnel in ogni cosa, andare a fondo e vedere lo spettacolo di ogni cosa. E’ l’esperienza della realtà che ti rende certa,
Non esiste l’insicuro come dicono gli psicologi. L’insicurezza..nasciamo tutti insicuri non è che c’è chi nasce sicuro e chi nasce insicuro.. bambini tremano e piangono.Il vero problema non è l’insicurezza ma l”indecisione, l’insicurezza è un problema di conoscenza, non sono sicuro delle cose che ancora non ho conosciuto bene. Come faccio a conoscere, come faccio a diventare certo? Se una cosa è bianca, se è nera, se è bella o se è brutta? Soltanto penetrandola, guardandoci dentro, guardandola, affrontandola, vivendola. E’ l’esperienza che rende certi.
L’indeciso è ‘uomo che non si butta mai che vorrebbe avere la certezza prima di buttarsi.
Conosco delle personalità patologiche che mi tempestano da anni perché vorrebbero avere la certezza prima di fare esperienza. Ma nessuno ti può rendere certo.
Io mica te la posso trasmettere la mia certezza, devi fare il percorso, se vuoi lo facciamo insieme ma tu ti ci butti dentro, vivendo, combatti.
Il cammino alla certezza è un’esperienza che devi fare tu.
Cristo, il testimone della fede, il compagno cristiano della vita ti accompagna se vuoi a fare esperienza della realtà.
I frutti, i due frutti più belli della certezza sono il primo “sopporterete con pazienza le sofferenze”. Un uomo paziente, è un uomo che rifiuta la violenza che si può permettere di pazientare perché è certo che la realtà gli darà ragione.
La cultura contemporanea illuminista pensa che la violenza nasce dalle persone troppo certe, io una scempiaggine più grande di questa non l’ho mai sentita.E’ il contrario.
Se io sono certo che quello che io conosco, la realtà non ho bisogno di aver fretta, posso aspettare tanto prima o poi la realtà mi darà ragione.
Se io invece non sono sicuro, voglio fare in fretta, voglio far tornare i conti, devo affrettare i tempi, fare violenza, forzare e so che la realtà mi smaschererà, mi deluderà.
Soltanto una persona certa si può permettere di pazientare. Il tempo della vita, la realtà mi darà ragione.
Secondo frutto è: “Sono venuto perché e l’abbiamo in abbondanza. L’uomo certo è un uomo che ha la vita in abbondanza, ne ha troppa, ne ha troppa, non gli basta più il tempo.
E’ un uomo a cui il tempo non basta più, per lui il tempo si è fatto breve.E’ un uomo che non ha mai più il problema del passatempo, di dover far passare il tempo. Non si annoia più.
Se gli uomini fossero certi come Pietro e come me, sarebbe finita l’industria per l’intrattenimento dei passatempi di cui vive la cultura occidentale, l’illuminismo occidentale.
Io da quando ho incontrato Cristo, ho capito chi è Cristo,la parola passatempo non la conosco più.Chi ha bisogno di far passare il tempo è perché per lui il tempo è vuoto e non sa come riempirlo.
“Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.

[08/05/2017, 14:59:59] Frankie: “Per questo il Padre mi ama, perché Io do la mia vita”.

Agli occhi del Padre, la cosa più bella è un uomo che offre la vita, che Lo imita, perché Lui è amore. Dio dona se stesso, tutto quello che c’è è dono suo. È Lui che si dona e Dio è entusiasta e l’uomo è un miracolo quasi si inginocchia davanti a un uomo che dà la vita, che offre se stesso. La cosa che più piace a Dio è quest’uomo. La bellezza davanti a Dio è un uomo pieno di amore e di gioia che dona se stesso. Anche davanti ai miei occhi è così: la cosa più bella che puoi vedere è un uomo che offre se stesso, una persona che dona se stesso. La bellezza vera non è come uno è fatto, ma come uno fa vivere. La bellezza vera, la vita è bella, io sono bello ai miei occhi, quando offro me stesso. Quando la mia vita non mi piace, quando io non piaccio a me stesso e mi sento sbagliato e fatto male, è solo colpa mia, perché io non entro nel vivo perché non dono me stesso. Perché non metto nei gesti, nelle parole e nell’azione tutto me stesso, tutto il mio cuore. Gesù entusiasma il Padre perché dona se stesso. Gesù entusiasma gli uomini perché dona se stesso. La dà tutta, la vita.

Quando noi non siamo contenti è perché siamo tutti contratti, bloccati, non la doniamo perché abbiamo paura di perderla. Gesù invece no.

“Nessuno me la toglie, la do da Me stesso”. Io ho il potere di darla e di riprenderla di nuovo. Lui sì, perché è Dio, perché è risorto, io no. Io una volta che l’ho persa, l’ho persa per sempre. È per questo che sono bloccato che ho paura di darla. Ma Lui è venuto perché io la possa offrire a Lui. Se la do a Lui diventa salda, come è saldo che c’è la resurrezione che mi attende.

E allora, come dice Peguy, posso imitare Dio veramente. Perché ci è dato, a che serve il mondo, la vita? Per vivere? No! Per morire, per darla in un gesto gioioso e totale. La memoria di Cristo risorto mi permette di dare tutta la vita.

“Le mie pecore conoscono Me, io le conosco ed esse mi conoscono”.

E’ la conoscenza di Cristo risorto che mi toglie la paura e mi permette di offrire tutta la vita. Siamo amici se ci aiutiamo a tenere lo sguardo fisso su Gesù risorto.

Senza questo saremo contratti, non daremo mai la vita a niente e a nessuno. Allora non piaceremo a Dio, non piaceremo a nessuno, non piaceremo neanche a noi stessi.

[09/05/2017, 14:39:41] Frankie: Omelia del funerale del babbo della nostra amica Manu, il Sig.re Giuseppe Bressan.

“Non ci ardeva il cuore nel petto?”

Ricordo la prima volta che ho conosciuto veramente Giuseppe, perché gli ardeva il cuore nel petto. Prima lo conoscevo di vista, ma non lo conoscevo, ci si salutava ma non lo sapevo che cosa aveva nel cuore. Ricordo benissimo la scena vicino a casa sua nel cortile dell’Arcivescovado. Mi era stato chiesto in quel tempo – avevo già due parrocchie sull’Appennino e una scuola con 18 classi all’ITIS, ero pieno di lavoro – mi era stato chiesto di prendermi a cuore un migliaio di giovani universitari, nei primi anni Novanta, che erano qua da tante parte d’Italia e dall’estero sballati, mi avevano chiesto di accompagnarli, di essere per loro padre. E io, di fronte a questa cosa, avevo chiesto ad alcuni sacerdoti amici della Romagna che venissero ad aiutarmi a confessare, a darmi una mano con questi ragazzi per alcuni anni. E ricordo benissimo che avevo appena celebrato la messa in Cattedrale, ed ero nel cortile, con questo cortile pieno di un migliaio di ragazzi e poi c’erano questi 6 o 7 sacerdoti amici. E mi ricordo che lui venne lì, con gli occhi infiammati, e ci guardava, mentre noi scherzavamo con tono gioioso, e vedeva che ogni settimana c’era questo spettacolo. Venne lì e disse: “Voi sette otto preti dovete venire a casa, dovete venire a casa mia”. Ha costretto la moglie a prepararci il pranzo di tanto in tanto. E si coinvolgeva con noi come se dicesse: “Ecco, ecco quello per cui ho dato la vita, quello per cui io vivo, io dedico la mia vita nel servire Cristo e la Chiesa! – faceva il portinaio ed era l’autista del Vescovo – Ecco io ho in cuore quello che avete voi, io ho la stessa gioia che avete voi, mi dedico a ciò a cui vi dedicate voi, abbiamo nel cuore lo stesso fuoco”. E ogni tanto ci voleva. Poi da quella volta, quando mi incrociava, mi veniva sempre incontro con tono deciso e gioioso perché “io sono dedicato alla stessa cosa a cui siete dedicati voi”. Ecco che cosa bruciava nel cuore di Giuseppe. Mi bastò quello per capire che tipo di uomo era e da allora è nata una amicizia con lui e la moglie, analoga a quella che avevo da prima con Manuela.

L’altro flash, della stessa potenza di questo qui, è di tre giorni fa quando gli ho amministrano l’Unzione degli Infermi in ospedale e non lo riconoscevo più. Erano 12-15 anni che non lo vedevo, e ho visto il volto sfigurato, ormai sarebbe morto dopo due o tre ore, distrutto dal dolore e dalle sofferenze e fisicamente non lo riconoscevo, quella faccia che avevo conosciuto con ben altra luce e con ben altro fuoco! E ho cominciato a dire, mi bruciavano queste parole che abbiamo sentito in San Paolo: “La creazione geme e soffre e anche noi gemiamo aspettando la resurrezione del nostro corpo”. Lo guardavo e dicevo: questo non è il nostro destino, non siamo fatti per finire così, non è questo il nostro destino, noi non siamo nati per finire così. Il nostro cuore, che gli ho visto bruciare in petto a Giuseppe, è fatto per altro, il nostro destino è un altro! Le sofferenze del momento presente, l’agonia, che aveva addosso, sono l’attesa bruciante della Gloria, di una Bellezza per cui siamo fatti, non siamo fatti per finire così. Questo volto è sfigurato, questo volto è fatto per essere trasfigurato, non sfigurato dal dolore, ma trasfigurato dalla potenza di Cristo risorto. Così, con questo pensiero, gli ho amministrato l’Unzione degli Infermi. E ho capito a che cosa lui ha dedicato la vita lietamente e gioiosamente, aveva sempre tante battute quando ci si vedeva. Lui aveva un tono positivo della vita, la vita meritava di essere servita perché è fatta per la gloria. E le sofferenze sono imparagonabili alla gloria e questa gloria, di cui lui adesso ha cominciato a godere definitivamente, prima l’abbiamo pregustata insieme, perché, se è bello e grande dare una disponibilità – come era chiesto a lui e come è chiesto a noi – tuttavia la vita non è stata segnata e determinata dalla fatica e dal dolore, dal servizio umile e ultimamente disponibile. Era determinata da questa gioia e entusiasmo pregustato, perché il Cristianesimo non è l’attesa del Paradiso, ma è l’anticipo, in qualche modo, del Paradiso in terra. Dentro la fatica e il dolore può già trapelare l’inizio del Paradiso.  Questo io ho condiviso con Giuseppe.

Questa esperienza è per tutti, tutti quelli che incontrano Cristo possono pregustare il Paradiso in terra, possono essere lieti, dedicarsi a servire Cristo nelle persone che gli sono date da servire, sia fare il portinaio o l’autista del Cardinale, sia qualunque altro servizio. Si può fare, si può sperimentare questo, ma ad una condizione, una sola. L’unica virtù veramente necessaria per essere Cristiani non è una virtù morale, essere bravi e capaci – si fa quel che si può e quando si cade ci si rialza – ma è una virtù conoscitiva e affettiva: “Ha sete di Te l’anima mia, a Te anela la mia carne”. È una sete e un anelito, una coscienza che siam fatti per una bellezza infinita per cui non ci definisce il dolore e il limite di questa vita. É volere ciò che sazia quella sete, è volere ciò a cui tutta la carne vibrante anela. Per cogliere Cristo occorre la fame di Cristo, la sete di Cristo. Occorre, per dare la vita a Cristo e alla Chiesa, occorre avere fame e sete, se no si perde l’incontro che si è fatto. Ricordo quando a Giovanni Paolo II, commentando il tradimento e l’abbandono di un grande prelato della Chiesa, fu chiesto: “Ma come fa ad abbandonare la Chiesa un cardinale di Santa Romana Chiesa? Perché uno può abbandonare ed andarsene via? Cosa ci vuole per rimanere fedeli a Cristo e alla Chiesa?” E lui disse una frase che è rievocata da questa fame e sete. Disse: “Ci sarà fedeltà a Cristo e alla Chiesa, dedizione totale a Cristo e alla Chiesa, la gioia di dedicarsi a Cristo e alla Chiesa, solo se si troverà nel cuore di quell’uomo una domanda a cui solo Cristo è risposta”.

[10/05/2017, 18:57:13] Frankie: “Riservate per me Barnaba e Saulo, per l’opera alla quale li ho chiamati”

Riservate per me, metteteli da una parte. Quei due si guardano, ognuno guarda se stesso e dice: “ma perché ha scelto me?”, guarda l’altro, siamo come gli altri non abbiamo capacità particolari. E io cosa centro con te? Non c’è niente che mi sbatte con te, io e te abbiamo in comune solo il fatto che Lui ci ha scelti. Per capire perché noi due, perché insieme abbiamo un’unica possibilità: guardare in faccia Lui.

“Su di noi faccia splendere il Suo volto”

Esponga il Suo volto, c’è una luce che spiega perché ha scelto noi due e ci ha scelto insieme e guardano a Lui per capirci qualcosa perché se guarda a se stesso si confonde, non avevano niente in comune. E cosa vedono in faccia a Lui? Chi vede me non vede me ma Colui che mi ha mandato, vedono la luce del volto di un Altro e guardano in faccia quest’Altro che si rispecchia nel volto di Gesù e vedono il volto del Padre pieno di una preferenza assoluta. Li guarda con una stima, con un’ammirazione, con una tenerezza e dice al mondo “tu sei il mio figlio prediletto, il preferito”. E allora perché hai scelto noi? Solo noi? No perché preferisco tutti cosi, a voi vi preferisco prima degli altri perché siate cosi felici che io vi preferisco che andiate a dirlo ad ogni uomo che Io preferisco ognuno in modo unico. Un padre e una madre hanno una preferenza unica per ogni figlio che non è assolutamente esclusiva, è inclusiva. E allora capisco che cosa vuol dire metteteli da parte, “riservate”
per me”: “ΑΦορίσατε” in greco, da cui viene “orizzonte”, date a questi due un nuovo orizzonte di vita e qual è questo orizzonte, ben più grande di quello che io avevo? È un nuovo scopo della vita, una nuova opera, l’opera per la quale vi ho chiamato, vi ho chiamato solo prima degli altri affidandovi il compito di andare a chiamare gli altri. Quello che per gli altri è lo scopo della vita, l’obiettivo della vita per noi sono condizioni, gli strumenti, le modalità ma lo scopo degli scopi, l’opera per cui far tutto è di portare questa preferenza unica, inclusiva ad ogni uomo. Non è che sanno sempre cosa fare, sbaglieranno mille scelte ma sanno sempre per cosa fare quello che fanno e sapendo per cosa fare tutto sono liberi di correggere in un istante la scelta sbagliata. Noi quando siamo confusi su noi stessi, quando ci sentiamo sbagliati, quando non capiamo cosa abbiamo in comune con gli altri, abbiamo un’unica possibilità di capire qualcosa, come Saulo e Barnaba quel giorno: “su di noi faccia splendere il Suo volto”, altrimenti noi siamo in confusione totale. Ogni mattina a gridare che risplenda su di noi il Suo volto per scoprire la struggente, perentoria, entusiasmante preferenza per cui siamo stati riservati come Saulo e Barnaba quel giorno per portare ad ogni uomo la Sua preferenza.

[19/05/2017, 11:42:08] Frankie: *Questa omelia è meravigliosa*.

“Non voi avete scelto me, ma Io ho scelto voi.”

Io sono qui perché scelto: l’iniziativa è di un Altro.
L’immane storia che fa la mia vita dipende dalla scelta di un Altro, non ci sarebbe – mi viene lo sgomento a pensarlo – se Lui non mi avesse scelto. Tutto dipende da quella scelta! La grandezza della mia vita è tutta sospesa alla Sua scelta nei miei confronti: “perché mi hai scelto?”
Se guardo a me stesso non trovo niente per cui Tu mi dovessi scegliere. Se Te lo chiedo, guardando ancora a me stesso, non mi dici niente, come ogni innamorato che non sa dire perché preferisce quello o quella!
Se lo dice o fa ridere o fa pena… Non lo sa! Ma se ti chiedo, non perché hai scelto me, ma: “perché mi hai scelto?”
Tu mi dici lo scopo della scelta, che non è in me, è nel tuo cuore: perché portiate frutto.
Ma perché la mia vita porti frutto non basta la Tua scelta. Occorre che io l’accetti, che io scelga Te, che io metta il cuore nello scopo per cui Tu mi hai scelto; per essere amato, per essere scelto, basti Tu… Ma perché la mia vita porti frutto, perché sia feconda, perché sia grande non basti Tu! Se anche io non Ti avessi scelto non avessi messo il cuore nello scopo per cui Tu mi hai scelto, la mia vita non sarebbe grande. Quando io non sono felice, vedo la mia vita sterile, infeconda – per grazia di Dio non accade quasi più! – non è perché io non sono amato, perché non sono scelto e preferito, ma perché io non amo, perché io non scelgo a mia volta, perché la felicità è un matrimonio fra la Tua grazia e la mia libertà. Non mi basta il tuo amore la Tua scelta per farmi felice!

Non sono felice solo perché sono scelto e amato – è una stupidaggine infantile – io sono felice quando sono fecondo, quando portò molto frutto, quando vedo che il frutto della il vita rimane nel mondo e fa un mondo nuovo, un mondo eterno. Solo questo mi fa felice! Ma perché accada questo non basta la tua scelta, occorre la mia! Occorre la mia libertà. Nessuno nel mondo stima tanto la mia libertà come la Tua scelta. È stupido contrapporre!
Tu mi hai scelto per farmi libero: “non vi chiamo più schiavi ma vi ho scelto per farvi liberi” e vi faccio liberi perché Io vi faccio conoscere ciò che ho ricevuto dal Padre.

Ogni giorno la mia vita ridiventa feconda, io divento libero e fecondo, se c’è quella conoscenza se approfondisco la conoscenza del Tuo segreto, del segreto del Padre; tutto si alimenta nel rinnovarsi della conoscenza.

[22/05/2017, 14:09:57] Frankie: Omelia di stamattina

“Una cosa sola ho chiesto al Signore, questa sola io cerco”

Da mattina a sera, oggi, qui ognuno viene qui con in cuore una cosa sola, una pena in cuore, un desiderio che ti prende e viene a domandare a Dio attraverso Santa Rita la grazia che gli sta a cuore. E già questa è una rivoluzione nel mondo di oggi.
Trasformare una pena, un dolore, un desiderio, in una domanda.
La maggior parte si lamenta, reprime il desiderio, protesta, ma poi non ha nessuno a cui domandare, a cui chiedere.
Qui oggi passa un popolo di gente che trasforma la pena, il desiderio, in una domanda, in una domanda a Dio attraverso Santa Rita.
E alla sera cosa succede? Che qualcuno ha avuto la grazia precisa che domandava e molti altri no.
Esattamente come quando le folle andavano da Gesù a domandare la pena, la risposta alla pena che avevano in cuore. Ogni tanto qualche miracolo succedeva, la maggior parte non otteneva quella cosa.
E Gesù, a chi aveva avuto il miracolo, proibiva severamente di parlare in giro e diceva guardandolo negli occhi:”La tua fede ti ha salvato” non il miracolo che ti ho fatto. Nessuna grazia, nessun miracolo mette a posto la vita a nessuno.
Saresti ben meschino a pensare che quel miracolino che ti ho fatto ti mette a posto la vita. Non senti come brucia il tuo cuore? Che di ben altro hai bisogno?
La vera grazia non è quella che Santa Rita ci farà, quella che le abbiamo chiesto, la vera grazia non è ciò che Santa Rita fa, ma ciò che Santa Rita è.
La grazia è incontrare una donna come Santa Rita che la guardi e pensi a Dio, la guardi e ti metti davanti a Dio, la guardi e ti dici che la risposta al tuo cuore è Dio.
Le vere grazie non sono quelle che i santi fanno, ma quello che i santi sono, uomini che sono segni di Dio, che ti danno la certezza che Dio c’è e che Dio realizza totalmente il desiderio del tuo cuore.
La vera grazia è la fede.
La vera grazia è avere degli amici pieni di fede, avere dei santi come amici. Questo noi domandiamo e
questa Dio ce la fa sempre, le altre ce le fa se vuole lui, se sono una distrazione non ce le fa, ma la grazia che ci dà sempre è che ci dà la certezza che Lui c’è e che compie il desiderio del cuore totalmente regalandoci la compagnia di uomini e di donne come Santa Rita che ogni giorno, ogni istante della vita ci permettono che sia utile ogni istante, ogni pena, ogni desiderio, con le sue domande.

[23/05/2017, 21:39:31] Frankie: Omelia di oggi

“È bene per voi che io me ne vada”

Come “è bene”?
Tre anni, la cosa più bella che abbiamo incontrato sei Tu, per Te si è lasciato la famiglia, il lavoro. Ti vogliamo dare la vita: che bene è che Tu te ne vada?

“La tristezza ha riempito il vostro cuore”…Meno male, non siamo masochisti! Non ho trovato un dialogo più sconcertante del Vangelo di questo. Ma che bene c’è che Gesù se ne vada?
Non capiscono: “Se non me ne vado non verrà il Paraclito”, lo Spirito, e non “dimostrerà la colpa del mondo”. Ma che colpa ha il mondo? Che cos’è questa colpa del mondo che voi non vedete, che io non vi posso dimostrare? Solo lo Spirito folgorerà il vostro sguardo e vi dimostrerà la colpa del mondo.

La colpa del mondo è una sola: di bastare a se stesso. Ma non capite che è un carcere il mondo?
No, Tu sei tutto per noi! Questa è la più grande menzogna, dire che Io non sono tutto. Io non sono tutto, Io sono Figlio, sono segno del Padre, il tutto è l’Origine, è il Padre, non sono Io.
Se vi fate bastare il mondo, se vi fate bastare Gesù, sarete nell’inferno.

“Il principe di questo mondo è già condannato” se Io me ne vado, perché il principe di questo mondo fa il regno di questo mondo, ma il regno di questo mondo – cioè che il mondo è tutto, che il mondo basta – diventerà un inferno.
Quando noi diciamo che Gesù è tutto diciamo la più grande bestemmia: Gesù non è tutto, Gesù è figlio del tutto, è segno del tutto. È venuto per farci guardare il mondo come lo guarda Lui, per farci guardare il cuore nostro come lo guarda Lui, per farci guardare Lui come Lui ha coscienza di Sé. Se noi, guardando e toccate il mondo, guardando e toccando Gesù, guardando e sentendo il nostro cuore, non gridiamo al Padre, non vediamo l’ora di arrivare al Padre, non è vero che guardiamo, non è vero che tocchiamo, siamo superficiali, siamo ottusi.

“Manderò lo Spirito che vi guiderà alla verità tutta intera”

Lo sconcerto che abbiamo noi questa mattina, lo sconcerto degli Apostoli si risolve soltanto mettendosi in ginocchio e gridando: “Vieni Spirito di Cristo, dacci lo sguardo di Gesù, dacci il sentimento di Gesù, facci sentire il grido del Padre, facci sentire che questo mondo, con solo Gesù è un inferno”.
Questo mondo deve essere come sfondato. Questo è l’unico punto in cui hanno ragione i fondamentalisti, sul resto hanno torto (sulle conseguenze che vedranno), ma nel dire che questo mondo non basta, che neppure Gesù è tutto, che solo Dio Padre è tutto hanno ragione. Noi questo non lo sentiamo, lo sentiamo esagerato, cerchiamo di aggiustarci.
“Vieni Spirito Santo, guidaci alla verità tutta intera”, liberaci dalle briciole della vita, dacci lo sguardo di Gesù, il tocco di Gesù, il sentimento di Gesù. Soltanto quando sarai venuto a Pentecoste sentiremo che Gesù è vero e Lo guarderemo per quello che è, saremo contenti che vada al Padre, e avremo il desiderio di andare al Padre e questo mondo non sarà più un carcere, sarà trasparente come i muri che diventano trasparenti, che fanno vedere il panorama che c’è fuori, le finestre che si spalancano e ci faranno respirare. Che distanza, che lontananza la coscienza di Gesù dal sentimento a cui il mondo ci costringe in quest’aria cupa, greve, ottusa, meschina.

[24/05/2017, 20:51:19] Frankie: Omelia di oggi

“I cieli e la terra sono pieni della Tua Gloria”.

Ma i nostri occhi non sono pieni della Tua Gloria, della Tua Bellezza.
Guardiamo il cielo e la terra ma, normalmente, i nostri occhi non sono pieni della Bellezza ma di ben altro, che ci intristisce, che ci spegne. Perchè?

Perché non vediamo la Tua Bellezza nei cieli e nella terra, perché abbiamo davanti agli occhi un altare con l’iscrizione ad un Dio ignoto.

Se Tu sei ignoto, tutto ci è ignoto, se Tu non hai volto, di Te abbiamo paura, ci sei estraneo, ci difendiamo.

Perché Tu sei il Creatore di tutto, se è ignoto Dio tutto è ignoto, non si può amare l’ignoto non si può abbracciare l’ignoto, fuggiamo via, resta la superficie delle cose che non è apparente ma indipendente.

Quando siamo spenti, siamo confusi la vita non ci prende è piatta, quando abbiamo confusione anche su noi stessi, ci sentiamo estranei a noi stessi, non riusciamo a volerci veramente bene, a vedere la Bellezza nella nostra vita, siamo paralizzati, spenti, inerti, possiamo pure andare dallo psicologo che ci fa pure bene – i meccanici sono sempre utili! – ma ultimamente è perché ci sei estraneo Tu, perchè ci è estraneo il Mistero che fa le cose, che la persone, che fa me stesso, se Lui è estraneo tutto è estraneo.

Se non risplende Lui, non risplende niente, neppure io ai miei occhi.

“Quello che è ignoto, che voi cercate come a tentoni, Io ve l’annuncio”.

Ecco lo struggimento l’urgenza bruciante di ogni giorno: una voce che me Lo annunci, dei segni, delle parole, dei legami, delle persone, dei volti che rendano noto il Dio ignoto, che me Lo facciano vedere in faccia, perchè tutto possa risplendere, perchè i cieli e la terra siano pieni della Sua Gloria!

Ho bisogno di segni, non tutti i segni sono uguali ed indicano la medesima direzione, alcuni vanno in profondità, molti vanno in superficie, ti fanno deviare, volar via.

Le parole non sono tutte uguali: ci sono parole che confondono, che si ossessionano su un particolare, sulla superficie; ci sono parole che vanno in fondo rendono noto il Suo volto e tutto diventa mio.
I rapporti non sono tutti uguali.

“Ma tu sei amico di tutti”- mi disse una persona -“No, amo tutti ma non seguo tutti!” Non tutte le amicizie sono uguali, so ben distinguere chi mi fa intravedere il Tuo volto e chi me ne allontana.
Chi io voglio seguire chi invece deve lui seguire me, eventualmente!

[25/05/2017, 11:56:48] Frankie: Omelia di oggi

“Davide convocò tutto Israele per trasportare l’arca”

Una cassa di legno dove vi erano i segni dell’esperienza di Mosè.
La legge, il bastone di Mosè, le cose più sacre che Davide aveva da costudire.
Dopo 1000 anni, l’arca non è una cassa di legno ma il corpo di una donna, Maria. L’umanità di una persona.
E non ci sono i segni dell’esperienza di Mosè ma c’è il Mistero stesso che diventa Uomo.
Maria si rende conto di questo e dice: “Lo sguardo del Signore è sopra di me” e il Suo Sguardo cambia la mia faccia”. Da quando Lui mi guarda, e mi vede portatrice della Sua Presenza nel mondo, io non sono più io: la mia vita esplode, io sono il luogo, l’umanità, la carne, il pensiero, la volontà, la libertà. Tutta la mia umanità porta Lui nel mondo: questo è il mio valore, ero fatta per questo, questo è il mio compito!
E guarda ogni persona che incontra dicendo: “anche tu sei fatto per portare Lui nel mondo, la tua carne la tua umanità vale quanto la mia”.
Ogni persona del mondo è fatta per questo, per essere come Maria.
Guardarsi così fa esplodere il sentimento, l’entusiasmo di Elisabetta: “Beata Colei”, del feto che esulta nel seno, e di Maria: “L’anima mia magnifica!”.

Quando noi non abbiamo questo sentimento esaltante della vita è perché ci guardiamo con il vecchio sguardo, non ci guardiamo come ci guarda Lui, per quello che portiamo addosso, che siamo destinati a portare addosso.
Quando non stimiamo le altre persone è perché non le guardiamo riconoscendo il compito per cui per cui sono state fatte: il nostro, quello di Maria. Quando le cose sono inutili, quando non sappiamo che farcene di tante cose e perdiamo il senso e l’utilità delle cose è perché dimentichiamo questo, perché per questo compito tutto è utile, tutto è splendido, tutto è interessante, non c’è più una cosa o un istante da buttare.
La nostra sfida al mondo – tutto preoccupato di mille cose particolari, di mille cose penultime – è mostrare al mondo lo sguardo sulle cose ultime, sulle cose definitive, sulle cose che definiscono il valore della persone: le cose che fanno la storia di Dio, che viene dentro il Suo mondo a svelare ad ogni uomo il perché di essere stato voluto.

[26/05/2017, 20:34:53] Frankie: Omelia di oggi

“La vostra tristezza si cambierà in gioia”;
“Il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia”
“Per la gioia che è venuto al mondo un uomo”.

Non ci sono parole più luminose per evidenziare il volto e il cuore del santo che festeggiamo oggi: San filippo Neri.
Il santo dell’umorismo, l’inventore dei frizzi, l’ironia buona che vede il limite di ogni cosa e grida di gioia.
Nel secolo dell’era moderna più lacerante per lo Stato e per la Chiesa: il ‘500,
a Roma arrivano i Lanzichenecchi, il sacco di Roma. Nel cuore della Chiesa cattolica avviene la lacerazione più devastante, la riforma protestante. Sono tutti disperati, o cinici o stupidi.
Lui ha fondato l’oratorio, un movimento che c’è ancora, preso ad esempio da altri grandi santi, come don Bosco che inventò la Società dell’allegria ispirandosi a lui, e il grande cardinale Newman che si converte e vuole entrare nel movimento di San Filippo Neri perché il suo metodo era cantare e contar barzellette per strada.
Girava per i rioni di Roma dove c’erano i bulli, i delinquenti, i poveracci, c’era di tutto, quelli che nessuno voleva, e ha fondato delle comunità, ha creato un movimento che c’è ancora dopo 500 anni.
Il suo segreto è una gioia incontenibile, un’ironia incontenibile, canti e barzellette erano la sua pastorale.
Tutti vedevano nero e piangevano o erano cinici oppure si distraevano – è di quell’epoca la sensibilità “chi vuol essere lieto sia, non pensiate” -; lui invece guardava il mondo e aveva un motivo di gioia incontenibile, nonostante vedesse le cose che vedevano gli altri.
Qual è la differenza fra la gioia di Cristo e quella del mondo? Il mondo si rallegra e voi piangete e viceversa, due ragioni opposte. Il mondo guarda le cose, adora alcune cose da cui si aspetta la gioia, la sprizza tutta, poi quando si accorge che le cose deludono le butta via, come le altre, non valgono più niente.
Filippo Neri, l’uomo di fede che riconosce Cristo risorto, non adora le cose, no!

“Acclamate Dio con grida di gioia”

Non acclama le cose, acclama Dio. E Dio c’è sempre: “Io sarò con voi per sempre”, la gioia perchè è nato al mondo un Uomo che non muore più, Gesù risorto: questo è il motivo della gioia.
E le cose che fine fanno per un cristiano? Mentre chi non riconosce Cristo prima le adora e poi le butta via, per San Filippo Neri e per l’uomo di fede, le cose sono creature di Dio: sono tutte belle e tutte limitate, tutte fanno gioire ma tutte hanno un limite, sono tutte buone e care perchè sono tutte segno di Dio.
Abbiamo proprio bisogno dell’Ascensione di Cristo e dello Spirito Santo che ci aiuti a bucare l’ottusità dello sguardo del mondo, che ci dia lo sguardo vero, che fa gioire sempre anche quando le cose vanno male; perchè la ragione della gioia non è come vanno le cose, ma è che è nato dentro al mondo un Uomo che non muore più: Cristo risorto.

[29/05/2017, 08:20:57] Frankie: “Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo?”

E dov’è che dobbiamo guardare?
La terra, ma cos’è la terra senza di Lui? Tre anni, casa, moglie, figli, lavoro, amici, tutto, ci ha preso tutto: non ci ha tolto tutto, ci ha preso tutto e ce l’ha reso cento volte più bello. È per questo che in questi tre anni più seguivamo Lui e più tutto era cento volte più bello. Cos’è la terra senza di Lui?
Viene l’angoscia solo a pensarci di tornare a guardare la terra dove Lui non c’è più.
Ma chi l’ha detto che Lui non c’è più?

“Fu elevata in alto una nube che lo sottrasse ai loro occhi”

Non al loro essere. Ma chi l’ha detto che non c’è più solo perché è sottratto a tuoi occhi, solo perché tu non lo vedi più? Ma chi lo dice che i tuoi occhi sono la misura della Sua presenza, che Lui dipende da come lo vedi? Ma chi l’ha detto?
Nella mia vita più si riduce la luce degli occhi e più lo vedo chiaro. La conoscenza, la Sua presenza e la mia conoscenza di Lui, starei fresco se fosse legata alla misura in cui è presente ai miei occhi o la nube del buio Lo sottraesse ai miei occhi.

Dopo duemila annni è più presente che mai.

“Sarò con voi tutti i giorni fini alla fine del mondo”

Evidentemente non davanti ai vostri occhi, sarò con voi per farvi conoscere, godere, amare le medesime cose che io ho fatto, conosciuto, goduto e amato, anzi “ne farete di più grandi” è stata la sua promessa.
Dopo duemila anni devo dire che ne ha fatte di più grandi, e che io, che non l’ho visto con i miei occhi come i discepoli per tre anni e 40 giorni, non L’ho visto meno di loro.
Devo ammettere che io non invidio Pietro, Paolo, la Madonna e nessuno di loro. Non ho vissuto e non ho capito di meno, io ho capito di più, vedo di più. Io ho 2000 anni di esperienza di Cristo, di conoscenza di Cristo, di godimento del centuplo dei milioni di cristiani di 2000 anni che loro non avevano. Avevano le briciole che avevano visto loro. Briciole così piccole e così fragili che, dice il Vangelo, “Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono”.
Non bastava averlo visto, prostrarsi, Lo volevano toccare, come Maddalena che Lo stringeva: non bastava questo per togliere i dubbi. La presenza fisica, visibilmente fisica, non è quella più adeguata, non è la meglio. Io posso dire che ho visto ben di più, ho una conoscenza ben più profonda e più chiara, più alta. Ho strumenti di conoscenza, di espressione di quello che ho detto, molto più di loro.
È stato con me per duemila anni e ha realizzato la Sua promessa in un altro modo, ben più alto, più profondo e potente della visione diretta: il modo migliore di conoscere non è che lo veda con i miei occhi, posso vedere con i tuoi per esempio, e puoi vederci molto più di me: gli autisti che mi portano in giro con la macchina ci vedono certamente più di me. Ma nella vita non è mica detto che la conoscenza migliore sia quella degli occhi, sia quella personale diretta, che sia quella più compiuta. C’è una visione ben più profonda, oltre l’apparenza, perché l’ascensione al cielo non è al cielo astronomico, non ha mica quel significato la nube in cielo, no. Non è l’alto nel senso astronomico, ma nel senso metafisico: vuol dire bucare l’apparenza, penetrare l’apparenza, affrontare la conoscenza metafisica, arrivare all’essere, all’origine di ciò che appare, è la dimensione verticale, giù e su, su e giù è uguale, è la profondità della realtà. Dopo duemila anni io ho questa possibilità di conoscenza.
E allora l’avventura della vita, come dice questo salmo, “Dio è re su tutta la terra”, oggi è re della mia vita, è re della tua vita.
L’amicizia tra noi è raccontarci come dopo duemila anni, senza più vederLo direttamente, Lui é diventato re della mia e della tua vita, sta diventando re di tutta la terra, in un modo misterioso, io come stia facendo non lo so, ma so che lo fa. Il problema non è che io sappia come, il problema è che accada. L’amicizia tra noi è raccontarci, testimoniarci, testimoniare al mondo, come dopo duemila anni noi possiamo guardare la terra come la guarda Lui, conoscere e amare la terra come la conosce e la ama Lui, senza bisogno della visione personale diretta.
Che sfida! Oggi uomini con questa certezza dentro questo mondo, che non ha meno bisogno di ciò di cui ebbe bisogno allora, di ció per cui Lui venne allora.

[29/05/2017, 12:08:31] Frankie: Omelia di stamattina

“Nel mondo avrete tribolazioni”
Il mondo – cosmos in questo contesto non vuol dire la natura, che quella l’ha fatta Dio e va benissimo, ma vuol dire “la società”, cioè la vita ordinata senza Dio – il mondo vi fa tribolare perché il mondo chiude il cerchio, dice che la realtà si riduce a ciò che l’uomo può fare, può mettere in ordine, non c’è nient’altro oltre quello, niente altro da quello.

“Voi invece cercate le cose di lassù”.
Cercate, desiderate audacemente una pienezza che il mondo non vi può dare, perciò sfidate, date una sfida, inquietate.
Il Mondo perseguiterà sempre i Cristiani ultimamente per una ragione: perché sono troppo audaci nei desideri, perché desiderano cose che la società non dà, che l’uomo non può produrre, che implicano Dio.

“Ma io ho vinto il mondo”, ho rotto l’accerchiamento. Anche voi, ad un certo punto, mi farete tribolare, sarete contro di me, mi darete del danno, dovrò prendere le  distanze da voi, vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo. Sarebbe successo di lì a qualche ora.
Ma non temete, abbiate coraggio: “Io ho vinto il mondo”, perché il Padre è con me.
La mia certezza, la mia libertà non dipende dal mondo, ma neppure da voi.
La mia forza, la mia certezza, il mio volto, la chiarezza della mia coscienza dipende dal mio rapporto con il Padre.
Il Padre è sempre con me per la semplice ragione che è quello che mi sta facendo in questo istante. Fin che esisto, sono in compagnia. Se il Padre scomparisse, scomparirei pure io.
Sono in compagnia per il fatto che ci sono, punto e basta!

Quando voi siete in confusione, quando il mondo vi fa perdere la tramontata, quando vi sentite persi, è perché vi concepite soli, perché dimenticate che siete sempre al mondo perché un Altro vi sta creando, sta creando il vostro essere in questo istante.
Il segreto della pace e della libertà è che voi vi immedesimiate nella mia coscienza.

[30/05/2017, 10:13:20] Frankie: Omelia di stamattina

“Ti ho glorificato sulla terra compiendo l’opera che mi hai dato da fare”.

Sono al mondo per un’opera. La mia vita non è per niente, il tempo della vita mi è dato per scoprire l’opera che devo realizzare.
Quando sento che il tempo è inutile, mi sento frustrato o sbagliato è perché ho sprecato il tempo in altri obiettivi invece che a scoprire
e a realizzare l’opera per cui sono stato voluto al mondo.

Qual è questa opera?

“Padre, glorificami davanti a Te con la gloria che io avevo prima che il mondo fosse”.

L’opera non è un’opera, l’opera di una persona non è una cosa da fare fuori di me, ma è da fare in me, realizzare in me.
Glorificami, realizza la mia bellezza e grandezza!
Siamo in un mondo di “sbaricentrati”, persone che hanno il baricentro fuori, sono proiettate su delle cose da conquistare o da fare e perdono se stesse.
Le cose sono solo strumento per scoprire me stesso, conquistare me stesso, prendere coscienza di me, conoscere la mia grandezza e amare la grandezza della mia persona.
Cristo ha riportato il baricentro dentro ogni singola persona. L’opera più grande del mondo sei tu: se conquisti tutto ma non conquisti te sei perso.
L’uomo che ha raggiunto la sua grandezza, la sua gloria che sa che cosa vale la sua vita è pieno del suo stare al mondo, grato di essere al mondo e il mondo diventa suo.

Infatti, il sintomo che l’uomo ha realizzato questa opera per cui è al mondo – e la può realizzare in qualsiasi punto fosse anche crocifisso sulla croce di una malattia invalidante per tutta la vita – è che ha il potere di conoscere e di amare, non di fare.

“Mi hai dato il potere su ogni essere umano. Ed io l’ho dato a loro”.

Non è il potere antropologico, non ce l’ha neanche Dio! Da quando ha fatto gli uomini liberi non ha più il potere sul loro essere, sul loro comportamento.

Qual è il potere di Cristo?
Il potere che viene dato, il sintomo che io ho scoperto me stesso e ho realizzato me stesso è il potere della conoscenza e dell’amore dell’uomo nuovo.
Che guardo un uomo e lo capisco, guardo un uomo e lo amo.

Ho il potere di dare la vita eterna a coloro che mi hai dato.
Io ho il potere di conoscere e capire, guardare negli occhi e scoprire qual è il fuoco che ha dentro, di che cosa ha bisogno.
Siccome io l’ho scoperto glielo posso offrire. Posso dare la vita da quando la vita eterna ha fatto irruzione nella mia vita.

Noi siamo stati scelti dentro, questo mondo, per ribaltare la storia del mondo, per ricominciare con un nuovo big bang la vita degli uomini, mettere al centro ogni persona, ogni essere umano con il suo io.

Come faccio io a capire un altro, ad amare un altro a scoprire la gloria di un altro e a offrirla?
Se l’ho scoperta io. E dove io l’ho scoperto lo so. Perché se siamo qui da anni e anni a seguire la Chiesa a seguire Cristo nella Chiesa è perché il nostro io, in qualche mod,o non è più come all’inizio,
non è più come prima, ha fatto dei passi alla scoperta di sé, alla realizzazione di sé. Si tratta soltanto di andare in fondo a questa strada, magari con un’accelerata, perché il tempo è breve!

[31/05/2017, 11:10:45] Frankie: Omelia di oggi nel giorno della Visitazione!

“Il bambino sussultò nel grembo”, “Il mio spirito esulta tutto nel Signore”. Questa è la fede cristiana: un sussulto, un’esultanza, una vibrazione di tutto l’umano. Non è una dottrina scritta, una regola, un rito. E’ come la differenza tra la musica scritta in uno spartito e la musica suonata. Il cristianesimo è una fede incarnata, è una musica suonata, è lo strumento che vibra: il mio umano, tutta la mia umanità vibra.
Come ad Ain Karem quel giorno: l’umanità di Maria, di Elisabetta, del feto dentro la pancia di Elisabetta. Tutto vibra! Tutto vibra fino alle viscere! Questo è il cristianesimo. Colpisce l’umano, lo fa vibrare. Dove nasce questa vibrazione, questa musica di cui tu sei lo strumento?
Questa gioia, “beata colei che ha creduto”. La beatitudine, questa gioia, una vibrazione incomincia quando tu hai creduto all’annuncio che ti è stato fatto: ti è stato detto che Dio voleva usare te per suonare la Sua musica nel mondo. E hai detto “si, ecco la serva”. Io ho detto si, quando è tornato Zaccaria e mi ha detto che si poteva concepire, così vecchia e sterile. Il bambino non capisce, ma di fatto vibra dentro di me, con me. Incomincia da un atto di fede personale. Lì incomincia la gioia, ma è troppo piccola, è troppo piccola. Uno non può suonare e poi dire “ho suonato”, quando la impari e ti immedesimi, devi suonare con qualcuno e per qualcuno. La gioia che gioia è se te la godi da solo? Non è veramente gioia. Sai di poter dire “suoniamo insieme per tre mesi questa musica”.
Immaginiamoci che cosa vuol dire per quelle due donne, e poi Zaccaria, e poi il bambino che nasce, con la coscienza che Dio entra nel mondo attraverso di te, vuole suonare la Sua gioia nel mondo usando tutto della tua umanità.
Ma dopo tre mesi torna a casa, perché quella gioia è cresciuta tanto, dentro, che se la vuole suonare a casa, vuole suonarla con Giuseppe, deve suonarla dentro le faccende quotidiane, tutta la vita. Perché uno ha bisogno del quotidiano per suonare la musica che Dio gli fa vibrare dentro: la realtà è l’unico modo per esprimerla. Che è come se ai musicisti dai soltanto il foglio ma gli sottrai gli strumenti: come fanno a godersi la musica? La realtà sono tutti gli strumenti musicali che Dio ci dà per suonare la Sua musica nel mondo. Nulla c’è da buttare, nell’universo, per suonare quella musica.

[01/06/2017, 18:15:54] Frankie: Omelia di stamattina

“Siano perfetti nell’unità ed il mondo conosca che mi hai mandato”

Perfetto nell’unità non appena tra loro – quella è una conseguenza – ma l’unità in ognuno di loro, che ognuno sia perfetto nell’unità in se stesso, sia tutto unito, perché io sono felice quando abbraccio tutto di me, di me non c’è nulla da buttare, provo un’ammirazione per tutto ciò che fa parte di me e della mia vita, quando abbraccio te, non lascio fuori niente, ti abbraccio tutto intero, quando guardo il mondo intero, l’universo e lo abbraccio tutto. Soltanto un abbraccio totale é la felicità.
Ma come è possibile?
All’uomo è impossibile.

“A motivo della speranza nella Resurrezione sono chiamato in giudizio”

La sfida di Paolo a Gerusalemme, un’assemblea mista di Farisei e di Sadducei, le due sette più grosse del popolo ebraico; da una di quelle veniva lui, i Farisei che adesso erano i suoi nemici, i nemici dichiarati di Cristo.
La possibilità che la mia vita sia unita ed io abbracci tutto di me, di te e del mondo è la speranza nella Risurrezione che Gesù ha portato nel mondo.
Perché la morte distruggerà tutto, Gesù risorto mi ridarà tutto in modo definitivo, bellissimo e per l’eternità. Io adesso posso avere la speranza di un abbraccio totale, che tutto di me è salvato, di me e del mondo è salvato, solo se guardo Gesù risorto. Se togli Gesù Risorto dal mondo l’unità è impossibile, afferro alcune cose momentaneamente ,e poi poche perché molte non mi piacciono, e alla fine perderò tutto. La morte é la disgregazione, la divisione di tutto da tutto.
Questo é il fondamento della speranza che ci è stata offerta, cioè della felicità: che Gesù sia risorto.

Paolo si attesta su questo e li sfida su questo. Ed è così semplice, così certa, così perentoria la sua certezza, la sua sfida che l’assemblea si spacca e le alleanze si fanno e si disfano, tanto che i suoi nemici dichiarati, quelli che fecero uccidere Gesù, i Farisei, sono esattamente quelli che si schierano dalla sua parte, perché era l’unica setta ebraica che ancora sperava nella Risurrezione, nonostante fossero dei moralisti e dei pre-legalisti, avevano salvato la speranza della Risurrezione e, di fronte a Paolo, si schierano con lui. Al punto che Paolo si sente dire:

“Coraggio! Come mi hai testimoniato a Gerusalemme […] è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma”

Se sei così certo – gli dice Gesù – nel cuore della Risurrezione, adesso andrai a Roma, ci andrai incatenato, ti faranno tre processi e poi ti faranno fuori, ma tu ormai hai nel cuore una speranza che può scaravoltare il mondo, può sfidare l’Impero, può sfidare il mondo intero.
Quando noi invece non portiamo la sfida, ma siamo all’angolo, siamo imbarazzati, siamo bloccati, vediamo degli ostacoli davanti a noi, è perché non speriamo più in Gesù risorto, ma in qualcosa o in qualcuno di meno.

[05/06/2017, 12:47:01] Frankie: Omelia di stamattina

“Beato l’uomo che teme il Signore”

Il massimo di beatitudine che gli ebrei potessero immaginare. Erano saggi, intelligenti, realisti e vedevano che l’uomo che non teme il Signore, non teme nessun Dio, non teme nessuno; la fa da padrone sull’uomo, sulla realtà, sugli altri e anche su se stesso ed è violento, non ha nessun limite, nessuna regola, nessuno a cui rispondere se non il proprio capriccio.
Fa infelice gli altri ed è infelice anche lui perché uno che è violento, che non ha limiti, che la fa da padrone non è felice. Chi fa il male è infelice. Se dal cuore viene il bene è contento, se no no.
L’uomo beato invece, per un ebreo, è un uomo che teme il Signore, che ha paura della punizione di Dio, che si sottomette a Dio e Dio gli mette dei limiti, delle leggi e quell’uomo ha dei paletti, quell’uomo non fa tutto quello che vuole; sta dentro un ordine, è quasi costretto a fare il bene, non può fare tutto il male che gli verrebbe spontaneo dalla sua istintività, dai suoi capricci. E quell’uomo è un po’ più contento dell’altro, perché non fa troppo male e fa un po’ di bene anche se perché è costretto, perché ha paura del Signore, risponde al Signore.
Il massimo di beatitudine che si possa immaginare è quello di un uomo che teme il Signore.

Ma un uomo che teme come fa a essere veramente contento? Non può essere veramente leale se teme, se ha paura di un castigo, se ha dei paletti, non si esprime in nessun modo, non si esprime nel male ma non si esprime neanche nel bene. È sempre un po’ artefatto, depresso, compresso, non è mai espressivo fino in fondo, non può mai essere affettivo ed entusiasta, non puó essere splendido, non si può esprimere fino in fondo l’uomo che teme.
Gesù entra nel mondo e grida decine di volte nei Vangeli – prima della morte e spesso soprattutto dopo la Risurreziond – “non temete, perché avete paura? Non temete, abbiate coraggio, perché Dio ha vinto il mondo. Non temete, perché temete?”.
Gesù toglie totalmente la paura, toglie anche il timore di Dio, rende l’uomo entusiasta di Dio. Mette l’uomo di fronte alla bellezza, alla grandezza di Dio, all’amore di Dio e all’uomo viene tolta la paura, viene tolto ogni freno. Finalmente l’uomo si può esprimere fino in fondo, può essere attivo, espressivo, entusiasta. Può essere bello. Se non è tolto il timore di Dio, l’uomo bello in questo mondo non può essere fino in fondo. Questa è la sfida di Cristo, testimone fedele, primogenito dei morti, hai lavato i nostri peccati con il Tuo sangue.
Un uomo che è stato perdonato dal sangue di Cristo e che è di fronte al primogenito dei morti, il Primo che è tornato dalla morte, non ha più paura di niente, si può lanciare nella vita con tutto lo splendore della sua umanità, mettendo a frutto il meglio di sé.

[06/06/2017, 09:46:33] Frankie: Omelia di ieri domenica

“Un vento che si abbatte impetuoso e riempì tutta la casa e tutti furono colmati di Spirito Santo”.

Riempita la casa, riempiti dove?  Una pienezza esuberante che investe tutto, trabocca. L’impressione di quel giorno: una pienezza, una casa piena, uomini pieni, parole traboccanti, un tono incontenibile.

Questa è la prima impressione che Cristo risorto produce in quelle migliaia di persone: una pienezza. É questa pienezza esuberante, incontenibile che caratterizza la novità cristiana. Tanto che il primo gesto della fede cristiana, il battesimo, “βάπτισμα”, vuol dire inzuppare come una spugna. L’uomo è immaginato come tutto un vuoto, tutto un buco, un bisogno e, quando incontra Cristo, è una spugna che trabocca, trasuda da tutte le parti, comunque la tocchi ti bagni, ti arriva addosso una pienezza che c’è dentro. Questa è la prima impressione dell’incontro cristiano. Se non c’è questo non è fede cristiana. É la patologia del Cristianesimo. Raramente si vedono oggi dei Cristiani che ti fanno questa impressione. Un bigottismo, un moralismo, un tranquillismo, una piattezza, sono penosi. Ce ne sono ma sono rari. Ci credono con le buone intenzioni ma non sanno ciò a cui credono, non ne hanno coscienza, perché la coscienza, se ce l’hai, trabocca.

Di cosa trabocca?
Che nome dai a questa pienezza che trabocca? Ruach haQodesh, Spirito Santo. Spirito vuol dire energia vitale, fiato, energia che muove da dentro, spirituale. Ma l’energia è invisibile, incontenibile e invisibile. Qodesh vuol dire divina, santa che ha a che fare con il Mistero e il divino non è definibile. Non c’è linguaggio e non ci sono parole con cui lo possiamo dire.

E perché possiamo dire che il divino c’è, che questa pienezza è divina, è l’eterno che fa irruzione dentro al mondo? Da che cosa possiamo dire che è divino? L’albero si riconosce dai frutti. Il divino non si può definire, lo si può indiziare, intercettare se ne vedi i frutti, se vedi qualche cosa di sovrumano che l’umano non spiega. Quante volte mi accade in certi momenti, in certi rapporti, in certe esperienze di dire: “Ma ti rendi conto? Ma da dove viene questa intensità di affezione, di desiderio? Queste parole così folgoranti?” Come direbbe Dante in Paradiso XIX: “Quei lucenti incendi  / de lo Spirito Santo ancor nel segno / che fé i Romani al mondo reverendi”, è l’aquila! Ecco, l’idea che Dante ha dell’uomo nuovo è quella di un’aquila, che hai i “lucenti incendi”, ha una luce luminosa che incendia il mondo, ha l’acutezza dello sguardo dell’aquila, è capace di ghermire la realtà, come l’aquila, di afferrarla, di farla propria, dello Spirito Santo.

E poi gli viene un paragone, un paragone storico, dell’aquila che ha dominato il mondo, “che fé i Romani al mondo reverendi”, i Romani, come un paragone pallidissimo di gente che è alla conquista del mondo, come i Romani!

Che cosa fa lo spirito santo in quella folla?

“La folla si radunò”.

Uno: non può non radunarsi. É attratta, lì c’è qualcosa che ti cattura. Sono diciassette etnie diverse, uno non aveva niente che sbattesse con l’altro e si devono radunare tutti lì.

Secondo: “Rimasero turbati”. Un turbamento. Salta tutto, saltano tutti i format. Non sanno dire quello che sta succedendo ma quello che succede fa saltare tutto e li fa tutti correre lì.

E poi il miracolo dei miracoli che più mi punge questa mattina:

“Ciascuno sentiva parlare” É tradotto male. Alla fine dicono: “Siamo qui Romani, Cretesi, di tutti i tipi ma udiamo parlare ciascuno” – e poi tradotto dice – “nelle nostre lingue”, ma non è così. Dice: “ἡμετέραις γλώσσαις” le lingue materne, le lingue delle mamme “ἡμετέραις” era la mamma. Non dice: “Abbiamo capito l’aramaico”, perché Pietro agli altri parla in aramaico. Fa un discorso confusissimo, non dicono abbiamo capito…uno, due, tre, quattro…è un discorso confuso, intricato, il povero Pietro è la prima volta che parla non arriva, non porta più a casa la barca, alla fine fa la sintesi di un versetto e mezzo per dire il punto.

Non hanno capito niente del contenuto ma hanno l’impressione di questa pienezza che li cattura, che li turba e non dicono: “Il miracolo è che tutti abbiamo capito l’aramaico”. No! Pietro parla l’aramaico, ma ognuno li sente parlare “ἡμετέραις γλώσσαις” nelle lingue delle mamme, come quando eravamo bambini, che la mamma ci allattava al seno e ci insegnava a parlare e a camminare. Abbiamo l’emozione che ha un bambino quando la mamma gli insegna le prime cose. E agli occhi della mamma il bambino è perfetto, bellissimo. Il bambino è perfetto, nessun bambino si sente sbagliato, quando la mamma gli insegna a parlare e a camminare, la mamma è ammirata di lui. Abbiamo l’impressione… Pietro ci parla e noi sentiamo che ci parla e ci guarda come quando eravamo piccoli. Questo è il Cristianesimo: fa sperimentare un’unita fra gente che sarebbe estranea e nemica.

Primo, quindi, nessuna estraneità, nessuna lontananza: fa saltare tutti gli schemi, non sai spigare il contenuto, ma senti che lì tu sei a posto, tu sei perfetto, vai benissimo come sei. Quando la mamma ti guarda e ti parla e ti insegna, ti introduce nella vita, tu sei  a posto, tu sei perfetto. Sperimenti cioè la tua unicità.

Non c’è nell’esperienza cristiana la parola uguaglianza che è un ideale massonico, del settecento, violentissimo. La parola uguaglianza nel Cristianesimo non è mai un valore, è un valore l’unità e l’unicità.

Unito a quelli che mi sarebbero nemici ed estranei, ed unico al mondo. Ma tu non sei uguale, la gioia è che tu non sei uguale a nessuno. É terribile essere uguali a qualcuno. Il bambino è unico per la mamma, c’è solo lui, non c’è un altro uguale a lui e guai, è gelosissimo, se ci fosse un altro, per fortuna! Questo è il Cristianesimo, è il capovolgimento della torre di Babele a cui fa eco questa immagine: uomini che si fanno una torre, una piramide, uno ziqqurat che arriva fino al cielo, per dominare il cielo, come gli skyline di Abu Dhabi e eccetera. Questo era il sogno, c’era ancora questo sogno. E Dio che cosa fa per impedire che raggiungano la cima? Gli confonde le lingue, perché il progetto era “che abbiamo una sola lingua”. Ma una sola lingua non è un valore, è l’inferno. Perché l’espressione “faremo di tutti i popoli un solo linguaggio”, era il primo decreto che facevano le super potenze del Medioriente quando conquistavano dei popoli nuovi: impedivano di parlare le lingue materne, distruggevano la cultura dei singoli e imponevano a tutti una cultura comune che era quella dell’Impero. Dio interviene per impedire l’imperialismo, per impedire che diventino tutti uguali, per salvare la diversità dei linguaggi, per salvare che ognuno possa parlare la sua lingua, la sua cultura, che ognuno possa dire: “Io sono unico, io vado bene così, non sono sbagliato”. Quindi non è che Dio li confonde per fare un dispetto perché ha paura che gli rubino il potere, ma per impedire l’Imperialismo! La Pentecoste non è che tutti parlano una sola lingua, è violentissimo far parlare agli uomini una sola lingua, è una violenza! La Pentecoste è che viene valorizzato la lingua della mamma! Tu ti puoi tenere e devi continuare a parlare la tua lingua ad avere la tua cultura, ad avere il tuo volto unico al mondo.

Questo è il miracolo dello Spirito Santo!

Nel mondo moderno, come nel mondo imperiale, l’ideale è parlare tutti una solo lingua, una sola cultura, un governo efficiente, che funzioni, e l’uguaglianza!

No! Cristo porta nel mondo non una sola lingua, non un solo linguaggio, non una sola faccia, ma che ognuno abbia la sua faccia, unica al mondo, che dica: “C’è un posto al mondo in cui io sto bene come tra le braccia della mamma, sono unico, sono il suo bambino”. E l’uguaglianza, nel Cristianesimo, non è mai un valore, perché gli uomini non sono tutti uguali. Non sono uguali neanche nei bisogni, perché ognuno ha il suo bisogno: non è che se tu dai a tutti gli stessi diritti li fai felici! No! Li appiattisci! Devi dare ad ognuno ciò di cui ha bisogno lui, che non è ciò di cui ha bisogno l’altro! Potrà aver bisogno di più soldi o di meno soldi, di più lavoro…ognuno ha il suo bisogno, ha la sua esigenza! Questo è il miracolo che il Cristianesimo, con la Pentecoste, introduce nel mondo.

“Manda il Tuo Spirito Signore a rinnovare la terra”.

È proprio questo il miracolo! Questa domanda la fecero gli apostoli per dieci giorni dentro il cenacolo. Lo Spirito Santo nessuno Lo possiede e nessuno Lo può definire, ognuno Lo può domandare. Gli apostoli lo domandarono insieme per dieci giorni. Dice che stavano insieme a pregare e“ἐπὶ τὸ αὐτό”, che vuol dire: “Contemporaneamente, nello stesso luogo, ma con lo stesso scopo”, tutti fissati a fare un’unica domanda. È l’immagine della amicizia cristiana: gente non che è uguale, non è che è brava, ma gente che sta insieme e “ἐπὶ τὸ αὐτό”,  per un unico scopo, a domandare la stessa cosa: che venga lo Spirito di Cristo risorto e ci renda capaci non solo di capire Gesù, non solo di annunciare Lui, non solo di fare le cose che ha fatto Lui – che è troppo poco – ma, come disse Lui: “ne farete di più grandi”. Queste sono le cose più grandi con cui possiamo sfidare il mondo di oggi.

Ma, se lo Spirito Santo viene, troverà ancora dei cuori audaci di farGli spazio? Ma

[06/06/2017, 09:46:43] Frankie: “Rimasero ammirati di Lui.”

Davanti a Lui sei ammirato di Lui, non perché vedi solo Lui – vedi tutto – ma l’ammirazione è per Lui!
Tutto il resto c’è sulla bilancia, ma sull’altro piatto c’è Lui, pesa di più Lui. Il resto non è che vola via, ma è pesato da Lui, vale in rapporto a Lui. Non guardi in faccia nessuno? No, guardi in faccia tutti, ma guardi così attentamente le facce di tutti che in ogni faccia, in fondo, vedi la faccia di Dio e rispondi a Dio perciò tu sei libero di fronte alla faccia degli altri, non ne sei schiavo.
Quando noi siamo ricattati dagli altri, da ciò che fanno e dicono di noi, è perché siamo superficiali guardando la loro faccia, non la guardiamo così profondamente da veder la faccia di Dio, da rispondere a Dio. Solo in faccia a Dio noi siamo liberi.
Questa è la ragione per cui erano ammirati di Gesù: guardava tutto, tutte le facce, non gli sfuggiva nulla, neanche la monetina, ma la guardava così profondamente e la vedeva davanti a Dio. La fede è essere ammirati di Lui!

Hai tutte le cose degli altri, tutti i problemi degli altri, ma il tono della vita è l’ammirazione per Lui. Lui è il senso delle altre cose, anche di quelle che sembrano contro, perchè essere ammirati di Lui non vuol dire non provare più ammirazione per nient’altro, dire che se Lui è tutto il resto è niente, questo è fondamentalista, non è vero, questo è nichilismo, non è vero; anzi, guardando in faccia Lui, tu puoi dire: “date a Cesare quel che è di Cesare.” Anche Cesare ha il suo posto di fronte a Lui.
E tu ami Cesare, aiuti Cesare a stare al suo posto a fare quello che è chiesto a Cesare dentro il mondo.
Chi è ammirato di Gesù, non è ammirato solo di Gesù, ma è ammirato di tutto e di tutti, perchè vede il senso ed il valore di ogni persona e di ogni cosa.
La fede cristiana non è per chi cerca Dio, ma per chi cerca tutto, per chi è interessato al senso di tutto, per chi vuole essere ammirato di tutto.

[07/06/2017, 18:06:59] Frankie: Omelia di oggi

“Mio Dio, in Te confido ch’io non resti deluso”

perché so che si può credere in Te e restar delusi. C’è una fede che mantiene le promesse, chiarisce la vita, ti entusiasma, fa alzare la testa; c’è una fede, invece, che delude, che manda in confusione e abbassi la testa, ti vergogni e ti senti deluso. “Delusus” vuol dire fuori gioco: un bellissimo goal non vale niente. La vita è sprecata, la tua bellezza è sprecata. Quand’è che la fede delude? Quand’ecco che non mantiene le promesse? Da cosa dipende?

L’esempio dei Sadducei, una delle tante sette ebraiche, eran sei o sette, erano gente che ci credeva lì non c’erano mica gli atei – ci credevano, facevan tutto, ma, appunto, eran sempre in confusione, sono sempre delusi e confusi. Perché? Perché credono in Dio, riconoscono Cristo, Lo seguono, ma mantengono il punto di vista naturale e guardano Cristo, guardano Dio, guardano la Sua promessa, mantenendo il punto di vista naturale. Non ci capiscono più niente, i conti non gli tornano più. Proiettano sull’aldilà, sulla Sua promessa, il loro punto di vista naturale. E naturalmente loro ce l’hanno in testa, come tutti, il matrimonio, se funziona bene, è il massimo della vita, e proiettano questo pensiero – che il matrimonio è il massimo – su Cristo, su Dio, sulla Sua promessa. E la donna vedova che sposa sette fratelli…i conti non tornano più: di chi è? Con chi sta?

Gli salta tutto, non capiscono più niente. Gli va in confusione l’argomento, allora non è più vero niente.

Ecco, quando noi ci sentiamo delusi, quando la vita la sentiamo sprecata, una cosa bella che non porta il risultato sperato, una fede che non mantiene le promesse, siamo in confusione, la vita si confonde e si complica, e la testa si abbassa, vergognosa, l’abbiamo sprecata la vita, è esattamente per questo: non ci siamo convertiti. Facciamo tutto ciò che dice la fede, fuorchè una cosa, l’unica cosa che non cambiamo è il punto di vista: guardiamo cristo a partire dal punto di vista naturale, che è ristretto, ha poca RAM, non ci sta tutto dentro.

Mentre la conversione, quella che spalanca, che fa capire, che ti fa verificare la promessa di Cristo è che accetti di guardare tutto – anche te stesso, anche i tuoi limiti, anche la natura – dal Suo punto di vista.

“Voi siete in grave errore”. Ecco la correzione di Cristo. “grave errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio”

Avete soltanto pensato alla vostra potenza umana, alle vostre capacità, avete il vostro punto di vista ristretto e contenuto.

Abbiamo bisogno di amici che ci aiutino a conoscere le Scritture e la potenza di Dio, la prospettiva nuova che Egli ha portato, perchè solo questo non ti fa rimanere deluso, solo questo ti fa alzare la testa ed essere ogni giorno più entusiasta della sfida che Dio ti lancia e della sfida che tu puoi lanciare ad ogni uomo.

[08/06/2017, 10:31:55] Frankie: Omelia

“Nessuno aveva più il coraggio di interrogarLo”.

Era inattaccabile, disarmante, ti metteva a nudo, ti toglieva ogni ragione per obiettare, era vero, integro, totale e trasparente.
Davanti a Lui eri davanti al vero. Non potete avere obiezioni.

Che cosa rende Gesù così, inattaccabile, libero, che una volta che lo incontri sei marchiato e segnato per sempre? Hai visto per che cosa tu sei fatto!

Qual è il suo segreto?

“Ama il Signore con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza.” Ama con tutto te stesso, il prossimo con tutto te stesso, te stesso con tutto te stesso.
Questo è il segreto di Gesù. Una parola che dice, un’azione che compie la fa con tutto Se Stesso, ci mette tutto, è l’uomo totale, l’uomo integro. In ogni parola che dice, in ogni gesto che fa, tu incontri Lui, tutto Lui, dona tutto Se Stesso in quello che fa, è totale, perciò parla con autorità, è inattaccabile, non autoritario, mai fatto violenza a nessuno!
La sua potenza è la potenza del vero, un uomo integro!
Per questo Gesù è inattaccabile!

Quando noi andiamo in crisi, ci mettono in crisi, siamo bloccati, paralizzati, disagiati, è perché non siamo totali, perché siamo parziali, facciamo una cosa, la buttiamo lì, ma non ci mettiamo tutto noi stessi! Diciamo una cosa e la buttiamo lì, non pesiamo né parole né azioni, trattenendo sempre qualcosa in disparte, siamo frammentati, mai integrali.
È per questo che andiamo in crisi: non sono mai gli altri che ci mettono in crisi. Gli altri possono farci i conti o no, se decidono di no o ti evitano o ti ammazzano.
Gesù decisero di ammazzarLo, perché evitarlo era diventato impossibile. Lo ammazzarono, pensando che così Lo avevano messo in crisi, “ma il Salvatore, Gesù, ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo”. La morte non ha distrutto la Sua potenza e la Sua bellezza, la morte è stata sconfitta, perché io, guardando Lui, non abbia più paura della morte e se io non ho più paura della morte posso mettere tutta la vita in un parola che dico, in un’azione che compio, in un rapporto che vivo e anche se ti ammazzano non hai più paura della morte.
Guardando Lui non temo più la morte, non temo più di dare la vita, posso rischiare in quel che dico e in quel che faccio.
Io posso, come Lui, disarmare chiunque mi incontra, che non abbiano più il coraggio di interrogarmi. Se guardo Lui posso essere come Lui.

Quando sono fatto fuori, quando mi sgomitano, mi spiazzano, mi mettono in crisi non è perché non sono bravo, ma perché ho smesso di guardare Lui, non ho più la certezza che la morte è vinta.

[09/06/2017, 10:55:45] Frankie: Omelia di stamattina

“La folla numerosa Lo ascoltava volentieri”, perché faceva bene al cuore ascoltarlo, vederlo. Capivano anche poco, certamente non seguivano questi acuti ragionamenti che faceva con i Farisei, ma Lo ascoltavano volentieri e tornavano il giorno dopo ancora e si passavano la voce, perché faceva bene al cuore e diventava un bene contagioso e quella folla si dilatava, si dilatava, si è dilatata fino a stamattina.

Perché io e te siamo le ultime propaggini di quella folla.

Lo ascolto volentieri perché mi fa bene, perché io affronto meglio la giornata, il mio cuore è più buono, più consapevole che c’è, più libero nell’affrontare la vita.

E più Lo ascolto, più Lo conosco, più conservo davanti agli occhi quel fiume di vita che nasce da Lui : “Se uno mi ama osserva la mia parola”. Io osservo, guardo, scruto, approfondisco ogni giorno quel fiume di vita che fluisce da Lui e prendo quelle forze. E scopro uno strano miracolo: “Mio Padre lo amerà e noi verremo a Lui”. Mi sento più amato, più abbracciato. Sento, guardando Lui, ascoltando Lui, l’amore e l’abbraccio del Padre che mi fa più buono, “e noi verremo a Lui”. Sento che veramente questa venuta si è realizzata, non Lo sento lontano. Non sono solo certo che Dio esiste, ma che è venuto a me, che è qui, mi è accanto, mi è familiare, e gli posso parlare come parlo a te, uguale. È misterioso ma è così.

Di tutto, nella vita, si può fare a meno ma io non potrei vivere se non fossi certo di Dio e che Dio è qui.

Se non potessi vivere un rapporto familiare con Lui nulla mi sarebbe familiare, nessuno, neppure io sarei familiare a me stesso. Io non starei bene neppure con me stesso se non avessi questa familiarità con Lui.

Questo è il frutto di quel germe che quel giorno Lui seminò nel cuore di quelle folle che Lo ascoltavano volentieri.

[12/06/2017, 13:07:20] Frankie: “Beati, beati, beati.”

Nessun uomo rimane indifferente a questo grido. Il cuore di ogni uomo è fatto per essere beato, felice, perché per tutta la vita un uomo cerca la propria felicità. Ma ci sono due modi per cercarla:
1) “Gustate e vedete com’è buono il Signore.”
2) “Gustate e vedete come sono buone le cose”.
Questo cambia tutto.
Chi cerca il Signore cerca la felicità totale, chi conta sulle cose cerca una felicità parziale. Si arriva al Signore passando dalle cose, ma “passando dalle” e non fermandosi alle cose.
Cambia tutto se la cosa è cosa o se la cosa è creatura, cioè segno. Cambia l’obiettivo, cambia la messa a fuoco e si vede dalla faccia che cosa cambia. Ci guardiamo in faccia, l’un l’altro, e allo specchio, e vediamo la differenza. Abbiamo il test, se abbiamo gustato e veduto come è buono il Signore, o se abbiamo gustato e veduto come son buone le cose.

“Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire”

Questa è la differenza.
Quando c’è il Signore pur attraversando le cose cerchi già la felicità totale, ti vuoi veramente bene.

“Sarete raggianti”, raggianti sono gli sposi, la sposa è raggiante perché quel giorno è certa che ha scelto per il meglio per sé.
“I vostri volti non dovranno arrossire.”
Quando tu arrossisci, sei confuso, disagiato, imbarazzato riveli con la tua faccia, perché la faccia rivela che non hai cercato e veduto come è buono il Signore, ma ti sei fissato sulle cose, e ti troverai sempre confuso, imbarazzato, disagiato. Puoi ricominciare in ogni istante, ma la faccia cambia, solo se ricominci.

[13/06/2017, 13:40:39] Frankie: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini”.

Come risplende ancora oggi dopo secoli la luce di Sant’Antonio da Padova, il santo più popolare come Santa Rita.

Popolare che tocca di più il cuore degli uomini tanto che a Padova lo chiamano “il Santo”, la Basilica del Santo, si rifiutano di dirvi Antonio, se tu non sai chi è il Santo torni a casa.

Per questa evidenza, è il santo dei miracoli perché quel che faceva – non è che faceva chissà quanti miracoli – ma perché quel che diceva, quel che faceva, quel che era, era miracolo. Il miracolo è un uomo che costringe gli uomini a guardare a Dio, ad accorgersi di Dio.

È un uomo che è cosciente di essere figlio di Dio, tutto qua. E’ l’uomo vero, l’uomo cosciente. Un uomo cosciente è un uomo miracoloso, qualunque cosa faccia sbatte gli uomini davanti a Dio. L’uomo è trasparente per quanto è cosciente.

Il santo non è un uomo strano, non è un uomo che ha qualcosa in più, è l’uomo vero, semplicemente, che è cosciente di sé. E chi non è santo è uno a cui manca qualcosa.

Il santo non ha niente in più, è semplicemente se stesso. È chi non è santo che ha qualcosa in meno.

Che cosa fa allora un uomo per splendere davanti agli altri uomini, per donare agli altri uomini la sua bellezza e grandezza? Il santo non ama gli uomini facendo delle cose, fa quel che può. Il santo in genere dei soldi non ne ha, dà se stesso.

La cosa più grande che può fare un uomo per un altro uomo è risplendere davanti a Lui, risplendere della sua bellezza, aver coscienza, guardarsi come lo guarda Lui e mostrare agli altri la bellezza che Dio fa fiorire in lui.

Far vedere ad ogni uomo la bellezza per cui è fatto .

Dice Paolo: “Se dessi anche tutti i miei soldi agli uomini, posso bruciarmi nelle fiamme, ma non ho la carità- questo amore che mi fa risplendere che mi rende bello- io non sono niente, non ho nessuno”.

Il dono più grande che puoi fare ad un altro, ricco o povero, è donargli te stesso, è risplendere della bellezza di Dio che è in te davanti a lui. Fargli vedere la gloria e la realizzazione umana. Questo è il vero dono, questo lo possono fare tutti.

Il santo come dice Paolo ai Corinzi: “La nostra parola non è stata tra voi “si” e “no”.cIn Lui ci fu soltanto il “si”.
Noi non possiamo fare nient’altro che dire “si”, che mettere tutto noi stessi in una parola che diciamo, in un gesto che compiamo. Perché dire di “sì” a voi è dire di “sì” a Dio. Ecco chi è il santo, è un uomo che non è “sì” o “no” è tutto “sì” ogni cosa che fa e che dice c’è tutto lui, cosciente di quel che è, e questo lo fa risplendere davanti agli uomini e dà gloria a Dio. E il potere di diventare santi ce l’abbiamo tutti perché il cuore che può dire “sì” ce l’abbiamo tutti.

Nessuno può dire “sì” al mio posto e nessuno mi può impedire fino all’ultimo istante di dirlo, dipende da me che la mia vita risplenda davanti agli uomini. Quando la mia vita è spenta quando non vedo la bellezza non è che mi manca qualcosa è che io non dico “sì” non metto tutto me stesso in quel che dico e faccio.

[19/06/2017, 12:00:49] Frankie: Omelia di oggi

“Ecco, ora, il momento favorevole ecco, ora, il giorno della salvezza.”

L’impressione potente del primo incontro con Cristo che per grazia si rinnova ogni giorno.
Ogni giorno è come il primo: il momento favorevole, il giorno della salvezza.
Accorgersi che la tua vita é messa nelle tue mani, puoi farne quello che vuoi, la puoi salvare, la puoi realizzare.
Da quando ho incontrato Cristo, ogni istante è prezioso per questo, non è più da buttar via,
e se l’ho buttato via un’istante lo posso riprendere l’istante dopo.
Il tempo non è più perduto perché il tempo perduto non lo ritrovi mai più.
Qual è il sintomo che la mia vita è salva, che ho realizzato me stesso.

“Come gente che non ha nulla ed invece possediamo tutto”

…È il possesso, l’esperienza dell’uomo realizzato, libero!
Possiede tutto, materialmente non possedendo nulla, poter dire che tutto è mio non perché c’è l’ho in mano
non è veramente mio ciò che possiedo: lo posso perdere in un istante, lo perderò prima o poi, per le malattie e, poi, per la morte.
Non è mio ciò che io domino, ciò che io ho in mano: è mio ciò che io conosco, è mio ciò di cui io conosco il senso, so come guardarlo,
come goderlo, come usarlo a chi offrirlo. Non è mio ciò che io domino! E’ mio Colui che mi possiede: è mio il mio Creatore.
L’unica cosa che non perderò mai è Colui che mi fa in questo istante, se ho Lui ho tutto; se riconosco Lui e sono contento che Lui mi crea e offro la vita a Lui, allora tutto quel che è Suo è mio anche se materialmente lo possiedono altri. Questa è l’esperienza della salvezza.
Il secondo sintomo è la libertà dal giudizio di chiunque.

“Fu detto, ma Io vi dico”..
ma come, fino adesso, tutti dicono, tutti mi fanno, come mi guardano…
Fu detto, ma io vi dico: la libertà di andare controcorrente, di essere liberi anche se hai il mondo contro.
Questi sono i due sintomi dell’uomo salvato. Ogni istante ci offre questa possibilità.

[20/06/2017, 12:19:24] Frankie: Omelia di stamattina

“Siate perfetti”.

Una tempesta di pensieri, di sentimenti ingestibili mi suscita questa parola, “perfetti”.
Amare il nemico, salutare i pubblicani.
Ma come è possibile – i giusti e gli ingiusti – ma come è possibile un abbraccio così?
Tempesta è questo, perché da una parte il cuore dice: “Sì, son fatto per questo, sarei felice se avessi questa capacità di abbraccio”, ma come faccio io che non so abbracciare neppure me stesso? Non so perdonare neppure me stesso. Non so ammirare me stesso in nessun modo, perché per abbracciare, per amare, bisogna ammirare, bisogna avere stima. Bisogna avere una bellezza che meriti quella appartenenza.

Come faccio che non la vedo fino in fondo neanche in me?
C’è un modo solo: che io sia perfetto come il Padre, che io possa vedere il Padre, avere il Suo punto di vista, avere la Sua energia, la Sua forza, essere immedesimato con il Padre. E l’unico uomo che dice “vedete il Padre” sei Tu Gesù.

Ho un’unica possibilità per non rinunciare a questo abbraccio, per non rinunciare a questa gioia, per non rinunciare alla perfezione per cui son fatto, di potermi immedesimare in Te, di vederTi in ogni istante, di averTi davanti agli occhi, di non darti tregua, come diceva nel suo epistolario una Madre Badessa di monasteri di clausura di mezza Europa, belga, del ‘500, Mectilde de Bar: il suo epistolario si intitola – perché è il leitmotiv di tutte le lettere scritte in giro – “non date tregua a Dio, non date tregua a Dio, da quando Lo avete incontrato, da quando vi ha mostrato la perfezione per cui siete fatte, avete una sola possibilità per non rinunciare, per mantenere alto il desiderio, per mantenere la speranza di poter essere così grandi, di poter realizzare la vostra grandezza: non date tregua a Dio che è venuto a mostrarvi per che cosa siete fatti”.

[21/06/2017, 18:09:01] Frankie: “Dio ama chi dona con gioia”.

ἱλαρὸν γὰρ δότην ἀγαπᾷ ὁ θεός.
(2Cor9,7)

Non è appena con gioia, ilaròn l’uomo ilare non è appena l’uomo contento. L’ilarità è lo scoppio di una risata è la gioia che viene spontanea senza sforzature senza artificiosità. Viene dal cuore senza mediazioni come quando ti scoppia la risata all’improvviso.

Dio ama l’uomo che ha una gioia autentica, senza alcuna forzatura ed artificiosità, né con tristezza, né per costrizioni: viene proprio dal cuore di botto. Questo è l’uomo che sta simpatico a Dio. Come è possibile questa gioia?

Il Vangelo dice che questa gioia viene solo quando tu agisci davanti a Dio e non davanti agli uomini, quando rispondi a Dio, tieni conto solo di Dio e non tieni conto degli uomini. Se tu tieni presente gli uomini, fai i conti con quello che loro pensano e dicono di te, tu non sarai mai spontaneo, ma autentico, la tua gioia sarà sempre forzata, avrà sempre un’ombra non sarà mai autentica, non darà mai gusto a Dio, non starai mai simpatico a Dio se tieni conto degli uomini.

Soltanto il Padre tuo che vede nel segreto ti permette di essere te stesso, vero, limpido, autentico, così esattamente come Lui ti ha pensato.

Quando noi mettiamo delle forzature non non siamo liberi fino in fondo è perché agiamo davanti agli uomini e non davanti a Dio, non c’è verso.

Dove lo trovo? Dov’è quel segreto, quel luogo dove sono davanti a Dio e rispondo solo a Lui, dove nessun uomo si mette in mezzo?
Questo non te lo posso dire, perché non è uguale per tutti. O meglio, Dio può entrare nella tua vita, toccarti il cuore, chiamarti, guardarti negli occhi, attraverso qualunque cosa e in qualunque circostanza. Devi sapere tu dove tu Lo incontri, che segni usa, che luoghi usa Dio farti sentire la Sua presenza, per chiamarti a rispondere a Lui, perché tu sia libero davanti a Lui. E’ facile scoprire dove Dio ci parla al cuore, perché dove parla Dio lì fiorisce l’io.

Tu lo sai benissimo quali sono i tuoi momenti di autenticità, di sincerità, di gioia spontanea e vera, quando il tuo io vedi che fiorisce, che esplode, che viene fuori, quando hai il gusto di dire io, quando ti senti unico al mondo, protagonista del mondo! Lo sai benissimo dove accade questo: lì c’è Dio che in quell’istante viene incontro a te.

Devi ricercare continuamente Dio, dove Lui ha fatto fiorire il tuo io e stare attento alla fantasia perché Dio ti può sorprendere, ti precede sempre, ti può incontrare in ogni posto.
Perfino Gesù incontrò Dio Padre sulla feroce croce dei Romani.

[26/06/2017, 12:27:01] Frankie: Omelia di stamattina

“Il Signore disse ad Abramo, il padre della fede (…)”

Con Abramo finisce la religione nel mondo e comincia la fede, nella religione l’uomo è alla ricerca di Dio, nella fede è Dio alla ricerca dell’uomo.

L’uomo religioso intuisce che c’è il Mistero e si mette a cercarlo, e ogni segno, ogni intuizione che ha, la fissa e la conserva per non dimenticarsela più: Dio non è presente, ha solo i segni e le parole, ne fa delle leggi, si irrigidisce in regole, è un uomo conservatore, non può più perdere quelle intuizioni, le identifica con Dio, ne fa degli idoli e rischia di diventare violento.

L’uomo di fede, invece, è un uomo che non credeva neanche che Dio esistesse, è un uomo che fa l’esperienza, non che crede nell’esistenza, ma che fa l’esperienza della Presenza di Dio. Dio gli fa irruzione nella vita per cambiarla e gli fa una promessa grande: “Ti benedirò, ti darò la Terra, la discendenza”. È un uomo a cui è detto: “Esci dalla tua Terra”, da quello che già hai, da quello che già sai, è un uomo che rinasce, è un uomo che si rimette in cammino a 75 anni e anche più, è un uomo che vive l’avventura. È un uomo nuovo. È un uomo non conservatore ma un rivoluzionario. La vita con Lui ricomincia, ridiventa un’avventura.
Dio gli dice “quello che sapete di me è poco, l’hai deformato, non fissarti lì, io sono ben più grande di quello che tu immaginavi”. È un uomo che ricomincia, che sformatta tutto e ricomincia a 75 anni.
Che cosa è che fa ripartire quell’uomo? Che lo fa uscire dalla casa di suo padre, da Ur, da Canaan, e gli fa incominciare l’avventura?

La promessa: ti prometto più di quel che hai. Qual è la virtù dell’uomo di fede? Non che sia bravo, morale, capace, o che creda addirittura in Dio, no! L’unica virtù dell’uomo di fede è che ragionevolmente esca dalla casa di suo padre, da Canaan, da Ur, da quel che già ha, da quel che già sa. È un uomo a cui non deve bastare quel che ha.
Se quell’uomo è soddisfatto di quel che ha, non inizierà mai una vita nuova. Per essere un uomo di fede serve una cosa sola: avere un cuore più grande di quello degli altri, essere audace nel desiderio, avere sete di una grandezza infinita, di una pienezza umana.
Non essere un uomo bravo, ma un uomo vero, che ascolta il grido vero che ha nel cuore e che ubbidisce a Dio per ubbidire al proprio cuore.

[27/06/2017, 12:04:56] Frankie: Omelia del Corpus Domini
(Piano, piano… arriviamo!)

“Io sono il pane vivo”

E di questo pane vivo io ho vissuto da quando ti ho incontrato. L ho gustato e mi ha riempito di energia gusto ed energia che fanno invidia a chi non li conosce. Non si possono spiegare, nessuno mi ha mai costretto a conoscere, ad immedesimarmi a mangiare il pane vivente della tua umanità, l ho sempre fatto perché ci ho guadagnato. Non so spiegarlo a chi non ti conosce ma so mostrarlo e perché l’hai fatto con me e non con tanti altri? Cosi non ha fatto con nessun altro, con tanti altri non l’ha fatto, l’ha fatto con me, l’ha fatto con te per una preferenza strana. Se ci guardiamo addosso non capiamo perché questo pane vivo è diventato cibo nostro e non di altri. Non l’hai fatto con nessun altra nazione, con nessun altra cultura, è vero “non voi avere scelto me ma Io ho scelto voi” e perché ci hai fatto questa preferenza, perché è oggettivo che è una preferenza, privilegio no, preferenza si, discriminazione no, preferenza si, la preferenza è un atto di amore e non toglie nulla agli altri. Perché? Perché andiate, quindi non per voi, perché andiate, andiate a portare a tutti questo dono. Ecco lo scopo dell’attrattiva. Perché portiate molto frutto perché la mia umanità fiorisca, diventi più bella, gustosa, intensa e perché il vostro frutto rimanga fino alla fine del mondo, perché cambiate la storia, perché generiate dentro il mondo una vita che duri fino alla fine della storia. Chi ti conosce, chi mangia questo pane vivrà in eterno, ha già addosso la certezza che quello che vive non gli verrà tolto, non verrà meno. La tua preferenza è per sempre, il pane non verrà mai meno, il pane vivo nella storia c’è definitivamente. Quello che può venire meno è la mia fame di questo pane, questo si, sono io che posso decidere di non mangiarlo più, di non gustarlo più.

“Ricordati del cammino che ti ha fatto fare per 40 anni nel deserto, per metterti alla prova per farti provare la fame.”

Ecco la cosa decisiva della vita, le esperienze che fanno provare la fame, una fame tale a cui solo quel pane sia risposta. Quando noi non abbiamo più gusto, quando perdiamo l’energia affettiva, quando la fede diventa un peso e ci troviamo come gli altri confusi, indecisi, spenti non vediamo più la differenza, non è Lui che e venuto meno, Lui è un pane vivo che dura per la vita eterna e dal mondo non se ne va più, “sarò con voi fino alla fine del mondo”, quello che è venuto meno è l’alimentarsi a questo pane, è che noi non ce lo mangiamo più non ce lo guastiamo più, non vediamo più i molti frutti. Perché accade questo? Non è venuto meno il pane, è venuta meno la fame di questo pane. Abbiamo un a fame piu piccola, ci accontentiamo di qualcosa di meno. Ti ho portato nel deserto per 40 anni per umiliarti per farti sentire terra terra, niente, per metterti alla prova per sapere quello che avevi in cuore, per farti provare la fame perché tu capissi di cosa vive l’uomo, che l’uomo vive di quanto esce dal Signore. Benedette le esperienze che ci fanno provare la fame, che ci umiliano, che ci fanno sentire aridi come nel deserto, che ci fanno sentire il bisogno sconfinato che abbiamo dentro, soltanto un affamato può addentare il pane che Gesù è e goderselo e nutrirsene. Se a uno gli basta la broche come diceva la regina la regina Maria Antonietta davanti a quelli che dicevano il popolo non ha più pane e lei rispose: “e perché non fanno colazione con la brioche?”, men che meno! Ecco benedette le esperienze che ci umiliano che ci fanno sentire come il deserto arido, humus, che ci fanno provare una fame tale a cui solo Lui può dare risposta. Cristo non ha bisogno di persone brave, buone, perfette, non scombinate, non scomposte. Cristo ha bisogno di persone che non siano apatiche, che non siano anoressiche, che non siano spente, ha bisogno di persone affamate. Il deserto è stato per questo, Dio doveva dare la liberta a quegli 800000 schiavi ma non la desideravano, si accontentavano, erano schiavi nella mente e nel cuore prima che materialmente. Ha dovuto portarli per 40 anni nel deserto per scavargli una voragine dentro, per fargli sentire di cosa avevano bisogno per vivere e quando il cuore è stato pronto gli ha offerto la possibilità della libertà. Certo le esperienze che fanno provare la fame, che fanno provare il bisogno non sono necessariamente le esperienze dolorose siamo noi che siamo così cocciuti, così ottusi e distratti che finché non prendiamo un bel po’ di botte non ci arrendiamo ma io da tempo ho scoperto che tutte le esperienze umane, a cominciare da quelle normali e belle, se le vive sul serio ti fanno provare una fame a cui solo Lui risponde.  Non ce bisogno di prendere multe, avere il tumore e tutte le disgrazie della vita, per capire che ci vuole un Dio, ci vuole un Dio per gustare veramente anche un brioche con il cappuccino se no sei scemo se ti accontenti di quello.  Ce lo deve dire un autore pagano come era Lucrezio che non c’è bisogno di prendere le botte nella vita per capir questo. Una coerenza onesta, dice nel quarto libro del de rerum natura, sta cantando tra parentesi la bellezza dell’eros, gli adolescenti che nella maturità scoprono il sesso e ci si buttano appassionatamente, ma sono un po’ ingenui poverini e “unde est ardoris origo, restingui quoque posse ab eodem corpore flammam”: lo stesso corpo che suscita la passione, possa anche estinguere la fiamma. Sono illusi, una coerenza onesta, la verità è una sola una cosa:  “cuius quam plurima habemus”, una cosa quanto più ne abbiamo (e parla di cose belle!) “tam magis ardescit dira cuppedine pectu”, tanto più il cuore riarde d’una brama feroce. Anche le cose belle se le prendi sul serio, come faceva lui, fanno bramare il cuore di una fame feroce a cui soltanto, lui non dice Dio perché non ci crede, un altro più grande dell’uomo possa rispondere. Siamo amici se ci aiutiamo a vivere, con questa serietà, tutto della vita senza aspettare di prendere le multe, le cose normali, se siamo pronti a guidarci anche dentro quelle.

[28/06/2017, 09:27:51] Frankie: Omelia di ieri mattina

Omelia di martedì 27 giugno 2017 (mattina).

“Non date le perle ai porci”. Perché non le apprezzano le perle. Quali sono per perle?

Quali sono le cose preziose che Gesù vi ha dato? Le cose più preziose, più care che più vi riempiono di gioia, che rendono festosa la vostra vita che Gesù vi ha dato? Se sapete quali sono le perle preziose della vostra vita, togliendo le quali la vostra vita si svuoterebbe, non avrebbe più nulla di prezioso e di bello, non meriterebbe di viverle con il cuore, se avete coscienza di questo allora saprete quali sono i cani e quali sono i porci. La cosa più penosa che incontro più spesso sono dei cristiani che sono loro stessi cani e porci.

Parlano delle cose più preziose che Gesù ci ha dato con una piattezza, senza alcuna vibrazione umana. Non ne colgono il valore. È un dolore penoso. Che siano cani e porci quelli che non conoscono Gesù, gli atei, chi non Lo ha mai incontrato, chi ha mille pregiudizi è comprensibile non L’hanno mai conosciuto non apprezzano nulla, ma che i cani e i porci siano dei cristiani che hanno incontrato Gesù che dovrebbero sapere che cosa di prezioso ha portato nella vita fa capire che si può perdere la coscienza, si può ricevere un grande dono, intuirlo, pregustarlo come agli inizi, poi piano piano, piano piano si può perdere la coscienza, si può essere pieni di regole da cristiani, di parole da cristiani, di attività da cristiani e disprezzare cioè non apprezzare assolutamente, non essere fieri, non essere grati ed entusiasti, ecco non essere entusiasti. I cani e i porci sono quelli che non sono entusiasti, delusi e a volte glielo dico e mi guardano sconcertati e dicono: “Ma come mica bisogna essere entusiasti nella vita”. E’ scontato che Cristo non porti entusiasmo. non c’è niente di entusiasmante.

Domandiamo a Dio di capire bene che cosa ci fa scoprire le perle. C’è un modo di pregare che non dà alcuna coscienza; c’è un modo di pregare attento. Ci sono testi e parole che confondono, piatti, che distraggono, fuorvianti; ci sono testi e parole luminose e autentiche che cambiano lo sguardo. Ci sono amicizie che sono delle chat vuote; ci sono delle amicizie che basta incontrarle di tanto in tanto, raramente che ti mettono davanti allo splendore del volto di Cristo.

[28/06/2017, 19:56:27] Frankie: Omelia martedì 27 giugno 2017sera:

“Il Signore disse ad Abramo […]: «Alza gli occhi, e dal luogo dove tu stai […] Tutta la terra che tu vedi, io la darò a te»”

E il cuore di Abramo ha un sussulto: tutta la terra. Come lo ebbe Adamo con Eva: “soggiogate la terra”. Il cuore dell’uomo è fatto per tutta la terra. Tutta la realtà, tutta la terra, adesso arriviamo al bene ?? (0.40). Il cuore dell’uomo è fatto così. Lo intuisce anche il grande Platone in uno dei dialoghi più profondi, il Simposio, nel sedicesimo capitolo, che parla dell’eros e di tutte le forme dell’amore, e va così in profondità che dice “τοῦ ὅλου οὖν τῇ ἐπιθυμίᾳ καὶ διώξει ἔρως ὄνομα”: la totalità, il desiderio e la ricerca della totalità è in nome dell’amore a se stessi. L’uomo ama se stesso solo se desidera e cerca la totalità della realtà, se no se l’uomo si accontenta di meno della terra, di meno della realtà, odia se stesso.
Questa è la natura dell’uomo.
Ho avuto una reazione, uno scatto, un sentimento di…ho pensato “tu sei scemo”: stavo cenando una sera e guardavo uno dei servizi sulla scienza o sulla terra (non mi ricordo) e c’era questo americano ecologista, animalista, che era sconcertato perché documentava la condizione delle specie – era il ducentesimo di Darwin – e diceva che purtroppo i geologi e i paleontologi devono chiamare questa era geologica antropocentrica, cioè l’era dell’uomo, dominata dall’uomo perché l’unica specie – e lo diceva con scandalo – l’unica specie animale, che ha conquistato tutti e cinque i continenti, sta conquistando tutta la terra, una specie vorace, violenta, malediva l’uomo perché mentre le altre specie si accontentano e se viene a mancare la foglia i dinosauri cercano di farsi l’eutanasia, non cercano l’altro, l’uomo invece ha conquistato tutti e cinque i continenti e già non gli basta la terra, vuole andare su Marte e non gli basterà certo Marte…lui un po’ scemo, un po’ americaneggiante non si rendeva conto che l’uomo non è un animale, che nel cervello umano c’è un 2% di cellule che gridano l’infinito, che non si accontentano della terra, non si accontentano del mondo. Che giova all’uomo se conquista tutto, anche il big bang, ma non colma la voragine che ha dentro? Quell’uomo sarà infelice.

Come si fa a conquistare la terra? Quand’è che posso dire che la terra è mia? Che tutto è mio, è diventato mio?

“«Tutta la terra che tu vedi, io la darò a te»”

Non diventerà tua perchè tu la conquisterai con le tue capacità e con la tua veemenza. Deve diventare tua, ma il modo con cui diventerà tua non è la tua conquista con la tua forza, con la tua violenza, con la tua ragione. In questo aveva un po’ ragione il geologo animalista paleontologo americano perché l’uomo è violento, perché la terra non gli basta e usa la violenza per spremerla come un limone, usa e getta, usa e getta, e quando l’avrà tutta quanta ridotta all’entropia si accorgerà che non è risolto il suo problema, che la terra non è diventata sua, non mantiene le promesse che gli fa.
Perché la terra non è mia perché io la faccio mia. Io non ho la terra perché mi viene donata. Che la terra diventi mia non dipende dal fatto che io la conquisti. Quando sentiamo che la terra, le cose, la realtà ci sfuggono, ci sfugge tutto via, noi siamo frustrati, sentiamo grande fatica all’anima, si andava si andava e poi ci sfugge tutto, e alla fine ci sfuggirà via anche la vita. È esattamente perché abbiamo cercato di farla nostra, di dire “mia” con la nostra violenza e con la nostra forza. Abbiamo escluso a priori la possibilità del dono, che ci fosse donata, abbiamo pensato che l’attività più grande dell’uomo non fosse la domanda, ma anzi che quella fosse la più umiliante, la più deprimente, mentre il gesto più grande dell’uomo è domandare qual è il dono, è mettersi in ginocchio e dire “donamela Tu”, anzi “donami Te stesso, vieni Tu, riempi la terra di Te, riempi il mio cuore di Te, riempimi al punto che io sia tutto pieno di Te, pieno del Tuo pensiero, del Tuo sguardo, del Tuo affetto, del Tuo gusto”. Se io potrò guardare, conoscere, amare, gustare la terra come fai Tu, la terra sarà veramente mia. Non è mio ciò che io mi conquisto, ciò che io possiedo, ma ciò che mi viene dato da Te. È mio ciò che è Tuo. Se Tu sei tutto di me, se io sono Tuo allora tutto diventa mio. Quando voglio fare il contrario tutto mi sfugge.

Questa è la conversione: “la porta stretta e angusta, che pochi sono quelli che la trovano”

È la porta stretta. Perché è stretta? Perché ci passo solo io, nudo e crudo, senza cose e senza amici, come dice Giobbe: “Nudi nasciamo, nudi moriremo”.
Perché la domanda che Dio venga non è una domanda collettiva, non si può fare un gruppo, non si può fare in coppia, sono io che devo passare per questa porta stretta, senza possedere cose – la povertà di Francesco – senza guardare cosa fanno i miei amici, metterci in ginocchio e dire “vieni Tu”. Questa è porta stretta, perché la domanda è l’unica attività che è solo mia, che nessuno può fare al posto mio. Non vuol dire che gli amici non servono a niente, se no Gesù non avrebbe inventato la Comunione. Gli amici servono prima e si fermano un istante prima di quel passo dalla porta stretta, mostrando com’è bello passare per quella porta, mostrandoti il centuplo, dandoti le ragioni: vale la pena passare per quella porta perché lì dietro alla porta c’è tutto. E poi ci sono un attimo dopo per godere con te la festa, ma devi accettare il passaggio della porta e gridare “vieni Tu! Fa che tutto diventi mio, che io sia Tuo”: questo è un passo che è solo tuo.
Ogni mattina il tono della giornata è deciso dall’audacia che abbiamo di raccogliere questa sfida, di accettare il grido del cuore che è fatto per tutto, di non tirar indietro fin dall’inizio e di accettare di passare per la porta, di domandare di accettare.
Da questo dipende non che siamo più bravi o meno bravi, che abbiamo la vita più comoda o meno comoda, che abbiamo l’applauso del mondo o che ci metta nell’ignoranza, dipende soltanto che io sia vero, che io sia realizzato, che io sia io.

[29/06/2017, 21:44:00] Frankie: Omelia di oggi

La festa dei santi Pietro e Paolo: i due apostoli più importanti, le colonne della Chiesa. Colonne, tengono su la costruzione da duemila anni. Pensando alla loro umanità è solo un miracolo. Le loro capacità o incapacità, i loro limiti, le loro debolezze, il loro peccato dicono solo: è un miracolo. Quei due tutto potevano essere tranne le colonne di questa costruzione. Dove sta la forza? Pietro è la forza di Paolo. Perché colonne sono, tengono su anche noi questa mattina. La forza di Pietro è – non perché è bravo e capace, abbiamo esempi di incapacità, di limiti, di rinnegamento, di confusione, di codardia – “Tu lo sai che ti amo”. Interrogato dice: “sì ho sbagliato, le ho sbagliato tutte, le sbaglierò ancora, non sono capace di fare quello che mi chiedi ma tu sai tutto, Tu lo sai che ti amo”.

La forza di Pietro è la sincerità, la lealtà, la totalità di quell’affetto. Punto e basta! Quell’affetto lo lega a Lui per sempre. Pietro è come negli sport estremi: il jumping. Si butta giù, ma ha agganciato il cuore al vero, il cuore a Cristo. Pietro è strattonato da tutte le parti ma torna sempre lì. Ha agganciato il cuore a Lui, punto e basta. Quando noi veniamo meno, non è perché siamo incapaci, abbiamo sbagliato … è soltanto perché non abbiamo quel “sì”. La sincerità, la lealtà totale di quel “sì”. Cos’ha Pietro più di noi? Niente, ha solo quel sì. Ha solo quel “sì” sincero, leale, perché lui sinceramente lo amava. A noi non costerebbe più di quanto non costa a lui.

Perché dire sì non costa niente. Non costa fatica scegliere, non costa fatica amare, costa fatica riuscire ma chi ce lo chiede di riuscire? Ci chiede di scegliere di dire veramente sì a Colui che corrisponde totalmente al mio cuore.

E la forza di Paolo, lo dice lui nella seconda a Timoteo, al suo amico Timoteo che gli ha chiesto: “ma come fai tu ad essere così?”.

“Scio cui credidi”. La sintesi della traduzione latina di Girolamo. La differenza tra me e te, perché la tua fede al paragone alla mia, dice Paolo, sembra una fede light, leggera che non incide? Tu ci credi veramente, Lo ami come lo amo io, qual è la differenza tra me e te tra me e tanti di voi?

“Scio”, ho coscienza, so chi è Colui che mi attira, voi avete una fede ma non conoscete. La forza di Paolo è la coscienza, lui conosce Colui in cui crede. Sa chi è che portata è. È per questo che le parole di Paolo pesano come dei macigni. Usa le stesse parole degli altri, ma quando le dice lui pesano, vanno a fondo perché lui ha coscienza.

La forza di Pietro è il sì dell’affezione, la forza di Paolo è la conoscenza di Gesù.

Separare conoscenza e affezione ci distrugge. Se conoscenza e affezione sono insieme, noi come loro due possiamo essere le colonne della Chiesa dei prossimi due mila anni.

[06/07/2017, 09:50:03] Frankie: Omelia di ieri!

“Il Padre ci ha generati affinché siamo una primizia delle sue creature.”

Lo scopo della nostra chiamata è di essere una primizia delle sue nuove creature. Non siamo stati scelti per andare in Paradiso, in Paradiso ci vanno tutti gli uomini.
Mi scoppia la testa al pensiero che Dio non li voglia tutti. Siamo stati scelti per anticipare il paradiso sulla terra -la primizia é il primo frutto di una stagione, l’inizio del raccolto – per goderci il Paradiso sulla terra e mostrare agli uomini quanto è bello andare in Paradiso perché diventi desiderabile. Siamo stati scelti per testimoniare che cosa aspetta ogni uomo. Questo è il compito della nostra vita. Tutti gli altri compiti li possono svolgere tutti, tutte le professioni, tutti i politici e tutte le arti, tutti possono fare tutto. C’è una sola cosa che possiamo fare noi nel mondo e per questo siamo stati chiamati ad essere una primizia, il primo frutto del Paradiso sulla terra. Non c’è niente che valorizzi tutto della mia vita come questo scopo. Gli altri scopi sono troppo piccoli, lasciano sempre perdere dei pezzi. Solo questo scopo valorizza tutto di me.

Qual é la condizione perché io possa essere “primizia delle sue creature”?
“Ma c’è un uomo che desidera la vita e brama giorni pieni di bene?”, il Salmo 33.
A Dio per fare questo non serve un uomo bravo, un uomo capace. No, nè nelle capacità né nell’affanno, niente, serve solo un uomo che abbia il desiderio di questo, che voglia la vita piena, che voglia la vita e sia disposto a combattere per la propria realizzazione umana. Non combattere contro gli altri, ma combattere per, che spenda tutte le sue energie per la propria grandezza umana, per la propria pienezza, che voglia la vita e la vita piena, giorni pieni di bene.

τίς ἐστιν ἄνθρωπος ὁ θέλων ζωὴν ἀγαπῶν ἡμέρας ἰδεῖν ἀγαθάς il salmo 33,13
(Qual è l’uomo che vuole la vita e brama giorni pieni e di bene?)
Che voglia vedere e godersi giorni pieni di bene.
Questo è l’unico requisito per essere cristiani: l’amore vero, pieno alla propria realizzazione umana. Tutto il resto è una conseguenza. Se non c’è questo, non ne consegue niente.

Qual è il nemico di questa avventura?
“Lo pregarono di allontanarsi da loro territorio” perché se poi gli scappava di fare un altro miracoletto per guarire gli indemoniati, ci scappavano dei morti, degli altri porci era un danno economico perché i salumi oggi costano molto nel mondo, quindi, per favore, ci potresti costare troppo.

È la meschinità del desiderio, chiedersi quanto mi costa, quanto ci potrei rimettere se do la vita per te, se cerco la mia felicità totale? Quanto mi costa?
Ecco, invece di chiedersi quanto vale la mia vita, il meschino si chiede quanto mi costa.
Ma come può avere costi, ma che costi può avere la tua realizzazione piena?

[06/07/2017, 11:22:50] Frankie: “Dio mise alla prova Abramo”, come ogni innamorato mette alla prova la persona di cui è innamorato, ha bisogno di una segno certo e lo sfida: quanto mi ami? Chi sono io per te?

Abramo rispose “eccomi”, ma non come un innamorato. Abramo ha una religiosità arcaica, primitiva, fondamentalista: non gli può neanche passare per la testa che Dio si è innamorato di lui.

Chi doveva essere allora Dio per lui? Un Signore, il Signore, il Signore dell’universo: chiede tutto, ma tutto come un Signore che gli chiede una prova di sottomissione totale, non riesce ad immaginare che sia amore. Gli chiede il sacrificio del figlio e, come tutti i primitivi del Medio Oriente di allora, pensa che il sacrificio del figlio sia la morte del figlio: Dio lo vuole morto, perché Lui è il Signore e ne ha diritto e, se voglio avere la sua alleanza, il patto di alleanza, Lui che mi protegge, mi devo sacrificare, uccidere il figlio. Allora era normale, quando si fondava una città, mettere nella colata di cemento un figlio, il primogenito, i sacrifici umani e del figlio del re erano normali. E Abramo pensa così ed esegue. Ma, nel momento in cui deve sgozzare il figlio, l’angelo ferma la mano, “non lo toccare”. Dio vuole il sacrificio del figlio, non che tuo figlio muoia per Lui, ma che tuo figlio viva per Lui, questo non poteva passare per la testa ad Abramo, a quel tipo di religiosità che noi chiamiamo oggi fondamentalista, non gli passa neanche per la testa. Dio è il Signore, è tutto e vuole la morte del popolo, mentre il Dio che viene incontro ad Abramo è un innamorato di Abramo, non vuole che il figlio muoia ma che il figlio, Isacco viva per Lui: vuole vedere come diventa un uomo quando vive per Dio, quando vive amando Dio. Non sottomesso, non sacrificando, non vuole obbedienza, vuole l’amore totale di Abramo e poi l’amore totale del figlio.

Questo tipo di religiosità Abramo non ce l’aveva nella testa, non la poteva capire, ma quando l’angelo gli ferma la mano e capisce che Dio non vuole la morte di Isacco, ma vuole la vita di Isacco, riuscite ad immaginarvi che fulmine negli occhi e nel pensiero di Abramo? Come diventa la vita che gli resterà da vivere alla scoperta che Dio non vuole la morte del figlio, ma la vita per Lui. Un uomo che “viva per”, che viva amando, che viva donandosi a tutto come un innamorato che risponde con il medesimo amore totale.

E gli insorge nella testa il pensiero che abbiamo ripetuto di questo salmista del salmo 114, che si immedesima, appunto, nel cuore di Abramo e poi nel cuore di Isacco, quando scopre che Dio non è un signore che domina e che vuole la morte, ma che viene a cercare l’uomo perché l’uomo viva del Suo amore: “Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi”, lo abbiamo ripetuto sette o otto volte. Da questo momento io camminerò alla Sua presenza, non posso più staccarmi dalla Sua presenza. Come faccio a vivere senza la presenza di un Dio che si è innamorato di me, che io sono il Suo preferito? Nella terra dei viventi, non nella terra dei morenti: non “andrò in giro tra gli uomini morenti” che hanno ancora il terrore di Dio, che fanno ancora i sacrifici umani, a testimoniare che cosa vuole dire vivere per Lui, non obbedire, non essere sottomessi, ma fiorire, diventare grandi, vivere in pienezza la vita, per Lui, in Lui. Sperando che la terra dei morenti diventi pian piano la terra dei viventi, questa è il tipo di fede che è iniziata quel giorno a Ur dei Caldei, là nelle zone in Iraq tra Baghdad e Mousul. In quella terra è nato questo tipo di religiosità, in cui Gesù è cresciuto e che brucia ancora il nostro cuore stamattina e ci fa gridare: anche io camminerò da questo momento alla presenza del Signore, senza non potrei vivere, nella terra dei viventi, dove gli uomini “vivono per”.

[10/07/2017, 14:28:37] Frankie: “Voi chi siete affaticati ed oppressi”, cioè tutti; perché l’uomo che non è affaticato ed oppresso è un uomo che non è realista, che non prende sul serio la realtà. Primo la realtà dei suoi desideri, dei suoi bisogni, delle sue esigenze: l’uomo è una voragine di desideri e di esigenze. La Chiesa lo immagina nel battesimo come una spugna che è tutto un buco, tutto un bisogno,che deve essere riempita. Ha di fronte il mondo, le cose e deve combattere, deve buttarsi sulle cose per tentare di colmare il vuoto che ha dentro, e tappa un buco e se ne apre un altro, e ha mille ostacoli, mille impedimenti, e più passa il tempo e meno riesce a colmar se stesso. La vita è fatica e oppressione, non c’è grande autore, grande artista che non abbia descritto la drammaticità dell’esistenza. Il dramma è proprio questo, il dramma in greco è un’azione teatrale che crea la suspense, che non sai come va a finire, che può finire bene e può finire male, se finisce bene si chiama commedia, se no sia chiama tragedia. I greci dicevano che la vita è tragedia, l’uomo non può risolvere il problema della vita, prima o poi vince la fatica, vince l’oppressione, muori. Per chi non la prende sul serio la vita non è né commedia, né tragedia, è soltanto una farsa… ma lasciamo perdere.

“Venite a me, voi che siete affaticati ed oppressi”.

Voi siete quelli che possono venire proprio perché siete affaticati ed oppressi. Chi non sperimenta il dramma che se ne fa di me?

Io sono per coloro che prendono sul serio la vita, chi non prende ogni giorno il suo giogo e non mi segue non può essere mio discepolo.

Io prendo solo gente realista e seria con la vita, chi fa il furbo con la vita, chi si fa l’anestesia, chi stacca la spina non mi può capire. Non sono come i tanti pedagoghi, psicologi moderni che hanno come massimo obiettivo di eliminare ai bambini e agli uomini i disagi, tutti i drammi, tutte le fatiche, tutti i lutti.

Perché pensano che se un bambino scopre che la vita è fatica e dolore se ha qualche trauma se ha qualche lutto allora verrà su male, e così lo fanno venire su male, perché i bambini così non capiscono mai che cos’è la vita quando ci sbattono il muso vanno fuori di testa, perché vanno fuori dalla vita.

Ma chi l’ha detto che il problema è eliminare dalla vita il dolore e il disagio? Cristo è per quelli che li vivono, quelli lo possono capire, cioè tutti. Gli unici che non possono capire Cristo sono quelli che hanno la vita comoda.
“Guai a voi ricchi! avete già la vostra ricompensa” perché pesante a quel che avete e pensate di farvelo bastare. Non vi basta! siete soltanto degli illusi, costretti a reprimere, a ridurre i vostri desideri per farvi bastare quel che avete. E’ così difficile che un ricco mi possa capire, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago.
Non perché il ricco non ha bisogno di Cristo, perché si illude di poterne fare senza, si illude di farsi bastare quel che ha.

“Venite a me voi che siete affaticati e oppressi, Io vi darò ristoro”.

Ristoro…non vuol dire che vi tolgo la fatica e il dolore, il ristoro è quell’attimo, επο παúση dice in greco, pausa, è quell’attimo di pausa che ti fa recuperare energia per riprendere la fatica e il dolore del cammino.
Con Cristo il cammino diventa possibile, non toglie croce, fatica, dolore, toglierebbe la vita.
Cristo non ci toglie la vita, è venuto per farcela vivere. La vita è ferite, è così mischiata dolore e gioia, bene e male, e se vuoi eliminare il dolore elimini la vita stessa, ti devi suicidare, se vuoi eliminare dalla vita fatica e dolore.
Uno dei meccanismi del suicidio è proprio questo, quando il dolore invade talmente l’io -me l’han spiegato due amici di cui uno ha tentato il suicidio e uno si è proprio suicidato, me lo spiegarono loro – ci sono momenti in cui il dolore invade talmente l’io che va a coincidere con l’io e tu non vedi meccanicamente nessun’altra possibilità di eliminare il dolore che di eliminare l’io, e uno di questi due ci è cascato. E’ un meccanismo mentale di autodifesa che ha il cervello.
Non si possono separare bene e male, fatica e dolore, gioia e piacere. Cristo non è venuto per eliminare la vita o per ridurne la portata ma per farcela vivere. E come fa a ristorarci a farci riprendere step by step, ad ogni passo l’energia per ripartire, per arrivarci in fondo a viverla?
“Prendete il mio gioco”. Ecco la rivoluzione.
Io Suo peso dolce, il Suo carico è leggero.
Era partito dicendo, nel vangelo di Luca, “ognuno prenda ogni giorno la sua croce” e adesso cambia parola e invece che croce dice giogo. Questa è la rivoluzione di Cristo perché la croce che Lui ha dovuto subire ma l’ha potuta vive e perché l’ha trasformata in giogo. La croce è uno strumento inventato per la tortura per quei feroci dei romani, per distruggere, il giogo, invece, è una tecnologia inventata ad un certo punto che ha segnato una rivoluzione nell’agricoltura. Io ho fatto l’allevatore e l’agricoltore fino a 28 anni e sapevo che cosa fosse la meccanizzazione dei motori è una delle tecnologie insieme alla potatura, il gioco che trasforma la forza enorme, incontrollabile, brutale, selvaggia di un animale in un lavoro, in qualcosa di buono e di utile per l’uomo.
Gli animali selvatici, selvaggi, usano la forza per abbruttire, per far violenza, sono pericolosi, se tu impari ad addomesticarli, gli metti il giogo che è uno strumento che convoglia, come un motore, che convoglia quella forza che sarebbe distruttiva e diventa forza utile, per loro e per gli uomini, perché produce vita, produce qualcosa di utile per la vita dell’uomo.
Cristo non elimina la croce per non eliminare la vita, ma trasforma la croce in un giogo, in un dolore che diventa utile, che diventa un bene per la vita. Vedi che vale la pena farla quella fatica, perché vedi che cosa produce. Perché moltiplica il benessere, moltiplica la vita. La fai volentieri la fatica di lavorare. Il gioco è uno strumento che trasforma la forza istintiva, selvaggia dell’animale, dell’uomo, la trasforma in un lavoro, in un bene per l’uomo. Vedi che vale la pena, vedi che vale la pena.
Diventi pure contento di lavorare e di fare fatica. Diventi contento di poterlo fare, diventi lieto. Infatti letos viene da letame, vuol dire un campo pieno di letame, di fosfati e azotati, un campo lavorato e coltivato. Un sentiero di montagna pieno di sudore e di fatica ma che vale la pena per quello che ti fa godere. La letizia in latino è letos, il ventre di una donna gravida che ha il peso della gravidanza, il dolore atroce del parto e di tutto il resto, ma è contenta di poterlo fare e si arrabbia se non potesse fare quel dolore, quella fatica.
Ecco Cristo non toglie fatica e dolore ma le trasforma: da croce diventano un giogo.
Come fa a far questo?
Il giogo si usa per due animali insieme, la modalità classica. I buoi venivano giocati in due perché viene dimezzata la fatica, ma soprattutto i due si prende il più forte, il più intelligente, quello che ha più esperienza lo si mette su ciglio del solco, è quello che tiene fisso lo sguardo sulla meta e che lavora più dell’altro e lo fa andar dritto. Mentre gli animali giovani o deboli o appena addomesticati non tengono il solco e fanno dei danni e vanno a rovinare le piante e tutto il resto. Ecco Cristo dice: “Io vengo nel mondo e devi prendere il mio giogo”. Io mi aggiogo con te ma la parte più grossa la faccio Io.
Io tengo la direzione ti faccio far fatica per lo scopo. Perché per far fatica ci vuole uno scopo, la domanda vera di uno che fa fatica è:
Ma chi me lo fa fare? Perché la devo fare?
Se lo scopo è piccolo, ne fai poca, se non hai scopo, ne fai zero, se hai uno scopo totale la fai tutta. Sei contento di poterlo fare.
Cristo si aggioga con noi, tiene il giogo, tiene il cuore fisso là, come il tom tom infinito.com e ti fa fare tutte le fatiche della vita.
Se tu ti immedesimi nello scopo di Cristo e porti il peso della vita con Lui, è tutta una fatica e un dolore utile perché per lo scopo di Cristo vale tutto.
Lo scopo che Cristo ti da è come la cima dell’Everest, abbraccia tutto. Con Cristo diventa utile misteriosamente, diceva San Francesco, anche “nostra sorella morte corporale”. Anche la morte può diventare paradossalmente utile. Perché la morte è il momento in cui tu non puoi più fare niente ma finalmente puoi domandare Lui, puoi affidare tutta la vita a Chi l’ha fatta e a Chi te l’ha data per compierla. E Lui la compie.

[13/07/2017, 18:25:33] Frankie: “Io ti mando dal faraone. Fa uscire dall’Egitto il mio popolo”. Voglio fare con te, con ottocentomila schiavi un popolo di uomini liberi.

Cosa dice? Ma liberi? Che vuol dire liberi? In Egitto non esistono liberi, esistono uomini pieni di egoismo, di cattiveria, di violenza come il faraone, esistono i padroni, poi tutti gli altri sono schiavi pieni di sofferenza, di paura, ricattati, pieni di odio. No, uomini liberi vuol dire uomini pieni di gioia, di amore che fanno le cose non per cattiveria, non
con la violenza, non per paura ma le fanno perché sono contenti, le fanno per amore, donano la vita a Dio e agli altri uomini per amore. Sono stufo di vedere degli uomini che mi adorano per paura con presunzione. Voglio essere
adorato da uomini liberi. Voglio vedere degli uomini che hanno coscienza di sé e che donano la vita agli altri per amore. Uomini che vogliono bene a se
stessi, agli uomini e a Dio dal cuore!

E Mosè dice: “Chi sono io? Io no”.

Ah lo so bene chi sei, sei un ebreo schiavo pure te. Sei un violento perché hai assassinato uno, l’hai pestato, l’hai ammazzato, sei stato condannato a morte dal faraone, sei condannato in contumacia perché appena ti prende ti butta con i pescicani nel Mar Rosso e poi in più sei anche balbuziente non sai neanche
parlare, hai problemi di – come dicono gli insegnanti?- di dislessia.

Era a pezzi, era un balbuziente totale che aveva sempre bisogno di suo fratello Aronne che faceva l’interprete dall’aramaico balbuziente farsi capire dagli egiziani.. immaginate come andava a trattare con il faraone,
no?

Io non sono adatto, io non sono adatto. Poi non capisco che cos’è questa libertà? Che cosa vuol dire? Io degli uomini liberi non lo ha mai visti in Egitto non esistono, in Palestina non c’erano. Rispose Dio: “Io sarò con te”. Punto e basta. La libertà è che “Io sarò con te, con voi”. Il vostro cuore sarà pieno di Me, della Mia presenza, della Mia bellezza, del Mio
amore. Sarete contenti perché il cuore sarà pieno di Me. Farete le cose per esprimere questa gioia, sarete così pieni di amore a Me che vorrete così bene a voi stessi che perdonerete perfino ai nemici.

Per me questo è troppo- dice Mosè- non è possibile, non è possibile che
esistono uomini liberi, comunque hai sbagliato io non sono adatto a fare questa cosa qui. E Dio dice: “Si è vero perché queste cose non le ho rivelate ai sapienti e agli intelligenti le ho rivelate ai piccoli”. Non sei adatto perché non sei abbastanza piccolo. Sei troppo pieno di te, pensi di
dovercela fare da solo ma come pensi di poter riempire il tuo cuore di gioia e di amore da solo? Tu ragioni e sei sempre incentrato su di te. Infatti ci
dovrò mettere quarant’anni e farti penare nel deserto per farti diventare sempre più piccolo. Solo quando sarai così piccolo e ti sentirai niente,
sarai distrutto, non avrai più niente, finalmente potrai domandare tutto, finalmente ci sarà spazio per Me. Ci sarà Chi può riempirti il cuore. Tu
hai bisogno di diventare piccolo, di diventare umile, di diventare
bisognoso, di riconoscere che tu non sei niente. Ma chi sei? Io ti ho fatto, io vengo per riempire il tuo cuore.

Questa è la storia di Mosè. Questo dialogo è successo nel 1340-1350 circa prima di Cristo, quindi 3350 anni circa indietro, là vicino al Mar Rosso.

Noi siamo qui oggi a parlare di questo, a far memoria di questo perché siamo figli di un popolo di uomini liberi. Siamo chiamati oggi in questo mondo ad essere questo terzo tipo di uomini che non si muovono né per paura né con la violenza che si muovono per la gioia e per l’amore che hanno dentro, per diventare liberi, che hanno solo bisogno di riconoscere il niente che sono
ma con il cuore fatto per l’infinito.

Benedette le esperienze piacevoli o dolorose che ci faranno diventare, sentire sempre più piccoli. Perché possiamo dire come San Paolo: “ὅταν γὰρ ἀσθενῶ, τότε δυνατός εἰμι”
[otan gàr asthenô, torte dynatòs eimi] 2Cor12,7.
Proprio quando non sono niente finalmente sono forte. Quando sono debole è allora che sono forte. Finché sono un po’ forte punto sempre su me stesso e
sono come quelle cose che sono lì in giro, sono niente. Quando invece non sono niente finalmente posso fare spazio a tutto, e allora ho la Tua forza.
La sfida per noi è questa.

[14/07/2017, 14:17:36] Frankie: “Mi diranno: qual è il suo nome? Cosa risponderò loro?”.

Come facciamo a vivere, a camminare se non sappiamo qual è il Tuo nome? Se Tu non hai un nome, neanch’io ho un nome. Se Dio è senza volto, anch’io sono senza volto. Io sono a tua immagine, se Dio è ignoto, io sono ignoto a me stesso, vado in confusione. Quando noi andiamo in confusione non è perché la vita è troppo complicata o noi siamo scemi, è perché non conosciamo più il nome di Dio. Abbiamo cancellato dalla testa il Suo nome, il Suo volto, il Suo cuore. Questo ci manda in confusione, inutile girarci intorno. Serviranno pur tutti gli psicologi del mondo, i meccanici servono sempre quando il veicolo ha dei problemi, però il vero problema è che si illumini l’io. L’io si illumina se si illumina Dio dentro la nostra vita. Questo intuisce Mosè di fronte al compito immane e al comando perentorio che Dio gli impone.

E Dio non si sottrae lo sa bene che se non dice il Suo nome, se non svela il Suo volto, non svela quello che ha nel cuore, Mosè non va da nessuna parte. Tornerà a fare lo schiavo in Egitto, non ne verrà fuori nessuno libero da quegli ottocentomila schiavi se non gli rivela il Suo nome.

Dirà agli israeliti: “Io sono Colui che sono”. Solo che questa è una traduzione pessima, è una traduzione greca, aristotelica che prende l’aramaico come se fosse il greco ma questi qui di metafisica “zero”!

Dire io sono l’Essere non vuol dire niente per gli ebrei, un Dio che è l’Essere che esiste e non fa altro che esistere se ne fanno un baffo. E noi che ce ne facciamo di un Dio che esiste ed esiste soltanto? Infatti non dice così.

La forma che c’è, tradotta malissimo – non so perché- dice: “Echyeh asher echyeh”. Vuol dire: Io sono Colui che ci sono e che faccio essere, sono presente e cambio la storia, dove arrivo Io incomincia il mondo nuovo dentro il mondo vecchio.

Questa è la forma causativa dell’aramaico. Io sono là dove siete voi e faccio davanti a voi, ai vostri occhi, un mondo nuovo, incomincio una storia nuova, la storia della vostra salvezza. Se volete conoscere Me non dovete contemplare l’essere come Platone e Aristotele, dovete…mi troverete… quando voi non mi vedete e dite “Dio non c’è”, Io ci sono, siete voi che non mi vedete, io sono là accanto a voi che mi impegno con voi a cambiare il mondo, mi impegno per la vostra salvezza.

Quando voi dite che non mi vedete non sono Io che manco, siete voi che mancate. Siete voi che non siete là con Me a lottare, a lavorare per la vostra salvezza. Dio c’è, c’è sempre e cambia il mondo, cambia la nostra vita, c’è e fa essere il mondo nuovo, produce dei frutti, ma quando non ce ne accorgiamo siamo noi che siamo passivi, non siamo impegnati per la nostra salvezza. L’opera di Dio, la Sua salvezza la possiamo conoscere soltanto se noi siamo i primi che lottiamo per la nostra salvezza.

Ho risposto un po’ di tempo fa ad una mail che viene dall’altro continente. C’era una persona di noi che descrive, descrive, descrive tutte le complicazioni della vita, si ferma a descrivere, non c’è un verbo di azione, non c’è un verbo di impegno, dice che non vede Dio. Per forza che non vedi Dio, Dio è un Uno che lavora, se tu non sei a lavorare, a combattere insieme con Lui per la tua felicità, non te ne accorgi neanche.

Non so se la sapete, questo non è aramaico è napoletano, la barzelletta del povero napoletano che ha cinque figli perde il lavoro e va da San Gennaro a chiedere il miracolo e San Gennaro gli dice: “Te lo faccio perché hai cinque figli, li devi far tirare su, far studiare”. San Gennaro gli promette che gli faceva vincere – allora c’era il tredici al totocalcio – 165 milioni di getto, no. Lui va a casa tranquillo e aspetta e la vincita non arriva mai, tutti i figli vanno alla camorra, ovviamente, lui muore incattivito, ovviamente. Quando arriva in Paradiso non vuol vedere neanche Dio, vuol vedere San Gennaro e ha il fucile perché vuole uccidere San Gennaro. “Tu non mi hai fatto vincere, mi avevi promesso 165 milioni per far studiare i figli”. “Guarda ho ancora la valigetta lì, c’è ancora la data di quel giorno lì”. “E perché non me li hai dati”. “Oh non hai giocato manco una colonna di una schedina neppure una volta! Come faccio a farti vincere!”

[14/07/2017, 20:11:29] Frankie: “Qui vi è Uno più grande del tempio”.

No, non c’è niente di più grande del tempio. Il tempio è la cosa più grande del mondo, il luogo dove Dio è presente. Dove noi lo possiamo incontrare, riconoscere ed adorare ed essere veri di fronte a Lui.

Senza tempio non c’è rapporto vero con Dio. Questa è la grandezza e la tragedia del popolo ebraico. Ha un luogo dove Dio si è reso presente, una terra, una razza marchiata dalla circoncisione ed un tempio e una legge, cioè delle cose.

Dio si rende presente in quelle cose lì, di queste cose il vertice è il tempio.

Ma la terra te la possono conquistare, quante volte gliel’hanno conquistata e adesso con quanta violenza la difendono, con le unghie.

La legge, la razza…Hitler ha provato a fare fuori la razza perché in quella razza si rendeva presente il vero Signore del mondo, Hitler voleva essere unico.

Il tempio gliel’hanno distrutto più volte. Alcune volte è stato ricostruito, l’ultima no. C’è soltanto il muro occidentale in cui vanno a piangere in uno struggimento, in una disperazione unica. Li ho visti due volte, tornerò a vederli gli ebrei piangere dai vecchi ai bambini con la fronte a sbattersi su quel muro, un pianto dirotto, un singhiozzo.

Perché del tempio è rimasto un muro ma non c’è il tempio e loro piangono perché non possono fare il sacrificio. Dio gradisce solo il sacrificio nel tempio, secondo loro.

Siccome il tempio non c’è, loro da duemila anni non possono fare un sacrificio degno di Dio, non possono più essere veramente religiosi, non possono più incontrare Dio.

E Dio non è contento di loro e si sentono in peccato, ingiusti davanti a Dio perché non lo possono riconoscere dove e come Lui ha comandato, così pensano.

Li ho visti darsi appuntamento ogni volta da ogni parte del mondo: “preghiamo di rivederci la prossima volta a fare il sacrificio nel tempio finalmente ricostruito”. E nessuno glielo fa ricostruire perché tutti hanno il terrore di un popolo ebraico che ha il tempio.

È analoga l’adorazione dei mussulmani fondamentalisti, l’Isis è così. Se non ha una terra tutta sua, una sharia tutta sua e nessuno che gliela mette in discussine non possono adorare veramente Dio.

Questo è quello che pensano gli apostoli con cui Gesù sta parlando e Lui a questa gente dice: No.

“Qui, qui c’è Uno più grande del tempio”. Uno sono Io. C’è un uomo libero che lui stesso è il tempio di Dio. Di qui in poi da quando sono arrivato Io, basta con le cose, basta con la terra, basta con la razza, basta con la legge, basta con il tempio.

Non serve più niente. Il luogo dove si adora Dio è l’umanità di un uomo, l’intelligenza di un uomo, l’affezione di un uomo, la carne di un uomo, soprattutto, la libertà di un uomo, che sono tutte capacità di ordine spirituale e nessuno te le può conquistare e nessuno te le può distruggere. Nessuno ti può togliere la possibilità di incontrare Dio perché avviene nella tua carne, tu gli devi offrire te stesso, lo puoi fare dovunque.

Ti metteranno in croce ma quella croce sarà il tempio di Dio, dove tu gli affidi tutto te stesso, dove tu sei vero di fronte a Dio.

È così sarebbe accaduto – Matteo 12 – dopo poco più di un anno sarebbe accaduto questo a Gesù.

Il suo corpo martoriato dai romani, la sua libertà ricattata in tutti i modi sarebbe stata il luogo in cui l’uomo sarebbe stato vero davanti a Dio. Il cristianesimo è questo annuncio. Se non è così, se il rapporto con Dio è legato a delle cose, terra, carne, razza, legge, tutte queste cose possono esserti sempre strappate e conquistate.

Tu vivi nell’angoscia di poterle perdere perché senza quelle cose non puoi vedere Dio, non puoi essere vero. Ma se il luogo del rapporto con Dio è la libertà di un uomo questo è un fatto spirituale e nessuno te lo potrà mai togliere.

Ti possono togliere il resto ma sulla croce a Cristo la libertà non gliela potevano togliere: “Ma io nelle tue mani mi affido”.

Un uomo che riceve questo annuncio e che vede questo respiro, questa libertà indomabile nella persona di Gesù crocifisso, è un uomo che può dire come profetizzò Mosè: “Questo giorno sarà per voi un memoriale”. Quando hai visto questo miracolo non te lo puoi dimenticare più.

Il memoriale non è appena il ricordo di un lontano passato, un selfie, ci siamo fatto un selfie sul calvario con Gesù. Non è così. “Ziccaron” in ebraico vuol dire…non è il selfie di un passato è la memoria di un fatto accaduto nel passato che continua ad accadere nel presente, che permane nel presente, che incide con la stessa potenza nel presente, che è possibile adesso comunque sia il presente.

“Allora Lo celebrerete come festa del Signore”, bellissimo!

Questo fatto che tu hai visto una volta è possibile per te, qualsiasi sia la tua condizione umana, fosse il monastero di Monza per Gertrude, in quella croce lì, che è una croce per lei, lei poteva essere vera davanti a Dio: “Dio nelle tue mani mi affido”, come Gesù.

Se avesse fatto memoria di Gesù, se lo avesse celebrato come un memoriale, anzi lo celebrerete come festa del Signore.

Perché chi ha questa coscienza ha la coscienza della festa.

La festa è possibile sempre, mi mettano pure in croce.

Inizia un nuovo tempo, il tempo cristiano è il tempo della festa, è un tempo festoso, è un tempo festivo.

Quando il nostro volto si imbroncia, quando abbiamo un volto non da festa non è perché le cose ci vanno male, ci vanno come sono andate a Mosè e a Gesù, non è perché le cose ci vanno male, perché è brutto tempo allora abbiamo la faccia imbronciata.

Quando perdiamo il tono festoso, il tono festivo del tempo cristiano è perché non facciamo più memoria di quel fatto, è perché abbiamo resettato il cervello, abbiamo dimenticato che un giorno un Uomo disse: “Qui c’è Uno più grande del tempio”.

Se tu sei con Me, se tu accogli Me, se ti immedesimi in Me, se domandi Me, il tempo con Me, fosse anche il tempo della croce, sarà sempre un tempo festivo.

[18/07/2017, 15:35:43] Frankie: Omelia domenica

“Perché parli loro con parabole”

Ma perché alle parabole corrispondono esattamente le cose, perché tute le cose sono parabole, il mondo è una immane parabola. “Para-bolè”, para vuol dire oltre, bolé vuol dire laggiù, tutte le cose più le guardi e ti lanciano oltre se stesse, sono segno. Le cose, il segno, una cosa che ha un aspetto misurabile che tocchi, che vedi ma che ti parla di un qualcosa che è oltre, più profondo, più a fondo di  quella cosa, che è il significato, la verità di quella cosa, segui quella cosa il cui significato è un’altra cosa ma quell’altra cosa è dentro quella cosa non e oltre. Allora la parabola è solo parziale; dentro, al fondo, è l’origine, la vera bellezza di quella cosa, il vero compimento di quella cosa è dentro a ciò che tu vedi e misuri. La tua istintività, gli occhi le mani i tuoi sensi e le capacità scientifiche di misurare, ti fanno vedere e toccare qualcosa che in parte è misurabile, in parte è segno di un’altra cosa che non è misurabile. Ed è ciò che ti fa felice, non c’è un kilo di felicità, un km di tenerezza o un joule di entusiasmo, non c’è. Le cose che ci prendono di più sono esattamente le cose che non si possono misurare. Pensiamo a quando siamo innamorati, se di quella persona lì del suo corpo possedessimo tutte le misure, tutto il numero delle cellule degli elettroni dei quark se sapessimo tutto, sapremmo qualcosa di quella bellezza e dell’amore? assolutamente no, quello che di quella persona è misurabile ti parla dell’aspetto non misurabile che è più interessante, quello che è toccabile e misurabile serve solo per arrivare a quell’altro, senza quell’altro non ci dice più niente. È il linguaggio simbolico o la capacità metafisica della ragione, che raggiunge il suo vertice con Platone V sec avanti cristo, nessuno l’ha più superato, se noi guardando le cose, toccando le cose non raggiungiamo quella profondità non è vero che la prendiamo, non è vero che la tocchiamo ma la riduciamo a una misura istintiva, o anche tecnica e scientifica, meschina che ci deluderà sempre, la riduciamo, massacriamo la realtà se non percepiamo le cose come segno se non impariamo il linguaggio simbolico. Gesù non parlava se non in parabole perché il suo scopo era questo, perché se avesse, invece che parlare di parabole avesse spiegato le parabole, avesse dato delle spiegazioni come un teorema, delle dimostrazioni filosofiche, scientifiche, mediche, clinico, fisiche non li avrebbe aiutati perché diceva: avete gli occhi ma non vedete, le orecchie ma non sentite, toccate ma non toccate veramente, Il cuore di questo popolo è diventato insensibile, tocca ma non sente, vede ma non sente quello che c è al fondo, è superficiale riduce la realtà e se io gli spiegassi quello che c è al fondo loro ce lo appiccicherebbero sopra ma non cambierebbe nulla li deluderebbe nell’esperienza, sono venuto non per spiegare il senso del mondo ma per aiutarvi a fare esperienza del mondo, a  reimparare a vedere, reimparare a toccare fino ad arrivarci loro, altrimenti non ci avrebbero gusto se prendessero appunti dalla mie spiegazioni. Beati gli occhi, i vostri occhi che vedono, i vostri orecchi perché sentono. Gesù il seminatore, il Cristo, ecco cosa è venuto a fare Gesù , è venuto come seminatore, a seminare e a far crescere a far fiorire la bellezza che c’è al fondo di ogni cosa, in ogni cosa c è un segno che fa emergere più facilmente, è come se fosse un evidenziatore, come se fosse un misuratore in fisica acustica, che fa venir fuori gli armonici, fa venir fuori più facilmente la bellezza che c’è dentro. Ma non è uno spiegatore, non è un filosofo, non è come fino a 20 aa fa prima che ci fossero gli smat phone che c’erano i telefoni, i risponditori Telecom, che ti dava la risposta no Cristo non è un risponditore cioè quello che  sostituisce la tua esperienza, t’ammazzerebbe non ti aiuterebbe, Cristo è venuto per rendere la realtà un po’ più evidente, un po’ più bella, un po’ più prorompente in modo da stuzzicarti i tuoi occhi le tue orecchie le tue mani perché tu  vedendo le cose possa andarci in fondo e allora succede il miracolo, perché se non viene cristo tu resti alla superficie poco o tanto, o alla superficie dell’istinto come in discoteca o alla superficie della scienza e della tecnologia che riduce l’uomo in computer o tablet. Tutto arido tutto è piccolo, il cuore non si entusiasma mai fino in fondo se le cose non sono parabole, se non sono un segno, se le riduci a livello dell’istinto o della misurazione, le cose sono deludenti, non c’è niente che caratterizzi di più come sentimento dell’esistenza del mondo occidentale dove c’è il massimo di progresso e di benessere come le malattie depressive. La malattia dell’ultimo secolo è la depressione, coglie il 40% della popolazione del mondo occidentale perché le cose ridotte a quello ti deprimono, non ti soddisfano cristo è venuto come dice san paolo perché l’ardente attesa della creazione, ardente attesa πρόθυμοι προσδοκία

, in greco è il cuore che si infiamma che attende da ogni cosa la rivelazione del suo creatore attende i segni, affronta la realtà con questo ardore, con questo ardimento nel cuore, questa audacia nel desiderio, questo è quello che Cristo è venuto a fare. Quando noi ci lamentiamo che le cose non ci prendono, ci deludono, che sono mancanti e noi ci sentiamo mancanti e inadeguati non perché non lo siamo, certo che lo siamo le cose sono mancanti mancano del creatore, io sono inadeguato manco del creatore. Quella mancanza non la si ottiene potenziando le cose ma trasfigurando le cose, vedendole come segno per  quello che realmente sono, Cristo non è venuto se non per farci vedere le cose esattamente come sono non ci aggiunge nulla e non ci toglie nulla rende solo più evidente, più affascinante, più prorompente quello che contengono, quello che c’è al fondo di ognuna e allora succede il miracolo di questa parabola, che ogni terreno produce frutto ma lo produce in proporzione della sua apertura della sua disponibilità, Cristo mette il seme ma il seme non diventa fiore e frutto se non è accolto dal terreno e se non è lavorato nel terreno. Se non c’è il tuo lavoro, il tuo sudore, la tua fatica cosi che la mia bellezza umana e il mio compimento non è grazia di Dio, è grazia di Dio offerta a me ma che diventa opera mia per un mio impegno, Dio non mi tratta come un robot o come un tablet touch, no offre un seme ma il seme, io ho fatto l’agricoltore lo sapete, se non c’è poi tutto il lavoro necessario non porta frutto. Così alla fine dell’esistenza il mio volto umano, il frutto e la bellezza del mio volto umano dipenderà da un felice matrimonio fra la grazia di Dio e la mia libertà.

[19/08/2017, 09:48:10] Frankie: Omelia di martedì 15 agosto

“A cosa devo che la madre del Signore venga a me?Beata colei che ha creduto”.
Lo stupore di Elisabetta di fronte a quella ragazza è di vedersela lì, è di vederle in faccia una certezza, una vibrazione, un tono che non si spiega con quel che sa. Non è senza problemi, Maria. Giuseppe non sa ancora quel che è successo e sappiamo la reazione virile e dignitosa che ha, appena lo scopre, la prima cosa che pensa. Maria lo sa bene come può reagire Giuseppe.
Elisabetta non sa, non si capisce mica cosa verrà fuori da quel misterioso concepimento. Non è che gli va bene tutto ed è credibile che gli andrà bene tutto. La gioia e la certezza, il tono che Maria ha non si spiega col fatto che le cose le stanno andando e le andranno bene.
“Beata colei che ha creduto”.
Tu hai questa gratitudine addosso perché hai creduto. È la fede che ti rende così beata, così desiderabile ai miei occhi. Ecco, a noi interessa la fede perché la fede rende più beati, più felici, cento volte di più. Lo scopo della fede cristiana non è credere in Dio, è il centuplo, che la fede rende l’uomo cento volte più uomo, cento volte più contento. Questa è la fede che ci interessa; non è una vita senza fatica, senza sofferenze. Maria ne ha e la sarà detto da Simeone subito dopo “una spada ti trafiggerà il cuore” ne avrà fino alla fine, vedrà il figlio morire torturato così, vedrà le prime persecuzioni scatenarsi sui primi cristiani. È una donna come tutti. Ha su un piatto della bilancia tutti i problemi della vita, ma sull’altro piatto c’è l’oggetto della sua fede, Colui che lei riconosce presente, che ha addosso. I problemi ci sono tutti ma volano via, il tono della vita non dipende dai problemi.
Quando noi invece siamo appesantiti dai problemi della vita non è perché abbiamo i problemi, ma è che sull’altro piatto della bilancia abbiamo una fede che pesa di meno dei problemi, una fede light come la coca cola quella punto zero. Andrà bene per la dieta, ma un fede light, una fede leggera che vola via di fronte ai problemi della vita non ci interessa, non porta quella beatitudine.
Tante volte quando siamo appesantiti dalla vita, non è neanche la fede che ci manca, la fede l’abbiamo, ma è una fede light leggera, ci manca, non la fede, ma la coscienza della fede. Non ne cogliamo il peso specifico, il peso molecolare. Mentre la fede ha un peso e fa volar via i problemi, restano tutti, il dolore c’è ma il tono non è più determinato dai problemi. Allora il problema della nostra vita è che la fede ci è stata data con il battesimo e con l’incontro e che non la perdiamo più. La fede lascia il segno, lascia il marchio, il carattere e rimani segnato per sempre da quella presenza.
Qual è allora il problema della nostra fede?
Di riscoprirne ogni giorno la coscienza, bisogna percepire che sia una fede che pesa, che ogni mattina bisogna, ecco, fare quello che dice Elisabetta: appena si rende conto del segreto di Maria dice: “A che debbo che vieni a trovarmi?” Perché tu hai cercato me? Perché potevi cercare tante altre persone, tanti altri parenti e vieni da me che non sono neanche tua coetanea, che ho quasi 70 anni che sono vecchia e sterile? Che cosa vedi tu in me? Che segno sono io per te? Fammi capire che cosa tu hai visto perché anche io mi porto addosso qualcosa di cui non sono pienamente cosciente. Aiutami ad avere la coscienza e dimmi cosa porti in te, dimmi cosa ti è successo.
E Maria glielo dice e poi comincia a dire il magnificat e poi comincia a raccontare tutti gli eventi che la sua fede illumina, il peso che la sua fede ha nella vita.

“Maria rimase con lei circa tre mesi”.
Cosa avranno fatto in quei tre mesi quella vecchia e quella ragazza? Appunto, si sono aiutate a riscoprire la fede che già avevano, a cogliere, a prendere coscienza della fede, a ritrovare il peso della fede, per quello che nella vita avrebbero dovuto affrontare. L’amicizia tra noi è interessante se ogni mattina ci aiuta a riscoprire una fede che pesi nella vita, a riscoprire le ragioni: a che debbo? perché? che ti è successo? che mi sta succedendo? fammi rendere conto!
Come dissi una volta a una ragazza che era venuta a lamentarsi dei suoi problemi e io comincio ad entrare in merito e lei dice: “ho già capito, tu li affronti con i criteri della fede e mi vuoi far capire che io manco di fede.” E io le dico: “no, la fede ce l’hai. Non è la fede che ti manca, è la coscienza della fede.” E lei non capiva la differenza. Siccome lei faceva ostetricia, ginecologia le ho detto vedi quando arrivano da voi le donne gravide, voi gli fare la prima eco e dopo tre mesi si vede il cuore che palpita e cambiano faccia…I sei mesi seguenti lei e il loro compagno hanno un’altra faccia. Dico: ma lo sapevi pure prima che il cuore batteva, i parametri c’erano tutti.
Eh, ma vuoi mettere? Prima lo sapeva, ma mica ne aveva la coscienza! Ecco, vedi la differenza tra me e te? Che io domani mattina mi sveglio e mi faccio l’ecografia e colgo il peso del Divino che ha fatto irruzione nella mia vita, tu vai avanti così. La nostra amicizia deve essere vera a farci, ogni volta che ci incrociamo, l’ecografia, a cogliere il peso del Divino che dal primo incontro dal battesimo ha fatto irruzione nella nostra vita, se no è un’amicizia sprecata.

[05/09/2017, 15:08:45] Frankie: Omelia 5 settembre

“Voi non siete delle tenebre!”
Noi non apparteniamo alla notte.
L’immagine suggestiva ed efficace, che anche un bambino capisce, della novità che la fede porta nella vita: c’è differenza tra il giorno e la notte.
Senza fede sei della notte, appartieni alla tenebre,
con la fede appartieni al giorno, sei della luce: non sei più bravo, più bello, più buono, più capace…
Sei quello di prima.
Ma la luce fa vedere chi sei! Se sei bello, sei bello, se no, sei brutto! Se sei capace, se non sei…sei sempre quello!
Ma la fede è luce, ti dà coscienza di chi sei. C’è un fatto, sorge il sole e ti fa vedere chi sei, ti dà coscienza di te, sai chi sei.
Ti puoi muovere, puoi vivere, puoi scegliere, vedi la strada. Vivi!
La differenza tra il giorno e la notte: questa è la fede!
E hai tale coscienza di quello che sei, che se capisci che finora hai sbagliato, puoi decidere di cambiare strada.
Di notte non puoi cambiare strada, non vedi neppurela strada.
Un uomo così ha coscienza di sé, è presente a se stesso, è presente in quel che fa.
In ogni prova, in ogni gesto parla con autorità, agisce con autorità, cioè, in quel che fa e che dice c’è tutta la potenza del suo essere. È un uomo incontrabile, vedi chi è.
Un uomo così è l’uomo più desiderabile che esista.
La gente, le folle, sono qui, timorosi. ma sono qui.
Ma chi è mai costui?
Ma insieme è l’uomo più spaventoso che esista per chi non ama la luce.
L’indemoniato dice: basta, non ti sopporto! Che c’entro io con te? Sei venuto a rovinarci.
È un uomo desiderabile per chi ama la luce, la verità, se’, per chi vuol conoscere se’; è un uomo insopportabile, da uccidere, per chi non vuole la verità, non vuole prendere coscienza di sé: in questo sta la differenza.
La fede ci ha portati alla luce, ma le tenebre ci avvolgono di continuo e noi ritorniamo continuamente nelle tenebre.
Ogni sera si ritorna nella notte come nella vita.
Che cosa ci può liberare dalla notte, dalle tenebre, ci può fare rialzare?
“Vigilate e siate sobri.”
È la sobrietà. L’uomo sobrio è l’uomo che non si ubriaca in mille cose secondarie, che non indugia su mille particolari.
Sta sull’essenziale, e anche se ritorna la notte, deve sapere dove sono gli interruttori per riaccendere la luce e attendere l’alba quando vedrà di nuovo la piena luce.
Questa è la battaglia dell’uomo che ha incontrato Cristo.

[06/09/2017, 11:28:14] Frankie: Omelia 3 settembre 2017

“Doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto”

E perché ci doveva andare, se doveva soffrire molto? Perché nessun profeta può morire fuori da Gerusalemme, ricorda Luca. Perché Gerusalemme è il luogo dell’appuntamento con Dio, è il cuore della terra promessa, dove il Mistero ha dato appuntamento agli uomini per rivelare il Suo volto, il Suo cuore, la Sua bellezza, l’immagine, il Suo amore, la Sua potenza.

Il profeta è l’uomo che più ha coscienza di questa promessa e di cosa rappresenta questa promessa per l’attesa che vibra, che brucia nel cuore di un uomo consapevole:

“Ha sete di te, Signore, l’anima mia. […] dall’aurora ti cerco”

Un uomo, se fosse cosciente, griderebbe così da mattina a sera e da sera a mattina, lo sognerebbe, sarebbe mosso da questa sete; il profeta è un uomo cosciente, non è un uomo migliore degli altri, più bravo, ispirato, è un uomo cosciente, che sa che cos’è l’uomo e che di fronte alla promessa ha detto: “ecco, di quello io ho sete, che Dio si riveli, che sia arrivato dando appuntamento agli uomini in quel posto, in quella terra arida, in quell’altopiano che è Gerusalemme bisogna andare là. Un profeta non può morire fuori da Gerusalemme, non ha senso la sua vita senza quella rivelazione”. Ce l’hanno così chiaro gli ebrei che vanno sempre a piangere all’ultimo muro occidentale del tempio, tornerò a vederli piangere tra qualche mese. Tu vedi Gerusalemme e dici: “Ma perché da 4000 anni tutti si litigano quella terra in cui non c’è né petrolio, né oro, lì non c’è neanche l’acqua, non c’è niente… Quelle pietre, quell’eredità…perché tutte le religioni sono lì a fare a botte?”

Solo i moralisti se ne stupiscono, perché sono scemi, sono superficiali, ma gli uomini religiosi sanno bene che quella è la terra promessa, che lì c’è passato il Mistero, che si deve rivelare il Mistero, e si sarebbe rivelato lì dopo qualche mese.

Per questo Gesù capisce che non può morire da un’altra parte, non può vivere un giorno col rischio di perdersi la rivelazione di Dio, è Lui che ha sete che Dio Gli si riveli, dice tutta la vita: “rivelati a Me, rivelati in Me, nella Mia carne, ti devo vedere nella Mia carne”. Questa é la vita di Gesù, che è il profeta dei profeti.

E Pietro Gli grida: “non ti accadrà mai”, lo trascina in disparte, per la medesima ragione, perché anche Pietro attende la rivelazione, e per la stessa ragione dice: “non devi andare a Gerusalemme, perché a Gerusalemme devi soffrire molto” e la sofferenza è l’opposto di Dio, Dio non si può rivelare nella sofferenza, nella sofferenza si rivela il diavolo, si rivela la morte, nella sofferenza si rivela l’opposto di Dio.

E Gesù gli dice: “satana”, perché ragiona secondo il mondo. Ma che Dio è mai se non si può rivelare nella sofferenza? Se c’è qualche cosa nel mondo, se c’è un posto nel mondo, un’esperienza umana come la sofferenza, che spaventa Dio, che sconfigge Dio, ma che Dio è?! Che te ne fai di un Dio che non è capace di rivelarsi nella sofferenza? Dice a Pietro: “vade retro”, che non vuol dire “allontanati da me”, è una traduzione un po’ infelice, la traduzione vera è: “Vai dietro a Me, rimettiti alla mia sequela, caro Pietro. Tu mi ami, ma sei confuso, tu ragioni secondo il mondo”. Il Dio che ha in testa è un Dio che perde, è un Dio che si rivela solo – come diceva Oscar Wilde nella prima fase della sua vita – negli aspetti solari dell’esistenza; e ha vissuto degli aspetti dolorosi, e l’ha capito in carcere, ai lavori forzati, che il Dio vero si può rivelare nel cuore della sofferenza.

“Va’ dietro a me”.

Perché a tutti noi viene da pensare in quel modo, quando noi diciamo: “Questo è un miracolo di Dio!” è perché la cosa ci è andata benino, quando invece le cose ci vanno male “Dio mi ha abbandonato, dov’è Lui?”. Poi gli scappò detto anche a Gesù sulla croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, anche Lui disse: “Lo spirito è pronto ma la carne è debole, vegliate con me”, anche Lui disse: “Padre, se è possibile preferisco la busta numero due, senza la croce”.

Tutti si può cedere, come Pietro, si può sentire la tentazione, la debolezza, al limite della disperazione come la sentì Gesù al Getsemani e sulla croce, al limite. Siamo tutti di carne, siamo tutti immersi ed infiltrati da questo mondo che non ragiona secondo Dio, niente paura! Gesù non dice: “Caro Pietro, siccome tu ragioni così, siccome il Dio che hai in testa non è quello vero e vorresti una vita con il wellness, il benessere, stare bene e basta, ridurre la salvezza al wellness, non ti caccio via, non ti dico: “vai lontano perché non ti voglio più vedere”, ti dico: “Vai dietro di Me, rimettiti alla sequela”. Caro Pietro, io amo tutti, ma non seguo tutti. So distinguere gli amici che devo seguire io e quelli invece che devono seguire Me, tu adesso ti devi mettere alla mia sequela, devi reimparare da Me qual è il Dio vero, il Dio che vince dentro la sofferenza”. Il Dio di Gesù vince sulla croce, mostra a tutti il Suo amore sulla croce, mostra la Sua potenza dentro un sepolcro di un uomo crocifisso.

Questo è il Dio da cui noi siamo stati chiamati, a cui prontamente ogni giorno, ogni istante, dobbiamo rispondere. Che bello cominciare il matrimonio con questa certezza in cuore. Non avrete più paura di niente, tutte le sofferenze che vi potranno accadere non saranno un’obiezione alla risposta alla sete del vostro cuore, ma saranno il luogo dove Dio vi manifesterà di essere veramente Dio, mostrerà un amore, una potenza…perché è facile vincere senza il nemico, è facile che l’Italia vinca con il Cesena – con tutto il rispetto per il Cesena!- ma vincere con la Spagna ci vuole qualcosa in più. Il nostro Dio è un Dio che vince non evitandoci i problemi della vita ma vince dentro i problemi della vita. Disse nell’ultima cena: “Padre non ti chiedo che tu li tolga dal mondo ma ti chiedo che li preservi dal maligno”. Che dentro il mondo la mente non sia invasa dal maligno, che mantengano le idee chiare, la coscienza chiara, che non pensino mai che se c’è il dolore e la sofferenza allora non c’è Dio. Il vero miracolo è un Dio che vince dentro, non che vince senza il dolore e la croce.

Noi preghiamo con voi perchè vi siano risparmiati le fatiche e le sofferenze perché nessuno di noi è masochista se no non saremmo cattolici.

Non siamo masochisti siamo qui per il centuplo l’anticipo del Paradiso in terra ma preghiamo con voi e vi promettiamo la nostra compagnia per esservi accanto e per aiutarvi a riconoscerLo come Lui si rivelerà dentro alle prove della vita. E vi diremo come Gesù a Pietro, se avete ceduto, se avete indugiato, se avete rinunciato un istante, se avete sospettato che nella sofferenza non vi si possa rivelare, vi diremo non “andate via dalla nostra compagnia” ma “rimettetevi a seguire”.

[07/09/2017, 13:37:42] Frankie: Omelia di oggi

“Sulla tua parola getterò le reti.”
Un enorme quantità di pesci, che le barche quasi affondavano.
L’ enorme quantità di pesci sulla Sua parola, non sulla esperienza e la tecnica del pescatore. L’enorme quantità di pesci dove lui non vedeva pesci, dove non gettava più le reti.
Pescar con Cristo, peschi sempre, ci sono sempre i pesci, anche dove tu non li vedi più. In fondo a ogni cosa c’è il pesce, c’è il creatore di quella cosa, c’è sempre.
Non c’è nessuna cosa in cui non c’è nulla da pescare, perché le cose son creature. In fondo a ogni cosa c’è il creatore di quella cosa.
Quando tu non peschi più niente, non vedi più niente da pescare, è perché ti fidi soltanto del tuo sguardo, della tua tecnica, non vedi veramente in fondo al mare, ti si confonde lo sguardo.
Quando noi siamo delusi, lasciamo perdere, diciamo che non c’è più niente da pescare nella nostra vita, o in una situazione, o in un rapporto, è perché vediamo solo con i nostri occhi, il nostro povero campo visivo, e i pesci non li vediamo più.
È per questo che è ragionevole seguire Lui. “…Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e Lo seguirono”… per pescare. Sempre lui, per trovare sempre quell’ enorme quantità di pesci che fa traboccare e affondare la povera barca del tuo cuore.
Per questo è ragionevole dare la vita a Cristo.
Per chi è questa avventura, in cui c’è da pescare sempre, fino alla fine?
Anche nel punto più buio, nel momento della morte c’è da pescare. “Laudato sii, mi Signore, cum nostra sorella morte!” dice un uomo di fede che ha pescato tutto nella compagnia di Cristo, San Francesco. Povero del resto, ma ricco dello sguardo di Cristo, della sua compagnia.
Vedeva che poteva pescare anche nella morte. Ha pescato il Creatore della vita.
Per chi è questa avventura?
“Ti farò pescatore di uomini!”
Per chi vuol diventare pescatore di uomini.
Per uomini a cui non basta pescare i pesci, non bastan le cose, non basta la natura. Uomini a cui non basta il mondo.
“Per essere perseveranti e magnanimi in tutto…”
Ecco per chi è la fede cristiana, l’avventure della sequela di Cristo. Per uomini magnanimi, magnus animus, che hanno un cuore sconfinato, e perseverante, che non mollano la presa fino alla fine, che non smettono di rischiare e tentare, che son tenacemente fedeli alla voragine, al fuoco di desiderio che il loro cuore ha. La compagnia di Cristo non è per uomini bravi o capaci, è per uomini magnanimi e perseveranti, e tenaci.
Non è per i meschini, per quelli che si accontentano di poco e che mollano alla prima difficoltà.

[08/09/2017, 18:20:16] Frankie: Omelia di oggi:

“Tu Betlemme, così piccola, da te uscirà per me Colui che deve essere il dominatore di Israele.”

L’immagine, Gerusalemme, Betlemme, un villaggio, un niente… Di quella donna, Maria, che fu scelta per la grandezza del mondo – era niente – oggi festeggiamo la natività.
É festa il fatto stesso che sia nata, non festeggiamo ciò che ha fatto dopo, ciò che le è avvenuto dopo. Festeggiamo il fatto che lei esiste. È motivo di festa la sua stessa esistenza.
È bello che lei ci sia. È bella per il fatto che c’è, non per quello che farà dopo.
Questo sguardo, che si chiama predestinazione, è l’antimoralismo: l’uomo non si misura per ciò che fa o che farà nella vita, ma per il fatto che c’è, perché, per il fatto che c’è, è bello che esista, è bello per come è fatto, perché è stato voluto da sempre come immagine di Dio.
Ogni uomo, se dice io coscientemente, si sente bello, è grato di esistere, si sente una immagine di Dio. Quello che farà non c’entra niente.

“Gioisco pienamente nel Signore” solo se ho questa coscienza, se no pienamente non gioirò mai, basterà un niente ad atterrarmi, a distruggermi, se dimentico questo sguardo originario.
Le cose che io faccio non sono mai perfette, io non faccio mai bene, mi devo sempre correggere quando vengo meno alla mia coscienza ma non potrò mai dire “sono fatto male”.
Devo dire “ho fatto male, tanto male, mi correggo”, ma non sono fatto male. Mi fa Dio, come immagine di sé, per un compito immenso nel mondo.
Non è un fare, essere madre è un accogliere, è madre perché Dio l’ha fatta concepire, punto e basta.
Quello che accadrà in lei, dice l’angelo, quello che é accaduto in lei, non quello che lei farà, quello che accade in te.

Ogni mattina, per sperare di gioire pienamente durante il giorno, ho bisogno di intercettare quello sguardo, lo sguardo di Dio che mi ha pensato e che mi pensa in questo istante facendomi. Sono preziosi le parole, i segni, i rapporti, gli affetti che mi fanno intercettare lo sguardo con cui Dio ha deciso di farmi così come sono.

Questa è la rivoluzione nel mondo, tutto il resto dipende da quelle povere e ferite cose che l’uomo è in grado di fare.
La perfezione per cui io sono fatto: io sono il volto di Dio in ogni istante dove arrivo.
È questa ammirazione di me che mi permette di ammirare qualunque altro uomo.

[11/09/2017, 16:30:54] Frankie: “Il regno di Dio è vicino”.

Non lontano, non dopo la morte! Nella fede cristiana il regno di Dio si compie dopo, ma comincia ora.
Oggi festeggiamo San Nicola da Tolentino, un Santo caro, importante, nell’esperienza agostiniana.
Il Santo è un uomo vero, non è un uomo bravo che adesso sta male e che vivrà dopo!

È un uomo la cui vita comincia a diventare vera adesso.
E la prima esperienza umana che quest’uomo fa quando incontra Dio, e liberamente decide di dirGli di sì, è quella della tentazione, della prova: “Figlio mio, se ti presenti a servire il Signore preparati alla tentazione e al combattimento!”

Fu la prima cosa che mi fu detta quando Cristo mi toccò il cuore, e fui libero di darGli tutta la vita comunque la volesse.
Mi fu detto: “Da questo momento la tua vita sarà guerra, non sarai più tranquillo, perché tutto per te sarà tentazione e prova. Il diavolo si scatenerà per farti fare le cose più brutte possibili”.

Ed io dissi: “Il diavolo fa il suo mestiere, è all’opposizione, ma perché Lui glielo permette? A che gioco giochiamo? Devo dare la vita a Dio e Lui permette al diavolo di rovinare tutto?”

E mi fu detto: “Perché Dio in Paradiso accanto a Sé ha innanzitutto i martiri, quelli che hanno combattuto per Lui, quelli che avevano ben chiaro che cosa valeva Lui per la loro vita! Le tentazioni, i combattimenti, le fatiche e le sofferenze sono delle prove, sono come un duello, che ti fa vedere quanto sai combattere, sono come un test che fa vedere la qualità del tuo lavoro.
Non avere paura, sarai costretto ogni volta a chiederti le ragioni: ma chi è Dio per me? Chi è Cristo per me? Che bellezza porta nella tua vita fin da ora? Se le ragioni le avrai andrai dritto e più spedito, se le ragioni non le avrai vuol dire che la tua fede non era vera e la tua vocazione non era vera”.

Non c’è più nulla che sia contro il Santo. È un uomo che ha chiare le ragioni, ogni volta le tentazioni lo costringono a riscoprire, a ritrovare lo splendore dell’evidenza del primo istante.
È un uomo che, come dice il Vangelo:
“Non salutate nessuno per strada”
“μηδένα κατὰ τὴν ὁδὸν ἀσπάσησθε”.
Non vuol dire che non devi salutare la gente.
I saluti allora erano tutti dei salamelecchi che duravano una mezza giornata, a prendere il tè, questo e quell’altro… E non arrivavano più a casa. No! Salutate tutti ma andate sempre dritti sullo scopo. È un uomo che ha chiare le ragioni ed è centrato sullo scopo.
Lo scopo è come la cima della montagna che ti fa vedere tutto, che rende tutto bello della vita.
È un uomo che non indugia più su niente, ama tutto, abbraccia tutto, attraversa tutto, ma avendo chiaro lo scopo è un uomo splendido anche nei particolari.

[12/09/2017, 13:17:35] Frankie: “Chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici”.

E quei dodici si guardavano l’un l’altro e non capivano perché erano scelti loro. Ognuno guardava se stesso allo specchio e non capiva perché era stato scelto, guardava gli altri ed ugualmente non capiva, e si guardavano l’un l’altro e non c’era nulla che sbattesse l’uno contro l’altro, nulla che li accomunasse se non il fatto che Lui aveva scelto ognuno. Ognuno per capire se stesso, per capire che cosa lo legava agli altri non doveva capire né se stesso, né gli altri ma guardare Lui, la spiegazione era Lui, solo Lui faceva luce su quello che ognuno era e su quello che c’era tra loro. Chi era Lui? Da questo dipende lo scopo della loro vita da quel mattino. Se non capivano chi era Lui si confondeva tutto. E il tredicesimo apostolo, chiamato anni dopo, svelerà ai suoi amici di Colossi chi era Lui. Paolo ha scoperto che in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità.

Per capire Gesù bisogna desiderare la pienezza. Chi si accontenta di qualcosa di meno della pienezza non capisce Gesù…è un falegname, è di Nazareth, è questo, è quello ma non capisce. La novità di Cristo, l’identità di Cristo, quello che Lo spiega, che Lo caratterizza, che spiega tutto è che in Lui abita la pienezza della divinità.

Se tu cerchi la pienezza, se ci metti il cuore che è fatto per la pienezza, ci vai in fondo capisci Chi è. Se ti accontenti del 90%, dell’80% non cerchi più la pienezza, non cerchi più te, perché per cercare Lui devi cercare te, perché tu hai il grido della pienezza dentro, non capisci chi è Lui, non capisci che cosa ci stai a fare al mondo e non capisci cosa c’entrano gli altri con te. Si frantuma tutto, si confonde tutto. Ma quella pienezza non bisogna cercarla chiudendo gli occhi e pensando come diceva Platone, no, ma come faceva la folla che Lo guardava e cercava di toccarLo. Bisogna guardarLo e toccarLo. La pienezza abita corporalmente l’io. Per capire Cristo bisogna ascoltare il grido del cuore ed essere radicali e profondi e non fermarsi alla superficie ma non evitare la superficie, non evitare il concreto, non evitare il segno, il Suo corpo, il Suo vestito. GuardarLo e toccarLo perché la pienezza abita corporalmente e non spiritualmente.

Ci vuole sempre un segno per incontrarLo in questo mondo, non si può vedere direttamente ma Lo si vede solo mediatamente, mediante un segno. Bisogna cercare la pienezza ed essere radicali ed andarci in fondo ma avere la concretezza di attaccarsi ad un segno di Lui. Quello che a te in quel momento ti sembra più segno di Lui. Lo devi vedere e toccare ed arrivare fino al divino che lo tiene. Se tu non lo arrivi a riconoscere la divinità che abita corporalmente in Lui non è vero che Lo vedi, non è vero che Lo tocchi. Perché se Lo vedi e Lo tocchi realmente arrivi a vederLo.

[13/09/2017, 10:41:13] Frankie: “Cercate le cose di lassù.”

Tradotto un po’ infelicemente. Lassù o laggiù è la stessa cosa, letteralmente vuol dire
“τὰ ἄνω ζητεῖτε”, “Cercate la dimensione della profondità.”
State sulla “y” e non solo sulla “x”, non fermatevi alla superficie delle cose, siate profondi nello sguardo, siate radicali, perché la realtà ha un’apparenza ed una profondità, è come un immenso uovo di Pasqua, che c’è la stagnola, poi dentro la cioccolata c’è la sorpresa! Mettete la mano fino in fondo, afferrate il fondo delle cose. Usate la capacità metafisica della ragione, la capacità simbolica di cogliere le cose come segno ed arrivare al Mistero che è contenuto.
E cosa ci trovate se siete profondi e radicali?
“Dov’è Cristo risorto seduto alla destra di Dio.”
In fondo alle cose c’è un uomo, un uomo Gesù, risorto. Nella resurrezione Gesù non è come ritornato indietro in questo mondo, è il contrario! È andato fino in fondo a questo mondo, è andato oltre l’apparenza, è andato alla radice del mondo, là dove c’è il creatore del mondo, e si è messo a creare il mondo con Dio.
C’è un uomo, uno di noi, che è là che crea le cose, al fondo di ogni cosa c’è Lui.
Se guardate le cose così accade il miracolo nel vostro animo.
Beati voi, beati, beati, beati…
Siete beati sempre, anche quando piangete, quando avete fame.
Se guardate le cose fino in fondo, al fondo delle cose c’è la beatitudine, c’è l’eternità, perché con Gesù l’Eterno ha fatto irruzione dentro il mondo, dentro le cose. E adesso le cose sono già agganciate all’Eterno, son già salve per sempre.
La morte ed il tempo non distruggeranno più niente. Guardate le cose così e tutte sono vostre, vostre per sempre, vostre per sempre e avete un fremito di beatitudine, foste anche inchiodati sulla croce.
Quando noi non siamo beati, quando siamo tristi, quando siamo spenti è perché siamo superficiali, abbiamo smesso di usare la capacità metafisica della ragione, ci fermiamo a descrivere l’apparenza, perché non facciamo più memoria di Gesù risorto. “Fate memoria di me”, ogni mattina qui, per ritrovare la profondità dello sguardo, l’intensità dell’affezione ed il godimento che ogni cosa rende possibile a chi riconosce Gesù.

[14/09/2017, 12:28:46] Frankie: Omelia di stamattina

“Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, alla morte di croce, per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni altro nome.”

È assurdo, ai nostri occhi di uomini moderni, che umiliazione, obbedienza e croce siano la ragione dell’esaltazione.
“Proprio per questo Dio lo esaltò”, “propter quod”, dice il latino, “διὸ καὶ” dice il greco.
Come è possibile che la causa dell’esaltazione e della grandezza, che il nome così grande, al di sopra di ogni altro nome, la grandezza e la bellezza della persona di Gesù sia così grande proprio per l’umiliazione, per l’obbedienza e per la croce?
Ai nostri occhi fa a pugni, perché noi siamo uomini moderni e ci concepiamo indipendenti. E, siccome siamo fatti per la grandezza, l’ubbidienza la sentiamo come una alienazione. I grandi maestri della modernità, Marx, Freud e Nietzsche, lo dicono sempre: “Io sono un uomo moderno, per essere me stesso non devo ubbidire a nessuno, non mi devo umiliare di fronte a nessuno, ogni dolore e ogni croce mi distruggono, per essere grande, per esaltarmi, per trovare il mio nome nel mondo, devo disobbedire, non devo avere nessun contrasto e nessuna croce”.

Perchè mai Paolo dice che Gesù proprio per quella strada, umiliazione, obbedienza e croce, si realizza?
Perché Gesù aveva coscienza vera di sé, quando diceva io si sentiva figlio, si sentiva fatto, si sentiva creatura, ed era impensabile che per diventare se stesso dovesse staccarsi, ribellarsi alla vita che faceva.
Per Gesù ubbidire a Dio, al Padre, coincideva con l’ubbidire a sé, perché il Padre era Colui che lo faceva, perché il Padre era Colui che gli parlava nel cuore. Per Gesù ubbidire al proprio cuore e ubbidire al Padre coincidevano, quello che il suo cuore sentiva, quello che il suo cuore desiderava per lui era la voce di Dio.
Gesù non si è alienato ubbidendo, ma ha obbedito a se stesso, è finito sulla croce perché, per evitare la croce, doveva andare contro se stesso, negare ciò che era stato, che aveva amato, vissuto e gridato per 33 anni. Gesù è stato se stesso, ha obbedito a se stesso.
L’ubbidienza per Gesù non è un’alienazione, ma è un diventare se stesso. Ha sempre obbedito al proprio cuore.

Quando noi sentiamo l’umiliazione come contro di noi, quando sentiamo l’obbedienza come un’alienazione a qualcuno che è esterno a noi e che si impone, quando sentiamo la croce come una maledizione e una devastazione, è perché non abbiamo la coscienza vera di noi stessi: quando diciamo io non sappiamo cosa diciamo.

Per essere liberi dobbiamo riprendere coscienza di noi stessi, riprendere a dire io conoscendo veramente chi siamo, reimparando a stimare la voce del nostro cuore. Dobbiamo imparare ad obbedire a noi stessi. Dio non è un alito, è la profondità di me.

“Non dimenticate”, dice il salmo, supplica questo salmo 77, “non dimenticate le opere del  Signore.”
E la prima opera del Signore sono io, io sono la prima opera del Signore.
Per essere libero di ubbidire a Dio, per essere libero di immedesimarmi – l’umiliazione è immedesimarsi nella nostra miseria, nel nostro limite, riconoscere chi siamo veramente – per prendere sul serio la voce del mio cuore come voce di Dio, per prendere sul serio quello che provo nel fondo di me, per essere sempre me stesso, non devo dimenticare le sue opere, devo ogni mattina svegliarmi e riprendere coscienza, conoscere e approfondire continuamente le opere del Signore e la prima opera, che sono io stesso.
Benedette le parole, i gesti, le opere che scavano l’io, che mi fanno dire io con l’autenticità potente con cui lo diceva Gesù.

È per questo che anche le grandi opere dell’arte e della letteratura che scavano l’io, che fanno percepire all’uomo quello che lui è al fondo, sono preziose, perché la fede cristiana sia un’esperienza di liberazione e non di alienazione. E che sfida dentro questo mondo! E noi siamo schiacciati tra il fondamentalismo religioso, che per affermare l’io distrugge l’uomo, e il nichilismo occidentale che per affermare l’uomo lo devo svuotare di Dio e lo deve ridurre al niente, il nichilismo è io sono niente.

[15/09/2017, 18:27:37] Frankie: Reso perfetto. Ecco l’uomo Gesù, un uomo reso perfetto. τελειωθεὶς: reso perfetto. Ha raggiunto il Suo scopo, ha realizzato il Suo compito nel mondo, ha occupato il posto che nel mondo era solo Suo: diventare l’uomo perfetto, vero, realizzato. Ha realizzato la bellezza e la grandezza per cui era stato pensato. è per questo che io do la vita a Gesù, che Lui merita la mia vita: perché io son fatto per essere perfetto, per scoprire nel mondo quel posto che è solo mio.
Spesso, quando mi arriva il messaggino che è nato il bambino o la bambina di un amico, mi dicono il nome, il peso, che è grande, la mamma e tutto e io io dico: “benvenuto in questo mondo, a scoprire il posto che è solo tuo!”. Ognuno di noi nasce per diventar perfetto, per diventare pienamente se stesso.
Come ha fatto Gesù a diventar perfetto? Imparò l’obbedienza, ha dovuto imparare l’obbedienza al grido profondo che esplodeva dalla Sua umanità, dalla profondità del Suo cuore, perché per Gesù l’obbedienza a Dio non è un essere esterno, non è un’obbedienza estrinseca, alienante: la legge di Dio è la legge della natura, della Sua natura e della Sua persona. Dio è il Suo creatore, Colui che è al fondo del Suo cuore. Per Gesù, obbedire a Dio vuol dire obbedire a se stesso, ubbidire al grido profondo della Sua natura. Per questo, solo nel cristianesimo l’obbedienza è liberante e non è alienante: perché è intrinseca, non è estrinseca.
Ha obbedito al proprio cuore, ha messo il cuore in quel che faceva, tant’è dicevano: “parla con autorità”. ὑπακοήν, obbedienza. in quello che dice e fa c’è tutto il peso del Suo essere, tutta la profondità del Suo essere. Si intravede, dalla parola e dal gesto, l’impeto di Amore e di eternità che c’ha dentro, il Padre che parla in Lui. è questa ubbidienza, in fondo, ultimamente, alla verità di Lui stesso, che ci fa diventare perfetti. Se no saremo sempre alienati. Ma “Imparò l’ubbidienza, da ciò che patì”: per diventare perfetto ha dovuto patire, perché questo mondo non obbedisce, non obbedisce a Dio, non obbedisce alla propria natura, questo mondo snaturato. Il mondo è tutto posto del maligno: chi vuole diventar se stesso deve andare contro corrente, ha inesorabilmente la croce da portare. “E anche a te, dice Simeone a Maria, anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Cioè: se tu vuoi diventare te stessa, la donna vera, la donna più bella e più realizzata, la strada è sempre imparare l’obbedienza alla profondità del tuo essere, e questo accadrà sempre e soltanto dentro i patimenti, perché se vuoi seguire la corrente, se vuoi seguire ciò che è spontaneo non diventerai te stessa. Sta in questa percezione il fascino potente del cristianesimo, diventar se stessi, ma la drammaticità e il terrore della proposta cristiana, il terrore di chi ama la vita comoda invece che la vita vera.

[17/09/2017, 20:35:53] Frankie: “Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo per il Signore, sia che viviamo, sia che moriamo siamo dunque del Signore”.
“Siamo del” di un Altro. La verità più imponente, più drammatica è che in questo istante noi non siamo padroni di noi stessi, di niente, quel che siamo è in mano ad un Altro. Questa è la drammaticità della vita.

Il dramma non è una cosa brutta, il dramma è l’esperienza del dipendere, dell’essere in mano ad un Altro. E’ un’esperienza che ti crea la suspense, non sai come va a finire.
I film drammatici: l’ammazza o non l’ammazza? E’ colpevole o è innocente? E’ lui o non è lui? E tu non sai fino all’ultimo istante se finisce bene o male.
Se finisce male il dramma si chiama tragedia e i greci dicevano -molto realistici, molto razionali – che la vita è una tragedia. Comincia anche bene, a volte va avanti bene o male, finisce comunque male perché c’è la morte. E gli uomini invece che chiamarli uomini preferivano chiamarli i mortali, quelli che comunque moriranno.
Erano realisti e razionali non avevano visto altro che questo.Milleduecento, il più grande poeta della storia, Dante, dice che la vita non è una tragedia ma è una commedia, anzi, una Divina Commedia, che finisce bene, perché dentro il mondo c’è un protagonista divino, perché Colui da cui la vita dipende è buono ed è potente. E’ così buono che è morto per noi, perché nel punto di morte si vede l’amore che uno ha nel cuore o l’odio che uno ha nel cuore. E poi è risorto per mostrarci la sua potenza, che ha il potere di realizzare la nostra vita. Noi siamo qui e facciamo festa in questi giorni, la festa per dire che la vita non è una tragedia ma è una commedia. La vita è un dramma, l’inferno esiste ma ci si può passare attraverso come Dante; il purgatorio esiste, tante pene nella vita ma si può passare attraverso. Il Paradiso esiste ed incomincia già sulla terra. Questo è il tono che il cristiano ha di fronte alla vita. Siamo qui questi giorni per far memoria di Cristo morto e risorto.Perché anche chi non crede in Cristo morto e risorto di feste ne fa tante, ne fa tante, soprattutto per dimenticare le pene della vita, ma sono feste evasive, prive di ragioni. Per quelli che non pensano la vita non è – è un dramma per tutti!- ma non è una tragedia, non è neppure una commedia, è semplicemente una farsa, una cosa a cui cinicamente ridere sopra, ed è meglio pensarci il meno possibile. Le feste di chi non conosce Cristo esistono, ma sono feste per evadere, per staccare un po’ la spina, per non pensare, perché se uno ci pensa dà ragione ai greci. Noi invece la vita la vogliamo e la possiamo guardare tutta in faccia e non vogliamo staccare la spina da nessuno purgatorio e da nessuno inferno, anzi siamo qui, la nostra festa è capace di abbracciare tutti i drammi che ci sono nel mondo, perché non siano né tragedie ma neppure delle farse. La vita è una cosa seria e grande e noi siamo amici per guardarla, per conoscerla e per viverla. Noi non abbiamo paura di guardare in faccia niente. Questa è la possibilità di una festa veramente umana.

[19/09/2017, 16:37:15] Frankie: Omelia 18 settembre

“Gesù lo ammiró (…). Neanche ad Israele ho trovato una fede così grande”.

L’ammirazione di Gesù, il Suo entusiasmo è per la fede del centurione.
La bellezza che infiamma il cuore di Gesù non è l’estetica esteriore di una persona, ma è l’esperienza che quella persona fa.
È l’esperienza della fede, la cosa più bella puoi vedere in un uomo, un uomo che di fede vive. Come in quell’attimo con il centurione, che non l’aveva guardato negli occhi, ma gli aveva mandato a dire.
La fede non è credere in Dio nella sua esistenza e onnipotenza, magari obbedienti ciecamente, sottomettersi a Lui, questa fede non entusiasma Gesù. La fede che suscita l’ammirazione e l’entusiasmo di Gesù, la fede grande, la cosa più bella che Lo riempie di ammirazione è la fede di un uomo che conosce un altro uomo, lo riconosce, lo ama si immedesima e riconosce in quell’uomo Dio presente. La fede cristiana non è credere nell’esistenza di Dio ma nella Sua Presenza riconosciuta in un uomo che hai davanti a te. Questa è la cosa più bella che si può vedere nel mondo. Da dove nasce questa fede che riempie di ammirazione e di entusiasmo Gesù? Da due fattori: primo un segno che venga da quell’uomo in cui tu riconosci Dio presente, una parola, ne basta una, non devi fare kilometri, non devi dare altro. Troppi segni stancano, disperdono, impediscono di andare in fondo, di riconoscere Dio. Di segni ce ne vuole uno solo. Dimmi una parola e in quella mettici tutto te stesso, la verità che hai dentro, l’amore che dentro, la potenza che hai dentro e io in questa parola ci metterò tutto me stesso. Io per riconoscerTi presente in una parola, in un segno ho solo bisogno: “Ascolta la voce della mia supplica quando a Te grido aiuto”. Ho bisogno di gridare aiuto, di diventare tutto un grido di aiuto, di sentire l’angoscia che ho dentro di me, in quella parola, in quel gesto che mi offri.
Ho bisogno di un segno che risponda a questo grido. Quando noi sentiamo Dio lontano, ci sembra di aver perso la fede o di Dio abbiamo paura o dubitiamo che ci voglia bene è perché non mettiamo tutto noi stessi, tutto il grido che siamo in quel piccolo segno, in quell’unica parola che ci viene data. Ma magari vorremmo che fossero aumentati i segni e più aumentano e più ci disperdiamo e rimaniamo alla superficie. Benedette le parole, i segni, i frammenti che ci vengono dati per riconoscere Dio presente, benedette le esperienze umane che ci fanno gridare a volte è un grido di piacere, di gioia che ci fa dire: “Ma da dove viene questa Bellezza?”. A volte è così doloroso, così lacerante, trafiggente che ci fa gridare di dolore e di angoscia: “Vieni e libera me”. In ogni caso benedette le esperienza che ci fanno gridare, che ci permettono di andare in fondo a quel piccolo segno in cui Lui si rende presente. Maledetto tutto ciò che ci distrae, ci disperde, ci abbruttisce, ci dà l’illusione che possiamo vivere di poco.

[19/09/2017, 19:41:34] Frankie: Omelia di oggi

“Un grande profeta è sorto tra noi.”
Perché senza un profeta l’ebreo non vive, cioè, vive, ma non cammina. Sta fermo, il tempo gli passa inutilmente, come agli altri, come ai greci che contemplano ma c’è l’eterno ritorno. Non c’è la novità nella storia. Il profeta -προϕήτης- è quello che proclama davanti a tutti quel che vede, e lui vede nelle cose un segno, come traccia per un cammino. Le cose per il profeta sono segno di Dio, strada a Dio, sono come per un informatico un ipertesto, come un sito che ti apre, ti apre, ti apre, ti apre continuamente una finestra nuova finché ti conduce davanti alla schermata definitiva.
Il profeta non è un uomo che ci ha troppa dopamina e ci ha le traveggole, ci ha il delirio religioso di allucinazione, è l’uomo che vede la realtà intera. Non è quello che vede di più, son gli altri che son mezzi ciechi, vedono di meno, gli altri che riducono la realtà.
Il profeta è quello che rende utile la vita, toglie dalla frustrazione del tempo perso. Quando noi sentiamo il tempo perduto è perché ci manca il profeta, e non cresciamo più.
Per essere grandi nella vita ci vogliono solo due strade: o tu sei un profeta, o sei di un profeta fino a diventare tu profeta, a vedere le cose effettivamente come sono.
Ma qui dicono “è sorto tra noi un grande profeta”, più grande degli altri, è il più grande, è un nuovo profeta, Gesù è ‘IL’ profeta, definitivo. Perché mentre gli altri mostrano il vero, Lui lo realizza, gli altri parlano dell’eterno, di quello che ci attende, creano degli uomini tutti protesi in avanti, pieni di speranza, in attesa del futuro ma il cui presente è sempre un vuoto da cui bisogna fuggire. Gesù non proietta gli uomini verso l’eterno, ma fa irrompere l’eterno nel presente, al bambino nella bara gli ridà la vita. L’ eternità irrompe nella carne che sta per corrompersi di quel ragazzo, l’eterno diventa presente. Il tempo del profeta ebraico è il futuro, il presente è sempre un po’ svuotato. Il tempo di Cristo è in quel presente, il futuro comincia a diventare presente, il presente comincia a diventare la pienezza del tempo, si può vivere.
Il tempo del profeta ebraico è sempre un po’ penitenziale, digiunatorio, il tempo del cristiano è il tempo in cui la festa inizia, il presente incomincia a riempirsi, è un tempo festivo, un tempo festoso. Quando noi perdiamo il tono della festa, il volto si ingrugnisce e si spegne diventa lamentoso, è perché non abbiamo più davanti agli occhi il grande profeta: Gesù.

“Questa fama si diffuse tra tutte le regioni.”
Inesorabile e incontenibile, si diffonde da se’ l’annuncio cristiano. Non c’è bisogno che la missione diventi come una forzatura o una imposizione. Basta che esista e si diffonde, è contagioso. Il cuore dell’uomo è fatto per incontrare il grande Profeta, per questa pienezza.

[20/09/2017, 11:30:09] Frankie: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto”

Non vi siete smossi di un millimetro, perché niente può smuovere l’uomo dall’esterno. L’uomo si muove solo dall’interno. Dicevano i pedagogisti romani – che pure il potere dall’esterno ce l’avevano, eccome, il dominare e schiacciare il mondo – ma dicevano che nella pedagogia e nell’ educazione “pueri et naves a posteriora reguntur”: i bambini e le barche si spingono per il di dietro, dall’esterno, con i remi, con il timone, con le sculacciate; “non homines”, ma non gli adulti, gli adulti “ab interiora moventur”, si muovono solo dall’interno se si vogliono muovere. Come rispose Freud ad un farmacologo che era disposto a cambiare il suo trattamento di una certa patologia psichiatrica se lui gli garantiva che con la psicoanalisi e senza gli effetti molecolari dei farmaci si poteva raggiungere lo stesso step: “lei me lo garantisce?” e lui rispose bestemmiando: “ma é evidente che la sua paziente guarisce solo se vuole veramente guarire” . Dall’esterno non si può fare nulla, tale é il potere immane della libertà; io mi muovo se mi voglio muovere, neanche Dio che é onnipotente, neanche Dio può smuovere la mia libertà, l’ha fatta Lui con il potere di resisterGli.
Che cosa posso fare io per favorire la tua libertà, se dall’esterno non ti posso né convincere né costringerti? Non ti posso neppure convincere, ti posso solo avvincere. Si avvince con la libertà; ti posso solo avvincere con la bellezza della mia libertà. Per favorire la tua libertà l’unica cosa che posso fare é vivere di libertà io, davanti a te essere totalmente libero io e farti vedere come é bello essere libero, mostrarti con la mia vita che “grandi sono le opere del Signore” nella mia vita. Posso solo mostrarti come é bello muoversi, obbedire, rispondere di sì a ciò che corrisponde al cuore.

“La sapienza é stata riconosciuta [conclude il Vangelo di Luca] giusta da tutti i suoi figli”

Ma può essere continuamente rifiutata dai figli ribelli, tale é il potere della libertà. Dio ha fatto il mondo in cui non è più protagonista Lui, ma é protagonista la libertà di ogni persona.
Noi cristiani cattolici siamo quasi gli unici nel mondo a testimoniare la perla, il diamante della libertà. Tutte le altre culture poco o tanto mettono l’accento su altro, sulla civiltà, sulla politica, sulla scienza, sui condizionamenti, su mille cose ma chi guarda, chi stima, chi si inginocchia, chi sfida, chi ha l’audacia di sfidare la libertà della singola persona é solo Gesù e chi si immedesima in Lui.

[21/09/2017, 11:41:10] Frankie: Che omelia questa di stamattina!
Buon onomastico “a tutti i Matteo!”

“Egli ha dato ad alcuni d’essere apostoli ad altri di essere evangelisti”.
A Matteo ha dato entrambe le cose.
Matteo era un’affarista, corrotto, traditore del popolo, pubblicano, nel settore pubblico: faceva gli affari avendo l’appalto delle tasse dei romani.

Usato dai romani, disprezzato e odiato dal suo popolo. Faceva gli affari suoi approfittando dell’occupazione.

Un uomo di cui si aveva schifo, come Zaccheo, e aveva schifo di se stesso.
Matteo è diventato apostolo, poi evangelista.
Apostolo, un uomo lanciato – ἀποστόλους – lanciato nel mondo che affronta il mondo di slancio pieno di passione, di entusiasmo.
Evangelista – εὐαγγελιστάς – porta una notizia gioiosa e perturbante, porta una notizia nuova, che nessuno ha mai portato.
La sua persona vibra di questa notizia.
Che cosa ha trasformato quell’uomo da pubblicano, affarista e corrotto, disprezzato, ad un uomo desiderato che va all’ abbraccio di chiunque incontra e non chiede una lira, un euro, ma gli da se stesso, gli da la cosa grande che gli è successa. Cosa lo ha trasformato? Che cosa l’ha cambiato?
“Finché arriviamo tutti all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”
È un’esperienza umana che lo ha cambiato, un’esperienza, ha fatto l’esperienza dell’uomo perfetto, ha raggiunto la misura della pienezza di Gesù, di quell’uomo che aveva di fronte, è diventato un uomo pieno, realizzato, contento, pieno come era pieno quell’Uomo che quel giorno

lo aveva chiamato al banco delle imposte. E’ stata un’esperienza umana di pienezza che lo ha reso apostolo ed evangelista!
Non è stato “facendo” l’apostolo o “facendo” l’evangelista, ma il contrario: è un’esperienza umana che lo ha reso così pieno che si è trovato lanciato nel mondo, vibrante di questa entusiasmante notizia! Non è ciò che uno fa, che lo cambia, ma ciò che uno ama, che uno conosce. Il fare è uno strumento di espressione di quello che uno ha dentro: è l’esperienza umana fatta in tre anni che ha cambiato Matteo.
Quel che ha fatto lo poteva fare nelle tre cose, poteva tornare a riscuotere le tasse e lo avrebbe fatto in un modo opposto prima. Quando ad un uomo accade questo, quell’uomo non deve fare nent’altro che questo!
Qualunque cosa stia facendo la continua a fare, perchè quello che accade, accade a prescindere da lui.
Dice il Salmo 18 acutamente:
“Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio, ai confini del mondo il loro messaggio!”
Non ha fatto nient’altro che fare se stesso che essere se stesso! Senza dire niente se non vi era bisogno che dicesse niente, è evangelista non perché ha scritto il Vangelo, evangelista per quel che era, per come viveva, punto e basta.

Il resto non doveva farlo Lui, il resto lo fanno le persone che incontrano che di fronte ad un uomo che ha raggiunto la sua pienezza umana decidono, se la vogliono per se, lasciano il loro banco delle imposte e gli fanno dietro, se non la vogliono per se, continuano a farsi la loro vita!
Un uomo che ha incontrato la pienezza di Cristo non deve fare nient’altro che continuare ad essere se stesso! Il resto, si diffonde senza linguaggio, senza parole, senza che si diffonda la voce. Questa è la potenza di un uomo che è diventato se stesso! La potenza di sfidare la libertà di chi incontra, come un giorno è stata sfidata la sua.

[22/09/2017, 18:44:38] Frankie: Omelia di stamattina

“Lui andava per città e villaggi e Lo seguivano i dodici e alcune donne”.

Un fatto apparentemente insignificante.
Un uomo che va, degli amici e delle amiche che gli vanno dietro, che vanno con lui. Un gruppo di persone. Come una guida che guida i turisti.
Un gruppo di amici che vanno a fare una gita.
Gente che va a lavorare da qualche parte insieme. Dei pendolari.
Un fatto normalissimo che a un giornalista non avrebbe destato nessun interesse. Non faceva notizia.
Eppure, dentro quel fatto, quel gruppo di uomini che vanno di città in città, di villaggio in villaggio, incontrando, facendo…, c’era dentro il Big Bang; in quel gruppo di persone c’era qualcosa che sarebbe piano piano emersa, avrebbe affascinato alcuni, terrorizzato altri. Sarebbe stato un Big Bang nella storia.
Da quel gruppo di uomini sarebbe cominciato un mondo nuovo, una perturbazione dello spazio vecchio – direbbero gli astrofisici -, un terremoto, un buco nero che si incrocia con un altro, crea un’onda, perturba la storia che stamattina ha preso noi, ci ha tolti dal letto mezz’ora prima (magari potevo organizzarmi per prendere altri impegni), per essere qui venti minuti a far memoria di un fatto.
Cosa c’era tra quella ventina di persone, che li ha presi?
Alcuni di questi saranno morti, ma quella morte non è stata la fine di niente. È l’inizio della storia per cui noi siamo qui questa mattina. Cosa c’è tra noi questa mattina? Perché veniamo qui ogni mattina? Cosa ci portiamo dentro?
Se non ne prendiamo coscienza, se non ci rendiamo conto, piano piano questa cosa si spegne, come si è spenta in questi ultimi decenni per la maggior parte dei cristiani del mondo occidentale. La percezione, la coscienza, il peso di questo fatto negli occhi, nel tono, nelle parole, si è andato spegnendo.
È rarissimo trovare delle persone che abbiano una coscienza vibrante di quello che si portano dentro, di quello che in quel gruppo di venti persone cominciava progressivamente a concepire.
Noi siamo amici se ci aiutiamo a prendere coscienza. Senza coscienza è come uno che ti fa un regalo e non lo apri neanche. Come uno che ti allega un allegato, uno zip, e tu non vai mai ad aprire il file che c’è dentro. E non ti rendi conto. Se non ti rendi conto diventa piano piano un peso, un peso, un peso…
Quella ventina di persone furono amici perché si dedicarono a prendere coscienza. E quando Lui fu morto si aiutarono a prendere coscienza, non se ne andarono, arrivarono a stare insieme, a gridare che si svelasse, poi venne lo Spirito Santo e poi discutevano, litigavano, si scontravano, perché non erano mica d’accordo. Per esempio Pietro e Paolo e tanti altri.
Eppure è questa amicizia tutta tesa a prendere coscienza di quello che c’era all’origine che cambia il mondo.
Senza coscienza non si va da nessuna parte.
Un uomo che ha coscienza sfida il mondo, si erge grande protagonista dentro il mondo.

[22/09/2017, 19:03:53] Frankie: hahajj sk ska goal akf. della fia. faijaka f iaklakkkfs aididjs

[25/09/2017, 08:34:50] Frankie: Omelia di oggi.
Stupenda!

“Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia”

Il valore del mio corpo è glorificare Cristo, manifestare nel mio corpo, nella mia umanità così come è, la gloria di Cristo. La gloria nel mondo moderno significa la fama, “Saranno Famosi”…no! Anche nel mondo latino è la fama, no! In greco è l’opinione che si ha di te. Gloria in ebraico significa “incubo”, ma incubo bello; ci sono incubi brutti che ti fanno venire le angosce. L’incubo bello è una bellezza che ti schianta, una cosa che la vedi, rimani inchiodato e non ti stacchi più. Passi per strada, vedi una bellissima ragazza, rimani lì per un’istante e ti prende tutto; arrivi in cima al Monte Bianco vedi l’Entrevès Pass per un istante sei inchiodato lì, o un’opera d’arte. Oppure, tutti lo sappiamo, la bellezza negli occhi, nell’affetto, in un volto, guardi quella faccia, quegli occhi per un istante e c’è un abisso, c’è l’abisso di Dio, ti prende tutto. L’incubo è qualcosa che ti inchioda, per un’istante quella cosa è tutto per te, ti domina, è la bellezza che ti domina: questa è la gloria. Rainer Maria Rilke che girava sempre attorno alla Chiesa, ma non c’è mai voluto entrare per i pregiudizi, magari comprensibili, che aveva, e uno dei suoi leit motive che ogni tanto ritorna nelle sue elegie era “Ein jeder Engel ist schrecklich”: ogni angelo per me è tremendo.
L’angelo, la bellezza più potente di Dio nel mondo, quando vedo un angelo, una bellezza che è come quella divina, è tremenda e ho paura, perché se mi lascio, se la guardo negli occhi sono preso e io non voglio essere preso. Questa è la gloria di Cristo.
Paolo dice “da quando l’ho incontrato ho capito che il valore del mio corpo sta nell’essere invaso dalla Sua Gloria” – è il contrario di Rilke – nell’essere tutto preso, nel vedere Dio in me. Ogni fibra del mio corpo, anche la più piccola, la più malandata, quella in cui c’è tanto dolore è gloria Sua. Lui si rivela a me attraverso il mio stesso corpo, basta che io dica “io” fino in fondo e vedo Lui e chi mi vede Lui. Questo è il valore del mio corpo!
Chi stabilisce la grandezza del mio io?
Un’azienda che mi assume a lavorare mi valuta per quanto sono produttivo poi vado a casa; i miei amici mi valutano per certe cose; la politica mi valuta per il voto che do; i commercianti per quanti euro gli faccio fatturare; le persone che mi amano, anche il partner più innamorato di me, che cosa valorizza di me? Tanto! Ma non esiste un partner, un innamorato che mi valorizzi tutto fino in fondo, c’è un punto di solitudine che nessun partner innamorato può valorizzare perché io sono unico al mondo, il mio cervello è plastico; i primi tempi me lo plasmano la mamma e il babbo, ma pian piano essendo io libero, avendo il cruscotto con il volante della mia vita, sono io che faccio le mie opzioni, ogni istante scelgo il cibo che mi pare, il vestito che mi pare, la casa che mi pare, gli amici che mi pare, le letture che mi pare, e plasmo me stesso, do forma al mio io, e faccio delle scelte. C’è un modo di sentire il mondo e la vita che è solo mio, e anche il partner più innamorato, che più mi capisce, mi lascia solo, c’è un punto in cui sono solo, nessuno mi capisce. Mi capisce solo Dio! Solo Lui mi fa compagnia fino in fondo. Chi non capisce questo non ha ancora scoperto la grandezza del proprio io.
Chi valorizza fino in fondo tutto di me? Cristo. È soltanto la gloria di Cristo che mi fa stimare e ammirare tutto di me! Quando io dico “non vado bene, mi sento sbagliato” è perché ho uno scopo più piccolo della gloria di Cristo, perché mi aspetto che ci sia qualcos’altro o qualcun altro che mi possa valorizzare fino in fondo: non c’è, soltanto la gloria di Cristo dá valore a tutto di me. Se non mi piego a questo, mi sentirò sempre prima o poi sbagliato, solo.
Come posso verificare che spendere tutta la vita per dare gloria a Cristo è la miglior valorizzazione di me?

“Prendere a giornata lavoratori per la sua vigna”

Lo posso capire solo se divento un lavoratore della Sua vigna, della vigna di Cristo, se lavoro per la Sua opera, se do la vita per la sua opera. La vigna di Cristo è un popolo nuovo nel mondo, si chiama Chiesa: soltanto se io do la vita per la Chiesa, perché esita la Chiesa nel mondo, per quel mondo in cui Dio esiste nel mio stesso corpo, se spendo la vita come l’ha spesa Cristo, per l’opera per cui l’ha spesa Lui, allora posso verificare se vengo veramente valorizzato o no.
Il criterio per dire “si è vero”, Cristo è glorificato nel mio corpo sia che io viva sia che io muoia, comunque vadano le circostanze della vita, è se arrivo a sera e son contento, non contendo del denaro, figuriamoci se basta un denaro per far contento un uomo. Infatti, il lavoratore che si lamenta è perché si era aspettato la sua valorizzazione dal denaro, e quando vede che gli altri prendono lo stesso denaro lui ha un vuoto dentro, capisce comunque che è poco, ma vorrebbe di più ed è invidioso e si lamenta. Pensando che anche se gli avessero dato due denari, tre denari o cinque denari, gli stipendi dei mega boss delle imprese sarebbe stato felice: è scemo! Perché quello che gli riempie il cuore non è un denaro o mille denari, è che ha lavorato per la Sua vigna! È la vigna! Il lavoro per la vigna, la dedizione a quella vigna, a quell’opera, che ti riempie il cuore! È che tu sei libero di fare una cosa o di farne un’altra, per un denaro o per mille, di vivere o di morire, perché quello che ti fa libero, cioè quello che ti riempie, non è quello che ti viene dato o la cosa che tu scegli, ma ce l’hai prima di scegliere quella cosa. Quello che ti riempie il cuore è che sei stato scelto per dedicare la vita all’opera stessa di Cristo.
Quanta gente vedo paralizzata dal problema della scelta! Qualche giorno fa una persona un po’ ossessionata mi ha detto: “Dimmi come devo fare per fare la scelta giusta”, l’ossessione maniacale della scelta giusta! Come se ci fosse una scelta giusta, una scelta che ti riempie il cuore. Non c’è, perché tu scegli sempre una creatura, per quanto sia bella e affascinante quello che riempie il cuore è il Creatore, non è la cosa che scegli ma la ragione per cui la scegli, lo scopo per cui la scegli.
Per che cosa tu fai quella cosa, per che cosa ami quella cosa, per amore di cosa, o meglio, per amore di chi tu dai la vita per quella cosa, o per quella persona? La scelta giusta è la scelta del Creatore, è la scelta della gloria di Cristo.
Dopodiché le cose non sono tutte uguali, siccome non sono masochista sceglierò sempre le cose che mi fanno godere invece che soffrire, ma la mia pienezza non dipende dalla cosa che ho scelto, ma da Colui che ha scelto prima di fare quella cosa, dal Creatore di quella cosa, da Colui che mi dà quella cosa perché io mi dedichi a Lui. Perché soltanto se mi dedico a Lui vedo la Sua gloria nel mio corpo e sono pieno, e sono libero!
Diventa non indifferente vivere o morire, per Gesù non è indifferente: quando arriva la morte, dice che se era possibile non voleva la busta con la croce, chiede la busta numero due, ma non c’era una busta senza croce, e mise il cuore sulla croce; non essendo masochista scelse quello che gli piaceva di più, ma quello che gli riempiva il cuore non era il modo di morire, era per Chi viveva e per Chi anche moriva.

[25/09/2017, 12:02:09] Frankie: Omelia di oggi

“Nell’anno primo di Ciro, re di Persia (…)”

I Persiani hanno sconfitto i Babilonesi e per motivi di strategia politica mandano a casa il popolo deportato dai babilonesi, tra questi innanzitutto gli ebrei, e gli danno la possibilità di ricostruire Gerusalemme: “Andate, potete ricominciare ad essere il popolo che eravate!”

Li implorarono, per ragioni politiche, di tornare a casa a ricostruirsi la città. A questo annuncio “ci sembrava di sognare”, non ci potevano credere: era tanto il male che avevano patito, i peccati che avevano fatto e le punizioni che avevano ricevuto, che non erano più disposti a credere: “No, non è possibile, ci prende in giro…” e non volevano ripartire.

Come Juan Imenez, uno che si era perso, allontanato dalla Chiesa riceve una proposta affascinante, bellissima, ma dice: “Es verdad ya, [sì, adesso è vero quello che mi proponi], ma fue tam mentira [ma è stato così menzogna, così falso fino adesso], que sigue siendo imposible siempre. [che continua a sembrare una cosa impossibile per cui non ci sto!] Ormai, il male mi ha determinato non vedo, ho fatto subito e vissuto tanto male che non ne voglio più sapere.

Una volta che uno riceve l’annuncio, Dio te lo rifà sempre, devi decidere ancora di rischiarci. E come fai a sapere se è proprio vero o se è un sogno quello che ti viene riproposto?

“La lampada la pone sul candelabro perché chi entra veda la luce”
Hai un solo modo per sapere se quella è veramente luce: di metterla sul candelabro e guardare la realtà a partire da quella luce!

Cristo è luce e per capire cos’è la luce non è che devi guardare la luce – ti bruci i tuoi poveri occhi come farei io se guardassi in faccia la luce –
ma devi guardare la realtà alla luce di quella lampada, così vedi!
Se la luce è veramente luce amerai la luce ed amerai la realtà perché è bellissima con la luce. Se non accetti la sfida, se sei scandalizzato dal male che hai fatto e subito fino ad ora e ti credi che sia un sogno: è troppo bello per essere vero!
Quante volte mi sento dire: “Sì, ma per te è facile! Sembra che per te basti un sì e ricomincia tutto; si può ricominciare, sembra troppo facile…”
Ed io dico: “Ma secondo te viene un Dio a morire nel mondo per complicarci la vita? Bastiamo noi a complicarcela!”
D’altronde, una volta che ricevi la proposta, non è che c’è una terza possibilità: o accetti o perdi tutto, perché a chi ha, e ha questa libertà di rischiare ancora, sarà dato cento volte di più, ma chi non ha questa libertà, sarà tolto anche ciò che crede di avere, perché se non accetti la sfida di illuminare la realtà a partire da questa lampada ti resta la realtà senza luce che fa schifo – il nichilismo occidentale che guarda la realtà senza la luce -, oppure il fondamentalismo che è la luce senza la realtà, che ti brucia gli occhi e odierai la luce e la realtà ti farà schifo. Quando uno incontra Cristo non è che c’è una terza possibilità, l’alternativa laica a Gesù come il farmaco generico… non c’è.

[28/09/2017, 13:11:20] Frankie: Omelia di stamattina

Erode stupito, curioso, non sa cosa pensare.
Cercava di vederLo, giustamente: il modo migliore per chiarirti i dubbi è di andare a vedere, di toccare, di renderti conto. Il primo passo lo fa giusto.
Ma poi Lo vedrà, di lì a un tot di mesi. Lo vedrà, quella notte: Gesù inviato da Pilato durante il processo terribile.
Lo interrogherà ma non avrà risposta, non avrà spiegazione. Lo vede, ma non gli basta: vuole che Lui gli spieghi, vuole le parole, non vuole Lui.
“Io sono la via. Per capire la via” dice Gesù, l’ha sempre detto, “bisogna percorrerla”.
Non capisci cos’è una via perché uno te lo spiega, magari con le carte geografiche o con le diapositive, l’esperienza che si fa lungo la via la devi fare tu: “Mi vuoi seguire o non mi vuoi seguire?”
“Chi sei tu? Dove abiti?” “Venite e vedrete” e se non hai il centuplo, per saperlo, devi seguire.
E qui Erode si blocca: Erode non Lo seguirà.
Cristo sarebbe andato a farsi flagellare poi sulla Croce e su questo Erode non è disposto ad andare, e morirà senza sapere Chi era, senza trovare risposta.
Quando noi rimaniamo nella perplessità, siamo paralizzati, non ci capiamo più niente e non sappiamo cosa scegliere, è perché pretenderemmo che un altro ci spieghi, perché non siamo disposti a percorrere la via, a provare, ad abbracciare la realtà.
La realtà è sempre chiarificatrice, è misteriosa, perciò la realtà ha chiarezza, perché il Mistero è luce, non è confusione.
La realtà chiarisce sempre; chiarisce se avevi ragione o tu chiarisce se avevi torto e se vuoi puoi cambiare.
Ma se non percorri la strada della realtà, nella compagnia di Cristo tu non capirai mai, rimarrai nella tua perplessità e sarai frustrato: la realtà non porterà frutti per te.
“Avete mangiato ma non da togliervi la fame; avete bevuto vino e vi siete ubriacati; vestiti e non vi siete scaldati; ricevuto il salario ma in un sacchetto forato, un portafoglio che perde le monete”.
Sarete frustrati, sarà tutto inutile.
Quando noi ci sentiamo frustrati è perché vorremmo che un altro ci spiegasse le cose, ma non siamo disposti ad abbracciare la realtà.
Abbracciandola c’è sempre la pace, non senza lavoro, la vita comoda, ma c’è sempre la pace.
“Gioisca Israele nel Suo Creatore”.
Non le cose, non sono le cose che mi fanno gioire, ma in fondo alle cose, anche la più dolorosa c’è il suo Creatore.
Tu non gioisci di quella cosa, ma del Creatore che hai scoperto in fondo a quella cosa.

[29/09/2017, 17:30:35] Frankie: Omelia di oggi

“Vedrete il cielo aperto”.
Come lo vide un giorno chi scrive. Quando sente dire queste parole ha meno di 20 anni e quando vede il cielo aperto ha quasi 90 anni; è dentro le miniere, condannato ai lavori forzati, dove morivano praticamente tutti, nell’isola di Patmos, nelle cave di rame. Quando nessuno sperava più di uscire e vedere il cielo, un giorno, viene sfondato il soffitto della miniera e vede il cielo e gli viene urlato che quelli che erano rimasti ancora vivi sarebbero stati liberati, che la persecuzione dei cristiani era finita. Non sappiamo quanto ci hanno messo a tirarli fuori, i superstiti, ma pensate la faccia che cambia in un uomo che si sentiva condannato a morte, si squarcia il soffitto della miniera e vede il cielo. E gli dicono che è salvo.
Non è ancora salito – chissà quanto ci vuole a tirarlo fuori – ma la sua faccia è cambiata, come cambiò quel giorno quando vide ben altro cielo, ben più profondo, un cielo radicale: quando era andato alla tomba di Gesù morto con Pietro – a 20 anni – e vede squarciata la tomba e poi, dopo, vedrà più volte, per quaranta giorni, l’amico Gesù morto e crocefisso, Lo vede vivo. Nel momento in cui lui e Pietro si rendono certi che è vivo, hanno visto il cielo, hanno visto l’eternità che ha fatto irruzione nel mondo; sono certi che l’eternità esiste, sono certi che la vita eterna esiste, sono certi che c’è la Risurrezione.
La vita resta da vivere, drammatica: si continua a nascere, a lottare, a far fatica, ad ammalarsi e poi a morire.
Il dramma della vita continua uguale, ma quei due uomini hanno visto il cielo quel giorno, davanti a quella tomba squarciata. Hanno capito che c’è l’eternità.
Vivono dentro la morte come tutti gli uomini, vedono gli amici morire, ma sanno che la morte non è per sempre. Il cielo è stato squarciato. Sono ormai certi, hanno in faccia la certezza dell’eternità.

Questa è la fede cristiana: un povero uomo, come tutti, ancora immerso nella lotta, nel dolore, vede morire gli amici, vede il dramma della vita, ma è come quelli là in fondo alla miniera, che nell’attimo in cui rivedono il cielo, sono già certi che sono salvi, anche se materialmente sono ancora dentro.
La fede è un uomo che resta dentro il dramma come gli altri, ma un giorno, per lui, il cielo si è aperto e si è squarciato e ha un’altra faccia.
Si chiama speranza: avere la certezza, adesso, di una cosa che succederà in futuro, ma io sono già certo adesso.
Che bello avere amici – incrociarli, magari anche oggi – che hanno in faccia il cielo aperto.

[02/10/2017, 13:34:48] Frankie: “Darà ordine ai Suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie”

L’intuizione degli angeli custodi che celebriamo oggi. Gli ebrei sono un popolo che erano niente, non avevano un volto, non sapevano domandare, erano pastori seminomadi, cominciano a fare un percorso, un percorso, un percorso… Diventano un popolo in cammino. Abramo parte e va. Mosé parte con gli ottocentomila e va. Si sentono guidati.
Dio che li guida ma, nella loro idea Dio non può essere dappertutto, e quindi gli mette accanto un piccolo Dio, un angelo misterioso che sta accanto a loro, suggerisce loro. È nata così l’idea degli angeli custodi.
Ma poi diventa drammatico perché questo non impedisce al popolo di perdersi, di fare tanti errori, di fare alleanze sbagliate, di cadere nell’immoralità, di confondersi, di dividersi, di lacerarsi…
E capiscono che non basta. È bellissimo che Dio ci metta accanto queste presenze misteriose che ci richiamano, ma noi non le vediamo, noi non le sentiamo, noi non le tocchiamo, sono più concreti i libri, ci catturano i libri.
Ci saranno i profeti visibili, uomini, un po’ come angeli che li guidano. Ma anche questi promettono la pienezza per un futuro, ma nel presente alla fine sono sempre vuoti, sono sempre soli. E si perdono.
Non bastano gli angeli, non bastano i profeti, perché la vita sia un cammino certo, chiaro e utile, di cui essere grati, che ti fa crescere, che ti fa diventare grande, grande, grande. Come il bambino diventa grande se è educato, se è guidato, se è accompagnato.
L’intuizione di questa compagnia di Dio non si realizza per il popolo ebraico! Un Dio presente, concreto, toccabile, abbracciabile, che si può picchiare e uccidere, è Gesù.
L’angelo che permette il cammino è Gesù: Gesù è in carne ed ossa, Gesù si può vedere, Gesù si può abbracciare, si può seguire, lo si può irrorare di lacrime come la Maddalena, profumare e massaggiare come Maria di Betania, lo si può flagellare e crocifiggere, con Lui si può cenare come Zaccheo.
“Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”
“Dove saranno due, tre nel mio nome, sarò in mezzo a loro”.
Ecco, quei due, tre che rendono presente Cristo oggi sono gli angeli, sono i santi, sono persone a cui Gesù ha trasfigurato la vita e che sono accanto a te, a cui puoi domandare aiuto, ti possono correggere, ti possono sgridare, ti possono perdonare, ti possono far compagnia, possono portare la croce con te come il Cireneo, asciugarti il volto come la Veronica. Farti sentire sensibilmente la Sua presenza, perché
gli angeli sono bellissimi, ma non sono sensibili. Noi siamo di carne, di ossa, di sentimento.
Abbiamo bisogno qualcuno da abbracciare, che ci guardi negli occhi.

[03/10/2017, 14:09:00] Frankie: Omelia di stamattina

“Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”.

La ferma decisione. Indurì la faccia, inchiodò la faccia su Gerusalemme, dice letteralmente. Tutto fisso lì, in quell’istante il Suo corpo è tutto un gesto, teso come un atleta pronto a centrare il bersaglio. Il Suo volto, il Suo corpo è tutto gesto, il gesto è tutto sguardo, e lo sguardo è tutto fisso su quel punto: Gerusalemme, lo scopo della Sua vita, dove c’è quel gesto per cui Lui è nato: offrire tutta la vita a Dio. Riconosco che la vita è tutta un’offerta di Dio a me e io, se voglio essere vero, devo farne offerta tutta a Lui. Questa è la grandezza dell’uomo, il gesto dell’offerta e questo accade a Gerusalemme, perché ogni uomo è chiamato a fare quel gesto là, dove ci sono i segni più potenti dell’offerta di tutto, di Dio a Lui.
Questa è la grandezza di Gesù: l’aver chiaro lo scopo per cui è al mondo, il compito che deve realizzare, fare della vita un’offerta. Tutto quel che fa, quel che dice, quel che pensa, è tutto per questo scopo. Per questo Lui è così deciso, parla con autorità, impiega ogni parola e ogni gesto solo per quello scopo. Non ha due scopi, ne ha uno, una fila di scopi non ne valgono uno. È quello che dà unità alla vita, che Lo rende così grande, così autorevole, così segno di Dio, il luogo in cui gli uomini incontrano Dio.
Quando sentiamo che la nostra vita è confusa, è frantumata, si affievolisce, è perchè abbiamo smarrito, non abbiamo mai fissato il nostro cuore sullo scopo. Non sappiamo più qual è il compito per cui facciamo tutto.
A volte lo chiedo: “ma qual è lo scopo? non capisco lo scopo per cui fai tutto”. E la gente mi fa: “ma cosa è lo scopo? Non ci ho mai pensato, mica faccio le cose per uno scopo, le faccio se mi piacciono, se no le evito, vado avanti così, senza uno scopo, moment by moment, senza sapere perché”. Per forza la vita si frantuma, si spegne, si affievolisce: perchè il cuore si entusiasma solo per il totale, per uno scopo totale. Tutti uno scopo ce l’hanno: il vero problema è se è parziale o se è totale; più lo scopo è piccolo e meno cose ci stanno dentro, sono da buttare.
Gesù, aveva uno scopo totale per cui faceva tutto, per cui viveva e per cui sarebbe morto.
Questo cosa cambia, rispetto a tutto ciò che Lui incontra? Agli altri, che magari uno scopo totale non ce l’hanno?
Va in un villaggio, Gli dicono di no, si incammina velocemente verso un altro. Mentre i suoi discepoli, Giacomo e Giovanni, che non hanno uno scopo così grande, che non sono tesi a Gerusalemme, si fermano molto prima, sono violenti, irritati, vorrebbero bruciare con il fuoco, con il lancia-fiamme dal Cielo quelli che dicono di no.
È proprio lo scopo totale che ti spalanca ad incontrare e ad abbracciare tutti gli altri e a sfidarli, a testimoniare lo scopo per cui vivi tu, che ti fa abbracciare, capire, amare tutto e domandare loro: “ma tu, per che scopo vivi?. Lo scopo che hai ti fa veramente abbracciare la tua vita, dà unità alla vita, dà bellezza al tuo volto, dà l’esperienza di abbraccio totale, perchè noi siamo fatti per questo.
Quando non ci sentiamo abbracciati e non sappiamo abbracciare tutto e tutti, perfino i nemici, vuol dire che abbiamo smarrito la coscienza del compito per cui siamo al mondo. Sappiamo da dove ricominciare e quali sono gli amici che vivono per questo, che ci possono essere amici su questo.

[05/10/2017, 13:05:42] Frankie: Omelia di ieri 04 ottobre

“Uno solo è il maestro e uno solo il Padre che è nei cieli”

Il Padre è quello che mi fa, in questo istante. Nessun uomo mi fa, neanche mio padre, che è già morto, e mia madre, che è ancora viva. Chi mi fa è un Altro, è il Mistero che fa il mondo. Fa me in questo istante, fa te, quello è il Padre.
Nessuno può essere così maestro: è maestro chi mi capisce fino in fondo. Nessun uomo, nessuna donna mi capisce fino in fondo, mi può condurre al mio compimento, solo il mio Creatore, che viene nel mondo, si chiama Cristo.
E allora perché posso chiamare “padre” qualcuno? I bolognesi oggi chiamano Patronus Petronio. Il Patrono è colui che ti fa sentire il Padre, è sempre il Padre: incontrando lui, in qualche modo, incontri il Padre che è nei cieli. Petronio può essere guida, maestro, vescovo soltanto se è segno di Cristo, non se sostituisce Cristo; se, incontrando Lui, i bolognesi hanno incontrato qualcuno che gli faceva venire in mente Cristo, seguendo Petronio gli pareva di seguir Cristo e diventavano grandi, venivano innalzati alla loro grandezza umana, e l’han chiamato patrono dei bolognesi e della città. La nostra grandezza è essere segni della paternità di Dio o segni della guida, del maestro, che è Cristo. Non c’è compito più grande nel mondo, non c’è fioritura umana che essere segni di Dio e segni di Cristo.

La nostra dignità non sta nella carriera che facciamo, in quanti soldi prendiamo o in quanta salute abbiamo, ma in quanto siamo segni della paternità di Dio per gli uomini e segni della guida che è Cristo per gli uomini. Non c’è dignità più grande, non c’è fioritura più grande, nessun altro compito, nessun’altra funzione valorizza tutto di me. Un’azienda valorizza poco di me; la società valorizza poco; gli altri mi disprezzano tanto, qualcuno mi valorizza un po’, ma chi mi valorizza fino in fondo è solo Dio e solo Cristo e in qualche modo le persone che mi rendono presenti Dio e Cristo.

Come faccio a diventare maestro, segno del Maestro, segno del Padre?
Lo devo sapere io. Dio dice: dimmelo tu. Attraverso mille segni, mille strumenti, Lui può prendermi e farmi grande, ma vuole che sia io a diventare grande, io a verificare come divento grande, dove fiorisco umanamente, dove scopro la mia grandezza, dove divento me stesso di conseguenza, senza neanche volerlo divento segno per gli altri. Dio non mi impone una regola – anche perchè ogni uomo è un pò diverso dall’altro – ci sono dei punti di fondo che sono uguali per tutti nella Chiesa, ma poi ci sono mille punti, mille segni, mille strumenti, per personalizzare la mia umanità, per diventare un segno unico nel mondo della paternità di Dio e della guida che è Cristo. Sono io che devo essere così intelligente e leale da riconoscerli nella mia vita.

[05/10/2017, 16:56:58] Frankie: Omelia di oggi

“Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione”.

La circoncisione è l’inizio di una legge che ti vincola per tutta la vita. La circoncisione incide nella carne quella legge: tu sei definito dal tuo comportamento morale di ubbidienza a quella legge. Per alcuni quello era tutto: tutto veniva giudicato, tutti venivano giudicati e anche massacrati se non ubbidivano, per la morale che conseguiva da quella legge.

L’altra metà del mondo, anzi, il 90 % del mondo, era la non circoncisione, cioè l’istinto, lo stato di bruti: faccio quello che mi sento, mi comporto come mi viene in quel momento e basta. I non circoncisi seguivano la legge dell’istinto, dovevano poi piegarsi alla legge del potere e venivano giudicati secondo quel tipo di comportamento.

Questo conta zero per Paolo: l’uomo non si giudica per la sua morale, che segua la legge dell’autorità, la legge di Dio o la legge dell’istinto è uguale.

Sempre una legge è, sempre un comportamento è, e nessun comportamento definisce l’uomo: l’uomo vale per il suo esserci, non per il suo comportarsi: il comportamento non dice nulla e non ti salva, perché è sempre il comportamento di un uomo condannato alla morte. La morte distrugge chi ha seguito la legge dell’istinto, chi ha seguito la legge di Dio, chi ha seguito la legge del potere.

La morte distrugge tutto e san Paolo intende la Bibbia, il Qoelet, che dice che muore il giusto come il perverso, quindi non vale comportarsi bene. Questo è il giudizio della Bibbia, Paolo lo fa proprio.

E’ inconcludente la legge, non definisce il valore dell’uomo. è disperante giudicare un uomo per il suo comportamento, quello che conta è il suo essere. Che fine fa il mio essere? Dove va il mio essere? Nel cimitero e basta.

Che cosa conta per Paolo? Né la circoncisione, né la non circoncisione, ma l’essere, l’essere! L’uomo è creatura, tradotto in un modo un po’ imperfetto.

Nuova creatura non come si dice nel sud Italia: una nuova creaturina nuova. “Chi manterrà il mio sesto figlio?” Una nuova creatura da mantenere. Non è quello, non è un uomo in più, una nuova creatura.

Kainé ktisis (καινὴ κτίσις) non vuol dire uno di più, ma uno diverso, un uomo che ha un altro essere.

Esiste nel mondo un altro essere, ha un essere che non è mortale ma è immortale. Un essere che porta in sé l’eterno.

È quello che è nato da Gesù Cristo. Cristo risorto. E creatura non vuol dire la creatura, il bambino, è ktisis (κτίσις) vuol dire creazione, c’è una nuova creazione. Dopo il Big Bang è venuto un nuovo Big Bang. Sulla croce di Cristo si è visto in quell’essere che stava morendo, qualcosa di immortale, qualcosa di eterno. Ed è fiorito dopo qualche ora nel mondo una nuova creazione, un nuovo tipo di essere che non muore più. Cristo Risorto è questo essere che non muore più. Quello che vale nell’uomo è se è una vecchia creatura o se è una nuova, non se si comporta in un modo o se si comporta in un altro.

È irrilevante seguire la legge dell’istinto, la legge dello stato o la legge presunta divina. Non cambia niente anche la legge di Dio non ti salva dalla morte, finisci comunque nel cimitero, dice Paolo.

Quello che conta nella vita, quello di cui io mi vanto è questa nuova creatura che ho incontrato incontrando Cristo risorto da morte. E a questo punto ho un solo problema: “nessuno mi procuri più fastidi” traduzione politicamente corretta e si capisce cosa dice.

Nessuno mi procuri più fastidio, l’unico fastidio è quando mi fate perdere tempo a discutere di morale. Tutta la vita io la voglio spendere a conoscere la nuova creatura che farà venir fuori da me anche una nuova morale, anche una nuova conoscenza, anche un nuova estetica.

Ma tutte le energie della vita mia le voglio spendere a conoscere la nuova creatura. Non mi dà più fastidio niente, l’unica cosa che mi dà fastidio è chi mi chi mi vuol far perdere tempo a discutere del comportamento degli uomini.

[06/10/2017, 11:23:02] Frankie: Omelia 06 ottobre

“Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida, Cafarnao.”

Guai. Non ci sono abbastanza guai nella vita, che arrivi anche il profeta a minacciarne altri!? Abbiamo i guai della salute, quando si perde – un bel terremoto – il guaio che si perde il lavoro, i guai quando gli affetti più importanti ti tradiscono, ti devastano, ti paralizzano, ti incupiscono, ti distruggono il cuore, sei confuso. Perché Gesù dice “guai a voi”? Perché “non avete riconosciuto i prodigi avvenuti nella vostra vita.” Il vero guaio, non sono i guai della vita, il vero guaio è che nella nostra vita non ci siano i Suoi prodigi, manchino i Suoi prodigi, i segni che ci danno la certezza della Sua Presenza, del Suo amore, della Sua Bellezza lì con noi. Che la nostra vita è Sua e la Sua è la nostra!

Questo è il guaio della vita: possiamo anche essere senza guai, ci può andare bene la vita fino a 102 anni, ma se mancano i Suoi prodigi questo è il vero guaio: è disperato, non ha futuro, non ha prospettiva, non ha respiro. Possiamo essere pieni di guai, possiamo essere come Lui crocefissi, ma se riconosciamo i prodigi della Sua Presenza possiamo vivere tutto, diventiamo grandi anche attraverso i guai.

“Non di solo pane vive l’uomo.” Una prima verità che Gesù capii dopo i 40 gg del deserto.

Per essere felici non basta che vada bene la vita, che sia senza guai, all’uomo queste cose non bastano, non basta il pane che ha confezionato lui, occorrono i prodigi di Dio, il pane confezionato da Dio perchè la vita abbia un respiro. Perchè noi non la sentiamo così, perchè noi sentiamo. Perché sentiamo lontano, distratto, forzato, questo giudizio, questa minaccia “guai a voi”?

“Non indurite i vostri cuori”
Ecco, è l’indurimento del cuore che ci impedisce di sentire la vita come la sente Gesù.

Sclerocardìa, la chiama Luca: non il cuore cattivo, perverso, corrotto, semplicemente anche un cuore buono, ma indurito, duro, c’ha il callo non sente se non le cose parziali, superficiali, gli aspetti materiali, epidermici della vita, un cuore che non sente più la profondità del grido che ha dentro, il bisogno di ben altro pane di ciò che esce dalla bocca di Dio, il bisogno dell’infinito, il cuore che sente soltanto gli aspetti elementari, parziali, materialistici della vita, non sente più se stesso. Questo è il vero nemico di Cristo, il vero nemico di me.

Abbiamo bisogno di essere rieducati a questo, è un problema non morale, è un problema educativo: il cuore può essere rieducato a sentire tutta la grandezza per cui è fatto.

[08/10/2017, 18:36:54] Frankie: “La pietra che i costruttori hanno scartato”

I costruttori siamo noi, fatti per costruire, per essere parte di una costruzione immensa, infinita. La bellezza non è appena una cosa piacevole, ma è una cosa utile: la vita è bella se è utile all’universo intero, non è lo star bene, il wellness psicologico, è sentire che quella bellezza, anche quell’istante di piacere è utile all’universo, se no è una bellezza deludente, che viene meno.

Come la mia vita può essere parte di questa costruzione? La condizione è una:

“La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo”

L’ultima pietra dell’angolo volta è quella che tiene su i carichi laterali, che tiene su tutto, quella a sezione triangolare. Questa è la pietra d’angolo, è quella che carica tutto, ce n’è una su cui ci stanno tutte le spinte, anche quelle laterali confluiscono lì. C’è un’unica pietra che tiene su tutto. Quando noi vediamo che la vita va in pezzi, crolla, viene giù, quando siamo delusi, quando anche le cose più belle più alla fine si estenuano e ci deludono è perché non costruiamo sulla pietra angolare; abbiamo le nostre pietruzze, magari delle ottime ceramiche di Sassuolo o di non so dove: sono belle, sono luccicanti, ma sono piccole, hanno un’area piccola, bisogna sempre buttar via tanta roba della vita e poi prima o poi la ceramica si sbriciola. C’è una pietra che ha la forza dell’eterno, una pietra che abbraccia e valorizza tutto, è una sola dentro la storia.
La vita è bella ed è utile se costruita sulla pietra d’angolo. Chi ci dà la forza? Dove trovare la forza? Dove comincia questa costruzione?

“Questo è stato fatto dal Signore [l’ha fatta Lui questa pietra, non dobbiamo farla, c’è già] ed è una meraviglia ai nostri occhi”

È la meraviglia di questa pietra che ci spinge a costruire, ma ci spinge soltanto la meraviglia. Noi siamo amici per conoscere la Bellezza immane di questa pietra, la possibilità che ci dà questa pietra angolare nella storia; siamo amici se ci aiutiamo a conoscerla sempre di più, fino a meravigliarcene, a stupircene sempre di più. L’amicizia ha come scopo di farci conoscere, di farci raggiungere la meraviglia, ma c’è un punto in cui l’amicizia deve farsi da parte, lo dice anche quell’ateo arido – ma rigorosissimo nel raziocinio – di Aristotele: la meraviglia è ciò che spinge a cominciare, ma ciò da cui soltanto si comincia il cambiamento è la decisione, che è personale.

[09/10/2017, 12:00:44] Frankie: Omelia del 09 ottobre

“Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” grida questo dottore della legge. Vuole la vita eterna.
La faccia di un uomo che vuole l’eterno, che vibra dell‘eterno, che faccia è in mezzo alle mille facce che si accontentano del precario, dell’effimero, di ciò che si corrompe e finisce?
Le conosciamo bene queste facce: gente che si rassegna a ciò che è effimero. Tutti tesi, ci parli e sono inchiodati alla punta di uno spillo.
La faccia di un uomo che vibra dell’eterno, che vuole l’eterno, mi fa vibrare immediatamente, divento immediatamente amico con persone mia viste prima. Mi succede spesso, perché si trasmette sulla stessa lunghezza d’onda.
Ma subito dopo, mentre Gesù simpatizza con quest’uomo che ha questa vibrazione nel volto, immediatamente lo trova confuso, contraddittorio, perché dice subito dopo:
“Che cosa devo fare per ereditare?”

Ma come? Se la devi ereditare non devi fare niente. L’eredità è un dono che ti viene fatto. È un altro che ha fatto per cumulare l’eredità.
Poi decide gratuitamente di darlo a te o di darlo a qualcun altro. Non si deve far niente per ereditare.
Si può solo attendere, si può solo domandare, sperare, vivere tutta la vita nell’attesa che ti sia fatto questo dono.
Domandare sì che puoi, ma non puoi fare niente.
È contraddittorio, ha un desiderio sacrosanto, ma già pensa che deve fare qualcosa lui, è un po’ americano con la testa, il self-made man, quello che si fa da sé, quello che pensa di realizzarsi per ciò che fa.
Non è ciò che tu fai che ti realizza, ma ciò che tu conosci e ciò che tu ami, ciò che ti viene dato.
L’unica cosa che puoi fare, questa sì, è attenderLo e domandarLo con tutto te stesso, con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze… che sia un‘attesa, un grido, una domanda a chi te la può dare l’eternità. Non la puoi fare te, tu sei effimero, tu sei fatto, sei precario. Finirai. Puoi solo attendere e domandare tutta la vita, in tutte le circostanze, anche quando sbagli, anche quando tradisci.
Come Giona, quando invece che andare a Ninive, ha deciso di prendere la nave per andare giù in fondo all’Egitto a Tarsis.
Poi si trova buttato in mare: anche in quel momento, Giona può ancora domandare l’eterno.
“Nella mia angoscia, dal profondo degli inferi, mi ha gettato nell’abisso […], tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati […]; eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio”.
Tornerò a cercare il luogo dove ho visto balenare l’eterno.
Anche in quell’istante del tradimento, che sta per morire, Giona può domandare, e in quell’istante ci può essere la balena che lo prende e lo riporta sul bagnasciuga e può ripartire, riprendere la sua missione.
Non c’è nessuna circostanza, neanche il tradimento, neanche l’abisso, neanche il momento della morte, meritata, ti può impedire di domandare l’eterno.
Questa balena che prende Giona… è buffo l’antropomorfismo con cui il Vecchio Testamento parla di Dio:

“Il signore parlo al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia”

Questa balena, che ti prende dall’abisso e ti riporta sulla spoaggia, e ti ridà la possibilità del tuo cammino a cercare l’Eterno, è immaginata dai padri della Chiesa come, appunto, la Chiesa, che ti prende nel momento in cui stai per finire nell’abisso e ti riporta. questo è l’unico potere reale che hai: trasformare ogni circostanza, compreo il tradimento e il peccato, l’abisso in cui stai per sprofondare, nella domanda dell’Eterno. Chi ti ha fatto per l’Eterno troverà sempre una balena a cui parlare che ti ridà la possibilità di ricominciare.

[10/10/2017, 14:25:32] Frankie: Omelia 10 ottobre

“Dio vide le loro opere, che si erano convertiti”

Quelli di Ninive, di cui Giona aveva avuto orrore, li aveva fuggiti, li aveva tentati, si erano convertiti. E quella città era cambiata perché erano cambiati loro, uno per uno: perfino gli animali…è buffo, facevano penitenza.
Il cambiamento del mondo comincia dalla conversione dell’io.
È l’opposto di quello che ci inculca la cultura di oggi: che deve cambiare la politica, devono essere meno corrotti, che deve cambiare la finanza, deve cambiare la famiglia, che deve cambiare la legge, che deve cambiar il clima… Deve sempre cambiare qualcosa o qualcuno fuori di te e questo genera frustrazione, delusione, confusione, ansia, affanno, come Marta, perché quello che cambia il mondo è che cambi il tuo cuore, se non cambia quello è tutto un’illusione.
Cristo ha riportato il baricentro del cambiamento dentro l’io, fuori dal cristianesimo è tutto fuori dall’io. Non c’è nessuna cultura nel mondo, se non quella cristiana, per cui il singolo vale più del collettivo, in tutte le altre vale più lo stato, la nazione, la razza, la religione, neanche Dio vale di più. Per noi no, l’io è il protagonista: in cosa consiste il cambiamento del mondo, che comincia dal cambiamento di me?

“Marta Marta, ti agiti e ti affanni per molte cose, di una cosa sola c’è bisogno”

Porro unum necessarium: l’essenziale è una cosa sola, tu cambi se scopri l’essenziale, quella cosa di cui c’è bisogno per salvare tutte le altre. Non cambia nulla se ti agiti e affanni per mille cose, infatti ti agiti e ti affanni perché le vuoi rincorrere tutte e ti sfuggono sempre. Se non afferri quella essenziale che salva tutte le altre, sei in agitazione e in affanno, ed è un’illusione che cambi qualcosa. Che cos’è quell’essenziale?

“Maria ha scelto la parte migliore”: qual è la parte migliore? “Quella che non le sarà tolta”

Perché tutte le cose che tu afferri ti saranno tolte, quelle che fai ti saranno tolte, ti sarà tolta tutta la tua stessa vita, tutto ci sarà tolto. C’è una cosa sola che non mi sarà tolta, non è una cosa che io faccio o che io possiedo e che mi appartiene, di questo perderò tutto; l’unica cosa che non perderò non è ciò che io possiedo, ma Colui che mi possiede, non le cose che faccio e che mi appartengono, ma Colui a cui io appartengo. Solo Lui è eterno, io appartengo all’eterno, l’unica cosa che non perderò è il mio Creatore, tutto il resto lo perderò, perderò anche me stesso.
Quando noi siamo in affanno, siamo agitati, siamo confusi frustrati, delusi e incattiviti è perché ci buttiamo sulle mille cose, ci agitiamo e il nostro inconscio sa che le perderemo tutte, è per questo che siamo agitati, affannati, frustrati.
Siamo in pace soltanto se afferriamo come Maria, ci sediamo ai piedi di Colui a cui apparteniamo, l’Unico che non ci sarà tolto e che ci ridarà alla Risurrezione tutte le cose che momentaneamente ci sfuggono.
Non esiste un’alternativa: dove troviamo Colui a cui apparteniamo? Dove possiamo sederci come Maria ai suoi piedi. È bello essere amici per rispondere a quest’ultima domanda.

[11/10/2017, 22:30:52] Frankie: Omelia di oggi

“Dio fece crescere accanto a Giona una pianta di ricino, per fare ombra sulla sua testa”, il sole picchiava, “e Giona provò grande gioia per quel ricino”.

Il ricino, come il sole, come l’acqua, come ogni cosa sono creature di Dio, con dentro un po’ della Sua Bellezza, e un po’ ti fanno godere. E Giona è grato di quel ricino che gli fa ombra e se lo gode, si fa una bella siesta e finisce lì, non si chiede “Chi me l’ha dato? e Perchè mi è stato dato?”, se lo gode e basta.

Ma il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, arriva il vento arido dell’oriente, si sacca il ricino e lui non è più all’ombra e si è indignato.

“Meglio per me morire che vivere”.

“Ti sembra giusto essere così indignato?” “Sì, mi sembra giusto” – ribatte indispettito – “perché mi è stata tolta quella bellezza di cui ho goduto per un istante. Per me quella era la felicità, mi è stata tolta e sono arrabbiato con Te” – dice Giona a Dio.

Perché Giona ha preso quella cosa, l’ha trattata come una cosa, si è preso la gioia che gli dava ma senza chiedersi chi gliela dà e perché, dando per scontato che era da godere e basta, dando per scontato che era una gioia e basta, non era segno di niente.

Ma le cose che ci sono date ci sono date come segno, ci sono date e poi ci sono tolte la mattina dopo come a Giona, dopo 93 anni come mia madre che è ancora là che vive ed è contenta di vivere, che non vuole mollare la vita – giustamente – ma prima o poi ogni cosa ti è tolta, prima o poi scompare in una notte o in una vita o in cento anni scompare.
Perché ci sono date le cose belle? Per farci felici con le cose? Ma siamo scemi?! Ma può bastare una pianta di ricino per la siesta a farti felice? Giona è sdegnato, indispettito perché aveva ridotto la sua felicità a quella cosa, era una cosa e basta. Era diventato un idolo, aveva preso il posto di Dio, si aspettava da quello la sua felicità.
Per cosa ci sono date le cose? Non per farne un idolo, per sostituire Dio, per farci felici, ma soltanto per quel breve o lungo tempo per essere un segno di Colui che ce le dà. Per farci….come videro in faccia al loro amico Gesù quel mattino dopo una notte in preghiera, la faccia di un uomo che gridava: “Padre sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno”: ecco per cosa ci sono date le cose, non per farci felici, non farne un idolo ma per essere un segno. E un segno di per sé può durare solo un istante, non è che se dura cento anni ti aumenta la felicità, ti aumenta soltanto la quantità, infatti il problema è uguale, prima o poi ti sarà tolto. Ti è dato per quel tempo, quello che è, perché tu lo guardi come segno di Dio, per farti venire voglia di pregare, perché quel segno ti parla di Dio, se lo guardi bene ti parla di Lui e ti fa gridare: “Padre, vieni tu, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno”. Il mio nome non mi basta, non mi spiega la mia vita, il nome del ricino non mi spiega il desiderio che mi ha suscitato, “venga il tuo regno”, non il mio; il mio regno, il mio possesso delle cose che le riduce a idoli non mi fa felice. Vieni Tu.

Oggi abbiamo una giornata per scrutare le facce che incontriamo e per guardare a sera la nostra faccia allo specchio, per vedere che differenza fa guardare le cose come la tua felicità e ridurla a quello – hai la faccia sdegnata, arrabbiata come Giona – oppure guardare le cose come segno, goderne per quell’istante ma trasformarle in segno e la faccia si spalanca e grida: “Padre, Padre, è tutto Tuo, sono nelle Tue mani”.

Come è diverso vivere la vita davanti a un idolo, adorando un idolo, schiavi di un idolo, sdegnati perché l’idolo tradisce, o la faccia di chi in ogni cosa vede trapelare la luce, l’amore, la fiamma del cuore del Padre.

[12/10/2017, 18:15:45] Frankie: Omelia (meravigliosa!)

“Che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i tuoi comandamenti?”

È una rivoluzione nella religiosità del mondo. Tutti gli uomini religiosi hanno come scopo di sottomettersi a Dio perchè è il Signore, di far dei sacrifici, e tutti i popoli religiosi sanno che la religiosità comporta sempre sacrifici, rinunce, un pò di meno dell’umano per affermare il Signore del mondo. Gli ebrei a questo gioco non ci stanno: la faccia tosta per bocca del profeta Malachìa è: “Ma che cosa ci abbiamo guadagnato a servire Te?”

Noi facciamo le cose solo per un guadagno, seguiamo Te se umanamente ci guadagniamo sennò noi non ci stiamo! Autentici commercianti ebrei, sfidano Dio: che guadagno umano abbiamo nello star con Te?

E Dio accetta la sfida:

“Voi allora [bellissimo!] vedrete la differenza, fra il giusto ed il malvagio, fra chi mi segue e chi no.”

La fede ebraica accetta la sfida di una differenza. C’è un bene in più per chi segue Dio, c’è un guadagno umano.
Poi, fra gli ebrei, la maggior parte, hanno ripiegato questa idea – che Dio ha accettato – su un benessere materiale:
se seguo Dio Lui mi benedice allora, le donne fanno più figli, i cammelli fanno più cammellini, il deserto e la steppa fioriranno e ci sarà latte e miele dappertutto, è una riduzione ad un benessere materiale, un centuplo – direbbe il Vangelo – ma in cose.
Mentre, alcuni profeti intuiscono che il guadagno più grande non è un guadagno in cose, ma è il guadagno in sé, in un aumento della tua umanità. Ma il Dio degli ebrei accetta la sfida!
Gli ebrei credono in Dio perché ci guadagnano, non per ubbidienza, non per fare sacrifici.
Gesù chiamerà questo guadagno “centuplo”; San Paolo lo chiama “caparra”, l’anticipo della quota finale, si comincia il Paradiso in terra; Pietro la chiamerà “primizia”, il primo frutto di stagione, il primo grappolo d’uva, il primo frutto che ti fa gustare il frutto definitivo.

Per chi è? Qual è l’uomo che può raccogliere questa sfida? Che è capace di verificare il centuplo?

“Apri Signore il nostro cuore e accoglieremo questa grandezza”

Solo un uomo che ha il cuore aperto, il cuore totalmente spalancato può fare questa verifica; chi è meschino, chi è avvizzito, chi è striminzito non si accorge neanche del centuplo, è tutto fissato – appunto – su delle fissazioni che ha in testa lui. Un uomo che ama Dio con tutto il cuore tutta la mente, tutte le forze, tutto il desiderio, tutto il sentimento, tutta l’istintività e la passione umana, tutta la sua capacità critica, è un uomo che mette tutto sé stesso in quel che fa. Se una cosa lo convince ci sta tutto intero, se non ci vede il guadagno non la fa mai a metà. Ecco, l’uomo che può scoprire il centuplo è un uomo che non fa mai le cose a metà: se una cosa è vera la fa fino in fondo, se no non la comincia neppure, non fa mai le cose a mezzo, non fa mai le cose frenato e trattenuto. Un uomo che domanda a Dio quello che realmente desidera, in un modo inopportuno, sfacciato, “invadente” dice il Vangelo, rompe a mezzanotte il sonno fino a quando non ha ottenuto:

“Quanto il Padre vostro vi darà [non dice le cose che avete chiesto, se no vi deluderebbe] lo Spirito Santo”

Perché noi siamo un po’ scemi, pensiamo che quando chiediamo a Dio se ci dà qualcosa, ma non ci dà mai quello che pensiamo noi, noi pensiamo che Dio ci dia di meno e siamo delusi. Invece, è il contrario: siamo delusi perché Lui ci da di più e noi siamo fissati sul poco che riusciamo ad immaginare noi. Io le poche volte che sono stato deluso da Dio è quando mi ha esaudito esattamente, mi ha dato tutto quello che Gli ho chiesto ma solo quello.
Dio risponde sempre, ma risponde “da Dio”: questa è la sfida. Il cristianesimo è per l’uomo che vuole una grandezza più grande di quella che lui stesso riesce ad immaginare, che è disposto a raccogliere la sfida; perché Dio non solo raccoglie la sfida ma rilancia il pallone più avanti.

[13/10/2017, 12:17:22] Frankie: Omelia

“Dopo che Gesù ebbe scacciato un demonio”

L’indemoniato non è un uomo cattivo che fa tanto male, non fa del male, non fa neppure del bene. È semplicemente un uomo che non fa niente, fa come il morto sulle onde: si lascia portare. È posseduto nella libertà, ha ceduto la libertà.
Nella letteratura romantica si diceva: “Ha venduto l’anima al diavolo”, il Faust  di Goethe e di altri drammi di quel tipo. Un uomo che ha deciso di non decidere, di non essere protagonista della sua vita, non agisce, reagisce e basta.
È un uomo che ha venduto se stesso. Questo è il peccato più grande!
“Noi non dobbiamo venderci a nessuno”, diceva Cornelio Fabro, il grande interprete di Kierkegaard, che lo ha fatto circolare nel nostro mondo. Non dobbiamo venderci a nessuno, neppure a Dio: sceglierLo sì, venderci mai!

Che cosa è che ti fa diventare un indemoniato, posseduto – non un uomo cattivo, ma un uomo che non dice “io penso, io voglio, io decido”, ma dice “vorrei”, descrive, descrive: “come se…come se…come se”, dei gran “come se” su tutto, ma mai uno straccio di giudizio, mai uno straccio di presa di posizione, mai che sia protagonista: è un uomo che rinuncia ad essere protagonista – ?
Favorisce questo precipizio, questo vortice che è l’Inferno già in questo mondo, quando – dice – “lo spirito impuro”, il demonio, “si aggira”, torna all’uomo da cui era stato cacciato e “trova la sua casa spazzata e adorna”. Punto. Solo spazzata e solo adorna: non c’è nient’altro, una cosa vuota. Non c’è niente di bello, non c’è niente di vivo, non ci sono persone vive che fanno, che amano, che decidono: è un uomo che si limita a spazzare la casa e ad adornarla, ma la casa resta vuota.

Ma il cuore umano non può stare vuoto! O è pieno del vero o si riempie di surrogati. Sono uomini che si limitano a non fare i peccati: il massimo della vita… “cerco di non fare peccato”, almeno il peccato mortale non lo fanno.
Ma l’uomo non può vivere per non fare il peccato, l’uomo è fatto per il bene, il cuore è fatto per essere pieno! È come il principio di idraulica dello stantuffo e della siringa: non può stare vuoto il pistone, lo stantuffo, di qualcosa è sempre pieno. Se non è pieno del vero si riempie di surrogati!
L’unica lotta contro il male è non preoccuparsi del male, ma occuparsi del bene, preoccuparsi di conoscere, di scoprire, di amare, di godere sempre di più il bene: il cuore va mantenuto pieno.
Se fai uno sbaglio domanderai perdono, ma guai se perdi tempo a combattere i peccati, perdere tempo a combattere i peccati è battaglia persa!
La casa vuota non ci sta. E dopo ti annoi e trovi dei passatempi e i passatempi sono lo spasso del demonio, perché il tempo vuoto devi solo cercare di farlo passare.

L’unico modo per evitare di vendere l’anima al diavolo, di essere liberi, di essere protagonisti è di spendere tutte le energie della vita, essere amici per spendere tutto il tempo e le energie della vita per occuparsi del bene, conoscere il bene, comunicarsi il bene che si scopre, goderne insieme.
Questo è l’uomo nuovo creato da Cristo: un uomo così diventa protagonista, dice “io” in un modo unico, si sente, come Gesù, figlio unigenito, unico fatto così e non una copia di nessuno.

[16/10/2017, 20:24:49] Frankie: “A tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata”.

Santi per chiamata, non per meriti. Santi perché chiamati, non chiamati perché santi. Quel che ci fa santi, cioè uomini diversi è la chiamata, è quella che mette in noi la novità. La chiamata è a conoscere, a vedere la bellezza della nostra vita, la bellezza a cui è chiamata la nostra vita. La chiamata ci fa restare ammirati, stupiti per ciò che la nostra vita è e per ciò che è chiamata a diventare, lascia un segno indimenticabile. Da quel giorno tu sei stato chiamato. La tua vita sarà lo svolgimento della chiamata: o lo svolgimento del sì o lo svolgimento del no; comunque c’è una cesura tra il prima e il dopo la chiamata. Lascia un marchio incancellabile, veniva chiamato ” χαρακτήρ” (character), da “χαράσσω” (charasso) – marchio a fuoco, che te lo porti dietro per sempre – o “σφραγὶς” (sfraghìs) – lo sfregio, la cauterizzazione, che lascia un tatuaggio che resta lì per sempre. Tu sei uno che ti si vede in faccia che sei stato chiamato; devi solo decidere se dire sì alla chiamata o dire no alla chiamata.
Che cosa cambia?

“Le folle si accalcavano” attorno a Gesù.

Ecco lo svolgimento del sì: le folle – ignoranti, confuse, fissate sui loro problemi – vedevano in Colui che li chiamava una bellezza e vedevano se stessi nei Suoi occhi, la possibile bellezza per la loro vita e, confusamente, violentemente, scompostamente, istintivamente, ma si accalcavano, si gettavano su quell’Uomo, di slancio, spontaneo, passionale, istintivo, come un innamorato vero: cosa fa? Si butta, si lancia, si lascia trascinare dalla bellezza che vede in quella persona e in se stesso, attraverso quella persona. Un innamorato non chiede mai “Come si fa? Come si fa? Come si fa?”, perché ha chiaro perché si fa e il modo lo trova.
Quelli che chiedono sempre “Dimmi come si fa, come si fa” non sono innamorati, potrebbero aver chiaro tutto ma non si lanceranno mai. Chi è innamorato, chi è veramente motivato, si “accalca”, si butta, si immedesima e pian piano vede fiorire, vede che lui diventa esattamente come Gesù.
Oppure:

“questa generazione malvagia che cerca sempre un segno”

Ma non le basta mai nessun segno: “avendo detto di no al segno che Io sono, cerca un ulteriore segno”, cerca sempre qualcos’altro di ulteriore a Cristo, come se ci fosse qualcosa che sia “più segno” di Cristo; niente ti convincerà mai, non ti muoverai mai. Come se ci fosse l’alternativa a Cristo, come se si potesse realizzare la bellezza che Cristo ti ha fatto vedere senza dir di sì a Cristo, senza immedesimarsi in Cristo come le folle, attraverso qualcos’altro, come una mediazione, una ricerca di un altro segno, come un’alternativa laica a Cristo, un segno adeguato a quello che tu pensi, a quello che hai già in testa, che si incastri perfettamente nei tuoi schemi così non devi cambiare. E’ per non dover cambiare la vita, per non fare entrare Cristo, che cerchi sempre altri segni. Ed è una generazione malvagia: malvagia vuol dire incattivata, che ti fa incattivire, è insopportabile.
Cosa cambia nella vita quotidiana, quando ogni mattina siamo chiamati, che la giornata sia lo svolgimento del si o del no, ce lo dice la nostra stessa faccia alla sera quando ci guardiamo allo specchio e ci vediamo rispecchiati nelle facce di quelli che incontriamo.

[18/10/2017, 13:41:11] Frankie: “I tuoi Santi dicano la gloria del tuo regno”.

Non siano bravi loro ma parlino della tua gloria.

“Ti lodino le tue opere”, raccontino le tue opere.

Questo è Luca evangelista, il santo che la Chiesa celebra oggi. L’evangelista non è un uomo di per sé bravo, con un certo carattere, non si sa.

εὐαγγέλιον (euanghèlion) in greco vuol dire news, notizia, “εὐ” vuol dire bella, buona, grande, entusiasmante. Luca non era un apostolo chiamato a seguire Gesù, venne solo a conoscere, a sapere delle notizie, dei fatti che lo hanno entusiasmato, lo hanno preso, li ha voluti conoscere, scrutare, indagare, li ha raccolti e testimoniati.

Questo è l’evangelista, questo è l’animo del santo.

Il santo non è un uomo buono e bravo.
Non è un uomo che si chiede cosa devo fare, lui, ma cosa devo conoscere. Non devi fare niente, devi solo conoscere quello che ha fatto un Altro, che ha fatto e sta facendo Dio nella storia.
La prima eresia cristiana furono appunto i moralisti, giudeo-cristiani: “Cosa dobbiamo fare?”. No! Cosa dovete conoscere.
E’ un uomo con gli occhi spalancati che ha la mentalità, la curiosità dello storico, del giornalista e dello storico. Vuol sapere che cosa è accaduto.
E secondo, che portata ha, che cos’è che fa notizia, che portata ha quello che è accaduto.

Perché non tutto fa notizia, non tutto pesa, non tutto è importante. E’ la mentalità dello scienziato che fa degli esperimenti per cogliere la portata del fenomeno che vede.
Questo è il cuore dell’evangelista, del testimone di Cristo: la curiosità dello storico e la disponibilità di uno scienziato a sperimentare la portata di quello che è accaduto.

Infatti la seconda eresia cristiana – la prima fu il giudeo-cristianesimo, i moralisti, “che cosa dobbiamo fare?” – la seconda fu gli onfalopsichici, ὀμφαλός (omphalòs) vuol dire ombelico, ψυχή (psichè) vuol dire animo, quelli che pensavano di avere l’animo sotto l’ombelico e andavano via con la testa bassa, tutti concentrati sempre sul loro ombelico, a scoprire il mistero che c’era sotto il loro ombelico. Erano i concentrati su se stessi, gli egotici, quelli che si guardavano, come i camaleonti che si guardano addosso e che si guardavano dentro, pensavano di scoprire la verità, di scoprire Dio guardandosi addosso come erano fatti loro, se erano giusti o sbagliati e come erano dentro. No! L’evangelista è un uomo con gli occhi spalancati, con le orecchie dritte, che guarda, che scruta quello che gli accade davanti e che ha la disponibilità di andare e fare dell’esperienza per cogliere la portata di quello che accade, qual è quella notizia che fa notizia, quella che può cambiare il corso della storia, che può cambiare la sua vita.

Non per caso Luca era un medico, laureato in medicina in Grecia, di madre lingua greca e quindi aveva l’uso della ragione dei greci, il realismo e l’intelligenza, l’ermeneutica del medico. Per il medico ogni fatto, ogni moto che ti vede, anche il muoversi degli occhi, lo starnuto, è un sintomo da interpretare, che ti fa cogliere la portata di quello che c’è dentro, della malattia che hai o della salute che hai.

Domandiamo a Luca, a San Luca, che ci dia lo sguardo, la curiosità dello storico che lui aveva e l’intelligenza e la disponibilità del medico e dello scienziato che fa l’esperienza necessaria per cogliere la portata di quello che vede.

Questo è il Santo cristiano, il resto fa solo confusione. Di essere curiosi, di conoscere la storia e di sperimentare con gli occhi, con le mani, con i propri sensi la realtà sono capaci tutti, i bravi, i meno bravi, i giusti, i peccatori.
Soltanto di uomini reali, di questo ha bisogno Cristo.

[19/10/2017, 17:28:13] Frankie: Omelia di stamattina

“L’uomo è giustificato per la Fede non per la legge.”

Giustificato non è, come nel formalismo giuridico in cui noi affoghiamo, siamo imprigionati, essere a posto di fronte alla legge, “ritenuto giusto”, no, come le cartelle rottamate da equitalia!
Non è così. Vuol dire non “ritenuto”, ma “reso giusto” di fronte alla realtà, reso veramente giusto, perché io ho bisogno di essere reso giusto perché la mia vita non è giusta, non è a posto, non è in armonia: c’è una frattura dentro di me, tra il mio desiderio e la realtà, non c’è un’armonia.
La mia natura è ferita, la mia natura è ingiusta io sono ingiusto. L’uomo non è giusto: non c’è corrispondenza tra il mio cuore e la realtà. La realtà non soddisfa mai il mio cuore: è ingiusta la mia vita. Io devo essere reso giusto.

Prima o poi tutti la facciamo questa scoperta. Quanta gente vedo piangere: “Ma allora? Perché mi son nati questi desideri se poi non si realizzano?” Perfetto! Sacrosanta domanda, perché i nostri desideri non si realizzano mai sulla terra, un po’ perché io stesso non mi voglio veramente bene e spesso mi piego non cerco la pienezza o mi accontento.

Ma anche quando si realizzano i miei desideri, non si sono realizzati, rimane una ferita, rimane un abisso, una voragine tra me e le cose che afferro.

Di fronte a questa scoperta drammatica che l’uomo è ingiusto, non è a posto dentro di sé, c’è una sproporzione lacerante, dolorosa dentro ci sono i contrizionisti che dicono: “allora sono sbagliato io, sarebbe meglio non avere desideri così grandi, meglio essere come gli animali che si soddisfano con le cose che trovano”.
Tristissima scelta: sono sbagliato io.
Oppure la posizione diabolica: “no!”, l’invidiare Dio, “vorrei essere come Dio, se fossi come Dio sarei felice”.
E si vive dichiarando guerra a Dio, cercando la felicità, la giustizia con le opere che si riescono a realizzare. Si è costretti prima o poi a rinunciare, ad attutire i desideri, perché non ci riuscirai mai.

“Io spero nel Signore”, dice l’uomo religioso, “l’anima mia è rivolta a Lui più che le sentinelle l’aurora”.

L’uomo religioso è come la sentinella che veglia di notte, sta attenta al nemico, ma ad un certo punto sta attenta ai primi raggi di luce, perché di là viene la speranza.

Che bello avere degli amici che vivono come le sentinelle, tutti tesi, tutti attenti a percepire ogni traccia, ogni presentimento, ogni segno di Colui che ha fatto il cuore per chiedere a Lui: perché lo hai fatto così? Per quale grandezza mi hai fatto? Vieni tu a compiermi, a soddisfare il cuore che Tu hai creato.

Che bello vivere come le sentinelle: attese, tutte tese.
Avere degli amici che vivono come te la vita come un’attesa, come una ricerca, come un condividere le scoperte, le tracce, gli indizi del cammino di Colui che, avendoci fatti, viene a cercarci per compiere definitivamente il desiderio del cuore dopo la morte, ma per iniziare con il centuplo il compimento, la soddisfazione adesso.

[20/10/2017, 11:36:01] Frankie: “Migliaia di persone si calpestavano a vicenda” per avvicinarlo, vederlo negli occhi, sentirlo direttamente, abbracciarlo, stringerlo. Per un’attrazione, per una bellezza inesorabile a cui si cedeva. La Fede cristiana non accetta, non conosce costrizioni di sorta, nasce da un’attrazione. Si è convinti, soprattutto, si è avvinti da una bellezza. Solo qui nasce la Fede cristiana vera, il resto ogni forma di violenza che non nasce dalla bellezza, dalla libertà, che abbraccia, che stringe quella bellezza è patologia e tradimento del cristianesimo.

Cos’è che attrae quelle folle?

Un uomo che ti dice anche “i capelli del vostro capo sono tutti contati”, che ti guarda e apprezza tutto di te, vede il senso, il valore la bellezza di tutto di te anche di ogni capello. Mai nessuna madre ha guardato così il suo bambino, nessun innamorato ha guardato l’amante così.

Questa è l’irresistibilitá di Gesù: ti guarda e senti che tutto di te, perfino l’ultima propaggine del tuo corpo, vale!

La guardi e dici: com’è bella, come sei bella!

Tutto in te è bello, tutto in te è per sempre, tutto in te è eterno.

Questa è l’attrazione che muove quelle folle.

“Non temete chi può uccidere il corpo, temete chi può perdere l’anima”.

Parole bellissime e verissime ma astratte, socratiche, valevano solo per persone con la personalità limpida, forte, educate, formate, di un Socrate, ma per le folle quelle parole erano astratte. Gesù le sentiva vere per sé, lui avrebbe vissuto così non si sarebbe fatto ricattare da Pilato che gli minacciava il corpo, che gli massacrò il corpo, loro invece non ce la potevano fare. Quelle stesse folle che qui si accalcano, grideranno dopo qualche mese “osanna, osanna” ma le medesime folle grideranno “crucifige”, saranno ricattate dalla paura, persino i suoi dodici amici avrebbero temuto chi uccideva il corpo, sarebbero stati ricattati da quella paura e lo avrebbero abbandonato.

Quelle folle ritrovarono il coraggio di accalcarsi attorno a Lui, di dare la vita per Lui, di essere certi che ogni capello del capo è salvo, che non dovevano temere di perderlo mai, che sarebbe stato salvato sempre soltanto quando l’avrebbero rivisto e toccato come Tommaso nel suo corpo risorto.

È soltanto la risurrezione di Gesù che toglie la paura di perdere il corpo che ti rende veramente libero.

Quando noi sentiamo che la nostra vita non vale e vediamo qualcosa di brutto in noi o siamo ricattati dal timore di perderlo, non riusciamo a buttarci e abbracciarlo ad aderire fino in fondo è perché abbiamo dimenticato Gesù Risorto. Solo Gesù Risorto toglie definitivamente la paura anche alle folle, anche alle persone che non hanno coscienza, che non hanno una formazione.

Finché c’è questa paura finché sei ricattato di perdere il corpo tu non sei libero, ti mettono sotto ma solo Gesù Risorto toglie questa paura.

[29/10/2017, 19:06:54] Frankie: “Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei”.

ἐφίμωσεν (ephìmosen) mise lamuseruola, che si mette agli animali. Gli aveva tolto ogni possibilità di obiezione, gli aveva smontato le loro ragioni. Non potevano più dire niente.
Per la fede ebraica, e soprattutto per la fede cristiana, avere le ragioni è essenziale. Gli aveva tolto ogni ragione per parlare e per vivere, disarmati.
Non è umana una fede priva di ragioni, non è una fede ebraica vera e, soprattutto, non è una fede cristiana e cattolica vera. È disumana non una fede, una vita priva di ragioni!
La ragione è la ricerca e la capacità di cogliere il senso delle cose, il loro valore, perciò di amarle: non puoi amare ciò di cui non vedi il senso che i tuoi occhi non amano più.
La fede è ragionevole se ti fa cogliere il valore e il senso di ogni cosa. Se no quella cosa tu non la ami, se la fai senza amarla ti uccidi da solo.
Un mio grande amico mi diceva sempre: “Carletto, se di una cosa vedi la ragione, ti convince, falla e falla fino in fondo; se una cosa non ti convince e capisci che non puoi farla fino in fondo, non cominciarla neppure”. Le cose fatte a metà non danno gusto agli uomini e non danno gloria a Dio, al nostro io. O tutto o niente, o tutto o niente!

Una fede ragionevole si capisce dal frutto che porta, che ti fa amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutto te stesso, te stesso e il prossimo come te stesso e Dio con tutto te stesso, perfino il nemico con tutto te stesso. Ti fa amare fino in fondo, fa fiorire un’affezione totale, un entusiasmo. Senza questo è disumano vivere, è disumano fare le cose senza entusiasmo: vuol dire che non hai una ragione adeguata. Allora non devi neanche cominciare, non devi vivere, non hai diritto a vivere, se non vivi fino in fondo. Dio non ci proibisce il suicidio, ce lo sconsiglia, ma uno non può trascinarsi specialmente a far le cose a metà. È disumano il tono basso che devasta l’animo dell’uomo.

Dice San Paolo ai Corinzi, che gli avevano chiesto quali sono le regole cristiane, qual è la regola così facciamo la volontà di Dio: (ἕκαστος),ciascuno di voi (καθὼς προῄρηται)faccia come ha deciso (τῇ καρδίᾳ) nel fondo del cuore, (μὴ ἐκ λύπης ἢ ἐξ ἀνάγκης) non come giudici incattiviti e (ἀνάγκης)”, che vuol dire: per costrizione, per senso del dovere, per senso di colpa, per un calcolo.. se, però, dopo.Perché a Dio (ὁ θεός) gli sta simpatico – I like, Dio fa i “like” – l’uomo (ἱλαρὸν γὰρ δότην) che fa le cose (ἱλαρὸν) pieno di ilarità”, che non è la letizia e la gioia, è lo scoppio di una risata, con la spontaneità da cui ti insorge una risata perché uno ti racconta una barzelletta.

Dio vuole l’uomo che mette tutto se stesso in quello che fa, perché, se è sbagliata la cosa che fa, il cuore in un istante capisce che è sbagliata e si corregge e impara.

Ma se fai le cose tutto frenato, tutto ingessato, tutto contristato, per dei calcoli, per dei meccanismi – eh c’è tanto bisogno e come si dice in Romagna Piutost che gninta l’è mej piutost…- Eh no! È disumano fare le cose senza passione e senza entusiasmo.

Ma ti permette di farle così solo una fede che sia razionale e ti faccia cogliere il valore e il senso di ogni cosa, perché ogni cosa un senso ce l’ha: Chi l’ha fatta gliel’ha dato!

Quando a noi le cose non piacciono, quando diciamo che tutto fa schifo è perché, appunto, siamo irrazionali, perché non usiamo la ragione, e questo rende la nostra fede volontaristico, doveristica e sentimentale, ma non è una fede razionale.

È per questo che la fede cristiana, dice lui agli amici di Salonicco, è liberante, fa respirare: “Sono esse a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi”.
La mia venuta in mezzo a voi che cosa ha prodotto? “Così voi vi siete convertiti dagli idoli a Dio”, le cose non sono più idoli, ma sono diventate segno. Perché hai due modi di guardare le cose: se le guardi senza la ragione le cose non sono segno di niente, sono se stesse e basta, piene di limiti, quelle più belle diventano idolo a cui tu ti inginocchi e poi tiri via quelle più brutte, le scarti in partenza perché ti fanno schifo: sei vuoto, non hai più niente, è il nichilismo.

Se le guardi con la ragione, con la ragione illuminata dalla fede, “dalla mia venuta tra voi”, le cose risplendono: ogni cosa è segno, ogni cosa, piccola o grande, perfetta o ferita – la maggior parte delle cose sono piene di ferite non vengono da Dio ma dalle creature ribelli a Dio- son ferite, sanguinano, son dolenti, doloranti, eppure mantengono sempre un aspetto di segno, perché le fa Dio, sono come una finestra che ti spalanca su Dio, un segno, una cosa che ti fa vibrare, che ti fa sentire anche inconsciamente, istintivamente la vibrazione del divino, dell’eterno e sono amabili, sono desiderabili. E allora le puoi amare con tutto te stesso, anche nei loro limiti. Se sono idoli.. l’idolo ti delude, perché l’idolo lo vedi bene che finisce. Quando le cose ci deludono, non ci bastano mai è perché le vediamo come un idolo e non più come segno.

Noi siamo amici se ci sosteniamo a recuperare continuamente lo sguardo vero, a vivere di una fede pienamente razionale, che fa respirare.

[30/10/2017, 12:42:38] Frankie: Omelia di oggi

“Non siamo debitori verso la carne. Mediante lo spirito fate morire le opere del corpo e vivrete”.
La dialettica che Gesù scatena quando incontra l’uomo fa percepire una lotta dentro il cuore dell’uomo perché risveglia un aspetto che prima dormiva. L’uomo, se non incontra Cristo, ha soltanto come motore come fuoco la carne, i desideri della carne, quello che sente, quello che gli piace. Non sono cose cattive, sono solo cose piccole, che non prendono mai, che non infiammano mai fino infondo. Cristo entra e con il Suo spirito, con il fuoco che gli mette dentro, risveglia delle esigenze più profonde. Scatena il compimento tra i desideri e le esigenze.
Il desiderio è ciò che io sento, l’esigenza è ciò di cui ho oggettivamente bisogno. Quando vado a tavola, se mi chiedono cosa desidero mangiare, certi cibi in quantità esagerata, se mi chiedono di cos’ho esigenza per stare bene, altri cibi in quantità ridotta. Questa è la differenza tra il desiderio e l’esigenza. Non sono sbagliati i desideri della carne, ci ha fatto Dio con questa carne, solo che sono troppo piccoli, hanno questo unico limite. Non mi prendono e non mi infiammano mai fino in fondo.
Cristo scatena questa lotta e l’uomo che prende sul serio il fuoco di Cristo, fiorisce, diventa grande, non disprezza, non reprime, non anestetizza, non ha paura dei desideri della carne, li mette al loro posto e il posto è l’innesco come un fiammifero per incendiare il fuoco. Di per sé il desiderio non incendia mai fino in fondo: brucia un aspetto, un altro e poi finisce lì. Invece Cristo li usa come innesco dell’esigenza per far venire fuori la fiamma del bisogno che l’uomo ha dentro. È il bisogno dell’eterno e Lui risponde a questo. E la differenza è che i desideri della carne ti fanno ricadere nella paura della schiavitù. Hai paura, ti muovi per paura, sei sempre in difesa, uno che si muove per paura perde le cose belle, è cieco, va a sbattere.
Non scopre mai la bellezza. Invece lo Spirito ci fa sentire figli di Dio. Dio non è più Signore ma è Abbà, papà. Non appena padre, come il creatore del mondo. Quello è Dio Signore, un Dio lontano, che spaventa, che schiaccia che non crea mia confidenza. Il Dio di Gesù si chiama Abbà, papà, il vezzeggiativo quello dei bambini piccoli che dicono “il mio papà” e dopo sono sicuri.
Affronta il mondo con una certezza che Dio è papà. Nel mondo è un uomo che ha preso coscienza delle sue esigenze, ma sa che il male non viene dal suo papà ma viene da un’altra parte e che Dio realizzerà la sua felicità.
È il modo che affronta la vita non più in balia della paura ma da figlio, certo, in una familiarità totale con il Mistero. E di fronte a un uomo così si scatena la bagarre, questa volta fuori. E i nemici erano sdegnati e si vergognavano, la folla intera invece esultava “per le meraviglie da lui compiute”.
Dove arriva uno così si scatena lo sdegno, la vergogna e la confusione
di chi è ostile, di che non ne vuole sapere e di chi vive schiavo della carne e invece l’esultanza e l’ammirazione di chi ha cominciato a far spazio all’esigenza potente del cuore.

[05/11/2017, 16:51:13] Frankie: Omelia di venerdì

“Così non ha fatto con nessun altra nazione.”

Il popolo eletto si guarda e si scopre addosso qualcosa di sconosciuto che nessun altro conosce. Non erano all’origine migliori di nessun altro popolo, con tutti i loro difetti umani, ma guardano la loro storia, se stessi, e si trovano addosso qualcosa che prima non avevano.

“Così non ha fatto con nessun altro”

Così come? Che cosa ci troviamo addosso che gli altri non hanno? Perché se siamo coscienti di quel che ci è accaduto guardiamo gli altri e li troviamo sempre mancanti, non moralmente, non più cattivi di noi, ma con qualcosa, con una conoscenza, con un punto di vista, con un sentimento della vita, con un’energia, con una libertà, una intelligenza inferiori; li troviamo mancanti, eravamo come loro, e noi ci troviamo addosso questa novità che ci stupisce, che ci rende grati, che ci rende certi e ci chiediamo perché.

Guai se noi puntiamo il dito contro gli altri, loro non hanno quello che abbiamo noi, siamo noi che abbiamo più di loro: quello che manca a loro è stato dato a noi. Dato: non lo avevamo dalla nascita, eravamo come loro, più o meno come loro, a volte peggio a volte meglio.

Ma c’è qualche cosa che ci troviamo addosso che loro non conoscono, e non ci capiranno mai. E fanno diverso, e vivono peggio perché non hanno questa cosa.

Quello che manca agli altri è stato dato a noi. Guai quando gli eletti si lamentano e accusano il mondo delle sue mancanze o puntano il dito.

Che cos’è questa novità che ci troviamo addosso? Ma guai anche a noi, quando non sappiamo rispondere e abbiamo smarrito la conoscenza di quello che ci ha incontrato. Ci consideriamo come gli altri non facciamo un gran servizio a chi c’è l’ha dato. Ma perchè ci è stata data questa novità? E, parentesi, siamo amici se ci aiutiamo a riconoscerla, a rintracciarla: guai quando ne perdiamo coscienza, che pena la nostra vita guai quando il sale perde il sapore, non sala più niente, è insipido.

Perché a noi? Per rispondere a questa domanda basta guardare i frutti che questa novità porta in noi: ci rende più umani, più contenti, più intelligenti, più profondi, più vibranti più … più felici.

Ci è stata data per farci più felici, come ogni dono viene dato alla persona che ami per farla più felice. Si chiama anche preferenza che non è di più, è prima: siamo stati amati prima degli altri per farci venire il desiderio incoltenibile di darlo anche agli altri, di colmare la loro mancanza.

Ma di fronte a questo, Paolo, spasima per questa novità e vede che i suoi corregionari, gli altri ebrei, non ce l’hanno e vorrebbe in tutti i modi darla a loro, si capisce benissimo tra le righe che gli viene la tentazione che Paolo si comporti come Saulo, cioè di fare il Carlo Magno, di andarglielo a imporre. Poi dice una cosa strana, strampalata: “vorrei essere scomunicato al posto loro”. Si capisce che è un’esagerazione: tanto vorrebbe che anche loro ce l’avessero, ma non può fare niente, non può tornare a fare Saulo, violento.

Non può e capisce che può una cosa sola, può fare solo quello che fa Gesù. Quel sabato a pranzo arriva un idropico, gli va vicino, lo abbraccia, lo guarisce e basta.

“E non potevano rispondere nulla a queste parole”. Un miracolo che toglie le parole perché parla di per sé. Ecco come possiamo fare per offrire agli altri quello che è stato dato a noi. Parole, gesti, un modo di vivere così miracoloso che parli di per sé. Toccherà alla libertà degli altri spalancare il cuore e accoglierlo oppure, come i farisei, fare il contrario. Questo non è un problema nostro. è soltanto un miracolo così miracolo che tolga agli altri le parole, che parli di per sé quello che possiamo fare.

Siamo chiamati a fare dei miracoli che non sono le guarigioni (quelle non servono, ne ha fatte poche e ha smesso di farle perché erano inutili a volte controproducenti).

Invece il vero miracolo non sono i miracoli di prim’ordine. Il vero miracolo è una vita umana sovraumana, una vita naturale che non si spieghi con la natura, che uno sia costretto a dire “ma qui c’è Dio”. Come dicevano gli ebrei il miracolo è una parola, un gesto, un’esperienza umana che comporta una tale novità che uno dice “haec mutatio deaeterae Altissimi”.

Questo mutamento, questo change, è opera della destra dell’Altissimo, qui c’è Dio.

[06/11/2017, 15:05:41] Frankie: Se vuoi essere felice ama in modo creativo, ama quelli che non ti danno il contraccambio.
L’amore che ti fa felice non è quello degli altri verso di te, quello non ti soddisfa mai: se ti aspetti di essere riempito dall’amore degli altri sarai sempre deluso e sarai sempre in angoscia, ricattato dal fatto “Oddio, se non mi vogliono più bene, se non c’è più nessuno che mi voglia bene”. L’amore che ti fa felice è quello gratuito: non è quello che viene dagli altri, è quello che viene da te. “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” disse Gesù.
Come posso, io che ho bisogno di tutto, dare gratis senza aspettarmi un contraccambio? Ho bisogno di tutto. Io sono tutto un’esigenza, un desiderio, un bisogno. Sono vuoto come una spugna, pieno di buchi. Ho bisogno di essere riempito dall’aria per i polmoni, da un abbraccio che mi tolga la malinconia quando mi sento solo, la fame, la solitudine.. di tutto ho bisogno!
Come posso io amare gratis? Solo uno che ha tutto, cioè Dio, o meglio, che è tutto, si può permettere di amare gratis. Cioè: Dio e un uomo che conosce Dio, che riconosce Dio e accoglie Dio. Quell’uomo è pieno, quell’uomo è tutto e si può permettere di amare da Dio, di amare a gratis, senza domandare nulla.
Soltanto se riconosco Dio come tutto per me, io posso amare gratis ed essere libero ed essere sempre felice. Perché se quello che mi rende felice è l’amore degli altri io tremo sempre che mi sia tolto. Potrei non averlo più, ma se l’amore che mi fa felice è quello gratis, quello che viene da me, io posso sempre amare in qualunque circostanza. Posso amare anche il nemico, posso amare anche quando mi è tolto tutto e sono odiato sulla croce. Posso sempre amare, posso sempre essere felice.
La condizione è una: che io riconosca Dio e che Dio è tutto.
“Ma io Dio non lo sento come sento le altre cose”. Eh, certo, se ragioni sul sentimento Dio non Lo riconoscerai mai. Il carcere del sentimento: di uno che si guarda dentro e considera quel che sente, non guarda mai le cose, non guarda mai l’essere. Da Lui, per mezzo di Lui, per Lui sono tutte le cose. Io sono amato da Dio per il fatto che ci sono, che quel che c’è viene da Dio. Io vengo da Dio, per il fatto che esisto io sono amato. Non c’è bisogno di altro. Dio è quello che mi sta facendo, comunque tu lo chiami. Ma per riconoscerlo devo sfondare il carcere del sentimento. Il sentimento non fa conoscere l’essere, fa conoscere il riflesso dell’essere dentro di me. Le vie di Dio sono inaccessibili. Le sue vie sono inaccessibili al sentimento dell’uomo. Bellissimo! Inaccessibili: non ti permettono di riconoscere.
Ecco, vedo un’immagine: chi riduce il conoscere al sentire, si guarda dentro, é come uno che ha fame “Oh voglio fare una spaghettata, una bella spaghettata con il sugo italico”, no? E trova delle foto bellissime di pasta di grano duro napoletane e si mette lì a contemplare nel web le immagini sperando che gli passi la fame. Può mangiarsi anche lo schermo ma non gli passa la fame. Deve uscire dallo schermo dei suoi sentimenti, deve uscire di casa, andare in un negozio, comprarsi gli spaghetti e la pummarola e cucinarseli, solo così gli passa la fame.
A noi ci passa il vuoto, la solitudine e la fame, e siamo pieni di gioia, soltanto quando usciamo dal carcere del sentimento e guardiamo l’essere, quando apriamo la finestra della ragione e riconosciamo l’essere.
La cultura di oggi ha massacrato la nostra ragione, la riduce tutta al sentire e ci rende incapaci di respirare dell’essere.
Abbiamo bisogno di amici che ci spalanchino la ragione a riconoscere ciò che c’è e a smettere di affogare nelle sabbie mobili di ció che sento, persone di carne, che possano contenere la conoscenza dell’essere che tanti uomini hanno assaporato e che possono rivitalizzare il nostro io.

[07/11/2017, 11:02:31] Frankie: Omelia di oggi

“Voi pur essendo molti siate un solo corpo”.

Molti, molti, diversi, impossibili, estranei, pieni di limiti insopportabili, eppure un corpo solo. Questo è il miracolo che Gesù crea nel mondo. Gli impossibili, i diversi, quelli che si farebbero la guerra, oppure il massimo che ha raggiunto la cultura occidentale, la tolleranza. Io sono fatto per tutto, fuorché per essere tollerato, son fatto per amare e per essere amato, non mi corrisponde certo l’intolleranza, la violenza, non mi corrisponde l’imposizione dell’uguaglianza come delle dittature, ma neppure mi corrisponde l’essere tollerato, mi corrisponde essere amato e amare. Come è possibile, se siamo così limitati, così diversi, così impossibili? Come fa Gesù a fare dei volti diversi, impossibili, ebrei e cristiani, liberi, barbari, sciiti, maschi e femmine un corpo solo? Qual è il segreto di Gesù? È uno solo. È la profondità dello sguardo, la radicalità dello sguardo: guarda ogni persona così in profondità che la vede come è unita dal creatore. Siamo tutti figli di Dio e immagine di Dio, se stiamo a questo livello possiamo goderci il miracolo dell’unità degli impossibili, se ci superficializziamo un po’, qualcuno sarà sempre escluso, sempre di piu. Più siamo superficiali, più è impossibile il miracolo dell’unità.
Siamo amici se ci aiutiamo a rimanere nel livello vertiginoso, radicale dello sguardo di Cristo, in un mondo superficiale come questo è la lotta quotidiana.

[08/11/2017, 13:43:55] Frankie: Omelia di oggi

“Chi non porta la croce non può essere mio discepolo”.
Non accetto quelli che scaricano la croce, che scaricano il dolore, che scaricano la drammaticità o la scaricano su altri o semplicemente tagliano via dalla vita tutto ciò che è dolore e fatica, che è dramma, che è croce. Perché uno che viene dietro a Me portando la croce – la croce della realtà, la vita è croce, la vita è drammatica, la vita ha bisogno di essere salvata e compiuta e io non posso – se uno viene dietro a Me senza la croce di fatto non mi verrà mai dietro, non si affezionerà mai a Me perché non ha bisogno. Io sono la risposta, chi non ha la domanda non gli serve la risposta, anzi, lo complicherà, avrà sempre da ridire, non si attaccherà mai fino in fondo perché non c’è cosa più stupida di una risposta ad una domanda che non c’è. La vita è drammatica, si capisce la risposta prendendo sul serio la domanda e comunque se uno scarica la croce, taglia via tutti i pezzi faticosi, dolorosi della vita, alleggerisce la vita ma la vita leggera non ha più spessore, diventa insopportabile. Come diceva Milan Kundera “non sopportabile leggerezza dell’essere”. Non è l’insopportabile pesantezza, è l’insopportabile leggerezza che è una vita che non è domanda, che non è dramma, è leggera, la butti via, la rischi stupidamente, fai mille cose senza pensare. Cominci a costruire la torre e non fai i conti, vai in guerra allo sbaraglio e perdi la vita. La vita la sprechi, la rischi irragionevolmente. Se invece percepisci la vita come un dramma che deve essere salvato, stai bene attento, calcoli bene i tuoi movimenti, diventi razionale e realista, la vita è la cosa più preziosa che hai. Che cosa è questo di fronte- pensate alla lettura di oggi!- alla vita come svago, come evasione dalla realtà? D’altronde è comprensibile che uno evada dalla croce e dalla realtà, dal dramma che la realtà è se non vede la risposta, senza prendere sul serio il dramma. Se non si capirà mai Cristo non si sarà mai entusiasti di Cristo e seri con la vita, ma è vero anche il corrispettivo, il contrario. Per chi non incontra Cristo la vita diventa terrorizzante, insopportabile, se ne ha paura. Non è ragionevole ma è comprensibile che uno ne evada. Bisogna lavorare su entrambi i fronti per potersi godere lo spessore, l’intensità della vita.

[10/11/2017, 10:38:03] Frankie: Omelia di ieri

Omelia di ieri:
“Parlava del tempio del suo corpo”.

Perché io ho sempre bisogno di un tempio dove incontrare Dio. Non mi basta che esista Dio: io sono di carne, ho i sensi, devo vedere, toccare, abbracciare, immedesimarmi.

In tutte le religioni il tempio è di pietra, i segni di Dio son cose, nel Cristianesimo il tempio di Dio è l’umanità di un uomo, il Suo corpo, il corpo di un uomo.

Credere in Dio, nelle religioni, vuol dire compiere dei riti in un tempio, in una chiesa, fare delle pratiche, delle leggi morali. La fede cristiana è il corpo tra due innamorati, la bellezza infinita che ti prende tutto, è il corpo di una persona. Devi provare un’attrazione, devi incontrarlo, vederlo, toccarlo, abbracciarlo e poi vuoi condividere tutta la vita per diventare un’anima sola e un corpo solo.

La dinamica umana della fede cristiana è quello che scatta tra due persone che si innamorano. E’ analogo, non uguale ma analogo. Questa è la fede cristiana, è l’esperienza umana più corrispondente.

Qual è il nemico di questa fede?

“Avete fatto del mio tempio un mercato”.

Al mercato si misura, si pesa, si compra, si vende. La domanda decisiva in un mercato è “quanto costa?”, “quanto vale?”, “quanto costa?”, “quanto vale?” è misurabile, pesabile, è ridotto a una cosa. Ma dentro quel corpo, dentro quell’umanità che allora era il Mio corpo, Gesù di Nazaret, dopo di Lui dice Paolo “voi siete il tempio di Dio”, siamo tutti il Suo corpo. Degli uomini limitati, fragili, che portano Dio dentro il mondo: questa è la nostra dignità, tutto il resto è strumento, lo possono fare tutti. L’unica cosa che possiamo fare solo noi è essere dentro il mondo il corpo di carne di Dio che gli uomini possano incontrare. Qual è il limite di questa esperienza? è ridurre tutto all’umanità per codificare, misurare, pesare, ridurre tutto ad una misura, a qualcosa che si possa dominare. Togliere la sacralità che c’è nel nostro corpo. Cosa c’è in gioco? Cosa è che si perde? Cosa decide questo sguardo? O riconosci Dio presente o è tutto un mercato, anche i rapporti fra noi e le cose che facciamo.

“Lo zelo per la tua casa mi divora” c’è in gioco lo zelo. Se dentro c’è il Mistero, se accade in un corpo dove Lui è presente, riconoscendo il Mistero c’è nel cuore lo zelo, abbiamo il cuore infiammato di desiderio, di affezione.

Tu sei vibrante in ogni cosa che fai, altrimenti c’è l’aridità, c’è il languore, c’è la tiepidezza, c’è il mercato. Ce n’è fin troppo nel mondo di mercato, anche l’amore umano è diventato un mercato. La politica è un mercato, è tutto un mercato.

La vittoria sul mercato è riconoscere il mistero infinito, la bellezza infinita che ci prende dentro un corpo umano e trattarla analogamente a come si tratta il corpo di una persona innamorata.

[19/11/2017, 19:22:57] Frankie: Omelia di ieri 18 novembre

“Troverà la fede sulla terra”.
La fede che è venuto a cercare e a trovare. La fede è lo scopo della Sua vita e la spende tutta perché sulla terra ci sia la fede.
Ogni cosa la fa, anche se fosse la Croce, se serve per la fede, per far fiorire la fede propria e stimolare, provocare la fede degli altri. Se una cosa non serve per la fede, fosse una cosa piacevolissima, comodissima, non la fa, non ci perde tempo. Ogni energia di Gesù è spesa perché nel mondo ci sia la fede. Che cos’è mai la fede, che cosa porta di bello, di grande la fede dentro il mondo per meritare tutta la Sua vita, e la mia? Sono chiamato a spendere la vita perché nel mondo ci sia la fede, tutte le altre cose le possono fare tutti gli uomini, tutte le professioni, tutte le opere d’arte, tutti possono fare tutto, c’è una cosa sola che nel mondo possiamo fare solo noi: la fede. Che cos’ è la fede per questa donna da cui Gesù prende spunto, questa povera vedova?
Ha gridato fino all’esasperazione importunando fino allo spasimo il giudice di magistratura democratica – scusate il riferimento – che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno.
È una donna che ha domandato giustizia: “ho bisogno di giustizia, non ho il marito che mi difenda, non sopporto di essere trattata ingiustamente.
Il mio cuore é fatto per la giustizia”.
La fede è la ricerca della giustizia, della vita giusta, della vita vera. E’ non permettersi mai di subire, di sopportare. Mi possono fare tutto il male del mondo, mi mettano in croce, ma io dico sempre che non è giusto e spenderò tutte le energie fino all’ultimo fiato per cercare il giusto.
Io sono fatto per ciò che è giusto, per ciò che è vero. Il primo peccato dell’uomo di oggi è la sopportazione, la rassegnazione, smettere di lottare, smettere di tendere, l’accontentarsi.
Per altri è una virtù, per un cristiano è un peccato. Si chiama accidia ἀ-κῆδος, trascurato di se stesso.
Secondo. Per chi ha avuto la grazia, per chi la grazia della giustizia l’ha avuta, questa vedova non l’aveva ancora avuta ma l’ha cercata, questo è l’inizio della fede.
“Ricordate le meraviglie che il Signore ha compiuto”. E’ il grido, invece, di un ebreo, e più ancora di un cristiano. Perché la giustizia l’ha vista, le meraviglie che il Signore le ha viste, i cieli nuovi e la terra nuova li ha visti, e spende tutta la vita per ricordarle, per riconoscerle ogni giorno un po’ di più, per essere meravigliato ogni giorno un po’ di più.
La ricerca della giustizia è la memoria, l’approfondire ogni giorno la conoscenza delle meraviglie che Dio ha compiuto, crea nel mondo un uomo di fede, cioè un uomo spalancato con il cuore dilatato, infiammato, un uomo il cui cuore brucia perchè con il cercare la giustizia e soprattutto meditare, conoscere sempre un po’ di più le meraviglie del Signore, è tutta benzina per il cuore dell’uomo. Crea un uomo nel mondo con un desiderio ardente, un uomo audace nel desiderio. Il peccato più terribile della cultura di oggi, dice uno psicanalista francese, Lacan, è aver disdetto l’abbonamento al desiderio. Cristo è venuto per convincere gli uomini a riattivare l’abbonamento al desiderio. E’ bellissimo. Il cuore dell’uomo è un abbonamento, c’è un bene che ti aspetta, per cui bisogna che attivi l’abbonamento, se lo disdici il cuore si spegne e la fede, che ci sia che non ci sia, l’uomo rimarrebbe tale e quale.

[20/11/2017, 08:25:49] Frankie: Omelia di un battesimo

“La donna perfetta chi potrà trovarla?”

Auguri. L’uomo perfetto, chi lo trova? Un ebreo sa che il cuore è fatto per la perfezione. Il più grande ebreo del mondo disse: “siate perfetti come il Padre che sta nei cieli”. Gesù di Nazareth è venuto a buttare benzina sul fuoco del cuore.
Di quale perfezione noi siamo capaci? Non certo di quella ontologica, il nostro essere è fragile: si nasce, ci si ammala e se ci va bene da vecchi si muore, se no si muore prima. La perfezione morale…tanti auguri ragazzi, qual è l’uomo perfetto nel comportamento? C’è un’unica perfezione di cui l’uomo è capace: la perfezione del desiderio. Io non sono perfetto né nell’essere né nel comportamento, ma io posso desiderare il perfetto, posso avere un desiderio perfetto, posso desiderare la pienezza, la fioritura della mia umanità, posso desiderare che siano messi a frutto tutti i talenti che ho. Questa è la felicità: realizzare la bellezza e la grandezza che abbiamo dentro, questa è possibile in ogni uomo. Gesù è venuto nel mondo perché l’uomo possa realizzare la sua perfezione; perfetto nel desiderio: l’uomo può desiderare il perfetto, desiderare l’infinito, questo potere ce l’ha.
E Camilla i primi tempi è in balia della mamma e del babbo, ma crescendo dovrà cominciare a dire: “io voglio e io non voglio, mi piace questo e non mi piace questo”. Guai se non afferma il suo io! Se dice solo “si” e non dice “no”, perché il suo io non c’è. Perché lei è unica e diventerà unica. Ogni uomo diventa unico, non c’è un uomo uguale all’altro: l’uguaglianza non è mai un valore per i cristiani, il cristiano ha il terrore dell’uguaglianza. Il valore è l’unicità dell’io e l’unità, non l’essere uguale agli altri, non c’è nessun uomo uguale agli altri: anche i gemelli monozigoti diventano diversi, ognuno fa le sue opzioni, una dopo l’altra e disegna piano piano, costruisce il proprio volto. Io non sono fatto da Dio, mi faccio io in ogni istante: Dio mi ha fatto libero. L’educazione è questo: aiutare lei a diventare lei, a dire un “si” libero e a dire dei “no” altrettanto liberi, se no non diventa se stessa e sarà una bella battaglia tra dieci-dodici anni quando le scoppia la pubertà e poi l’adolescenza. Ma questa è l’avventura!
Qual è il primo passo per diventare perfetti, per diventare veri? Non perfetta come moglie, perfetta come segno, perfetta nel desiderio, nel grido.

“Io ti battezzo” diciamo tra qualche minuto.

Ti battezzo. C’è un immagine greca per questa parola efficacissima e semplicissima: battesimo, βαπτισμός, viene dal greco βαπτίζειν [baptìzein] che è un frequentativo del verbo βάπτειν [bàptein]; βαρύς vuol dire “profondo”, βάπτειν vuol dire “immergere”, βαπτίζειν è il frequentativo, “immergere frequentemente”, fino a inzuppare. È il verbo che si usa per le spugne, perché dà l’immagine efficace che il nostro cuore è come un’immensa spugna, è tutto un buco, tutto un vuoto, tutto un bisogno, tutto un desiderio e deve essere riempito. E l’uomo spende la vita a cercare dove tuffarsi, dove trovare ciò che lo riempie e le cose non lo riempiono mai, non c’è nessuna cosa al mondo, il mondo intero non può colmare i vuoti di questa spugna. Ricordo una poesia che ho letto in luglio di un poeta spagnolo, Antonio Machado, era ateo, marxista, si è innamorato di tante donne che si portava poi a letto e basta, ne incontra una che è cattolica e questa non si concede se lui non la sposa; allora lui dice: ma cos’hai te negli occhi? Cos’hai tu? Tu hai qualcosa che mi infiamma. E dopo lei gli fa capire che tutte le cose sono limitate, ma che l’uomo deve cercare il perfetto, l’infinito, non le creature, ci vuole il Creatore. E lui dice: lo capisco anche io che tutte le cose sono limitate, e poi dice una frase che mi è rimasta impressa – è il dramma di un ateo che non può sopportare questa mancanza –, ecco cosa vuol dire educare, dice lui: “Bueno es saber que los vasos / nos sirven para beber”, lo capisco anche io che i bicchieri servono per bere e che i bicchieri, cioè le cose, sono sempre un po’ piene e un po’ vuote, non ce n’è nessuna che mi tolga fino in fondo la sete, questo lo capisco bene, è inutile che insisti. Poi la guarda negli occhi, lei ha la fede e lui no, e le dice: “lo malo es que no sabemos / para qué sirve la sed”, è che noi atei non sappiamo a che cosa ci serve la sete, anche noi abbiamo la sete che hai te, è che noi non sappiamo cosa ci serve, non conosciamo chi può toglierci questa sete, e per cui dobbiamo poco o tanto cercare di non sentirla, di anestetizzarla, perché non esiste l’acqua che ci tolga questa sete. Poi la guarda negli occhi e fa: “Arde en tus ojos un misterio”, tu hai un fuoco negli occhi, non ti riesco a smollare, tutte le altre le uso mentre da te non mi riesco a staccare. E poi la guarda – ecco la funzione dei genitori e degli educatori di Camilla –: “-¿Eres la sed o el agua en mi camino?- Dime, virgen esquiva y compañera”, dimmi tu che non ti concedi ma sei quella che mi fa più compagnia, tu nel mio cammino sei la sete o sei l’acqua? Da una parte mi dai un po’ da bere, ma l’acqua che mi dai da bere mi aumenta la sete, tu sei la sete, sei quella che mi fa venire più sete, guardando te capisco che forse l’acqua che mi può dissetare esiste, tu quest’acqua l’hai conosciuta: è per questo che con te non ho più paura di avere sete, non ti riesco a mollare, non vieni a letto con me finchè non ti sposo ma non ti riesco a mollare – le altre le avrei mandate via subito – perché tu hai un fuoco negli occhi che mentre mi aumenta la sete mi dà la certezza che l’acqua esiste perché tu l’hai trovata: devo stare con te per rubarti il segreto, per capire che acqua hai scoperto tu. Ecco l’educazione. Educherete Camilla dilatandone la sete e testimoniandole l’acqua: prima facendole venire sete, guai se la soddisfate, se la tranquillizzate, dovete tirarla su inquieta, desiderosa, incompiuta, drammatica, deve piangere per scoprire che non le basta niente. Guai se la tirate su tranquilla e soddisfatta, se avete paura dei traumi della fatica e del dolore. Se le togliete la sete non capisce più il valore di Cristo. Ma la sete senza l’acqua le fa paura, allora dovete testimoniarle con la vostra faccia più che con le vostre parole che l’acqua esiste, con il vostro sguardo. Come Machado diceva: “Arde en tus ojos un misterio”, hai un fuoco negli occhi, vedo nei tuoi occhi un fuoco che mi dice che esiste quello che sto cercando e stando con te non ho più paura di desiderare, non ho più paura di piangere, non ho più paura del dramma. Questa è l’educazione.
Dentro questo mondo normalmente vi sentite dire il contrario di quello che io ho appena detto. Ma per essere veri non si può pensare di essere anche comodi; per essere veri oggi c’è da andare contro corrente e il primo che per essere vero è andato contro corrente fino a finire in croce è stato, appunto, Gesù di Nazareth.

[20/11/2017, 16:49:00] Frankie: Omelia di oggi

“La tua Fede ti ha salvato”

Ti ha cambiato, non hai ritrovato la vista. Prima vedevi le cose, poi non le vedevi più.
Mi hai chiesto la vista, ti ho dato la vista, perché non vai a casa?!
A vedere i film che non hai mai visto. Vai al cinema! Vai a vedere i panorami,
vai a vedere le belle donne! Non fa così.

“Cominciò a seguirLo glorificando Dio (…) e tutto il popolo vedendolo, diede gloria a Dio”.

Come? Vedi le cose, cosa vuoi di più?
E’ che le cose, adesso, le vedi fino in fondo per quello che sono, come creature di Dio, come segno di Dio,
ti mettono davanti a Dio. Ecco che cosa è la fede: prima vedeva le cose in superficie, perde la superficie,
diventa cieco, chiede ancora la superficie delle cose, ma Cristo gli da la vista vera sulle cose, uno sguardo attento che va fino in fondo alle cose, e in fondo ad ogni cosa c’è Dio, e Dio gli riempie il cuore, lo riempie
di gratitudine come mai e… auguri che torna a casa! Lo segue!
Perchè non può più farne a meno, perchè le cose come le vedeva prima non gli bastan più, le cose che vede adesso gli parlano di Dio,
e per continuare a veder Dio nelle cose, a vedere le cose fino in fondo, deve seguire Lui.
Senza la Compagnia di Cristo ritornerebbe cieco e stupido come quelli che hanno la vista!
Che si fermano alla superficie delle cose. La fede cristiana non è aggiungere Dio alle cose, appiccicarci sopra alle cose
Dio o, peggio ancora, una morale, delle regole… no! è vedere la realtà per quello che è, fino in fondo.

Una mia amica atea mi disse una volta: io non ho mai stimato, ho avuto antipatia per le persone religiose; gli unici due
per cui ho un’empatìa sono Papa Bergoglio e don Carlo. Perchè!? Perchè voi due guardate le cose e ci vedete Dio.
Qual è il problema? E’ che se non riesco a dimostrare che voi due avete troppa dopamina, avete il delirio religioso
o le allucinazioni, oppure vi devo seguire, ed è ancora lì che ci pensa e non mi molla più.

[21/11/2017, 18:38:45] Frankie: Omelia di oggi

“Tutti mormoravano: è entrato in casa di un peccatore”. Era vero! Lo dicevano mormorando, ma era proprio vero! E non poteva non entrare. “Scendi subito, in fretta: oggi devo fermarmi a casa tua”. ἐν τῷ οἴκῳ σου δεῖ με μεῖναι.
(En to oiku su dei me meinai), sento che oggi devo stare con te a casa tua. Appena ho saputo che eri lì, ti ho visto, avevo dentro una forza che.. devo stare a casa tua, devo star con te oggi! Non me lo dice la legge, anzi, la legge lo proibisce, mi condanna. Ma ho una legge dentro: devo! Me lo diceva il cuore: oggi avevo voglia di star con te, voglio vederti in faccia, voglio pranzar con te.
Per questo Zaccheo scende in fretta, perchè la forza non viene da fuori, non è una costrizione, viene da dentro: è la forza del cuore.
Gesù, quel giorno, guarda Zaccheo, gli piace, gli vuole bene, vuole star con lui.
E’ quello sguardo che non nasce da nessuna costrizione, ma dalla potenza di una bellezza e di un amore che è dentro il cuore di quell’Uomo, che rende libero Zaccheo: libero dai soldi, metà, via, andare andare, finora erano tutto, adesso li posso dare. Poi libero soprattutto dai giudizi degli altri, e i suoi stessi giudizi.
“Non temo la folla numerosa che intorno a me si è accampata” c’era la folla accampata intorno e lo minacciava, è potentissimo questo Salmo (Sal 3).
Zaccheo non teme più neanche Gesù, la folla numerosa che si accampa per dire: “ma guarda, non ti rendi conto?” La folla di fantasmi, di giudizi che lo schiacciavano, non li teme più! E Zaccheo sa che i giorni seguenti che Gesù non ci sarebbe stato più lui sarebbe stato libero dai suoi soldi, dal suo potere, dai giudizi degli altri, dai fantasmi che c’aveva dentro, dai sensi di colpa soltanto se rimaneva davanti a quello sguardo, a quell’affetto: “oggi, sento che oggi devo venire, devo stare a casa tua”.
Quando non si sarebbe sentito libero, sarebbe stato schiacciato dai sensi di colpa, accusato dalla folla, lapidato, messo in carcere dai Romani, tutto quello che gli poteva accadere, in quel mondo c’era posto per tutto, sappiamo bene cosa sono i delitti di mafia… eppure sapeva che la possibilità sarebbe stata soltanto nello stare, come in quel momento, come in quel giorno, davanti a quello sguardo che non veniva da nient’altro che dallo splendore di una bellezza e di un amore che era dentro il cuore di quell’Uomo: “sento che oggi devo rimanere, devo stare a casa tua”.

[22/11/2017, 21:52:48] Frankie: Omelia di oggi

“Davanti a tutti verso Gerusalemme”, che era lo scopo della sua vita, il luogo dove doveva svolgere il suo compito. Sapeva di non essere al mondo per caso, c’era un compito che doveva svolgere e si doveva svolgere a Gerusalemme e tutta la vita è per arrivare a Gerusalemme, scoprire il suo compito e realizzarlo. La sua vita non era inutile e la chiarezza dello scopo, sapere dove andare e fare che cosa, rendeva utile tutti i passi, non si perdeva, non si distraeva, non era mia confuso: ad ogni istante, ad ogni scelta aveva il criterio, poteva sbagliare la scelta ma, avendo il criterio giusto, la poteva correggere subito dopo. E’ come quando con il tom tom della macchina tu hai digitato la meta, qualche volta puoi pure sbagliare agli incroci, ma subito dopo ti corregge e ti riporta sula strada. Quando sei in confusione, quando sei paralizzato, confuso e indeciso è perché hai dimenticato lo scopo, perché tu stai al mondo, che compito hai nel mondo. E’ la confusione sullo scopo che rende paralizzati e confusi di fronte alle scelte.
Che cosa doveva andare a fare a Gerusalemme.

Qual era lo scopo per cui era al mondo? Per cui io sono al mondo?
“Ci sazieremo Signore contemplando il tuo volto”.
Il Suo scopo era andare a Gerusalemme a contemplare il volto di Dio. Gerusalemme è il luogo del mondo più pieno dei segni di Dio. Tutto, se ci andate, tutto, le pietre, i sassi, le lucertole, tutto parla, tutto è segnato dalla presenza del Mistero. Quella terra è la terra del Mistero, tutti la vogliono, e fanno a botte per averla, ancora oggi, perché brucia del Mistero, lì c’è passato il Mistero, è tutta piena. Doveva andare là a fissare tutti i segni che parlavano di Dio per saziarsi della Presenza di Dio e così il Suo stesso volto si sarebbe illuminato, sarebbe diventato lo specchio del Mistero e chi lo vedeva, chi vedeva il Suo volto vedeva il Mistero. Per questo è andato a Gerusalemme, sperava di non finire sulla croce, ma la croce non Gli ha impedito di contemplare il volto di Dio e di svelare il proprio volto. Perché il nostro contributo al mondo, l’utilità al mondo, è che sveliamo il volto di Dio attraverso il nostro volto trasfigurato dal Suo. Questo rendeva utile, certa e decisa la vita di Gesù.

“A chi ha sarà dato”.
A chi ha questo volto davanti agli occhi, a chi ha il volto illuminato dal volto di Dio,  sarà dato il resto anche se non possiede, è tutto suo, vede il senso di tutto, è tutto suo, ringrazia Dio di ogni cosa che vede anche se non la usa, non ce n’è bisogno. Davanti al volto di Dio, tutto diventa tuo.

Chi non ha questo volto davanti agli occhi, chi non ha il volto trasfigurato dal volto di Dio, anche quello che ha non è suo. Il cuore lo brucia e alla fine si trova vuoto. Non è che sarà tolto dagli altri: ti sarà tolto quello che hai dal tuo stesso cuore che brucia in un istante e dice: “Non mi sazia, non mi sazia, non mi sazia”.
Il problema della vita è se ci sazia il Suo volto, allora tutto ci sazia, se non ci sazia quello niente ci sazia.

[24/11/2017, 07:56:16] Frankie: Omelia di ieri

“Alla vista della città Gesù pianse su di essa”

ἔκλαυσεν: singhiozzò. Il singhiozzo di Gesù da dove viene? Per che cosa pianse Gesù? Che cosa lo fa piangere? Per quel “non hai compreso il tempo in cui sei stata visitata”. Noi siamo fatti per essere visitati, non siamo fatti per la solitudine, per lo squallore, per l’impurità. Siamo strutturati per questa visita, per un incontro. Viviamo tutta l’esistenza nell’attesa di essere visitati, incontrati, abbracciati. Non è un caso che l’abbraccio sia il gesto affettivo più potente e intenso, in cui più mettiamo il cuore, perché noi per questo siamo nati. La cosa più bella è incontrare questo abbraccio, fare esperienza di questa visita: siamo nati per ospitare Dio.
Ma il dolore è quando questa visita non si realizza, quando questo abbraccio non lo sperimentiamo: quando siamo desolati, ci sentiamo soli, amareggiati, delusi perché abbiamo un senso di inutilità, di dispersione di energie, è perché non riconosciamo questa visita. Non è la visita che manca, è che noi non la riconosciamo, perché per riconoscere la Sua visita bisogna “camminare per la retta via”, che non vuol dire essere bravi, vuol dire essere tesi, il cuore è teso a qualcuno, è teso a ciò che lo compie, è teso a questa visita. Allora il mondo è pieno di segni, Dio ci può visitare in mille modi diversi; se noi siamo tesi là con il cuore ogni volta che zigzaghiamo, sbandiamo torniamo sempre lì, torniamo sempre lì con il desiderio, noi intercettiamo i segni della Sua visita. E l’esperienza per noi inizia. Se invece noi non siamo tesi a quello, siamo tesi ad altro, Lui passa e noi non ce ne accorgiamo mai, perché noi non siamo sintonizzati: come quando con la radio sbagli il canale oppure con il web sbagli il sito e non avviene la connessione, perché tu tendi a qualcos’altro.
Il dramma della vita è tutto qui: se noi siamo visitati o non siamo visitati. E allora la battaglia della vita è non indurire il cuore: mantenetelo sensibile, attento, disponibile, cioè consapevole della grandezza per cui è fatto e tutto teso là. Guai quando il cuore si fissa, si ossessiona, si inchioda su dei particolari: tutti i particolari sono preziosi perché sono occasioni da cui può emergere, in cui può accadere l’incontro; ma quando invece ti fissi su quelli, non li tratti più come segni, come occasioni, come possibili finestre, ma diventano quello l’obiettivo, Dio passa e la tua vita passa. E fai piangere Gesù, perché il dolore più grande per Lui è che la tua vita sia inutile, perché anche la Sua visita alla fine diventa inutile. Noi abbiamo il potere di neutralizzare la Sua visita, la cosa più grande che ha fatto nell’universo.

[24/11/2017, 17:03:03] Frankie: “Pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo”

Tutti presi, sospesi per aria έξεκρέματο: lì, tutti presi, tutti catturati per quel che diceva, per quel che era, perché dentro quelle parole, quei gesti, quello sguardo, quella tensione c’era qualcosa che li prendeva tutti. Le parole che diceva erano vere ed erano Sue; erano vere, parlavano della realtà, li inchiodava, nessuno poteva obiettare, illuminava tutto. Ed erano Sue, Lui coincideva con quelle parole, metteva tutto sé stesso in una parola, in un gesto, in uno sguardo: Lui era la parola incarnata, fatta carne. Questo è il cristianesimo! Una parola non detta ma che coincide con il tuo essere.
E cosa cambia incontrare un uomo così? Cosa sono le parole, i gesti, gli sguardi, gli affetti, la tensione umana di un Uomo così?

“Sta scritto la mia casa è casa di preghiera”

La Sua casa, dove sta Lui, è preghiera, è rapporto con Dio, la Sua azienda è un’azienda di preghiera, ti mette in rapporto con Dio, la strada che fa, i passi che fa ti fanno camminare con Dio, tutto quello che in Lui vibra è preghiera, cioè rapporto con Dio e incontrando Lui incontri Dio, sei davanti a Dio; se sei davanti a Dio hai tutto e tutto è tuo, sia le cose che puoi gustare e toccare sia quelle che puoi soltanto contemplare, tutto è per sempre, quello che godi è per sempre, sei in pace, sei entusiasta, non ti manca più niente, sei libero nel rapporto con le cose.
Se no anche il tempio è una casa di ladri, una spelonca di ladri, un covo di ladri, cioè c’è solo refurtiva, c’è solo roba rubata: la puoi consumare per un istante, ma non è tua e tu stesso non sei tuo, tu stai per essere catturato, la tua stessa vita è rubata e sai che la perderai. Niente è tuo, neanche ciò che consumi materialmente è veramente tuo.

E vivi…non godi mai niente fino in fondo, niente per sempre, vivi con l’ansia di perdere tutto quello che hai, la tua stessa vita è refurtiva.
Questo è il cristianesimo, un uomo così: dice “cercavano di farlo morire […] ma non sapevano che cosa fare”; dopo un po’ lo fecero morire, ma fu inutile, perché dopo 2017 anni siamo ancora qui che pendiamo dalle stesse labbra: le parole, la verità incarnata di un Uomo così è per sempre, non puoi più farlo morire, perché è un Uomo che coincide con il divino, il divino e l’umano sono la stessa cosa.
Il divino è dentro il mondo, quello che tu vedi, incontri e gusti nessuno può farlo morire, nessuno lo distruggerà più.

[27/11/2017, 19:10:48] Frankie: Omelia 27 novembre

Alza gli occhi vede che tutti gettano l’offerta nel tesoro del tempio, ma è colpito dalla faccia di quella povera donna.
Tutti gettano, ma la loro faccia non gli dice nulla, perché gettano il superfluo, hanno facce superflue che non ti dicono niente,
non hanno niente di interessante. Lei getta tutto quello che ha per vivere. Per questo nota quella faccia, la faccia di una che
ha tutto e che ha bisogno di tutto. Questa faccia colpisce Gesù. Per lei niente è superfluo, lei ha bisogno di tutto. Dà tutto per avere tutto.
Questa è la faccia che colpisce Gesù. Durante una giornata vediamo centinaia, migliaia di facce, slavate, non resta nessuna. Le facce che ci restano
sono le facce di quella donna, le facce che gridano le facce che danno tutto perché domandano tutto. Facce spalancate, facce tese, facce fisse sul’essenziale.
Le altre sono facce superflue; che ci siano o che non ci siano non ti cambia niente.
Che cosa decide questo nella vita? Che cosa cambia aver a faccia superflua o la faccia che chiede tutto che domanda tutto.

“Vegliate e tenetevi pronti” una faccia sveglia, pronta: a che cosa?
“Perché nell’ora che non immaginate viene il Figlio dell’Uomo”
Una faccia così, incontra il Figlio dell’Uomo, incontra l’Uomo vero, incontra tutti i figli di di tutti gli uomini, li può incontrare tutti, perchè è una faccia
spalancata, sveglia e pronta all’incontro. Le facce del superfluo non incontrano nessuno, non hanno spazio per nessuno, per loro è tutto superfluo,
non c’è nessuno che sia essenziale per loro, neppure Dio.

“Nell’ora che non immaginate” perché l’incontro avviene spaccando le nostre immaginazioni; se noi ci fissiamo su quello che abbiamo in testa noi ci perdiamo sempre l’incontro con Dio e l’incontro con gli altri. L’incontro ci spiazza sempre, é l’incontro con il mistero. Soltanto una faccia come quella di quella donna, sveglia, e pronta, libera da quello che ha in testa lei, attenta alla realtà può fare l’esperienza per cui siamo nati: incontrare il Figlio dell’uomo e tutti gli uomini.

[27/11/2017, 19:21:58] Frankie: Omelia 27 novembre

Alza gli occhi vede che tutti gettano l’offerta nel tesoro del tempio, ma è colpito dalla faccia di quella povera donna.
Tutti gettano, ma la loro faccia non gli dice nulla, perché gettano il superfluo, hanno facce superflue che non ti dicono niente,
non hanno niente di interessante. Lei getta tutto quello che ha per vivere. Per questo nota quella faccia, la faccia di una che
ha tutto e che ha bisogno di tutto. Questa faccia colpisce Gesù. Per lei niente è superfluo, lei ha bisogno di tutto. Dà tutto per avere tutto.
Questa è la faccia che colpisce Gesù. Durante una giornata vediamo centinaia, migliaia di facce, slavate, non resta nessuna. Le facce che ci restano
sono le facce di quella donna, le facce che gridano le facce che danno tutto perché domandano tutto. Facce spalancate, facce tese, facce fisse sul’essenziale.
Le altre sono facce superflue; che ci siano o che non ci siano non ti cambia niente.
Che cosa decide questo nella vita? Che cosa cambia aver a faccia superflua o la faccia che chiede tutto che domanda tutto.

“Vegliate e tenetevi pronti” una faccia sveglia, pronta: a che cosa?
“Perché nell’ora che non immaginate viene il Figlio dell’Uomo”
Una faccia così, incontra il Figlio dell’Uomo, incontra l’Uomo vero, incontra tutti i figli di di tutti gli uomini, li può incontrare tutti, perchè è una faccia
spalancata, sveglia e pronta all’incontro. Le facce del superfluo non incontrano nessuno, non hanno spazio per nessuno, per loro è tutto superfluo,
non c’è nessuno che sia essenziale per loro, neppure Dio.

“Nell’ora che non immaginate” perché l’incontro avviene spaccando le nostre immaginazioni; se noi ci fissiamo su quello che abbiamo in testa noi ci perdiamo sempre l’incontro con Dio e l’incontro con gli altri. L’incontro ci spiazza sempre, é l’incontro con il mistero. Soltanto una faccia come quella di quella donna, sveglia, e pronta, libera da quello che ha in testa lei, attenta alla realtà può fare l’esperienza per cui siamo nati: incontrare il Figlio dell’uomo e tutti gli uomini.

[28/11/2017, 10:56:44] Frankie: Omelia di oggi

Una statua con il piede di argilla che sarà frantumata e crollerà tutto.
È drammatico, ma noi siamo realisti e lo guardiamo in faccia.
L’opera più grande, la società – la statua è la società – la politica ha il piede di argilla: verrà giù tutto. Anche se ci mettiamo come collante la forza naturale più potente – i matrimoni che cercavano di salvare le alleanze politiche – crollerà lo stesso.
Tutto ciò che noi costruiamo crolla. Noi Cristiani siamo realisti, non siamo scemi: lo guardiamo in faccia il dramma. Ma non solo ciò che noi facciamo ha i piedi di argilla ed é destinato a crollare, ma anche ciò che riceviamo, ciò che ci è dato, la vita, la natura. La natura crollerà: ha il piede di argilla.
Tutto ciò che noi facciamo, tutto ciò che ci è dato è creato e tutto ciò che é creato finisce. Noi cristiani, la prima nostra virtù è il realismo drammatico: la vita è così e non ce la raccontiamo.
Il nostro stesso corpo ha un piede d’argilla: se ti va bene arrivi verso i 100 anni, se ti va male si frantuma prima. Ogni malattia ci ricorda questo.

“Ma non vi terrorizzate”.

Come è possibile vedere questo e non essere terrorizzati? Non dice “non abbiate paura”, l’ha avuta anche Gesù. Il terrore è la paura che blocca, che ti inchioda, che non ti fa più andare avanti. “Non vi terrorizzate”. Infatti noi, che vediamo tutte queste cose, non siamo paralizzati, non siamo bloccati, non siamo disperati. Tutto questo crollo delle cose che facciamo, di quelle che abbiamo, del nostro stesso corpo, non ci terrorizza, non ci blocca.

“Benedite opere del Signore, benedite angeli, benedite cieli, benedite acque che siete sopra le nuvole, benedite potenze…”

Come facciamo a continuare a benedire, a lodare e a ringraziare con questo sguardo così drammatico? Il cuore del Cristiano è capace di tenere insieme questi due sentimenti opposti. Nessun uomo è capace di tenere insieme la gioia e il dolore: o fa festa o piange, o l’uno o l’altro. Per far festa devi dimenticare il dolore e distrarti, staccare la spina ed evadere; oppure quando piangi dici che tutto è nero, che non c’è niente di buono. Nessun cuore umano riesce a gioire e a piangere insieme. Noi tutti e due.
Come è possibile questo? Che cos’è che ci dà la certezza di poter dire “ma non è subito la fine”, perché la fine delle cose non è la fine delle cose, la fine delle cose è il fine delle cose! Le cose non finiscono fino a che non hanno raggiunto il loro fine, che è il loro Creatore, che sono salve nell’abbraccio del Creatore.
Come facciamo a dire questo? Che cosa abbiamo davanti agli occhi, che ragioni abbiamo?
Questo non è oggetto di una omelia, ma è la testimonianza della nostra amicizia. Se non ci raccontiamo, se non ci mostriamo i fatti e le ragioni che rendono possibile avere uno sguardo così grande, un cuore così grande che vive tutto della vita senza rinunciare a godere e a lodare, senza rinunciare a piangere, e a vivere il dramma, a che cosa serve la nostra amicizia?

[29/11/2017, 17:38:07] Frankie: *Omelia di oggi*

“Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”.

Per colpa del mio nome, ἕνεκεν τοῦ ὀνόματός μου.
Ma che colpa ha il Tuo nome? Perché noi da quando Ti abbiamo conosciuto portiamo il Tuo nome addosso, siamo segnati a Te, chi ci vede, vede Te. La nostra colpa è che noi siamo uomini davanti a Te e scatta la stessa reazione che è scattata davanti a Te. Ma perché sei stato odiato da tutti? Qual è la Tua colpa? Qual è la colpa di Gesù?

“Che cosa ha fatto di male Costui?”, lo chiede Pilato alla folla, immaginarsi se Pilato era ben disposto a riconoscere l’innocente…eppure non ci vede colpa. Ma la colpa ce l’ha Gesù:

“Benedite sole e lune, stelle del cielo, pioggia e rugiada, fuoco e calore, freddo e caldo, il Signore”.

Ecco la colpa di Gesù: che veda il sole, la luna, o le stelle, la pioggia e la rugiada, il freddo il caldo, il fuoco e il calore, qualunque cosa Lui vede, benedice Dio. Ogni cosa Gli fa pensare a Dio, Gli fa vedere Dio, Gli fa – soprattutto – desiderare Dio. Ecco la colpa di Gesù: che infiamma il cuore di un desiderio infinito a cui solo Dio può rispondere; e gli uomini con questo desiderio sproporzionato hanno un’unica possibilità di soddisfarlo: di domandare, di affidarsi a Dio. Ecco chi odia Gesù: i meschini, quelli che non sono disposti a fare i conti con un desiderio grande, perché se il tuo desiderio è più grande devi domandare a un Altro, devi fare spazio a un Altro. I meschini sono quelli che vogliono avere un desiderio così piccolo da poterlo soddisfare da soli, sono quelli che non vogliono essere salvati, si vogliono salvare da sé. Ecco perché Cristo sará sempre un odiato, perché scatena negli uomini un desiderio così grande che solo Dio lo può compiere e li mette davanti a Dio.
Vuol dire che la vita sarà guerra per chi segue Cristo dalla nascita alla morte, e c’è una sola possibilità di essere veri:

“con la vostra perseveranza salverete le vostre vite”

La perseveranza, ypomonë in greco è il caricamento dell’atleta, l’atleta che è tutto concentrato corpo e anima, fino a quando non sparano che deve partire. Il Cristiano è un uomo tutto concentrato come un atleta che aspetta solo il momento di gettarsi, appunto, su Colui che compie il suo desiderio. Ogni istante è vissuto con questa tensione esasperata, ma è quella che lo rende grande, che lo rende bello, come Gesù, ma che lo rende anche, agli occhi del mondo meschino, tremendo.

[30/11/2017, 13:09:08] Frankie: Omelia di oggi (bellissima)
(evviva S.Andrea!)

Andrea, il primo insieme con Giovanni, e poi con Pietro, che fecero il primo incontro, decisivo, che ha innescato una storia che attraversa il mondo, che ha investito la mia vita e l’ha così cambiata che se io togliessi quello che ha portato la storia di Andrea, io sarei irriconoscibile a me stesso. Mi viene l’angoscia al pensiero che questa storia non ci fosse stata: non ci sarei stato io, o meglio, ci sarei stato io, ma ero un altro, non sarei quello che sono, non mi riconoscerei. Da cosa è nata questa storia che fa di me, me, come di Andrea ha fatto Andrea? Di Simone ha fatto Pietro? Che furono chiamati e a questa chiamata risposero lasciando reti, barche e padre, cioè tutto…perché molti sono i chiamati ma pochi gli eletti.

Che ci sia la chiamata non dipende da noi, ma da Lui, e ne chiama tanti, tutti quelli che incontra, ma pochi, poi, di questi sono eletti.
L’elezione invece non è opera di Dio, ma è opera nostra, è un’autoelezione: io mi eleggo, se decido di dire un sì totale alla chiamata, perché il si parziale non mette in moto niente. È molto semplice perché quello che mi viene dato è totale, se io ho un cuore parzialmente aperto, non ci può entrare.
A un Dio che dà tutto non si può dare di meno di tutto. Non ci sta dentro al cuore, non passa.
Quando la nostra vita non cambia, quando resta striminzita, anafettiva, arida, quando il centuplo non si realizza, tante volte non è perché manchi la chiamata, perché manchi Lui, è perché non diamo reti, barche e padre. Cioè tutto.

Che cos’è che spinge ogni giorno a dire il sì totale che porta avanti questa storia, e la rende sempre più splendida, capace di sfidare il mondo, ogni uomo, non gli uomini pii, buoni e bravi, gli uomini in quanto uomini?
È volere il contenuto della promessa: vi farò pescatori di uomini. Con me conoscerete l’esca che cattura il cuore degli uomini, conoscerete il combustibile che infiamma il cuore degli uomini, li fa ribollire. Questa chiamata è per tutti, per quanto siano peccatori, fragili e incapaci. Quelli che non hanno un motivo adeguato per seguirlo sono i meschini, quelli a cui non interessa pescare gli uomini neanche pescar se stessi, interessa un po’ di pesce.

[05/12/2017, 08:30:23] Frankie: *Omelia lunedì 4 dicembre 2017*

“Signore vieni a liberarci”

Il grido che infiamma il tempo dell’avvento, che è il tempo dell’attesa, di un avvento, della venuta di Uno che cambia il senso di tutto il tempo della vita.
Senza l’annuncio dell’avvento il tempo è qualcosa che passa. Chi ascolta l’annuncio dell’avvento sente che il tempo non è più qualcosa che passa ma è Uno che viene. Se è qualcosa che passa, ti sfugge via e tu hai il problema dei passatempi, di farlo passare perché è vuoto, o nervosamente, violentemente, di trattenere tutto quello che puoi, ma comunque sei arrabbiato perché ti sfugge via, non è mai tuo. Ma di fronte all’annuncio che c’è la venuta di Colui che ha fatto il tempo, che ha fatto te e che viene nel tempo per incontrarti non c’è più il problema del passatempo, è tutto pieno di questa attesa, è tutto pieno dei segni che ti fanno intercettare la Sua venuta, non hai più il problema dei passatempi. Il tempo ormai è tutto tuo da quel momento. Questo è il test per capire se viviamo o se non viviamo l’avvento, se viviamo o se non viviamo di fede, se abbiamo il problema dei passatempi o se invece ogni istante è il tempo della Sua venuta.
Cosa fa la differenza? Da cosa dipende che sia tempo di attesa o tempo vuoto che ci sfugge via?

“Quale gioia quando mi dissero andiamo alla casa del Signore”

È la promessa, l’annuncio che c’è la casa del Signore, che tu sei invitato ad andarci. È sentire la promessa che trasforma il tempo da una cosa vuota che passa ad un tempo che è tutto tuo, tutto vissuto. Se si rinnova l’annuncio della promessa, allora tutto si riempie, se un giorno, un istante in cui non c’è più l’annuncio della promessa, il tempo immediatamente si svuota.
Dove risenti questo annuncio? Quali parole ti fanno questo annuncio? Quali parole ti distraggono e ti confondono su altro? Quali rapporti ti rinnovano questa promessa? Quali rapporti ti distraggono? Quali strumenti ti fanno approfondire l’annuncio ricevuto? Quali strumenti invece ti fanno disperdere tutto? Tu lo devi sapere ogni giorno, non te lo può dire nessun altro perché Dio può usare di tutto per incontrare te. Sei tu che devi sapere per come tu sei fatto cos’è più adeguato ed efficacie per te.

[05/12/2017, 16:57:01] Frankie: *Omelia venerdì 1 dicembre 2017*

Il cielo e la terra passeranno. Questo e ne sono grato è sempre stato il dramma della mia vita fin dall’infanzia. Non mi sono mai rassegnato ad accettare che il cielo e la terra che mi entusiasmano passino via e finiscano. Più ho studiato la storia e la scienza, più mi dicevano finisce tutto. Tutto comincia e tutto finisce dall’entropia a un buco nero. E tu stesso finisci. Mi sono sempre ribellato e mi dicevano: “ma è la natura, sono le leggi della natura” e io ribattevo ma io non sono natura, io sono persona. Ho una natura con tutti i meccanismi istintivi della legge della natura,nel mio cervello c’è un punto che non è natura, che è persona che grida per sempre, per sempre, per sempre per sempre. La cosa bella che vedo io la stringo. La voglio per sempre. Come posso dentro questa natura che oggettivamente è cominciata e finisce, c’è un big bang, c’è una fine, come posso io essere certo che esiste il per sempre, che il cielo e la terra che godo e che vedo li avrò per sempre? C’è una sola possibilità. Quando vedrete accadere queste cose sappiate che il regno di Dio è vicino. E queste cose sono come nella pianta del fico e di tutti gli alberi già germogliano. Ci sono già i germogli dell’eterno. C’è già qualcosa che vibra dell’eterno, che mi fa pregustare l’eterno, mi fa sentire predestinato come uno che sa già prima come va a finire e sa che va a finire bene. Bisogna che io possa vedere dentro questa vita che nel cielo e nella terra che passeranno, non sono scemo, le mie parole non passeranno. Ci sono parole che non passeranno. Le sento e dico queste non passeranno. Ci sono degli sguardi, degli affetti, dei rapporti, ci sono dei segni, dei germogli dell’eterno. Questo è l’oggetto dell’amicizia tra noi che ci raccontiamo i germogli del fico, l’inizio della primavera. Parole, gesti, segni, cose, fatti in cui il regno di Dio ha cominciato ad essere presente. Vi dico che non passerà questa generazione prima che tutto avvenga e prima che passasse quella generazione 2000 anni fa, queste cose cominciavano a venire. Sono 2000 anni che continuano ad avvenire. Noi siamo qui e pensiamo e non siamo scemi deve essere perchè queste cose continuano ad avvenire, questi germogli li continuamo a vedere. Qual è il segno che questi germogli dell’eterno sono veri? Che non ce la stiamo raccontando per consolarci?
“Rallegratevi e alzate il capo perché la vostra liberazione è vicina”
È una liberazione reale, sono segni reali e non fantasie solo se mi fanno risollevare il capo, guardare in alto. C’è un animale mitologico che raccontano gli storici della Grecia antica, guardante in basso. Mi immaginavo un animale come tutti gli altri ma aveva una testa enorme, un animale che pensava pensava pensava, cercava l’eterno anche lui ma provava a guardare in alto e non lo vedeva. Allora doveva rassegnarsi a strisciare come gli animali, come i serpenti, come i rettili per terra con questa testa enorme, se la trascinava per terra perché non aveva niente che lo attirasse in alto.
Ecco per non essere dei katableco, dei guardanti in basso dobbiamo vedere questi segni. Sono segni reali se ci fanno alzare la testa, se ci fanno fissare la testa nel cielo, se ci fanno gridare vieni Signore Gesù, vieni presto. Buca il cielo e vieni e non porta via di qua che si sta male e portami in Paradiso. Il grido Cristiano non è portami via dalla terra e portami in paradiso. Vieni tu qua, il Paradiso fallo qui. Sento che é già cominciato e vieni a dimostrare che quel che è cominciato non finisce più. Questo è lo sguardo Cristiano, risollevare il capo. Un uomo che vive tutta la vita e la testa sta sempre tesa in alto. Questo è il segno che è vero, se no è depressione.

[05/12/2017, 23:05:35] Frankie: *Omelia 05 dicembre*

“Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete”

Ciò che voi vedete: il contenuto della fede cristiana è qualcosa che si vede, che si tocca. Una volta mi ha chiesto uno: “ma tu ci credi in Dio?” perchè da come parlavo, dalla mia fede…parlavo sempre di Cristo, di un uomo, della realtà, dell’esperienza; gli ho risposto “io non credo in Dio, io conosco Dio”. È schizzato via. “Come? Non mi vorrai dire che tu hai visto Dio?!”. “Direttamente no, indirettamente si”. Perché nessuno può vedere Dio in questo mondo senza morire, dicevano gli Ebrei.
Ma io in questo mondo vedo dei fatti, dei segni che mi impongono la Presenza di Dio, guardando i quali devo dire: “sei Tu”. Se no non è vero che vedo e non è vero che tocco: se io credo ai miei occhi, a ciò che vedo e tocco, devo ammettere – come dicevano gli ebrei di fronte ai fatti che gli imponevano la Presenza di Dio – “ecce mutatio dexterae Altissimum”: questo cambiamento, questo change è opera della potenza di Dio, se no non è vero che vedo e non è vero che tocco. “Eh ma tu te la racconti”. Perché io credo a ciò che vedo e tocco, se tu poi non credi a ciò che vedi e tocchi sono problemi tuoi, io dei miei occhi, delle mie mani non posso dubitare, perché io vedo non solo con gli occhi – poveretti – ma con la ragione, colgo le cose come segno, colgo tutta la portata delle cose.
Per chi è questa esperienza? Chi la può fare?

“Ti rendo lode Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”

I sapienti e i dotti, quelli che già sanno, che presumono già di sapere tutto, a cui basta quello che sanno e quel che hanno, non se ne renderanno mai conto, non potranno mai fare l’esperienza della fede cristiana. Sono i piccoli, quelli che si sentono piccoli, sproporzionati, è sempre troppo poco quel che sanno e quel che hanno, è troppo poco, è troppo poco, è troppo piccolo rispetto a quello che il loro cuore grida, quello che si spalancano, quelli che magari hanno delle ferite che li costringono a non bastare a se stessi. È per questo:
Credere in Dio, o meglio, per riconoscere Dio presente c’è solo bisogno di essere piccoli, di sentirsi piccoli. Benedette le esperienze che ci fanno sentire la nostra piccolezza, il nostro bisogno, la proporzione; maledette quelle che ci fanno sentire grandi, saggi, dotti, autosufficienti. Perché il contenuto della fede cristiana, il volto con cui Dio si presenta, perché noi lo possiamo riconoscere non è il Signore onnipotente, che domina il mondo, che schiaccia tutti. Il grande profeta Isaia dice: che è come un virgulto, il virgulto è poco più di una gemma che comincia a crescere, appena appena si muove, i primi movimenti della vita! Per conoscere che cosa c’è in quel virgulto, in quella Gemma non ci devi mettere le mani sopra, non è che ci devi ragionare, ma devi coltivare farla crescere come un bambino che hai dentro la pancia o è appena nato. Ma che faccia avrà, che cuore avrà, chi sarà questo figlio?! Per sapere chi è non glielo devi chiedere, non ci devi ragionare, ti ci devi dedicare, ci devi spendere la vita. Più ci spendi la vita è più hai in faccia un virgulto che viene su! Se pensi di poter capire Dio senza dedicarGli la vita come la dedichi ad una pianta ad un bambino, non lo capirai mai! Quando noi non capiamo, diciamo che non capiamo diciamo solo “non capisco, sono confuso” non è perché siamo scemi o perché non vediamo o non tocchiamo. Ma è perché non ci dedichiamo, pensiamo che la ragione possa capire senza l’amore, senza la dedizione di tutta la vita. È nell’impegno della vita che tu capisci.

[07/12/2017, 10:52:19] Frankie: Omelia di stamattina

Costruire sulla sabbia o costruire sulla roccia.

L’alternativa inconciliabile da che mondo è mondo. Tutti gli uomini religiosi o atei hanno questa alternativa e ogni istante devono scegliere.

La sabbia è l’umano, il naturale, la creatura fragile, precaria che verrà meno ma ha il guadagno che è immediata, è toccabile, ce l’hai subito. La tristezza è che finirà e non ti ci riesci mai ad entusiasmare fino in fondo ma ha il guadagno che ce l’hai lì, non devi cambiare, non devi fare nient’altro, te la godi subito. Il divino è spirituale, è lontano, è dopo sempre. E’ l’eterno che però adesso non l’afferri e allora è sfuggente e a volte addirittura è contrario, repressivo, disprezza l’umano ti chiede un cambiamento, un’ascesi. Alcuni lo seguono ma poi perdono l’umano, quelli che seguono l’umano perdono il divino e da che modo è mondo c’è una maledetta contrapposizione tra la roccia e la sabbia, tra l’umano e il divino.

Fino a un giorno in cui si sentì gridare nel mondo: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore”. Non siamo più maledetti, non dobbiamo più scegliere tra la roccia e la sabbia, tra l’umano e il divino.

Duemila anni fa ci fu un Uomo benedetto, in cui l’umano e il divino coincidevano, avevano la stessa faccia, Gesù di Nazareth, il vero Dio e il vero uomo. Il vero umano è il divino, il vero divino è l’umano. Conoscendo e amando Lui non devi più scegliere fra l’uno e l’altro, ti puoi godere il concreto, l’immediato, anche se sai che finirà, perché poi sai che non finirà, perché il divino si è immedesimato con quell’umano e lo farà risorgere, e sarà tuo per sempre.

Il cristianesimo è la coincidenza tra l’umano e il divino non devi più scegliere fra la creatura e il Creatore, puoi abbracciare tutto nello stesso gesto. Il divino è concreto ed immediato.

Cosa cambia? Un cosa sola: cambia l’affezione, che tu puoi abbracciare l’immediato sapendo che non finirà, e lo puoi amare fino in fondo. Senza l’incarnazione di Cristo non c’è mai l’affezione totale. Chi scegli l’umano, il naturale ce l’ha lì ma sa che finirà e non se ne entusiasma fino in fondo, chi scegli il divino deve incominciare ad allontanarsi dall’umano, sa che non può avere l’umano, sa che se gli andrà bene godrà dopo, sa che è una cosa spirituale, sa che deve macerarsi, deve tormentare, mortificare la propria umanità, e ha la faccia triste e spenta, a volte incattivita.

È soltanto guardando quell’uomo – “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore” – che tu respiri e ti spalanchi, nello stesso istante abbracci l’umano e abbracci il divino. Chi ha fatto questo incontro ha una sola preoccupazione nella vita: spenderla tutta per verificare questo, per fare questa esperienza.

Niente può provocare di più il cuore di un uomo, che sia ateo, che sia religioso, di questa miracolosa ma perentoria coincidenza.

[09/12/2017, 13:05:48] Frankie: *Omelia 8 dicembre 2017*

Gabriele, entrato da Lei, dice “Rallegrati, piena di Grazia”.
E Lei: “ma come mi guardi? Cosa vedi in me? Mi guardi con uno stupore, con una profondità, un entusiasmo e una tenerezza come non mi guarda neanche il mio fidanzato. Ma cosa vedi in me?”
“Tu sei piena di Grazia”.
Κεχαριτωμέυη: χάρις è grazia e bellezza. “Tu sei splendida, sei… tutta una Grazia. Tutto in te è Grazia, dono, tu sei fatta, sei tutta fatta in questo istante da Dio. Guardo te e vedo al fondo di te, di ogni tuo capello, Chi ti fa.
Sei bellissima, non per il tuo sex appeal, anche, ma perché splendi di Lui, splendi di Chi ti fa. La bellezza è che tu sei trasparente, io ti guardo e vedo: tutto in te è dato, è dono.
Tu sei bella perché sei tutta dono di Dio in questo istante.
Tu non ti sei mai pensata e guardata così”.

“Mi guardo come mi hanno guardato mio padre e mia madre, come mi guarda il moroso.
Ma nessuno mi guarda come mi guardi tu, ma da dove vieni?”

“Io vengo da Colui che ti fa. Ti porto il Suo sguardo. Lui ti vede così, sei così ai Suoi occhi.
Veramente non sei la prima che Lui ha guardato così. Ha guardato un’altra, un’altra ragazza si chiamava Eva. Anche lei Lui la guardava così. Anche lei era senza ombra, senza macchia, senza peccato originale. Era bellissima anche lei.
E anche il suo moroso. Lui li guardava, li guardava così. Ma loro erano sfuggenti, non volevano intercettare il Suo sguardo, erano paurosi, sospettosi, distratti, non hanno mai centrato il Suo sguardo, non si guardavano così, come tutto un dono, come tutta una Grazia. Si sono fatti confondere, hanno pensato con sospetto che non fosse il loro Padre, lo guardavano come fosse un padrone, che li voleva rendere schiavi, che gli volesse rubare la felicità. E hanno sospettato, hanno pensato che era meglio rubargli qualcosa ma non fidarsi. Non hanno mai accettato di mettere a fuoco, di guardarsi come li guardava Lui. Ci ha riprovato, ma questa volta ha mandato me sperando che non ti spaventi, che non ti distrai. Se ti guardi come ti guardo io vedi quello che sei, quello che è ogni uomo, quello che ogni uomo è agli occhi di Dio, bellissimo perchè tutto dono, perchè tutto trasparente, io ti rendo cosciente di quello che sei”.

“E perché mi ha fatto sta grazia? Perchè ti ha mandato da me e non ti ha mandato da tutti gli altri?”

“Perchè se tu accetti questo sguardo, dici di sì, accetti di guardarti come ti guarda Lui, tu concepirai un Figlio. Ma questo figlio sarà chiamato Emanuele perché tu stessa lo sentirai come Emmanuel, Dio con noi, sentirai con Lui la presenza di Dio nella tua pancia, nella tua vita. E tutti quelli che lo vedranno sentiranno, attraverso quest’uomo, sentiranno più vicino Dio, Dio con loro. E l’uomo non avrà più paura. Si sentiranno anche loro belli, pieni di grazia, si sentiranno splendidi agli occhi di Dio, saranno i protagonisti del mondo.
Nascerà da Te e da questo tuo Figlio un popolo di uomini che si sentono belli, che si sentono pieni di bellezza, che sono trasparenti agli occhi di Dio, un popolo di uomini audaci, uomini che avranno coraggio di desiderare, saranno infiammati per un desiderio più grande, perchè sapranno che c’è quello che il loro cuore desidera. 4.30 Tu sei la prima. Non come dirà Francesco Petrarca “Vergine unica e somma”. No. Non sarai né unica né sola, sarai solo la prima di questa schiera di uomini belli agli occhi, belli ai propri occhi e protagonisti del mondo. Uomini che renderanno gli altri uomini audaci, li renderanno audaci nel loro desiderio, infiammati. Se tu ci stai basta questo”.
“Avvenga di me”
E l’angelo Gabriele scompare. Non c’è bisogno di altro perchè inizi il mondo nuovo, perchè accada un nuovo big bang, perchè l’incarnazione è il nuovo big bang.
Una nuova schiera di uomini che hanno coscienza di quello che sono, che si guardano pieni di grazia, come Maria quella mattina lì. E da quel giorno comincia una storia nuova, come, quando, attraverso quali peripezie nella storia che ognuno deve seguire, la propria storia personale.
L’angelo partì da Lei perché non c’era bisogno di altro che Lei accettasse di essere guardata così, che dicesse sì a quello, al Verbo. “Sono contenta, che a Dio non serve altro che un uomo libero. Avvenga per me quello che tu hai detto”.
Non c’è bisogno di altro. Da quel giorno, da oggi, può accadere lo stesso miracolo.

[11/12/2017, 08:04:32] Frankie: *Omelia 10 dicembre 2017*

“Noi infatti secondo la sua promessa aspettiamo nuovi cieli ed una terra nuova”

Nuovi cieli e terra nuova: è la promessa cristiana, una realtà nuova, un mondo nuovo, un uomo nuovo che fa una vita nuova, non una nuova legge, una nuova morale, dei nuovi valori, una nuova realtà.

Ma a chi interessa una nuova realtà, un nuovo mondo, un nuovo cielo, una nuova vita? Chiedetelo in giro. “Mi va bene questa, potessi campare 90-100 anni, star bene, non aver grossi problemi, magari poi mi faccio l’eutanasia così non soffro”. Quanti firmerebbero questo? La maggior parte.
A chi interessa una vita nuova, un mondo nuovo, una terra nuova, un uomo nuovo?
A me, ma soltanto una condizione: che il nuovo non sia un’altra cosa diversa da questa, che non c’entra niente con questa. Mi vengono i brividi. L’unico nuovo che mi interessa è il compimento di questa, la verità di questa, se no il nuovo è un’alienazione. Lo sentiva acutamente la più grande personalità greca che abbia avuto il senso dell’identità della persona, la prima, la più grande della Grecia, la grande poetessa, Saffo: “non mi importa essere un’altra se non posso essere Saffo, preferisco essere nulla”. Potentissima. La novità vera è la verità di questo, non è un’altra cosa, se no è un’alienazione; una novità che non c’entra, un’altra vita, un paradiso che non c’entra niente con questa a chi interessa? Aveva ragione Saffo. E anche Orfeo, che quando perde la moglie capisce che non gli interessa più perché in fondo era una stagione della vita, e non vuole più ritornare indietro e dice: “voglio essere me stesso, in fondo, se si vive, non si cerca altro che questo, che essere sé”.

Come posso saperlo se la promessa è una fiction o è reale? Come potevano saperlo quelle folle che accorrevano davanti al profeta Giovanni da tutta la regione Giudea e da Gerusalemme? Come potevano sapere che quello era un Uomo nuovo? Che con quell’Uomo cominciava una terra nuova, un cielo nuovo, una vita nuova? Ma che era entusiasmante perché era la verità di questa, non un’altra cosa, un’aldilà che lacera l’aldiqua, che chiede la distruzione dell’aldiqua. Ma siamo pazzi? L’aldilà è interessante se è il compimento di questo e se io posso saperlo adesso, vederlo adesso, cominciarlo a gustare adesso. Come lo seppero quelle folle? Perché d’istinto correvano da quell’uomo? Da Giovanni sono andati circa 30000 persone, lo dicono gli storici, di Gesù si dice pochissimo, perché non aveva tanta quantità. Perché Giovanni era così grande che Gesù disse “è il più grande tra i nati di donna prima di Me, dopo il più piccolo è più grande di lui”? Che cosa era Giovanni per quelle folle? Almeno intuitivamente.

“Il Signore é magnanimo con voi”

Ecco chi era Giovanni: un uomo magnanimo. La traduzione è penosa, perché magnanimo oggi vuol dire una caratteristica psicologica, uno che ha un animo grande o generoso, un problema psichico o morale, no! μακροθυμεί: μακρος vuol dire grande, immenso, gigante; θυμεί vuol dire sentimento, desiderio. Un uomo che aveva sentimenti macro, desideri macro, pensieri macro ed invadeva con questo macro di umanità che aveva dentro le folle che arrivavano e ingigantiva il loro cuore, anche loro diventavano macro, più grandi più grandi più grandi, sentimenti più grandi, desideri più grandi, pensieri più grandi; si sentivano ingrandire, crescere, capivano che stando con lui andavano verso il loro compimento. Ecco l’uomo nuovo che faceva già iniziare in loro il compimento della loro vita.
Io so che esistono la terra nuova, i cieli nuovi, l’uomo nuovo, la vita nuova se oggi, come quelle folle, trovo da qualche parte sulla terra in cui io posso vivere e camminare un uomo, degli uomini μακροθυμεί, con un animo macro, che rende più macro, più grande il mio.
Dove ognuno li trova lo deve sapere lui. Sono 2000 anni che ci sono degli uomini che hanno trovato questa vita nuova, noi siamo ancora qua parte di quelle folle.
Gli amici veri sono gli uomini μακροθυμεί, come Giovanni Battista, che tu li incontri e dilatano dilatano dilatano i sentimenti, i desideri, i pensieri, l’umanità. E tu vedi che il nuovo comincia a compiere il presente, quello che c’è, si realizza quello che la poetessa Saffo non ha potuto vedere nella sua vita: “essere un altra non mi importa, se non posso essere Saffo preferisco essere nulla”. L’annuncio Cristiano risponde a quel dramma, tu puoi essere te stesso, puoi cominciarlo a diventare adesso, dentro questa terra e sotto questo cielo.

[11/12/2017, 10:20:01] Frankie: *La bellissima omelia di oggi, 11 dicembre*

“Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa.”
Mi rallegri *io*, esulti *io*, fiorisca *io*, perché il deserto, la terra arida, la steppa sono io. Sono pieno di bisogni, di esigenze, devo essere compiuto, devo essere fecondato, devo essere riempito, devo essere amato. Tutto ciò di cui sono mancante; come è stupido pensare che è segno che io sono sbagliato, è menzognero e penoso sentire la mia mancanza come il fatto che sono sbagliato: il fatto che sono fatto per essere colmato, essere fecondato, amato, è il presentimento che sono nato per essere amato è per amare, per portare un immenso frutto. E’ ciò che mi fa più sentire il bisogno e presentire l’incontro per cui io sono fatto. Ma come può accadere questo miracolo?

“Ecco il nostro Dio, Egli viene a salvarci”
perché io verifichi che Lui viene che lui mi salva, rende fecondo il deserto, fiorente, florida la terra arida, fa portare frutto alla mia vita, ho una sola possibilità dirgli: “Vieni, vieni colma la mia vita.”
Non esiste un’altra, non lo capisco pensandoci, discutendo, analizzando, lo capisco solo se accetto il rischio di domandare, di dire che Egli venga, perchè il rischio è la condizione necessaria perchè il rapporto fra me e Lui sia libero. La felicita è un matrimonio fra la terra ed il cielo.

“La nostra terra darà il suo frutto, la giustizia si affaccerà dal cielo”
Il rischio è per lui, il rischio è per me. Il primo che ha corso il rischio in questo rapporto di amore è stato Lui – è morto in croce – ed io non posso pensare che il rapporto con Lui sia senza rischio: il rischio di trovarsi con quella folla, colta da stupore, piena di timone che diceva “abbiamo visto cose prodigiose!” o il rischio di trovarsi dall’altra parte, con gli scribi e i farisei, a dire “Costui pronunzia bestemmie”.
Che cosa sia più ragionevole fare lo dicono i frutti che vedo nella mia vita, ogni giorno mi trovo a rischiare di bestemmiare, di maledire, oppure mi ritrovo invaso dallo stupore, dalla meravoglia delle cose prodigiose che Lui opera nella mia vita.u

[12/12/2017, 11:27:50] Frankie: *Omelia 12 dicembre 2017*

“Consolate il mio popolo […] Parlate al cuore di Gerusalemme”

Ma chi consola chi? Quale cuore parla al mio cuore? Chi può consolare me, farmi compagnia?

“l’uomo è come l’erba, come il fiore del campo”

Fiorisce, sboccia al mattino, sfiorisce, avvizzisce la sera. Non mi fa compagnia, non mi consola uno che avvizisce e sfiorisce come me. Solo chi risponde al mio grido mi fa veramente compagnia. È il punto più drammatico, che noi facciamo nella ricerca della consolazione della compagnia: scoprire che l’altro è come te, uno come te non ti fa compagnia, non ti consola, ha il tuo stesso grido. Uno che sfiorisce e avvizisce come te, lo guardi in faccia e gli vedi in faccia – anche se è più giovane di te – il consumarsi. Solo l’Eterno consola un uomo, solo l’Eterno mi fa compagnia.
L’Avvento è il tempo per riscoprire l’aspetto drammatico della compagnia e dell’affezione. È l’attesa che venga Uno a fare compagnia e a me e a te, a liberarci dalla fine: non siamo fatti per sfiorire, per avvizzire. Io e te ci facciamo compagnia e ci consoliamo se siamo segno di questo grido e segno di Chi risponde a questo grido.
Com’è drammatica, come è grande, che respiro dà questo tipo di compagnia.

[13/12/2017, 15:23:00] Frankie: “Egli dà forza allo stanco, moltiplica il vigore allo spossato”…ma non è droga!

“Anche i giovani faticano e si stancano”- quanti ne vedo, in faccia si vede!- “e gli adulti inciampano e cadano”- eh se ne vedono!

“Ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile”- volano via, non gli atterra niente – “corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”, è contro natura, ma non sono drogati, non è contro di loro, è sopra la natura ma accade dentro la natura, dentro la mia natura accade. Quante volte mi sento dire: “ma te non invecchi mai?”. “Eh, figurati, avrò i miei acciacchi”. “Si, ma..”.

Appunto, “Si ma”. La natura resta natura, negli anziani il bioritmo si capovolge, consumano presto le pile verso sera ma c’è dentro una misteriosa forza che tu non ti spieghi e non è droga.

Come accade questo?

“Prendete il mio giogo sopra di voi…il mio giogo è dolce e il mio peso leggero”. Accade ad una condizione che tu prendi il giogo e ti aggioghi con Lui. Perché il giogo è uno strumento – ho fatto ben l’agricoltore e l’allevatore prima della meccanizzazione- che mette insieme due bestie, il giogo si porta in due e il timone in mezzo, per cui uno da solo non potrebbe.

“Il mio giogo”, vuol dire la tua fatica la devi portare aggiogato con Me, tu sei mancante ma alla tua mancanza supplisco Io. Se tu porti la tua fatica, la croce della vita, la porti con me, ti lasci aggiogare, accetti che Io tiro con te, allora non tiriamo in due, tiriamo in cento.

Quello che manca a te, te lo metto Io, se mi fai spazio.

Che cosa vuol dire fare spazio a Cristo? Questo dobbiamo capire.

Quando noi siamo schiacciati, atterrati, quando il giogo diventa una croce, uno strumento di tortura, le fatiche della vita, invece che vedere il moltiplicarsi delle energie, siamo atterrati, ci sentiamo torturati dalla vita.

La ragione è una: è perché non accettiamo di non essere aggiogati da Cristo. Facciamo da soli e allora per forza che affoghiamo e affondiamo. Che cosa vuole accettare di essere aggiogati a Lui, portare il peso della vita con Lui. Che cosa vuol dire farGli spazio, permetterGli di entrare dentro? Questo non è oggetto della spiegazione in un’omelia. E’ oggetto delle conversazioni tra noi. Che cosa possiamo regalarci nella nostra amicizia se non raccontarci come facciamo a fare spazio a Lui, a permettere che Lui porti il peso della vita e come vediamo l’alleggerirsi e l’addolcirsi del peso della vita.

[14/12/2017, 13:05:04] Frankie: Omelia 14 dicembre

(Stupenda!)

“Fra i nati di donna nessuno è più grande di Giovanni il Battista”

Erano 150 anni che non era più sorto un profeta e il popolo si era spento, aveva smesso di attendere il Messia. Si era fissato sulle interpretazioni del Messia, si erano divisi in 6 correnti – Farisei, Sadducei, Scribi, Esseni, Zeloti, etc. – e ognuno se lo immaginava, ma nessuno più realmente lo attendeva, erano fissati sulla loro immagine.
Sorge Giovanni il Battista: ha risvegliato l’attesa del Messia, in un modo così potente e infuocato che, dicono gli storici, che dovrebbe aver battezzato circa 30 mila persone in quegli anni. Nessun profeta era stato così grande.
Giovanni è il più grande tra i nati di donna, perché è grande nella potenza dell’attesa, nel risvegliare l’attesa. Faceva sentire agli uomini la vibrazione per la grandezza per cui erano fatti. E ricominciavano a respirare, perché l’uomo è fatto per la grandezza, quel popolo era nato per questo, ha risvegliato l’orgoglio e l’attesa, la caratteristica umile del popolo di Israele.
Eppure non è il più grande perché “il più piccolo del regno dei Cieli è più grande di Lui”.

Che cos’ha il più piccolo, uno di noi, uno qualunque, che cos’ha di più grande di Giovanni, che cos’ha che non aveva Giovanni?

“Perché vedano e sappiano e considerino e comprendano quello che ha fatto il Signore. Facciamo conoscere agli uomini le tue imprese”
Perché Giovanni Battista attendeva, ma non conosceva Colui che attendeva e, anche quando è in carcere, deve mandare a dire: “ma sei te quello che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” Lui sa quello che Giovanni non sapeva, sa che cosa attende, sa che cosa è preparato per lui, lo vede, è già presente, ce lo ha già davanti agli occhi. È la conoscenza la differenza tra Giovanni Battista e il Cristiano: lui attende la grandezza, ma non sa che cos’è, noi abbiamo la grazia di sapere cos’è.

E che cosa cambia?
Cambia che, se tu non sai che cos’è, come Leopardi, prima o poi ti spegni, – l’ultimo anno e mezzo di vita si è spento, si è depresso, ha smesso di attendere -; se tu ce lo hai davanti agli occhi ti butta benzina sul fuoco del desiderio: è come combustibile l’oggetto del desiderio, ti tiene viva l’attesa.

Gli amici veri sono profeti come Giovanni, che ti risvegliano il cuore, ti liberano dalla meschinità dei desideri, ti fanno alzare la faccia; e sono come i discepoli del regno dei cieli, coloro che hanno conosciuto Gesù, che ti mettono continuamente davanti agli occhi, che ti fanno conoscere ciò per cui il tuo cuore è fatto, ti dicono: “Guarda, esiste, lo vedi che esiste? Guarda, vedi: nella mia vita esiste!”

[15/12/2017, 13:11:01] Frankie: *Omelia 15 dicembre 2017*

“questa generazione è simile ai bambini […]abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto”

Non avete vissuto intensamente niente. I bambini con la realtà ci giocano, si buttano al massimo su un particolare o sull’altro, sono incapaci di viverla tutta intera, hanno poca RAM si direbbe in gergo informatico, ci sta sempre poca roba. Ma un uomo vero, un uomo libero è un uomo che la realtà la vive tutta: se c’è da ballare balla, se c’è da piangere piange. Nel cuore e nella mente di un uomo maturo, di un uomo libero c’è l’abbraccio a tutta la realtà, ci sta contemporaneamente la gioia e il dolore, la paura e l’entusiasmo. L’uomo vero vive tutta la realtà. L’uomo di fede ha il cuore spalancato a tutto e nella sua testa ci sta contemporaneamente il dolore e la gioia, non gli puoi chiedere “tutto ok?”…tutto ok che?! Ci sta tutto nella sua mente, vive tutta la realtà. Nel cuore di Cristo c’era tutto insieme, è un Uomo a cui non sfugge niente, non lascia cadere niente.
Ma come è possibile? La testa dell’uomo non ce la fa, è come quella dei bambini, ha sempre poca RAM, ci sta sempre poca roba. Come può un uomo vivere tutto della realtà, abbracciare tutto contemporaneamente, piangere e ridere insieme? Questo è il cristiano.

“Chi ti segue, Signore, avrà la luce della vita”

È possibile viverla tutta la realtà, essere uomini, essere cattolici, καθολικός, capaci di abbracciare tutto in un solo istante soltanto se si segue un uomo che ha questo cuore. “Chi ti segue, Signore, avrà la luce della vita”: c’è un Uomo nel mondo che la realtà la vive tutta, tutta intera, seguendo Lui gli si vede in faccia la luce della vita, che illumina tutta la vita, che la rende amabile e vivibile tutta. Non è seguendo delle regole, non è eseguendo i suoi ordini, ma chi segue Te: è seguendo una persona, guardando negli occhi, andandogli dentro nel fondo del cuore, guardando dove quella persona guarda, amando ciò che ama che si segue la luce della vita, si diventa capaci di vivere ogni istante tutto quello che c’è nell’universo. Un povero uomo che ha il cuore di Dio. E se gli si ruba il segreto, se gli si guarda nel cuore, si è liberi di seguire anche chiunque, il mangione, il beone o l’indemoniato, è indifferente chi segui se sei intelligente. Come dicono i cinesi: “mentre il saggio indica la luna lo stupido guarda il dito”: una volta che hai visto la luna, puoi anche seguire un povero uomo, un povero beone, un povero indemoniato, perché tu non segui lui, segui la luna che lui ti ha fato vedere. Questa è la sfida cristiana. Questa è una sfida che è esattamente per tutti, perché tutti sono fatti per avere questo cuore, tutti sono capaci di seguire un uomo, sono capaci di guardare dove guarda e di amare ciò che ama. Tutti possono essere liberi.

[17/12/2017, 18:09:10] Frankie: “Tu chi sei?”
GlieLo dovevano chiedere, non era evidente Chi era. Quel che era evidente non spiegava quello che Lui era. Era troppo grande, troppo profondo, faceva saltare tutti gli schemi, eppure sapevano di Chi era figlio, dove aveva vissuto, quanti anni aveva, sapevano tutto, ma non sapevano Chi era. Questo è il profeta: un uomo, pro-ferire, che ne rende presente un Altro, parla in nome di un Altro, porta in sé Altro che tu non sai, e glieLo puoi solo chiedere: “Tu chi sei?” Ricordo lo sgomento, lo smarrimento che a volte vedo in faccia di persone, mendicanti o altri che incontro, cui dico sempre: “Senti, ma dimmi chi sei tu”. Mi dicono nome e cognome. E io: “Cioè? Tanti altri hanno il tuo nome ed il tuo cognome” “Ah io, io sono un ingegnere” dico: “Farai l’ingegnere, ma spero che tu sia non un ingegnere, sei un uomo. Chi sei veramente?” “Sono il fratello di… l’amico di…” Poi li guardo e mi rendo conto dello sgomento che hanno in faccia, per cui gli hai chiesto “chi sono veramente” e non te lo sanno dire, ti guardano come se il matto fossi io… Questa è la tragedia: che si può vivere la vita, arrivare anche alla vecchiaia senza sapere dire veramente chi sei, senza sapere tu chi sei. La vita ci è data per scoprire chi siamo. In fondo non si cerca che se stessi. Sennò la vita è persa. E Giovanni Battista chi è? Non dice “io sono un profeta” era evidente che faceva il profeta, ma il problema non era che cosa faceva (poteva fare il pescatore) è chi era colui che faceva il profeta, che coscienza aveva di sé. Perché il profeta è una professione, è un rivestimento, uno strumento espressivo, ma non dice nulla di quello che tu fai, di ciò che tu sei, se tu non sai chi sei. Chi sei? Allora rispose: “Io sono voce”. La voce è uno strumento fonetico per esprimere la coscienza di sé, il pensiero che hai di te, il sentimento che hai di te. “Voce di uno che grida.”
“Ma tu sei il Cristo?” “No, non lo sono!”
Quello che ho coscienza è che non sono io il Cristo. Il Cristo è un uomo tutto pieno del Mistero, definito dal Mistero. No, io non sono quello, io non sono pieno, sono vuoto del Mistero, sono fame e sete del Mistero, sono una voce che grida “Mistero, Mistero a tutte le cose che io vedo!”
Tutte le cose mi fanno gridare, mi risvegliano la fame e la sete del Mistero. Il mondo intero a me non basta, io ho bisogno del Creatore del mondo. Il Mistero è il Creatore, è l’origine delle cose che vedo di me. Io vivo la vita per cercare Lui.
“Perché voi siete venuti in tanti, 30.000 mila a cercare me?” dice Giovanni Battista, perché ha avuto 30.000 mila discepoli in quegli anni. Cosa cercavano? Lui ha risvegliato nei loro cuori la sete che aveva lui.
“Risvegliate nei cuori l’attesa” è una delle strofe del canto iniziale. Lui risvegliava l’attesa, l’attesa c’era già: tutti gli uomini hanno questa fame e questa sete, gli manca questa molecola nel loro metabolismo. Il profeta è quello che la attiva, che la risveglia, che fa sentire che sei anche tu, anche tu sei voce che grida nel deserto. La maggior parte degli uomini sono lì, in una piazza piena, ma non hanno coscienza di questa sete, tu sei nel deserto! Quando ti senti solo non è perché non hai nessuno accanto: non hai nessuno che ti capisca, nessuno che senta la sete di tutto il tuo essere, nessuno che la condivida. È per questo che ti senti solo! E come diventa la vita di un uomo quando si risveglia nel suo cuore l’attesa del Mistero?
Sente la sete e la trasforma in attesa, in tensione, in lavoro, in cammino, in combattimento, in ricerca. Lo dice un uomo a cui era successo questo risveglio dell’attesa, non molto lontano dalla Betània, dalla Cisgiordania, un po’ più in là delle alture del Golem, in Siria, precisamente a Damasco, un certo Saulo che non attendeva niente perché aveva già chiaro tutto e viveva per costringere il mondo a star dentro i suoi dei, i suoi schemi che aveva in testa… Ma quel giorno, alle porte di Damasco, dove c’erano i profeti, degli uomini coscienti che sapevano chi erano, Ananìa e gli altri cristiani di Damasco, avvicinandosi a loro si risveglia la sua attesa e capisce che lui non è il Messia, che lui non è il Mistero, che lui non è Dio, che lui ha sete di questo Mistero. Stramazza a terra e dice: “Chi sei Tu che mi fai stramazzare così, che mi fai gridare così?”
“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” E da quell’istante Saulo capisce che non era Lui Dio, che non poteva violentare il mondo imponendo la sua idea, che doveva incominciare a cercarLo, che il Mistero non era quello che aveva in testa Lui, non era dentro la testa ma era fuori. Era presente nella realtà, presente in quella città, presente in quei posti, era presente dovunque. Doveva ricominciare umilmente a cercarLo, ad ubbidire alla sete che aveva dentro. E cosa è diventato? Quando glielo chiedono i suoi amici di Salonicco, questa è la prima lettera ai Tessalonicesi, gli chiedono: “Ma allora, qual è il modo in cui tu affronti la vita? Facci capire il tuo metodo nell’affrontare la vita. Quale è il metodo della tua vita? Noi vogliamo vivere come te perché abbiamo la stessa sete che hai te”.
E lui dice: “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono”. Ecco come vive il profeta, come vive l’uomo che scopre di essere la voce che grida, nel deserto del mondo, la sete del Creatore del mondo, per cui tutte le cose sono segno, come un cibo salato che ti aumenta l’appetito, la fame e la sete. Come è diventato così Paolo? Cosa suggerisce ai suoi amici di Salonicco?
πάντα δοκιμάζετε, τὸ καλὸν κατέχετε (1Ts 5,21)
Questa frase: πάντα – tutte le cose che intercettate, tutte, δοκιμάζετε, vuole dire, setacciatele.
δοκιμάζετε, nell’etimologia – che è la scienza degli esaltatori, che ci fa fare la verifica negli esami, nelle interrogazioni, ogni professore ve lo deve fare questo esame – vuole dire setacciare, interrogare, come il giudice istruttore, come il professore incarognito che va a scovare quello che non sai, ti tira fuori quello che sai e quello che non sai, ti fa sentire vuoto dentro.
Ecco: esaminate tutto quello che incontrate, setacciate tutto, scandagliate tutto, scannerizzate tutto, si direbbe oggi, e trattenete ciò che vale per voi, ciò che vi corrisponde. E scacciate, combattete tutto ciò che viene via, tutto ciò che non vi corrisponde. Diventate come… mi viene l’immagine dei fumetti che leggevo quando ero adolescente: “Alla conquista dell’El Dorado”, i cercatori d’oro, i territori dell’El Dorado che erano pieni di oro… ve li immaginate questi qua che arrivano lì, avevano investito, ipotecato i pochi soldi che avevano, avevano preso gli strumenti per scavare e arrivano nell’El Dorado o nei torrenti dove c’era l’oro. Io mi ricordo i fumetti: vedevi gli occhi di questi cercatori d’oro che scrutavano ogni pietra e non gli scappava niente.
Setacciavano pazientemente ogni badilata di fango, di tutto quello che incontravano non gli sfuggiva niente, guardavano tutto con un’attenzione… perché lì dentro poteva sempre essere una pepita. Ogni sasso, ogni pezzo di terra, poteva contenere una pepita, ogni foglia poteva nasconderla. Tutti concentrati a scrutare ciò che brillava, dentro, attraverso e sotto le cose. Alcuni trovavano l’oro, altri non trovavano l’oro ma trovavano tutto quel che c’era. Scoprivano tutto quello che nessun altro vedeva, cercando l’oro scoprivano tutto, e scoprivano tante cose utili e preziose. Perché che tu trovi l’oro o che incontri Dio presente non lo decidi mica tu. È il mistero che decide di incontrarti a Damasco o di aspettarti all’ultimo incrocio sulla Croce, mentre ti stanno per ammazzare, come il Buon Ladrone.
Quando e come avvenga l’incontro con l’oro della vita, questo lo decide il Mistero. Quello che puoi fare è essere un cercatore d’oro, cercatore di tutto, un uomo appassionato a tutto. Per i cercatori d’oro, anche per quelli che non trovano l’oro, trovano, comunque, tutto quello che c’è nella realtà. Chi cerca trova, chi non cerca non trova niente. La realtà, tutto gli diventava prezioso, tutto gli rivelava qualcosa. In tutto, di tutto venivano arricchiti, crescevano, crescevano, crescevano e tornavano a casa ed erano cambiati, anche se non hanno trovato l’oro avevano trovato se stessi. Gli amici veri sono cercatori d’oro. Non è vero che chi trova un amico trova un tesoro. È vero il contrario: che chi trova un amico cercatore d’oro, per lui tutto diventa tesoro.

[19/12/2017, 21:47:29] Frankie: Omelia 18 dicembre 2017

“Giuseppe era un uomo giusto e pensò di ripudiarla in segreto”.

Perché che Lei fosse incinta era contro i suoi progetti, sani progetti: una famiglia, dei figli, la sua azienda. Un uomo sano e vero, che ubbidisce al primo comando del Creatore: “Crescete, fortificatevi e soggiogate il mondo”.
Quella gravidanza in cui lui non c’entra é contro i suoi progetti, lui sa che un uomo vero fa progetti, e li vuole realizzare. Un uomo che non fa progetti è un uomo che non
vive da uomo.
Eppure “si destò dal sonno e fece come gli aveva ordinato l’Angelo”: capovolge la sua decisione, cambia i suoi progetti, ma non rinuncia ai suoi progetti, la rinuncia non è mai umana, la rinuncia è una repressione del desiderio, è l’uccisione dell’umano. Giuseppe non rinuncia ai suoi progetti, ma li compie in un modo diverso, e ben più grande di come aveva progettato; aveva progettato di essere padre di figli suoi: il progetto che compie il suo è quello di essere padre del Figlio del Mistero. Quel Figlio incarna il Padre del Mondo, Lo rende presente. Era infinitamente più grande incarnare il Figlio di Dio, rendere presente, con la sua dedizione, il Figlio di Dio.
E’ 100 volte più padre, è 100 volte più uomo: invece che costruire la sua famiglia, costruisce quella di Dio. Invece che creare dei legami nati dall’affetto, dall’innamoramento per Maria o dal suo sangue, dei legami naturali, crea dei legami soprannaturali: un’affezione ben più potente di quella che veniva dalla sua natura. Sceglie non ciò che sente, ma ciò che compie ciò che sente. E quei legami che nasceranno fra loro tre e che quel Figlio creerà nel mondo, compiranno i legami naturali. Il massimo che uno attualmente sente sono i legami naturali, una famiglia, un luogo di familiarità e di affezione naturale.
Giuseppe non rinuncia a questo, ma compie questo in un altro tipo di famiglia, in un’altra generazione, in un altro tipo di affezione. Usa come criterio non ciò che sente ma la ragione, che riconosce che ciò che compie quel che sente è più grande. Questa è la grandezza umana, la virilità di Giuseppe.

[19/12/2017, 21:47:29] Frankie: Omelia
Zaccaria disse: “Come potrò mai conoscere questo?”
Perché ho bisogno di conoscere questo, una fiducia cieca non è ragionevole, non è umana. Io sono un ebreo e so che Dio viene e non mi chiede una sottomissione cieca, Dio viene per salvare la mia ragione, per salvare la mia libertà, per salvare la capacità di conoscere che io ho. Per noi ebrei la fede è conoscenza, non è la fiducia cieca, sarebbe disumana, non ci renderebbe così grandi.

Come conoscerai?
“Tu sarai muto”, perché le parole non ti serviranno, saranno dannose per conoscere, sarai muto fino a quando queste cose avverranno, perché tu non riempia delle tue considerazioni quello che ti succederà. Se vuoi conoscere davvero devi smettere di parlare, di farti le tue considerazioni sulle cose, devi stare in silenzio, devi guardare i fatti che accadranno, devi lasciarti riempire dai fatti. E ad un certo punto sarai così pieno di questi fatti, sarai così inchiodato dall’evidenza, che parlerai soltanto per raccontare quello che hai visto. La tua forza sta tutta in questo.
Quando tu hai confusione è perché, invece che guardare i fatti che accadono, ci fai sopra le tue considerazioni, ci fai sopra una nube dei tuoi pensieri e non capisci più niente. È la realtà, i fatti che accadranno, che ti daranno l’evidenza.

“Farò memoria allora della tua giustizia, di Te solo verrò a cantare, le imprese del Signore Dio”.
Ecco la tua forza, devi soltanto, in questi mesi, guardare quel che accade, fare memoria, lasciare che la tua memoria si riempia al punto tale, come la catena dell’Himayala, che tu potrai fare una cosa sola: “Verrai a cantare le imprese del Signore, griderai davanti al mondo quello che ti è successo”.

Apparentemente è una punizione restar muto, invece è un aiuto a conoscere esattamente quello che vuoi conoscere, a fondare la tua certezza sui fatti.
I fatti saranno inoppugnabili per te e i fatti, nella tua faccia, saranno inoppugnabili per gli altri.

E allora potrai dire, come il salmista, “fin dalla giovinezza mi hai istruito”, ma non solo, – non vivo di ricordi – “oggi ancora proclamo le tue meraviglie”.

Io mi accorgo, con il passare del tempo, la mia avventura è cominciata dalla giovinezza, ma l’imponenza delle meraviglie del Signore nella mia vita e davanti ai miei occhi, ancora oggi, ancora oggi ha la stessa potenza, anzi ne ha sempre di più, di quella della giovinezza e questo non me lo spiego proprio.

[20/12/2017, 14:22:04] Frankie: Omelia di oggi

“Chiedi per te un segno dal Signore”.

No, non lo chiederò, non voglio un segno: voglio una soluzione, ho un problema grave da risolvere. Io pago un’alleanza militare e politica e c’è a rischio la distruzione di Gerusalemme. Voglio una regola che mi permetta di risolvere il problema rischiando il meno possibile.
Che cosa me ne faccio di un segno?
Un segno è una cosa vaga, non è concreto.

Ma “Il Signore stesso ti darà un segno. Una Vergine concepirà un figlio, per farti vedere che nulla è impossibile a Dio”.
Il segno è il segno dell’impossibile, che è segno che è possibile tutto. Perché il segno è il segno di quella Vergine, è l’Emmanuele, è Dio con noi. Se Dio è con noi nulla è impossibile a Dio, nulla è impossibile a noi da desiderare. Noi abbiamo aperta la possibilità che sia possibile tutto. Non siamo più nel vicolo cieco, non siamo più disperati. Ci possiamo permettere l’audacia di desiderare l’impossibile, se Dio è con noi.

Abbiamo bisogno di amici che siano per noi un segno dell’impossibile, segno, la Faccia dell’Emmanuele, che ci renda ogni giorno certi di fronte ai problemi più o meno tragici, come quello della distruzione possibile di Gerusalemme, che fu distrutta.
Che siamo certi che Dio è con noi.
“Ecco la generazione che Lo cerca, che cerca il Tuo
Volto” questi sono gli amici di cui abbiamo bisogno, quelli a cui non basta il mondo, che cercano il Volto del Creatore del mondo. La generazione che Lo cerca: questi sono gli amici di cui abbiamo bisogno.
Dopodiché stiamo di fronte a tutto: anche dopo la distruzione potremo dire “non è impossibile la sua ricostruzione” infatti è stata possibile.

[21/12/2017, 23:53:32] Frankie: Omelia di oggi

“Beata Colei che ha creduto”.
La beatitudine viene dal credere, la gioia piena è frutto della fede. Quando noi siamo sempre lì insoddisfatti è perché puntiamo sulle cose che ci fanno delle briciole di gioia.
L’uomo di fede punta sul Creatore delle cose, e ha la possibilità della gioia piena, che comincia a pregustare: non ce l’ha mai tutta, ma è già certo adesso che ce l’avrà tutta. Perciò non perde tempo a lamentarsi, ma ad approfondire la fede. Colei che ha creduto qualche settimana fa, a Nazareth, nella solitudine, perché la fede è un atto del singolo: l’Arcangelo Gabriele ha chiamato te e tu gli hai risposto, nel dramma della solitudine, poi ti ha lasciato sola.
“Mio marito Zaccaria ha creduto sei mesi fa prima che restassi incinta, nel tempio, da solo, e pure muto. È stato sfidato lui e ha risposto lui”.
La fede è sempre un atto della persona, è il dramma del tuo sì o del tuo no, al tuo Creatore.
“Ma da quando sei entrata, appena sei entrata, il bambino mi ha esultato nelle mie viscere”. L’esultanza, invece, la Beatitudine, non è mai nella solitudine.
Quando noi crediamo, ma sentiamo che la fede è astratta, la sentiamo astratta, non ci cambia la vita e affoghiamo nei dubbi, è perché non la condividiamo.
La beatitudine, invece, non è un atto che si può vivere nella solitudine, è sempre frutto di una condivisione; abitare nella stessa casa per quei tre mesi, abbracciarsi, servirsi, dedicarsi. Quando non trovi la Beatitudine, che è il frutto della fede, è perché non la condividi, è perché non ti dedichi a nessuno, è perché non abbracci e non ti lasci abbracciare.
Soltanto in quell’abbraccio in quei tre mesi, tra quelle due donne che erano già parenti ma non sperimentavano nulla per il legame di parentela!
L’esultanza, la gioia è frutto di quella condivisione come dice Henrik Ibsen nel dramma “Il piccolo Eyolf”: “La fatica, il dolore si possono portare anche da soli, per un certo tempo, se si ha una certa forza nella personalità. Per la gioia è diverso: che gioia è, se non si può condividere? Per la gioia, perchè sia gioia, bisogna darsi da fare, almeno in due”.

[22/12/2017, 11:07:59] Frankie: *Omelia di oggi*

“D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata”

Lo dice una ragazza di sedici, diciassette anni. Che cosa mai sta vivendo? Cosa vede nella sua vita che la rende certa che tutte le generazioni fino alla fine del mondo diranno: “Beata lei!”? Si ricorderanno di lei, vedranno qualcosa che è passato attraverso di lei, qualcosa che vince il tempo, che dura per l’eternità. C’è qualcosa nella sua vita che ha il sapore dell’eterno. Che cosa vede?

“Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente”

Vede delle grandi cose che ha fatto l’Onnipotente, non le ha fatte lei. Non le ha fatte nessun altro. C’è qualche cosa che le dimostra che l’Onnipotente ha fatto irruzione nella sua vita e questo cambia il tono del suo animo e cambia la decisione della sua vita.

“L’anima mia magnifica […], il mio spirito esulta”

Nasce l’esultanza. Magnificare vuol dire riconoscere, esaltarsi per la grandezza. Si esalta, si entusiasma, ai suoi occhi tutto diventa grande, non esiste più nei suoi occhi la meschinità, la piccolezza, il precario, quel che finisce e fa venire malinconia…non c’è più. Tutto è grande, tutto è definitivo e per sempre e la decisione che prende è come suggerisce l’intuizione della madre di Sansone, Anna, moglie di Samuele: “Anch’io lascio che il Signore lo richieda. Questo bambino, questa vita che mi nasce per tutti i giorni sarà richiesta, segregata, offerta al Signore”.
Una ragazza che ha visto che l’unica espressione adeguata dell’entusiasmo non è un frizzantino psicologico un po’ americaneggiante. No! È offrire la vita al Signore, che ne faccia quel che vuole, perché ne fa una cosa grande, ne fa qualcosa che dà alla storia, al precario, a ciò che finisce, il tono, il sapore, il presentimento dell’eterno. Tutta la vita merita di essere spesa per le grandi opere del Signore.

[25/12/2017, 10:52:15] Frankie: *Omelia 24 dicembre 2017*

“Non temere, Maria”

Come non temere? Un uomo che non teme è un incosciente. È scemo. La vita, chi la vive, fa tremare. Di niente noi siamo padroni. Tutto ci è dato e tutto perderemo, possiamo perdere ogni istante. La natura illude e poi delude, si è giovani poi vecchi. Ogni istante un uomo consapevole trema e gli uomini religiosi, che sono i più profondi, i più acuti, i più attenti al nostro cuore, tremano più degli altri.
“Initium sapientiae est timor Domini”, dice un salmo: l’inizio della saggezza è il tremore del signore davanti al Mistero. Perché un uomo saggio trema e trema anche davanti al Mistero, ha paura anche di Dio. Primo, perché Dio è ignoto, e si ha sempre paura dell’ignoto. Lo vedessimo in faccia, potrebbe rassicurarci! Ma noi lo temiamo – noi ebrei -, più degli altri, perché siamo impuri, siamo ingiusti, abbiamo coscienza del male che abbiamo dentro, della nostra ribellione permanente a Dio, perciò temiamo il Suo giudizio.
“Dies irae, dies illa”, dice uno dei profeti minori, ripreso poi nell’inno della coscienza cristiana medievale. È un giorno d’ira, quel giorno, quando si fanno i conti: questo è un uomo consapevole, saggio, religioso, che è realista. Perché non dovrei temere? Dammi un’evidenza, rendimi certo se non devo temere.

“Concepirai un figlio, lo chiamerai Joshua, Gesù, il salvatore”. Salvatore dalla paura, dal terrore e dal Mistero di Dio. “Sarà chiamato Emmanuel, Dio è con noi”.

Se Dio è con noi, Lo potremo vedere in faccia e non avremo più motivo di temere.
Decine di volte il comando di Gesù nei vangeli: “Non temere”, “perché temete?”, “non abbiate paura”. Perché vede nel volto degli uomini, i più seri, i più consapevoli, la paura. È ovvio che per coloro che non pensano i problemi diminuiscono, ma anche lo spessore della vita, della personalità, si svuota.
“Guardatemi in faccia”, “Tommaso, metti qua le dita”, “guardatemi”, “toccatemi”, “abbracciatemi”: è solo questo che toglie la paura. Vedere il bene in faccia e vedere la faccia di un Dio che è morto per te, e nel cui volto la morte è vinta. GuardandoLo non c’è più motivo di temere.
Quando noi siamo – non quando temiamo, quando temiamo siamo normali, per favore, non abbiamo allentato con alcol e droghe i freni inibitori – schiavi, paralizzati, bloccati dal timore è perché non guardiamo in faccia Dio, l’unico Dio che esiste, l’Emmanuel, il Dio con noi.
Se guardi in faccia Cristo, Dio con noi morto e risorto, tutte e due insieme, allora senti la paura – come Lui la sente nel Getsemani -, ma non hai più paura della paura, non ti blocca più.
Senza Cristo, o hai mollato i freni inibitori – allora sei scemo, drogato, distratto, sognante -, oppure della paura sei schiavo e devi censurare e rimuovere spesso tutto ciò che ti desta troppa paura e ti impedirebbe anche di sopravvivere.

“Come posso sapere questo? Come posso essere certa? Come avverrà questo, perché non conosco uomo? Come posso avere l’evidenza che non devo temere, che non sono più schiavo della natura? E posso essere libera non di non avere paura, ma libera di averla! Poterla dire e realizzare me stessa! Come accadrà la vittoria sulla paura in me, davanti ai miei occhi e dentro la mia carne? Perché è dentro che io la sento. Come avverrà questo?”
“La fa lo Spirito Santo”.
“E se la fa Lui, che debbo fare io? Cosa debbo fare per capire?”
L’angelo non dice altro, ma in un istante Miríam discerne che l’unico modo per capire non è continuare a porre domande, avere le spiegazioni analitiche. La paura è un’esperienza carnale, psicologica, conscia e inconscia, non si vince con dei ragionamenti, la vince solo la realtà. La paura è un’evidenza che abbiamo addosso. Un’evidenza non può essere vinta da un ragionamento, ma solo da un’evidenza più grande. Siccome è un’evidenza dentro la carne, dentro il conscio e l’inconscio, occorre un fatto che investa la carne, che illumini la coscienza e impatti il nostro inconscio.

“Ecco la serva. Avvenga di me secondo la tua parola”.

Di questa sfida io sono la serva. Se è opera dello Spirito Santo io servo, con la mia carne, con la mia coscienza e anche con il mio inconscio, l’opera dello Spirito. Che opera in me, perché la devo vedere in me la vittoria sulla paura, non mi basta raggiungerla con dei ragionamenti. Devo vedere la mia carne che trema ma non è più schiava del timore, che sente la paura – perché sotto la croce Maria la sentirà – ma la paura non le impedirà di vivere quel momento e di vivere una maternità più grande: “Ecco tuo figlio”, e non era suo figlio.
È soltanto servendo la storia che quell’angelo annuncia, la storia fatta dallo Spirito Santo dentro la nostra carne, che noi potremo capire, avere l’evidenza, vedere la vittoria sul nostro timore, vederla nella nostra carne ed essere liberi.
Se non siamo disposti a servire l’angelo, la storia che ci porta l’annuncio, dove già è iniziata l’opera dello Spirito Santo, non capiremo mai, non faremo mai un’esperienza della vittoria sulla paura e liberi non saremo mai.

“Allora l’angelo si allontanò da lei”

Per lasciarla sola nella sua risposta, perché l’angelo lo sa bene che la paura non è del gruppo, della comunità, del popolo. La paura è del singolo.
La vittoria deve avvenire nel singolo, deve avvenire in me e non ci doveva essere nessuno mentre lei diceva il suo “sì”. C’era qualcuno prima, ci sarà dopo Elisabetta e il bambino, Zaccaria e di nuovo Giuseppe, ci sarà la storia del mondo, ma la chiamata è a te, la proposta è a te, e l’angelo si allontana per fare tutto lo spazio necessario alla tua libertà che deve accettare la sfida di Dio, perché tu devi vedere la vittoria sulla tua paura, la libertà dalla paura.
Non di non averla, ma di poterla vivere e affrontare. È sempre la libertà della persona perché è dalla persona nasce un popolo di uomini liberi.

[25/12/2017, 12:40:52] Frankie: *Omelia della notte di Natale 2017*

“Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti”

Lo zelo del Signore degli Eserciti, il fuoco che brucia nel cuore del Signore degli eserciti. Ma non è come gli uomini, anche gli ebrei, lo avevano immaginato. Il Signore degli eserciti, אֲדֹנָי צבאות (adonai Zebaot), Deus Sabaoth, c’è ancora nell’inno del Sanctus: un Dio combattente, un Dio violento, un Dio guerrafondaio, no! A Natale, quello che accade a Natale svela lo zelo, il fuoco del desiderio, dell’affetto pieno di bene del Signore degli eserciti. Il Mistero, che poco o tanto gli uomini hanno sempre temuto, anche i più religiosi – gli ebrei dicevano “Initium sapientiae est timor Domini” – si svela a Natale come zelo, come fuoco di desiderio. Il desiderio è sempre per la bellezza, per la gioia, per il piacere, l’affetto è sempre per il bene. Dio non è un essere spietato, freddo, il creatore onnipotente del mondo, peggio ancora il giudice, che fa tremare, dies irae dies illa. Così è sempre stato immaginato, perché è incredibile che invece Dio sia un fuoco di desiderio di bene, un affetto per il bene. Dio che non vedeva l’ora di entrare nel mondo per stare con gli uomini, per godere dell’affetto, della bellezza degli uomini, per venire a contagiare il cuore degli uomini. Dice Paolo al suo amico Tito:

“ha dato se stesso per noi […] per formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le sue opere”, perché anche il cuore degli uomini, del Suo popolo, sia pieno di zelo, dello stesso desiderio, dello stesso affetto.
Noi siamo stati scelti, censiti dice tre volte questo Vangelo, per essere un popolo di uomini con il cuore pieno di zelo, pieno di desiderio, pieno di affezione, uomini che infiammano il mondo. Gli uomini che piacciono a Dio sono gli uomini zelanti, pieni di desiderio e di affetto, gli uomini insopportabili per Dio sono gli uomini tiepidi; la frase più dura, che oggi dà fastidio a sentirla dire in bocca a Dio, al politicamente corretto – eppure nell’Apocalisse esiste -: “tu non sei né caldo né freddo [non sei grande né nel bene né nel male], sei tiepido, ti sto per vomitare dalla mia bocca”, mi fai schifo. L’uomo che invece Dio apprezza, per cui Dio simpatizza, dice San Paolo agli amici di Corinto: ἱλαρὸν γὰρ δότην ἀγαπᾷ ὁ θεός, hilarem datorem diligit Deus: a Dio, diligit, sta simpatico l’uomo, ἱλαρὸν γὰρ δότην, che fa le cose con il cuore pieno, infiammato, addirittura pieno di ilarità, pieno di ironia tanto é contento. Questo è l’uomo che piace a Dio.
Noi siamo stati scelti per esser parte di questo popolo. Che sfida, in un mondo in cui i più zelanti, i più invocati sembrerebbero i violenti, i guerrafondai, quelli che diffondono il male e che fanno guerra. Noi siamo stati scelti per avere il cuore infiammato, pieno di zelo, per infiammare per il bene, per la gioia, per l’amore, il cuore di tutti gli uomini. Ma il cuore si infiamma solo se ha del combustibile, se ha davanti a sé un segno della Sua Bellezza, che lo richiama.

“Questo per voi il segno”

Dice l’angolo ai pastori. Andate a vedere quel segno è il vostro cuore si infiammerà, altroché la musichetta con la zampogna che avete cantato finora, invaderete la terra, griderete “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace sulla terra” quando vedrete questo segno. Io ti sono amico se ti faccio vedere il segno che riempie di zelo, di desiderio, di affetto, il mio cuore. Tu mi sei amico se mi fai vedere il segno con cui Dio infiamma il tuo.

[03/01/2018, 18:54:22] Frankie: Don Carlo è in Terra Santa

Mi è arrivata sbobinata questa introduzione sua al monte degli ulivi (03/01/18).

Ve la giro.

In questo luogo Gesù fu talmente turbato da sudare sangue: può succedere per quelli che ha una paura terribile del dolore, che sa che sarà torturato. Adesso ci immedesimiamo in questa esperienza di Gesù.
Di fronte alla prospettiva dell’atrocità della tortura Gesù chiede al padre se possibile no. È il gesto più anti masochistico che esista: Gesù sa che non è nato per soffrire, non gli passa neanche per la testa che un padre voglia torturare il figlio. Prende sul serio il proprio cuore, il cuore di ogni uomo che è fatto per godere e basta. Dio vuole che il figlio sia se stesso e se ci fosse un altro modo per mostrare la grandezza e la bellezza che ha in cuore Dio glielo darebbe. Quella sofferenza non viene da Dio, ma dal sinedrio e dai romani. Gesù non ci redime con la sua sofferenza ci redime con il suo amore. Se lui avesse deciso di non essere se stesso, di rinnegare quello che c’era stato per 33 anni, di non amare amici e nemici, avrebbe potuto chiedere a Pilato di liberarlo. L’unico modo per evitare la croce era rinnegare se stesso: è stato un atto di amore a se stesso accettarla.
Secondo punto “sia fatta la tua volontà”: la certezza che la Volontà di Dio era un bene e non era un male, pensate che esperienza ha fatto per affermare ciò. Che bene era stato Dio per lui! La certezza che in fondo ci sarebbe stato il bene, la resurrezione, gli nasce da quei 33 anni vissuti per cui non è irragionevole dire “sia fatta la tua volontà”, non è un atto di masochismo o di sottomissione, ma è l’affermazione massima del proprio cuore e di quello che dio era per lui. Domandiamo la stessa coscienza: cioè di essere seri di fronte al dolore dell’uomo, che non ci venga più in mente di dire che dio ci manda la malattia la disgrazia la morte. Vogliamo essere più Cristiani di Gesù: la prima preghiera è chiedere nel dolore il miracolo come ce lo aspettiamo, poi che sia fatta la Sua volontà: non invertiamo mai le cose altrimenti sarebbe fondamentalismo. Non c’è niente di più umano che questo grido di Gesù.

[08/01/2018, 15:41:35] Frankie: Omelia di oggi

“Convertìti”.

Conversio, dietro front, un termine dell’addestramento militare armato.
Dovete voltarvi indietro, prendere la direzione opposta a quella percorsa fino ad ora. Era sbagliata. Come sbagliata? Dove stavate andando?
Seguiamo il corso delle cose, il corso della natura, cioè il nulla.

Perché la natura come nasce, così muore. La vita nasce e muore. State andando verso il nulla, tante volte non ci pensate, ma quando siete costretti – dalla vita, dalle malattie, dal tempo che passa, dall’invecchiare – a pensarci, vi si spegne, progressivamente, l’affezione, l’entusiasmo, perchè l’uomo non si può affezionare se non all’eterno, e niente di eterno c’è nella natura. La natura è cieca, sorda, non è neanche matrigna perché non è neppure madre, è energia cieca,non ascolta il grido del vostro cuore. Ed anche Anna, la moglie di Elkana, è triste, piange perché non ha neanche la consolazione naturale dell’altra donna ebrea, la seconda moglie, di fare dei figli: i figli sono l’illusione della continuazione della tua esistenza, sono un’illusione! Continua la natura, ma non continua la persona:Tu sei unica al mondo, ed anche se fai dei figli non trasmetti la tua persona ai figli… la natura sì, il tuo io, no!

Tu sei unica e con te finisce tutto.

Era un’illusione che la fecondità rispondesse al bisogno dell’eterno. E’ una continuazione biologica in cui tu non centri niente.

Gli ebrei non credevano nell’immortalità dell’anima, tutto finiva con la natura, avevano avuto una grande promessa, ma non riuscivano proprio a pensarlo. La promessa era che il Mistero sarebbe venuto, ma loro pensavano che con la morte finiva tutto e, naturalmente, è così!

Gesù dice: “Dovete cambiare direzione, così andate verso il nulla. Non potete seguire l’orientamento della natura, il vostro cuore è fatto per il Creatore, è fatto per l’eterno, ed io vi dico che in questo mondo l’eterno ha fatto irruzione”.

“Il tempo è compiuto”.

C’è un punto del mondo in cui il tempo è pieno, l’eterno ha riempito il tempo.

Il regno di Dio è vicino, non c’è più il regno della terra e basta, c’è il regno del Creatore dentro la terra, seguite me e lo scoprirete.

“Lasciarono il loro padre, la barca con i garzoni, e andarono dietro di Lui”.

Dopo 2000 anni la stessa sfida ha raggiunto per 2000 anni uomini, donne che l’hanno presa sul serio, hanno convertito la vita, hanno orientato la vita all’eterno, a quel luogo del mondo dove l’eterno ha fatto irruzione.

Era ragionevole o no che Lo seguissero? Lui non ha risposto al loro posto, ha dato il criterio.

“Se mi seguite capirete che c’è l’eterno dove io mi comunico”.

Perché diventerete pescatori di uomini e saranno catturati in quei luoghi i cuori degli uomini. Sarà catturato il vostro cuore, sarà pescata la vostra umanità, pescherete l’umanità degli altri. Dopo 2000 anni che ragioni abbiamo questa mattina per seguirLo?

Dove lo abbiamo visto fino ad ora, fino ad ieri sera che si è realizzata la profezia “Vi farò pescatori di uomini”? E’ ragionevole decidere ancora di lasciar tutto, di capovolgere la direzione, di andare dove va Lui soltanto se abbiamo finora pescato uomini e ci sentiamo realmente, liberamente pescati noi.

[11/01/2018, 08:59:04] Frankie: Omelia di ieri

“Tutta la città era riunita davanti alla porta […] «Tutti ti cercano!»”

Tutta la città. Tutta. Una volta che L’avevi visto dovevi fare i conti con Lui, dovevi cercare Lui per capire Chi era che ti era entrato così dentro a tutto il tuo essere, l’aveva per sempre folgorato; ha lasciato dentro il cuore un segno indelebile, che la tradizione cristiana chiama “caracter”, carattere, cicatrice indelebile.
Perché? Che cosa aveva fatto? Che cosa fa Cristo quando tu Lo incontri seriamente una volta? Sei scoperto, Lo lasci entrare anche solo per un istante, ti illumina dentro, fa luce dentro. Fa luce dentro di te, fa luce su di te, ti dice chi sei, ti fa capire chi sei, come sei fatto e per cosa sei fatto. Tu da quell’istante lo sai. E guardandoLo per un istante capisci che tu sei fatto da Lui e per Lui, che per essere te stesso devi essere Lui, per amare te devi amare Lui. Se segui Lui segui te. La partita si sposta dentro di te. Da quell’istante la legge del tuo cuore non è più una legge esterna:

“La tua legge è nel mio intimo”

Ormai io sono legge a me stesso. Ubbidire a te coincide con l’ubbidire a me, il mio bene sei Tu, amo Te perché amo me. Se odio Te odio anche me, mi hai messo in mano la mia vita e me la devo giocare tutta. Tu te ne puoi andare, Ti posso dimenticare, ma da questo momento io so, da questo momento ho in mano la mia vita, da questo momento io o amo o odio me stesso. Di Te esteriormente me ne posso liberare, Ti potrei anche uccidere, come decise il sinedrio, ma ormai la partita è dentro. Tu sei dentro di me.
Non mi posso illudere, sono costretto ad essere libero. Ormai ho in mano la mia vita.
Prima di Cristo il dramma ultimamente non c’è, c’è la paura di un destino ignoto.
Quando Lo incontri il dramma è dentro di te, te lo porti addosso, dovresti ucciderti, ucciderti!, per eliminare questo dramma.
È per questo che Gesù sarà sempre così amato o così odiato, perché rende la vita drammatica, rende l’uomo libero. L’uomo non può più essere libero, è costretto ad essere libero e odia Cristo l’uomo meschino che vorrebbe scaricare la sua vita sugli altri, che vorrebbe la vita comoda. Ama Cristo colui che ama la propria grandezza: ti cambia proprio. Da quel momento la vita è svolgimento di quel momento. Lo svolgimento del sì o del no, ma sempre svolgimento è. L’incontro con Lui segna: avanti Cristo o dopo Cristo, nella storia come nell’uomo.
Ecco, un uomo che ha fatto questo incontro è un uomo che non “deve fare”, “dire”, è un uomo che basta che dica: “Ecco io vengo. Dove arrivo io si innesca di nuovo questo dramma”, anche se quest’uomo non fa niente.
Dove arriva, attraverso di lui arriva di nuovo Cristo e si ripete l’evento drammatico nella sua vita.
Come quella sera e quella mattina prima dell’alba, nel villaggio di Cafarnao che ho visto solo qualche giorno fa. Lì è iniziato per la prima volta questo dramma in quel posto. Là non ha goduto quasi nessun frutto perché era tutto ingessato, pietrificato. Non c’è stato spazio per la fioritura della novità cristiana. Ma noi abbiamo incontrato la stessa cosa.
Ogni mattina Cafarnao è qui.

[15/01/2018, 14:56:10] Frankie: “Perché i tuoi discepoli non digiunano?”

Perché il digiuno é il gesto caratteristico delle religioni dell’assenza. Per l’uomo religioso Dio c’è in tutto ma non è qui. Di tutto quello che ci dicono, compreso il cibo, si può anche fare a meno, di Dio no!

“Non di solo pane vive l’uomo ma di ciò che viene da Dio”.

Questa è la certezza dell’uomo religioso e per affermare il suo bisogno essenziale di Dio segna la vita con i digiuni, con le privazioni, con i sacrifici, perfino con gli olocausti, distrugge tutto, perfino la vita di un uomo per affermare che Dio è essenziale. Ci si può privare perfino della vita, di una persona cara come un figlio ma di Dio no. E le religioni sono tutte poco o tanto tristi perché marcano sempre l’assenza, la lontananza, non vedono l’ora di lasciare questo mondo per incontrare Dio. Il cristianesimo non è una religione dell’assenza ma della Presenza e se lo Sposo è presente non si può digiunare. Il tempo del cristiano cancella totalmente il segno del digiuno. Il tempo cristiano è il tempo della Presenza, il tempo per festeggiare lo Sposo presente. Il tono del tempo cristiano è un tono festivo, il tono della pienezza. L’uomo ha già tutto non gli manca niente perciò si può permettere pure di essere povero perché è già ricco della Sua presenza. Come mai così raramente vediamo facce cristiane dal tempo festoso? Spessissimo sono malinconici come gli altri, se non di più. Perché qual è la condizione per fare esperienza della festività del tempo, del tono festoso del volto?

“Vino nuovo in otri nuovi”.

Non si può fare a pezzi l’abito nuovo per rattoppare quello vecchio. Bisogna cambiare tutta la vita, si chiama conversione. Cambiare i pensieri, cambiare i criteri, cambiare il modo di affrontare, di pensare, di sentire tutto. Solo questa è la condizione per godere di tutto.

Come è penoso vedere dei cristiani che hanno una vita rattoppata. Cristo è una toppa, ogni volta che c’è un buco nella vita vecchia, vanno a prendere un pezzettino di cristianesimo e ce lo appiccicano sopra. La vita diventa penosa, diventa un’arlecchinata. Ecco, una vita naturale rattoppata di tanti pezzi di Cristo. No, Cristo non è una toppa da mettere sulla vita vecchia. Cristo è l’abito nuovo, è il vino nuovo.

“Vino nuovo in otri nuovi”, è soltanto accettando un cambiamento totale di tutta la vita che permette di festeggiare per tutta la vita.

Quando uno si accontenta è perché la nostra vita è un un’arlecchinata, la vita vecchia con dei pezzi di Gesù sopra. Gesù non è trattabile, non è un commerciante, come ne ho visti tanti mediorientali che hanno prezzi oscillanti di continuo a seconda della loro opportunità…con Cristo non si tratta! Cristo ti dice: “mi dai tutto, svuota il portafoglio!”. “Perché vuoi tutto?”. “Perché Io ti do tutto”. Tutto per tutto!

Cristo pur essendo nato, vissuto, morto e risorto in Medioriente non ha l’animo del commerciante mediorientale: o tutto o tutto.

[16/01/2018, 13:56:24] Frankie: Omelia di oggi

“Il sabato e stato fatto per l’uomo.”

Il sabato è la festa che Dio fa all’uomo e all’universo intero quando vede la bellezza di quel che ha fatto. Vede la bellezza dell’uomo fatto a Sua immagine.

L’uomo non è perfetto, Adamo ed Eva non sono perfetti, ma sono esseri umani, sono segni di Lui, vedendoli sono specchi di Dio e Dio è contento e guarda l’universo intero: anche l’universo è creatura Sua, non è perfetto, ci sono mille cose che non vanno e l’universo a volte è feroce, distrugge, eppure è Suo, è Sua creatura, è segno. Tutto è bello non perché è perfetto, ma perché è segno di Dio stesso, della Sua bellezza infinita e Dio gli fa festa.

Il sabato è stato fatto per questo e Dio comanda all’uomo che ogni settimana si prenda un giorno per guardare il mondo, per guardare se stesso con gli occhi di Dio, per gioire, per festeggiare per la sua esistenza, per festeggiare perché c’è il mondo. L’uomo non è perfetto, ma è segno, è bello perché è segno, non perché è perfetto.

Ogni settimana non deve mancare un giorno in cui l’uomo ritrova lo sguardo festoso, il tono festoso.

Che sguardo, che profondità ci vuole!

Qual è l’uomo capace di questo sguardo, che è capace di ritrovare il tono della festa?

Non è, di per sé, l’uomo bravo, appunto perfetto nel comportamento morale. Non è mica detto: ci può essere un uomo bravo bravo, capace capace, preparato bene come i sette figli di Iesse, ma non ce n’è nessuno e il profeta dice: “No guarda, no guarda, tu guardi l’apparenza, io guardo il cuore.”

L’uomo capace di far festa a Dio, di portare nel mondo lo sguardo festoso di Dio non è, di per sé il più bravo, come Abinadàb, quello che ha studiato, che ha il fisic durol, che ha studiato per fare il re, è bravo, capace, ha due lauree, è proprio bravo, ha una buona famiglia, ma non è quello: occorre un uomo che abbia lo sguardo profondo e radicale, che sia sensibile, che vada in fondo alle cose, che non si fermi alla superficie e che abbia la sensibilità per cogliere e per esprimere la bellezza dell’universo.

Si prende l’ultimo, l’ottavo, Davide, che non era un uomo bravo, sarebbe stato un adultero, più volte, sarebbe stato perfino un assassino, non aveva le lauree e non era capace di mille cose, ma aveva uno sguardo radicale: andava in fondo. Ha composto i salmi, i salmi sono le poesie che hanno lo sguardo più radicale che esista: ogni salmo che tu leggi, di qualsiasi cosa parli, della pioggia, della fame, della guerra, del bene e del male, ne parla con una tale profondità che lo mette in rapporto con Dio. Ogni cosa nei salmi parla di Dio, è specchio di Dio.

Secondo: Davide è un artista, ha una sensibilità potente, acuta, fervida e sa esprimere questa sensibilità, la sa far sentire come un artista che le parole come le usa lui, i colori, le forme, i gesti fanno vibrare, fanno appassionare. Non è morale, non è capace, non è perfetto ma è radicale, religioso ed è artista cioè ha una sensibilità viva, viva. Tutto di lui vive e brucia.

E Dio segna lui come re di Israele perché non è re perché è capace di fare le guerre, non è re perché conosce bene il diritto, non è re perché è moralmente perfetto ma è re perché è religioso, è re perché è artista, perché anche la sua sensibilità esprime la festa che c’è nel cuore di Dio.

[16/01/2018, 18:51:20] Frankie: La stupenda – omelia – di domenica.
Ma bella, bella

“Mi hai chiamato, eccomi.”

Non vedeva l’ora. Grida con gli occhi il giovane Samuele, non vedeva l’ora di essere chiamato!

Io sono nato per essere chiamato, sento che la vita è vocazione, è attesa di Uno che mi chiama per nome e che mi dica chi io sono, perché sto al mondo, a chi devo donare la vita, chi sono chiamato ad amare, con chi condividerla? Questo è il brivido, il tremore tumultuoso, emotivamente intenso, oscillante che prova Samuele che avrà diciassette anni, come Giovanni nel Vangelo che ha provato e prova ogni adolescente, il presentimento che incomincia a vibrare quando intuisci un innamoramento attivo o passivo che piaci a qualcuno, che qualcuno ti piace. Ti sembra che in quel volto, in quello sguardo, in quell’affetto, in quella bellezza possa trapelare, finalmente, la tua chiamata. Chi sei tu e per chi tu sei al mondo! Ogni innamoramento fa presentire questo, presentire, un poco sentire, ma poi quasi sempre finisce in nulla. E’ come la desolazione, tu senti l’incompiutezza. A volte diventa un rapporto che dura qualche anno, un fidanzamento, poi diventa anche un matrimonio, ma poi non riesce mai, anche quando è diventata una famiglia stabile, la guardi negli occhi e ti accorgi che non riesce mai a diventare coscienza e certezza compiuta.

Come non lo diventò per quegli altri due, diciassettenni e diciottenni, Giovanni l’evangelista e Andrea, il fratello di Pietro, già spostato, moglie e figli, eppure erano andati ancora inquieti, ancora insoddisfatti. Giovanni aveva pure la ragazza, la morosa, Andrea era già sposato e tuttavia non avevano trovato nell’innamoramento, nella famiglia una risposta compiuta alla vocazione. La famiglia è una promessa ma in sé, naturalmente, non riesce ad essere il compimento della promessa. Sennò non sarebbero andati, né il giovane Giovanni, né il maturo Andrea, dietro al profeta, se bastava la morosa o la moglie o i figli se lo sarebbero fatti bastare. Lasciavano un vuoto che il profeta faceva echeggiare in loro ma che neanche il profeta aveva compiuto. Tanto che un giorno il profeta punta il dito e grida: “Ecco l’Agnello di Dio”. In quell’istante, si volta perché c’è di più in quell’Uomo che lui ha chiamato l’Agnello, la vittima sacrificale del popolo che esce dall’Egitto, simbolo del Messia. E vedono un uomo di spalle
e Gli va dietro con il presentimento che forse lì c’è quella risposta ultima alla vita come vocazione, c’è Uno che mi può dire chi sei e per chi sei tu, a chi devi dare la vita.

E Lui si volta e dice, non chi cercate, è ovvio che cercano ma: “Cosa cercate cercando me?” “Che domande mi fate?”
E dicono, senza pensarci, probabilmente, la domanda giusta: “Dove dimori?”. Non “chi sei?”, “cosa fai?”, capiscono che non si può spiegare quello che ancora attendono che né di moglie, né figli, né fidanzata hanno potuto svelare.
“Dove dimori?”
Ognuno di loro ha una dimora presente, Andrea con moglie e figli, Giovanni forse l’ha già costruita, l’ha già preparata, già arredata per sposarsi. Hanno già una dimora naturale o costruita da loro, ma quella dimora non basta e non basterà. Cercano un’altra dimora dove vi sia una risposta compiuta che non hanno né la moglie né i figli e domandano dove dimora quell’Uomo perché hanno il presentimento che Lui abiti in un posto che svela il senso di ogni altra dimora che dimorare con Lui faccia capire cosa vuol dire dimorare con la moglie e i figli, che quello sia il compimento della vocazione.
“Venite e vedrete”. Vanno e vedono e dopo dieci ore, tornano a casa la sera frastornati. Hanno l’impressione che quella sia la dimora che illumina la dimora che già hanno e che si stanno preparando, che la vocazione si compia non quando ti sposi, ma quanto incontri Lui, Colui che ha creato te e che ha creato una donna e che crea quei figli che tu procrei. Che sia un’altra dimora quella che spiega la dimora naturale, che sia un altro il Volto che compie l’affezione, che ti dice finalmente chi sei e di chi sei, per chi è la tua vita. E’ soltanto nella dimora creata da Gesù, che si chiama Chiesa, che è la comunione cristiana, che si realizza il presentimento e la promessa dell’innamoramento o del matrimonio. Se non ci fosse la Chiesa, anzi, adesso che la Chiesa viene meno, cede brutalmente nella società pur nata nel cristianesimo, le famiglie naturali non sono molto di più delle telenovela, non stanno su, non sono dimora per nessuno, i figli scappano presto ed i coniugi scappano presto, non ci riescono a stare.

Diceva acutamente, qualche secolo fa, un grande poeta convertito, Thomas Stearns Eliot “Dove non c’è tempio non ci sono dimore”: se non c’è il tempio, la Sua dimora, non ci sono dimore umane; le dimore che noi costruiamo, non sono dimore – citando un’immagine didascalica: terra desolata – sono come dei sellini: allora c’erano le prime motociclette che ragazze caricate casualmente cavalcano per un pò, passando da una discoteca all’altra, da una bevuta all’altra.

Dove non c’è tempio, non ci sono dimore, dove non c’è Lui non si compie la vocazione non si compie il miracolo che il salmista aveva intuito. Il miracolo che si compie quando si penetra nella Sua dimora, quando Lui ti guarda negli occhi e ti chiama e tu capisci perché sei al mondo. Che cos’è che cambia? Che differenza c’è tra la dimora naturale, l’innamoramento e la famiglia, e le dimore che costruiamo noi, la nostra città, la nostra civiltà, e la dimora creata da Lui” Dice il salmo: “Mio Dio questo io ho desiderato finora: la tua legge è ormai nel mio intimo.” Ecco che cosa fa Gesù, che la legge che è senza dubbio una legge estrinseca, esterna, imposta dall’autorità politica, dallo stato, dalla società, dalla tradizione, e pure dalla religione, è sempre una legge esterna, estrinseca, che poco o tanto ti violenta e dentro alla quale devi reprimere un pò di te; è una legge esterna, oggettiva, positiva, si dice pòsita, posta da qualcun altro.
L’incontro con il Messia, l’incontro con Gesù, l’esperienza che si fa della Sua dimora, dove abiti anche solo per dieci ore, compie il miracolo: “la Tua legge è ormai nel mio intimo”, non fuori, è una legge intrinseca, ce l’ho dentro, la Tua legge coincide con la legge del mio cuore. Tu non mi imponi nulla, non mi chiedi di ubbidire ad un altro, esterno a me, mi chiedi di obbedire veramente a me.
Il Cristiano non è un uomo che ubbidisce a Dio, rinunciando al proprio cuore: così si alienerebbe ancora, ci sarebbe l’alienazione religiosa, ma alienazione sarebbe; come diceva Freud analizzando le patologie religiose: alienazione, anche Marx lo diceva: alienazione, oppio dei popoli. No! Con Gesù se dimori nella Sua dimora la Sua legge viene calata nel cuore, non cambia il cuore, lo illumina, lo fa diventare cosciente di sé.
Il Cristiano non è un uomo che obbedisce a Dio, ma obbedisce al proprio cuore illuminato dalla Sua Presenza, obbedisce veramente a sé e l’obbedienza coincide con l’espressione vera di sé, con la propria fioritura umana, l’ubbidienza coincide con la liberazione dell’uomo. “Scriverò la mia legge nei loro cuori” dicevano i grandi profeti: nell’incontro con Gesù si realizza questo, tu obbedisci alla Sua legge che coincide con la legge di te, realizzi fino in fondo te stesso, diventi libero, e chi ti incontra paradossalmente può ripetere l’esperienza che fecero quel diciassettenne, Giovanni, e quell’uomo di cultura, Andrea, quel giorno sul bagnasciuga del Giordano dove sono stato qualche giorno fa quando il profeta puntò il dito e disse: “ecco l’agnello di Dio”.
Si ricomincia da lì, in quel momento quel gesto è l’alba di tutto.

[17/01/2018, 12:12:56] Frankie: *Omelia 17 gennaio*

“Io vengo a Te nel nome del Signore, tu vieni a me con la spada, con la lancia, con l’asta”.

Abbiamo due armi diverse: tu hai le armi, armi, le armi della violenza, della guerra. Io ho come unica arma l’esuberanza della mia umanità, la mia intelligenza, la furbizia, la fantasia, la mobilità, l’entusiasmo della giovinezza e, sopratutto, l’entusiasmo della mia fede, che Davide, dice con l’esuberanza di un’umanità trasfigurata, potenziata, invincibile.

Se avesse usato le armi di Golia sarebbe stato un perdente, era sproporzionato: l’arma è vincente perché non punta sulle armi di Golia, del mondo, ma sull’arma di un’umanità potenziata dalla fede. Quando noi ci sentiamo inadeguati ad affrontare la realtà, il mondo, le circostanze difficili, quando ci sentiamo perdenti, sconfitti è perché puntiamo sulle armi del mondo. Lo sanno benissimo gli erodiani ed i farisei, quel giorno nella sinagoga che hanno davanti un uomo che non ha armi, che non ha potere, che loro possono uccidere, che gli erodiani faranno uccidere ma il vincente è Lui che non ha armi.

E’ l’umanità di Gesù che è travolgente ai loro occhi e non vedono altro modo per difendersi, per vincere che decidere di farLo uccidere, di cancellarLo dal mondo e lo faranno ma dopo duemila anni, l’umanità di Gesù è ancora vincente. Dopo duemila anni abbiamo visto in questi anni una persecuzione così massiccia dei cristiani che sono disarmati, che sono niente, che hanno come unica arma problematica, tremenda la loro umanità. Non ci sono mai stati tanti cristiani perseguitati come in questi anni, come questi ultimi due Papi ce lo hanno detto. L’umanità di Gesù è così vincente che neppure con le armi del mondo la puoi far fuori. Noi siamo qui ogni giorno ad attingere a quella umanità. Ognuno di noi deve sapere come fa l’umanità trasfigurata, vincente di Gesù a raggiungere noi e a trasfigurare la nostra perché possiamo vincere i Golia che ogni giorno incontriamo. Se non sapessimo rispondere a questa domanda saremmo inevitabilmente perdenti. C’è un Padre della Chiesa, Crisostomo, che commentando la parabola evangelica, l’immagine evangelica di quando Gesù dice: “vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”, dice: “dove sta la forza degli agnelli di fronte ai lupi?”, solo di essere veramente agnelli come Gesù che vinse perché fu l’Agnello di Dio. Se invece di poveri agnelli cercano di imitare i lupi sono perdenti al primo scontro. L’unica loro forza è di essere fino in fondo agnelli cioè una vitalità sfuggente, nuova, che il mondo non capisce. Ogni mattina noi per essere vincenti per essere Re come Davide dove arriviamo noi, l’unica possibilità è di raccogliere la sfida dell’umanità che fiorisce nella fede in Cristo.

[18/01/2018, 10:45:15] Frankie: *Omelia 18 gennaio 2018*

“Lo seguì molta folla”

Una grande folla andò da Lui. Quando avevano qualche male si gettavano su di Lui per toccarLo. Questa ressa anarchica, scomposta, quasi bestiale nella modalità.
Perché tutta questa folla Lo assedia Gli si butta addosso, istintivamente? Che cos’è che prende ciascuno, lo prende tutto, gli fa dimenticare tutto i resto e lo cattura come un magnete, e perché tutto insieme si buttano su di Lui? E deve rifugiarsi sulla barca. Sono un corpo solo che si avvinghia a Lui. Cosa mai c’è in quell’Uomo che cattura tutto di ognuno e li cattura tutti e ne fa un corpo solo? Lo grida uno di loro, uno spirito impuro, appena ha guarito:

“Tu sei il Figlio di Dio”

Lo spirito impuro non è il corpo impuro, spirito vuol dire il pensiero confuso: erano persone in confusione mentale, oggi ci vorrebbe lo psichiatra, allora li chiamavano spiriti impuri, menti confuse, gente fuori di testa, normalmente era gente fuori di testa. Davanti a Lui erano come folgorati, in un attimo era come se avessero avuto uno shock, una corrente elettrica, e gridavano “Tu sei il Figlio di Dio”. Perché non è che i matti non ragionano, i matti non perdono la ragione, perdono tutto fuorché la ragione, perdono la realtà, ragionano senza la realtà, cioè vanno in parallelo alla realtà. Ma di fronte a Lui è uno shock tale di realtà, così impetuoso che alcuni di questi ritrovavano la lucidità, vedevano una realtà mia vista, ed erano illuminati e vedevano s stessi, vedevano gli altri, vedevano le cose e dicevano “mano sono davanti a Dio, ma Tu sei il Figlio di Dio, ma in Te è presente Dio”: intuivano la realtà fondamentale, che la folla confusamente sentiva. Perché davanti a Dio tutto si chiarisce, la vita diventa unita, ogni cosa ha il suo senso, tu capisci tutto il senso di tutto di te e anche degli altri, quello che ti lega agli altri, fai l’esperienza dell’unità. La prova che sei davanti a Dio è che è unita la tua vita e tu sei unito agli altri.
Quando invece sei in confusione, quando la tua vita va a pezzi, quando perdi dei pezzi e quando non vedi cosa ti lega agli altri, ti senti fatto a pezzi, ti senti solo, è perché non sei davanti a Dio, ma stai inseguendo un idolo, un particolare assolutizzato che fa a pezzi la vita e ti isola dagli altri. L’idolo é una cosa che invece di essere segno di Dio, di spalancarti su Dio, assolutizza la tua vita, è un particolare totalitario, violento, che ti fa a pezzi.
Il segno di Dio invece è una finestra che ti spalanca all’abbraccio a tutto, a tutto di te e a tutto degli altri.

[19/01/2018, 10:14:32] Frankie: *Omelia 19 gennaio 2018*

Ma che omelia stupenda: *la preferenza che attendiamo!*

“Chiamò a sé quelli che voleva”

E perché volesse quelli e non altri non lo dice a nessuno, perché non lo può dire. Perché nessun innamorato può dire perché preferisce quello o quella ad altri, non lo sa, se lo dicesse farebbe ridere i polli. Ti piace quello perché per te è bello quello, ti suscita l’amore quello e Gesù è l’Innamorato più innamorato, preferisce quelli.
E li chiama perché stessero con Lui: perché chi preferisce, preferisce stare con quelli che preferisce, ci vuole passare tutto il tempo possibile, ci si sposa per stare con chi preferisci, tutta la vita. E Lui ne prese 12, i più preferiti, per stare con loro per tre anni, H24, sempre con loro, perché li preferiva.
E loro tutti i giorni, svegliarsi al mattino e sentire la Sua Preferenza su ognuno di loro; pensate che fuoco li ha infiammato dentro! Ha fatto fiorire, esplodere il loro io, sono diventati così certi, cosi liberi, così capaci di preferire il mondo che quando Lui non c’è più stato, sono andati in capo al mondo a preferire i non preferiti. Perché la preferenza di Gesù, all’opposto di quelle naturali, è inclusiva, non è esclusiva. Quelle naturali sanamente implicano la gelosia: guai se tra due che si preferiscono ci entra un terzo. Mentre la preferenza di Cristo è inclusiva, ti fa essere così contento di essere preferito che devi andare in tutto il mondo a preferire i non preferiti, non la può tenere per te.
Ma soprattutto la Sua Preferenza è liberante perché ti fa sentire ogni giorno, 24 ore al giorno, la preferenza di Dio. E sentirti preferito da Dio ti rende libero dal giudizio degli altri. Altrimenti tu sei schiavo, di come gli altri ti stimano o non ti stimano. Sopratutto diventi schiavo del giudizio che tu hai su te stesso, che a volte è micidiale. Chi invece è di fronte alla Preferenza di Dio è libero: stimato da Dio non ha più bisogno della stima di nessun altro.

[22/01/2018, 08:16:42] Frankie: Omelia 21 gennaio

“Il tempo è compiuto”
Πεπλήρωται ὁ καιρὸς.
Riempito, colmato, traboccante.

Il tempo nella cultura antica – i greci lo chiamavano Κρόνος – è tempo vuoto, tempo che passa ma pieno di niente. E c’è il problema di riempirlo. È una voragine che non si colma mai e ritorna l’anno nuovo uguale all’anno prima. È tutto circolare e non riesce mai una volta a colmarlo, a compierlo. All’uomo viene lo sgomento. E lo stupido si annoia.
Poi c’è il problema dei passatempi, pensate che industria è nella cultura neopagana di oggi, nichilista, l’industria del divertimento, dell’intrattenimento: ti trattiene lì, ti distrae per un po’, per far passare il tempo. Terribile!
Un giorno, sulle sponde di quel lago, un uomo dice: “È finito, il tempo vuoto non c’è più. C’è la pienezza del tempo, dirà San Paolo, la pienezza dei secoli. C’è una pienezza travolgente e, da questo istante, per chi la incontra, per chi la riconosce non c’è più il problema dei passatempi.
L’uomo non si annoia più.
É tale la pienezza che ha per riempire ogni istante che gli istanti gli passano troppo veloci. Infatti, San Paolo è quello tra gli apostoli che coglie di più la portata della fede. La fede ce l’hanno tutti, ma la coscienza della fede come l’ha Paolo non ce l’ha nessuno. In lui le parole pesano terribilmente, ne coglie la portata esistenziale, culturale. Dice: “Il tempo ormai si è fatto breve”. Per chi incontra quella pienezza di Gesù risorto il tempo si fa breve. συνεσταλμένος, è buffa, è un’immagine marinara, che significa convogliare le vele o ammainare le reti. È un’operazione che fanno i marinai quando c’è pochissimo vento le espongono tutte in particolare quelle che si gonfiano di più. Quando invece il vento aumenta devono un po’ diminuire la superficie di esposizione, se poi arriva la tempesta devono arrotolarle e ammainarle tutte, perché se no al primo colpo di vento la nave va sotto.
Più c’è vento e più le vele devono ridursi. Dice: da quando è arrivato il vento dello Spirito di Cristo risorto si è scatenato un tale uragano sulla barca della nostra vita che le vele bisogna che si riducano, si riducano, altrimenti siamo travolti e abbiamo sempre così poco spazio di fronte a tanto vento, che non sappiamo più come fare. Noi le vorremmo esporre tutte, ma non possiamo.
Vorremmo conoscere tutto, ma non abbiamo tempo. Di lauree se ne prende una. Vorremmo fare tutte le professioni, ma di fatto ne possiamo fare solo una. E le altre? Ci innamoriamo di tutte le donne e di tutti gli uomini, vorremmo passare la vita con ognuno, perché ognuno ha qualcosa che un altro non ha.
Chi incontra Cristo vede la possibilità di pienezza in tutte le cose, in tutti gli affetti, in tutte le persone e si accorge che il tempo è breve, breve, breve. Passa velocemente e non hai fatto tutto, non hai conosciuto tutto, vorresti leggere tutti i libri del mondo e viaggiare dappertutto, superare le galassie e non hai tempo. La vita è breve, breve, si abbrevia tutto, sì imbroglia, si ammaina tutto.
E capisci che questa vita non basterà per approfondire quel che hai incontrato, che è insondabile, un pozzo senza fondo e ti comincia a urgere il desiderio dell’eternità.
Capisci che, se non ci fosse la Resurrezione e l’eternità, la vita sarebbe una disperazione.
È disperante incontrare la pienezza di Cristo e avere una vita che, se ti va bene, arrivi fino a 90 anni e poi arriva l’alzhaimer.
E non puoi più, non puoi più!
Ti serve l’eternità, per comprendere. Non desideri un’altra vita, desideri riempire questa il più possibile.
Quando sarà ora c’è l’eternità, ma adesso vuoi vivere fino infondo questa e ti cambia il modo di vivere questa.

Primo: non hai più la noia ed i passatempi. Chi si annoia e chi ha il problema di far passare il tempo non ha incontrato, non ha riconosciuto la pienezza di Cristo, quello che riempie il tempo.

Secondo: tutte le cose cambiano di aspetto. Non sono più assolutizzate, ma vengono relativizzate. Non vuol dire banalizzate, scontate. Relativo vuol dire messo in relazione con l’unica pienezza. Cambia tutto.
Per cui quelli che hanno moglie come se non l’avessero, quello che piangono come se non piangessero, quelli che sono ricchi come se non lo fossero, quelli che usano di questo mondo come se non… È tutto: “come se non”.
Non vuol dire che è banale sposarsi, è banale avere i soldi, è banale avere la salute.
Non dice: banale, Dice: relativo, cioè viene messo “in relazione a”.
Senza Cristo il matrimonio è poco più di una telenovela nel mondo di oggi. È tutto piccolo, tutto piccolo e sempre mezzo vuoto.
Con Cristo – non dico che non voglio amare l’altro, non è così, ma quello che dà pienezza non è che sia la più bella del mondo, ma che possa essere colmata di quella pienezza, che tu la possa mettere in relazione con Cristo.
Allora tutto diventa grande, cambia la parola “tempo”.
San Paolo smetterà di usare la parola Κρόνος, che vuol dire tempo vuoto, e userà la parola καιρὸς, che è invece un aggettivo sostantivato che vuol dire “occasione propizia, favorevole, possibilità di avventura”.
Ogni cosa piccola che sarebbe banale senza Cristo diventa la possibilità di un’avventura, di andare incontro alla pienezza.
Non c’è più nulla che sia banale. Il tempo diventa occasione propizia, opportunità di avventura: questa è la traduzione giusta.
E allora si capisce perché chi Lo incontra, chi incontra il baluginare di questa pienezza…come quei quattro fratelli sulla spiaggia del lago, che abbiamo visto alcuni di noi due settimane, che appena intuirono vibrare nella voce e nello sguardo di quell’uomo che gli aveva detto ”seguitemi, vi farò pescatori di uomini”, anch’essi lasciarono il padre Zebedeo e la barca con i garzoni e andarono via con lui. Era la scelta più ragionevole che potevano fare per aver visto quella pienezza. Se togliete quella pienezza, seguire Gesù sarebbe stata un’alienazione, come seguire un idolo come un altro. Sì, un uomo buono, ma se non avessero visto in Lui la pienezza del tempo era una religione come tante altre il cristianesimo.
Non sarebbe stata l’avventura che stamattina ancora fa vibrare la nostra voce, il nostro cuore, e che ci porta qui.

[22/01/2018, 19:30:32] Frankie: *Omelia 22 gennaio 2018*

“E’ posseduto da belzebù, scaccia i demoni”, “Come può Satana scacciare Satana?”, “Posseduto da uno spirito impuro”

C’è un arrembaggio terribile descritto dal vangelo di Marco all’arrivo di Gesù. Dovunque arriva compare un indemoniato, si innesca lo scontro con Satana, con questo potere tremendo che è stato prevalentemente nascosto; ma all’arrivo di Gesù – Marco lo descrive più potentemente di ogni altro Evangelista – ci si rende conto che c’è dentro al mondo un male più grande dell’uomo, più potente dell’uomo, da cui l’uomo non si può liberare, da cui l’uomo deve essere liberato. L’uomo è un essere che deve essere liberato dal male e non si può liberare da solo. C’è un essere più potente, maligno che fa guerra agli uomini. L’ultima frase del Padre Nostro grida “Ma liberaci dal male”, tradotto un po’ così perché c’è από του πονηρού (apò tou poneroù): dal maligno, da un essere misterioso, potente, feroce che impedisce all’uomo di essere se stesso. Come?

È uno spirito impuro: non domina l’essere dell’uomo e la sua libertà, questa è una fiction dei film di Hollywood, l’Esorcista è una stupidaggine…Non c’è la possessione della libertà, l’uomo resta sempre libero, è creatura di Dio. È che domina la mente, è lo spirito che diventa impuro, menzognero, confuso. Questo potere del male non può togliere all’uomo la libertà, che è sempre creatura di Dio e può sempre affidarsi a Dio; ma gli può confondere la mente, in modo tale che spesso nei vangeli è difficile capire il confine tra il potere del demonio e la pazzia, perché è proprio di una confusione della mente. È lo spirito che diventa impuro cioè confuso, mette in confusione l’uomo, distraendolo su mille falsi problemi, incentrandolo su mille cose secondarie, purché l’uomo non si concentri sull’Essenziale, sposta sempre il centro. Io passo la vita a smontare migliaia di falsi problemi nella testa della gente, è un lavoro fondamentalmente per riportare l’uomo al vero. Infatti la prima opera di Gesù è la verità: “Se seguirete me, conoscerete la verità, la verità vi farà liberi”. La liberazione dell’uomo comincia, con Cristo e con la Chiesa, con la coscienza della verità, nel fare chiarezza nella mente, nel mettere al centro il centro ed ogni cosa al suo posto. Questo è l’inizio della liberazione.

La fede cristiana ha come primo passo la chiarezza del pensiero, la conoscenza del vero. Gli aiuti più preziosi che la Chiesa dà all’uomo sono gli strumenti per la conoscenza della verità, per rendere di nuovo puro il pensiero, pura la mente, perché l’uomo sappia chi è, di cosa ha bisogno e da chi dipende. Il dono più prezioso che la Chiesa fa all’uomo innanzitutto è questo. La nostra è una fede razionale che ha come primo passo la conoscenza. Una volta un uomo mi disse: “ma allora tu credi molto in Dio”, gli ho detto: “No, io non credo in Dio, io conosco Dio. È per questo è ragionevole che io affidi tutta la vita a Lui”. La fede cristiana non è innanzitutto fiducia in Dio, è conoscenza in Dio, per cui può diventare fiducia pienamente ragionevole.
Siamo amici se ci aiutiamo a conoscere il Vero, innanzitutto.

[23/01/2018, 12:28:01] Frankie: Omelia 23 gennaio

“Tua madre, i tuoi fratelli le tue sorelle…”
I legami naturali, ciò che abbiamo di più naturalmente di più potente, di più intenso. E, quando questi funzionano, ci sembra di essere in Paradiso, non desideriamo altro. È questo il nostro dramma: che non desideriamo altro.
Ma quel giorno, quando andarono la madre, i fratelli e le sorelle, i parenti stretti, a richiamarLo, che aveva trascurato i legami naturali, a richiamarLo alla cosa più cara che avevano – addirittura avevano detto, lo racconta un altro evangelista, mi pare Luca,
οἱ παρ’ αὐτοῦ ἔλεγον: ὅτι ἐξέστη, “è andato un po’ fuori di testa”, perché uno che disprezza, che trascura i legami naturali…dicono: “Sei fuori? cosa ti succede? Ti sei perso?” Ecco, andavano a dire che si era un po’ perso – di schianto Lui: “Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli?”
E guarda quelli che sono lì intorno assiepati: “Son questi!“, coi quali non c’era legame di sangue, non c’era affetto, non c’era innamoramento, non c’era consuetudine, vicinanza di alcun tipo, non erano del Suo paese, parlavano altri dialetti, erano stranieri.
Ha sfondato, in quel momento, la cosa più sacra naturalmente, sconcertando i Suoi, sconcertando tutti. Ha mostrato dei legami affettivi più potenti, più intensi, più teneri, soprattutto più liberanti, che fanno respirare, senza complicazioni, cosa invece da cui non sono mai esenti i legami naturali. Fragili, precari e, spesso, complicati, che tolgono ossigeno.
Che cos’è questa nuova familiarità, questa nuova affezione che prende quella folla, per cui Lui può sfidare Sua madre e i Suoi? Che cos’è questo legame nuovo che ha portato nel mondo, di cui faccio esperienza continuamente? Come nasce?

“Chi fa la volontà di Dio, questo è per me fratello, sorella e madre.”
Nasce da chi fa la volontà di Dio, da chi non si arresta alla volontà naturale, agli obiettivi naturali. Chi accetta la sfida della volontà di Dio.
Ma qui casca l’asino, perché nel nostro linguaggio fare la volontà di Dio ha un significato morale, vuol dire osservare delle regole morali, osservare la legge di Dio, i dieci comandamenti, se non peggio.
No! La volontà di Dio non è una legge morale, non sono delle regole di comportamento, non è questa la volontà…questa è la volontà del Dio innocuo, del Dio delle religioni che si immaginano che il massimo è quello.
La volontà di quello che Dio vuole per me.
Che cosa è quello che Dio vuole per me? Non quello che vuole da me, Dio da me non vuole niente, mi dà tutto Lui, che cosa vuole per me? Che cosa desidera? Perché mi ha voluto? Perché è venuto dentro il mondo a morirci? Per che cosa?

“Son venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.
Sono venuto “propter nos homines et propter nostram salutem”, è venuto per noi uomini e per il nostro compimento umano!
La volontà di Dio è la mia realizzazione umana, la gloria di Dio è l’uomo vivente!
Dio vuole che io realizzi me stesso, la mia grandezza umana, che io scopra la bellezza e la grandezza per cui Lui mi ha immaginato, che io realizzi quel raggio di divinità che ha messo dentro la mia unicità: Dio vuole questo.
Io posso vivere questo legame più potente con te, se prima lo vivo con me stesso. Se voglio veramente bene a me, se voglio il mio bene, la mia grandezza, allora la voglio anche per te, ti guardo e ti amo fino a scoprire perché tu sei al mondo.
Ma se non amo me stesso, se non cerco la mia realizzazione umana, non cercherò neanche la tua.
Questa è la volontà di Dio, che frantuma di schianto tutto il moralismo, il bigottismo, il sentimentalismo, l’egoismo, a cui abbiamo ridotto in modo patologico la fede cristiana.
Per chi è questa grandezza?
Chi può fare esperienza di questo nuovo tipo di affezione che il mondo non conosce, liberante, che fa respirare?

“Ti rendo lode, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno”
Questa cosa la possono scoprire solo i piccoli, quelli che si sentono piccoli, che hanno un desiderio grande e sono piccoli rispetto al loro desiderio, che prendono sul serio l’urgenza della grandezza, quindi che si spalancano, che sono disposti a imparare qualcosa di nuovo.
Quelli che si sentono grandi, già arrivati, quelli che si bastano, che bastano a se stessi, affogheranno lentamente nei legami naturali, che sono belli ma sono precari, nascono e muoiono, nascono e muoiono… non respireranno mai l’affezione che ha il sapore dell’Eterno.

[25/01/2018, 11:11:23] Frankie: *Omelia 24 gennaio*

“Sono quelli seminati sul terreno buono”.

È inconsueto ma efficace questo aggettivo, questo attributo degli uomini: “Quelli seminati nel terreno buono”.
Gli uomini sono dei seminati, tutti noi siamo seminati nel mondo. Collocati dentro il terreno del mondo, ognuno è un seme seminato, ha una potenzialità di fiorire, una bellezza. E la potenzialità di un frutto: una utilità per il mondo, una grandezza.
Tutti siamo seminati, ma in tantissime facce tu vedi che il seme non ha portato nè fiori, nè bellezza, nè frutti, nè utilità, nè cambiamento del mondo, perché il terreno non era adeguato e non dipende da noi dove siamo seminati, ci è dato.
Siamo seminati in un posto in cui passiamo essere più fecondi, in un altro di meno: è dato. È misterioso! L’intelligenza è data, c’è chi nasce scemo e chi nasce intelligente; la salute è data: chi è cagionevole e chi arriva fino alla vecchiaia; la ricchezza, la società, la famiglia, il clima, tutto ci è dato.
Noi non sappiamo perché ci è dato un terreno o un altro, ma questo è secondario, perché quello è soltanto Il coefficiente. Quello che fa la differenza, che quel seme porti il 30, il 60 o il 100 per uno, non dipende dal terreno in cui sei seminato, quello è come in un monomio il coefficiente: un valore dato.
Ma quel che fa la differenza…tutta la differenza la fa la “x”, la fa l’incognita, perché il gap lo colma l’incognita che è la tua libertà.

Quelli che ascoltano e accolgono portano frutto: io posso avere coefficiente 0,0001, un minimo, posso avere solo un neurone che mi funziona, ma io posso domandare tutto! Posso domandare l’infinito!
Quindi non c’entra niente in quale terreno sono seminato, quello che conta è la potenza della “x”, è la potenza della mia domanda!
Questa è la grandezza che il
Cristianesimo ha svelato nel mondo: sono così poche le culture che stimano così tanto la “x” della libertà.

L’uomo può sempre domandare tutto e colma la differenza e Dio compie quell’uomo, lo comincia a compiere già in questo mondo.

Pensate che densità ha l‘istante di un uomo consapevole di questo: in ogni istante io decido la mia grandezza infinita o la mia meschinità.
Il peso dell’istante è la la cosa più da brivido, che può far venire l’angoscia, ma è la cosa più grande che io possa, in ogni istante, disegnare il mio volto eterno.

[25/01/2018, 16:51:07] Frankie: *Omelia 25 gennaio 2018*

Oggi è la conversione di San Paolo.
Una rivoluzione nei primi anni della storia cristiana. Che differenza c’è tra la conversione di Paolo e quella degli altri dodici apostoli? La conversione degli altri è diretta, incontrano direttamente Gesù, conoscono i fatti, le opere miracolose che fanno dire a loro: “Tu sei il Figlio di Dio”. Si attaccano a quei fatti con entusiasmo, con affezione totale, ma sono attaccati ai fatti, alla Sua persona, spesso in un modo ottuso, parziale, non hanno una coscienza chiara e totale. Il povero Pietro dirà: “Dove vado, se vado via di qua?” e tante volte non capisce, si fa dire: “vade retro, Satana”; “rimetti la spada nel fodero”, “scendiamo a valle per poi fare tre capanne sul Tabor”. Loro sono attaccati alla superficie, al segno, ma non hanno la coscienza di Paolo. Paolo, invece, fa un incontro indiretto, non incontra direttamente Gesù, non incontra i fatti della vita di Gesù, non incontra Gesù vivo, ma Gesù dopo alcuni anni che era morto, incontra Gesù risorto, nel segno folgorante di Damasco, e va di schianto alla profondità, è immediatamente di fronte a Gesù risorto. La differenza è che loro sono attaccati ai fatti, al segno, lui va direttamente al significato. E’ fortunato: buca di schianto l’apparenza, raggiunge la coscienza piena e profonda. La differenza fra gli altri e Paolo è tutta qui: è come se la conoscenza… loro descrivono i fatti, come se il Mistero fosse dentro un immenso.zip, no? i dati compressi; Paolo, di schianto “I agree” e fa esplodere lo .zip e si guarda il fondo di ogni file. E ha una coscienza che dà un peso folgorante ed esplosivo alle sue parole, per cui quando parla Paolo tu sei davanti a Dio immediatamente, non c’è indugio sul segno, non c’è superficialità. Di fronte a Paolo c’è sempre una strada, di fronte agli altri prima o poi c’è un vicolo cieco: non si può più procedere. Loro stanno sui fatti, lui ha coscienza della portata dei fatti. Le parole di Paolo fanno vibrare, sono dense, sono grandi, sono drammatiche. Infatti io non sopporto, per favore, non fate mai leggere le letture di Paolo (quando celebro la messa io) a un ragazzino. Io non sopporto, perchè il ragazzino, non avendo capacità drammatica, banalizza tutto: è insopportabile che un bambino o anche un ragazzino delle medie legga le parole di Paolo, le distrugge. Ci vuole un adulto, che abbia la coscienza della drammaticità della vita. Che cosa è che fa passare dal segno al significato, dalla superficie alla profondità, dai fatti alla coscienza dei fatti, alla portata dei fatti? In Paolo la fede diventa cultura, cioè la capacità di illuminare la realtà intera. Per Paolo fu quella scappatina a Damasco quel giorno.
Ogni mattina, ognuno di voi, ogni giorno, deve fare una scappata a Damasco, deve sapere cosa gli fa bucare l’apparenza, cosa lo fa passare dalla superficie alla profondità, cosa gli dà coscienza.
Non ditemi che io ve lo dica, perché non ho la ricetta. Nella mia vita ci sono state tante cose, di tanto in tanto c’era un punto che mi folgorava, che mi faceva andare in fondo. Io per la mia vita lo so che cosa è stato Damasco.
Ogni giorno, ognuno di voi lo deve sapere. Voi sapete benissimo quando c’è stato un approfondimento, un lampo: che cosa è? Di cosa si serve Cristo risorto, per folgorarvi, come ha fatto con Paolo a Damasco? Ed è interessante se nel dialogo tra noi ci aiutiamo a capire che cosa è Damasco per noi.

[26/01/2018, 18:02:16] Frankie: Omelia 26 gennaio

“Non portate borsa ne sacca ne sandali”.
Non portate niente, non portate cose, non servono le cose per il vostro compito, serve la vostra umanità trasfigurata dalla Mia. La missione non ha degli strumenti, non ha bisogno di strumenti.
Lo strumento missionario più efficace e suggestivo è l’umanità del missionario stesso.
Questa è la povertà cristiana: non è non avere cose, ma non puntare su quelle cose per realizzare il nostro compito. Quello che colpisce il cuore è un uomo cambiato, che può esprimersi sia attraverso le cose, ma le cose sono degli strumenti. Questa è la libertà fondamentale che lui aveva! Solo se è così, nessuno vi potrà mai impedire di realizzare il vostro compito e la vostra grandezza nel mondo. Le cose ve le possono togliere tutte ma la vostra umanità…no! Disse un dissidente in Siberia mentre gli facevano l’ultima perquisizione, per fargli fare il lager, gli avevano tolto tutto, completamente denudato, ispezionato, gli chiesero se avesse ancora qualcosa di prezioso, e lui disse: “sì, ho la mia anima, ma questa scovatela se ci riuscite! Perché è con quella Io continuerò il mio compito dentro il lager!” E fu così. Questo è un uomo libero. Proprio perché è povero che ha come unico strumento se stesso. Lo devono ammazzare, ma ammazzandolo scome Gesù non fanno che schizzare fuori la sua anima, quella è il Volto di Cristo! E, allora, un uomo così non passa “di casa in casa”, non ha il problema della quantità degli adepti, va a fondo con il prima che trova disponibile. Comunica il suo tesoro a quella persona, e se quella lo accoglie, e ci va in fondo, ci penserà lui ad evangelizzare i villaggi, ad evangelizzare il mondo.
Ed è libero anche dal risultato: se accolgono bene, se non accolgono non insiste, scuote la polvere dai sandali e cambia, perché a Dio interessa soltanto un sì libero, un sì costretto, un sì forzato, non converte nessuno, non convince nessuno. Dio è discreto, propone, ma non insiste, poi, la prossima volta che ripassa busserà ancora! Non ha bisogno di insistere: suggerisce, propone, poi lascia lo spazio all’altro che possa dire un sì libero o un no altrettanto libero e drammatico. Questa è la sfida che oggi Gesù ci lancia.
Come Paolo, che lanció i suoi amici Tito e Timoteo, che celebriamo oggi, nella storia. La sfida cristiana procede così è l’unico modo libero di procedere.

[29/01/2018, 09:13:50] Frankie: Omelia di oggi

“Erano stupiti, insegnava loro come uno che ha autorità non come gli scribi”.

ἐξουσίαν non vuol dire un autoritarismo; ἐξουσία è l’Essere, la potenza, il fuoco dell’Essere.
Vuol dire che ogni parola che diceva era piena della potenza del fuoco del Suo Essere.
Ogni gesto svelava quello che aveva in cuore: la luce, l’amore, la forza, l’energia.
Svelava chi Lui era e svelava anche quelli che aveva di fronte. C’era tanta luce dentro di Lui che faceva luce anche nel cuore degli altri, gli faceva come un’ecografia, gli faceva vedere cosa avevano dentro. C’era un fuoco che li attizzava, li costringeva a smascherarsi. Ecco!

Svelava e smascherava il proprio cuore e quello degli altri. Uno sentendoLo parlare, vedendo come guardava e come faceva, incontrava Lui, ma incontrava anche se stesso. Toglieva il coperchio dalla pentola del cuore e ognuno doveva dire cosa aveva dentro: quello che voleva e quello che non voleva. Li metteva tutti a nudo, tanto che lo spirito impuro, lo spirito della menzogna, della confusione, il fariseo, quello che bara, quello in cui parole e cuore non coincidono, quello mascherato, veniva svelato, veniva messo a nudo, faceva a tutti una radiografia e dovevano dire quello che avevano in mente.
Quest’uomo, che viveva di menzogna per un pensiero impuro, falso, dice: “Che vuoi da me Gesù Nazzareno? Sei venuto a rovinarci?” Vero! Era venuto a rovinare la menzogna, a smascherare la menzogna, l’impurità del pensiero e delle intenzioni.
“Io so Chi tu sei”, ma così so anche chi sono io. E devo prendere posizione e devo dire: “Vai via, sei venuto a rovinarci? Non ti voglio.”
Di fronte a Lui ogni uomo, mentre incontrava Lui, incontrava se stesso e doveva prendere posizione, schierarsi.
Di fronte ad un uomo che parla con autorità non c’è posto per i simpatizzanti, quelli che stanno sempre un po’ a metà, “dipende”, “bisogna vedere”: o pro o contro.

Questo spirito impuro si rivela contro, da quel giorno la sua vita sarà in preda a Lui, ma Uno come Saulo, nell’attimo in cui diventa Paulo, si rende conto che, se dice di sì a quell’Uomo, scompaiono le “preoccupazioni”. Non è tradotto benissimo. ἀμερίμνους, vuol dire – non le “preoccupazioni”, quelle ci sono nella vita: uno ha mille cose che lo occupano da mattina a sera – ma vuole dire le ansie, i lacci, i laccioli, gli stress, i freni.
Ecco! Lui sta parlando ai Corinzi e gli fanno pena, perché sono lì ossessionati da mille cose. Erano tipi vivaci, interessanti, curiosi di tutto, si buttavano su tutto, ma si disperdevano in mille cose, e sprecavano energie, tempo dietro mille cose secondarie e, alla fine, erano frenati da quelle mille cose, ansiati (si direbbe con un neologismo oggi), frenati.
Non si muovevano più, sprecavano la loro bellissima vitalità inchiodati, incollati alle mille cose secondarie.
E lui dice: “Vorrei che foste senza queste preoccupazioni, queste ansie e questi freni”. E poi non c’è il “vorrei” ma c’è Θέλω: “voglio” che voi viviate senza, che abbiate la possibilità di vivere…prima dice “liberi da queste cose”, poi è un po’ patetico Paolo, incomincia dire: la donna sposata deve sempre obbedire e piacere al marito ed è ricattata se piace o no al marito, e quindi non è più libera. Allora dice: facciamo la single, ma la single non ha il marito, solo che poi però va un po’ con tutti e allora si disperde e non va bene. Facciamo…quella ricca: è preoccupata per i soldi! Quella povera: è preoccupata perché non ha i soldi!
E alla fine capisce che non si possono eliminare le preoccupazioni, queste cose qui, i freni, le ansie e tutte queste cose che ti inchiodano: non si possono eliminare!
Poi guarda se stesso e dice: “Ma io…se ci penso bene, Cristo a me non mi ha tolto tutti questi freni, li ho ancora tutti: ho mille cose che anche a me mi frenerebbero e mi bloccherebbero.
Cristo non mi ha liberato da queste preoccupazione, da queste ansie e da questi freni, ma mi ha liberato in queste preoccupazioni, in queste ansie e in queste freni.
Perché il freno….nell’automobile ci sono due freni: quello guidato dal pedale, per quando si va, e quello a mano, che si chiama di stazionamento, che serve a tenere buona la macchina quando staziona, quando non va. Cristo non è venuto a togliere il freno a mano, glielo lascia lì. Ma a Paolo, Cristo gli ha messo il turbo nel motore! E quando vai ai 190 con il turbo puoi tirare il freno a mano finché vuoi, ma si brucia il freno a mano! Cristo non ti toglie il freno a mano, te lo brucia! Resta il freno bruciato, non frena più, ma non ti serve che freni perché serve solo per quelli che stazionano, per i pigri, per quelli che hanno come ideale il comodo.
Il cristiano è un uomo che va, che corre, che va e che corre, che balla, che canta: è l’uomo più dinamico che esista! Il freno a mano Cristo te lo brucia con il turbo tanto non ti serve più, resta tutto, tutte le nostre ansie.
Se sei sposata hai certo problemi, se sei single nei hai degli altri, se sei malato ne hai certi, se stai bene ne hai degli altri: ne hai sempre! Restano tutti i freni del mondo ma sono bruciati.
Resta tutto ma non ti frena più niente. E continui ad andare e a correre.
Questa è l’esperienza cristiana, questa è la libertà non tanto dalle, ma nelle preoccupazioni.

Chi può fare questa esperienza? Per chi è questa esperienza?
Quando Gesù entrò nella sinagoga di Cafarnao tutti – non traduce bene – dice “erano stupiti dal suo insegnamento”, non c’è stupiti, c’è ἐξεπλήσσοντο, vuol dire colpire, percuotere.
Erano percossi da una Bellezza tale, che gli faceva saltare il coperchio. ἐξεπλήσσοντο, come un pugno nello stomaco che fa venire fuori tutto.
Sei talmente colpito che saltano i coperchi!
Per quelli che si lasciavano colpire, che lasciavano entrare la bellezza di Cristo al punto tale che il cuore esplodeva. Un colpo che ti fa esplodere il cuore. Ecco! Di fronte a Cristo accade questo, però bisogna essere disposti ad accusare quel colpo, a lasciarsi colpire tanto dalla Sua bellezza che anche tu cominci a parlare con autorità.
Perché tu puoi decidere, come Paolo, di accusare il colpo di quella Bellezza e di esplodere, o puoi decidere, come quell’uomo dallo spirito immondo ed impuro, che invece si chiude e dichiara guerra a Cristo: “Sei venuto a rovinarci”, che c’entro io con te?

Ogni istante noi decidiamo, di fronte allo splendore di quell’uomo che parla con autorità, se fare come lo spirito immondo o accusare il colpo, ἐξεπλήσσοντο.

[29/01/2018, 11:01:38] Frankie: “Colui che era stato indemoniato Lo supplicava mentre saliva sulla barca di poter stare con Lui”

Cosa c’è, che cosa di più bello poteva domandare quel pover uomo?
Stare con Lui era il massimo, anzi, il rimprovero che Lui stesso aveva fatto a un uomo, ai nove lebbrosi guariti, è che si erano accontentati della salute e non erano tornati da Lui.
Quante volte il massimo è stare con Gesù, com’era bello 2000 anni fa stare sempre con Gesù!

“Non glielo permise” perché voleva che capisse veramente chi era Gesù.
Non si capisce chi è Gesù stando sempre con Gesù. Gli stessi apostoli furono chiamati perché stessero con Lui e poi per mandarli. Per capire chi è Gesù non bisogna stare sempre con Gesù, a guardare Gesù.
Non si capisce niente, perché Gesù è un risposta ad una domanda.
Se non stai con la domanda, non vai infondo alla domanda non capisci la risposta.
Diventa una cosa stucchevole, inconcludente, che non corrisponde più a niente.
Per capire Gesù bisogna stare dentro il mondo, stare con chi non Lo conosce, bisogna andare in missione, e allora dentro il mondo tu trovi mille frammenti della verità di Gesù e dici: “Ma che bella questa cosa vista con gli occhi di Gesù! Questi qui la sprecano!”
E poi trovi tante tracce della mancanza di Gesù e vedi che disperazione è la vita, che pena, che squallore diventa la vita senza Gesù. E allora ti innamori veramente di Gesù!
Per capire Gesù non c’è bisogno di starci sempre. Ci stai in quel momento per guardarLo in faccia e poi devi stare dentro il mondo a cercare Gesù. Questa è la sfida cristiana. Solo che per capire questo bisogna avere un animo non meschino.

“Un grande profeta è sorto tra noi”
Ma tu desideri un grande profeta o un piccolo profeta concepito da te, a tua misura?
Come quelli che hanno visto il miracolo della guarigione dell’indemoniato, mentre lui dice: “Vorrei sempre stare con Te”, dicono: “Vattene da altre parti perché a star con Te poi ci rimettiamo duemila prosciutti, non va bene!”

[31/01/2018, 10:51:38] Frankie: *omelia 30 gennaio 2018*

Se riesce può toccare il Suo mantello.
“Chi mi ha toccato?”

La fede è un toccare, non è un pensare, è toccare una cosa che porta in sé il Mistero e Gesù non rimprovera la donna di averLo toccato, ma la avverte: “Hai toccato veramente? Hai toccato fino in fondo? La tua fede ti ha salvata”.
Tu ti salvi, cambi vita, se non ti fermi alla superficie, se non tocchi appena il mantello, o la pelle, ma se tocchi il fondo del mantello, il fondo del mio corpo, il Mistero che mi fa in questo istante. La fede Cristiana è una fede affettiva, non è mai una fede del distacco. Il distacco non è cristiano.
La fede cristiana è toccare fino al fondo di quella cosa, fino al Mistero che la fa e che è presente in quella cosa, in quella persona.
Non è mai una fede arida, la fede del sacrificio, la fede della rinuncia… è toccare fino in fondo. Se tu, mentre tocchi, non riconosci il Mistero, non dici di “sì” al Mistero, non è vero che tocchi, non è vero che guardi. Questo è il richiamo di Gesù, tanto che: “raccomandò con insistenza che nessuno venisse a saperlo”, perché glielo vedevano in faccia. Questi si fissavano solo sulla superficie, sul mantello, sul corpo; al massimo erano interessati alla guarigione e alla salute. Ma nelle facce non c’era la ricerca del Mistero.
Si sarebbero fermate alla superficie. Ci voleva la pazienza di manifestargli il volto e il corpo trasfigurato di persone miracolate, di persone che avessero toccato ma toccato fino in fondo, che fossero cambiate ma cambiate non appena nel corpo, cambiate nell’io, che avessero coscienza di essere del Mistero. È soltanto il rapporto, lo sguardo, io toccare queste persone, toccarle e guardarle fino in fondo, che ti fa incontrare Dio.

[01/02/2018, 18:52:37] Frankie: Omelia di oggi

“Davide ordinò a Salomone, suo figlio”

Il grande re Davide, trentatré anni di regno, Salomone, il saggio: “Io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra”. Ma che tristezza, ma che fede è quella ebraica! Su questo punto cade, poco o tanto come le altre religioni: “Me ne vado per la strada dei miei padri”, cioè, vado al cimitero e finisce tutto lì. Il suo grande splendore…”vado per la strada dei miei padri”.
È una fede che non conosce la resurrezione. Si rassegna a considerare la morte come un fatto normale, come se corrispondesse, come se non ci fosse niente da fare.

“Tu, Signore, domini tutto.”
È un salmo fatto da Salomone, ma non si rende conto Salomone che dice una cosa sacrosanta, ma Davide non ne coglie la portata.
“Domini tutto”, ma di fatto domini tutto fuorché la morte. Da un Dio così la morte non è dominata, la morte continua a vincere e tutte le cose grandi fatte da Davide e poi da Salomone e tutti gli altri finiscono nel cimitero.
Com’è triste uno sguardo sulla vita che si rassegna alla morte, che dà per scontato che con la morte finisce tutto, che alla morte non c’è rimedio, che Dio c’è, domina tutto, ma non domina la morte. Che tristezza, che struggimento, eppure la fede ebraica è la fede più grande che c’è tra tutte le religioni, è quella su cui si è potuto innestare il Cristianesimo!
Ma alla fede ebraica manca l’idea della immortalità dell’anima e l’idea della resurrezione!
C’è una promessa, ogni tanto la riaffermavano ma non ne coglievano la portata.
È come se uno avesse ricevuto un regalo, non lo apre, come se uno avesse ricevuto un messaggio tutto “zippato” ma non clicca mai, non vede mai cosa c’è dentro.

Ringraziamo Dio che ci abbia chiamati a conoscere, a guardare in faccia il Dio che domina veramente tutto. L’unico Dio che domina tutto è Gesù risorto dal sepolcro e dai morti!

Noi siamo stati scelti per guardarLo in faccia, per conoscere quei fatti, per avere le ragioni di una fede che non perde vibrazioni, che non cede alla malinconia, che non cede allo struggimento, una fede capace di sfidare tutto, perfino la morte.

Il tono del Cristiano è questo, ogni altro tono un po’nostalgico, un po’ malinconico, un po’ decadente, è umanissimo, come era umanissimo Leopardi, come sono umane tutte le religioni, corrisponde alla natura dell’uomo, sì – perché è fatta così e la natura: viene dalla terra e ci ritorna -, ma non corrisponde alla persona.
Non corrisponde a quel punto che grida dentro il cuore della persona: l’eterno, l’eterno, l’eterno.

[02/02/2018, 11:32:05] Frankie: *Omelia 2 febbraio 2017*

“I miei occhi hanno visto la Tua salvezza”

La salvezza si vede con gli occhi, si sente, si tocca, si abbraccia, si può combattere, la si può mettere in croce. Si impone ai sensi.
Ma quello che sconcerta Simeone non è questo, questa era la promessa del popolo ebraico: Dio si sarebbe manifestato, è Colui che si rende presente, ma non sapevano come o avevano un’idea del come.

“Gloria del tuo popolo Israele”

Bellezza, gloria vuol dire bellezza potente, bellezza invadente, totalizzante, vuol dire una bellezza che è come un incubo: ti prende non ti molla più! Ma questa bellezza era per il Suo popolo Israele, il popolo eletto, prediletto, non era per tutti. Non si poteva diventare ebrei, o nasci o non lo diventerai mai. E devi nascere da sangue materno, perché come sempre la paternità non era sempre garantita, almeno la maternità era evidente.
E per gli altri? I popoli, le genti?

“luce per rivelarti”

Una luce che vedi da lontano: gli altri potevano diventare proseliti, mai ebrei. Cioè quelli che accompagnavano a distanza, erano accanto ma non erano mai ebrei; potevano vedere che altri se la godevano, potevano vedere e capire, ma non poteva mai essere un’esperienza di tutti. Loro erano il popolo eletto, prediletto, preferito che di fatto diventava così privilegiato, esclusivo.
Ma Simeone mentre grida questo, deve dire…prima ancora di dire questo deve dire:

“Luce per rivelarti alle genti”

Tu sei una luce che invade anche le genti, che arriva alle genti. Di fatto intuisce che quel privilegio non esisterà più, che quel confine sarà spezzato, che la preferenza del popolo Israele non sarà un privilegio esclusivo, ma sarà una preferenza che si diffonde, che abbraccia, che avvolge tutto. Questo sarà un muro che gli ebrei non riusciranno mai a superare. Lui intravede che siamo sulla soglia di un mondo nuovo, che da quel momento in poi la bellezza, l’esperienza sarà per tutti, perché la soglia di entrata non sarà più la razza per cui non si entra, non sarà la terra, non saranno i sassi, non sarà una legge che prescrive le colombe e le due tortore e tutto il resto, il sacrificio e la circoncisione. Tutto questo sarà frantumato perchè quel Bambino dice guardando Sua Madre: “sarai la prima che ne farai le spese, anche a te una spada trafiggerà l’anima”; perché Lui sarà segno di contraddizione, di fronte a Lui gli uomini si contraddiranno. O meglio, smaschereranno le loro contraddizioni, e Lui svelerà i segreti e i pensieri dei cuori, farà luce dentro, come l’ecografia; e ogni uomo non potrà più nascondersi, sarà nudo davanti a Lui. Si vedrà che cosa ha nel cuore e che cosa vuole, se vuole il bene o se vuole il male, se vuole stare con Lui o contro di Lui. Costringerà gli uomini a manifestare sé stessi, a prendere posizione. Li costringerà ad essere liberi paradossalmente. Paradossalmente, perché non si può costringere uno, però di fatto li metterà nelle condizioni di prendere posizione: saranno o devoti a Lui, dediti a Lui con tutta la vita, gloria Sua nel mondo, oppure saranno suoi nemici. Di fronte a Lui si scateneranno le persecuzioni, di fronte a Gesù si scatenerà “l’Osanna” e il “Crucifige!”, negli stessi giorni, nello stesso momento.
Noi siamo stati scelti non per essere il popolo prediletto nel senso di privilegiato, ma per conoscerLo per primi e per portare la Sua sfida dentro il mondo, perché dove arriviamo noi si svelino i segreti e i pensieri dei cuori e ogni uomo capisca chi è e decida chi vuole essere davanti a Lui.

[05/02/2018, 08:56:28] Frankie: *Omelia del 04 febbraio*

“Giobbe disse: l’uomo non compie un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli di un mercenario?”

Il combattente di mestiere, il mercenario. L’uomo per il quale vivere coincide con combattere: se non combatte, muore, almeno di fame.
“Militia est”, traduce efficacemente Girolamo nella Vulgata, “vita hominis super terram”: “La vita dell’uomo sulla terra è guerra.” Vivere coincide con combattere. Il mercenario se non combatte muore, se smette di combattere, smette di vivere.

La pigrizia, l’inerzia, la tiepidezza nel vivere è un calo di combattività ed è un calo di vita: glielo vedi in faccia quando l’uomo non combatte più per la propria realizzazione umana, perché la battaglia di questo mercenario non è contro, è una battaglia “per”. Non combatte contro nessun infedele, combatte per la propria felicità, per la propria realizzazione umana, perché la felicità è realizzare se stessi, non stare bene! Mi dispiace per il grande neuropsichiatra Andreoli – l’ho visto anche ieri sera in una consulenza televisiva – che disse una volta, in un dibattito sulla felicità, che l’uomo moderno si è liberato dall’idea cristiana della felicità come compimento dell’essere: per l’uomo moderno la felicità è un sentimento dell’essere; se si ottiene il sentimento, anche mediante la chimica, va bene lo stesso.
Eh no! L’uomo, se vuole essere felice, deve combattere!

“Ma perché? Non potrebbe coincidere la vita vera con la vita comoda?” È il sospiro di tutti i pigri del mondo.

No! Oggettivamente non può coincidere per la natura stessa dell’uomo, per due ragioni.

Una di carattere, per l’appunto, naturale: l’uomo è mezza bestia e mezzo dio, diceva Pico della Mirandola. I neuro scienziati l’hanno capito bene: nel cervello umano c’è tutta una zona, la più grande, credo che sia verso il 98%, di neuroni naturali, cioè automatici come quelli degli animali, come delle app installate che si attivano quando la realtà mi sollecita.
Ma c’è, nel cervello umano, qualche cosa che Darwin non poteva sapere e, per questo, non poteva prevedere l’evoluzione: c’è, ma non è come pensava lui, perché nessun cervello animale poteva mai diventare un cervello umano, perché c’è un punto, un grumo di neuroni, tra lo 0,5 e il 2%, che non sono naturali, che non si chiamano neuroni, ma si chiamano “persona”, sono neuroni liberi, che hanno dentro un fuoco che gli altri non hanno.

E il primo fuoco che hanno è il fuoco dell’Eterno.
O, come dice l’ultimo libro della Bibbia, ispirato ormai dall’incontro con la cultura ellenistica, il Cóhelet: “(καί γε σὺν τὸν αἰῶνα) ma l’Eternità (ἔδωκεν ἐν καρδίᾳ αὐτῶν) tu hai posto nel cuore degli uomini”. Nel cuore degli animali c’è la finitezza: si nasce e si muore, primavera, autunno e inverno e finisce lì. Per gli animali morire non è un problema: è naturale. Per gli uomini non è mai stato naturale: anche nella preistoria si trovano i cadaveri sepolti con l’ocra rossa nel cranio, per ritualizzare la morte, perché è drammatica, perché pone un problema.
Il problema dell’Eterno. Traduce la Bibbia: “Hai collocato nel cuore dell’uomo la nozione dell’Eternità”. L’uomo nasce sulla terra, ma è fatto per il cielo!
È Icaro, è Ulisse, è la conquista della luna, è Marte, sono le sonde che vanno oltre il sistema solare: questo è l’uomo!

É inutile meravigliarsi! La guerra è per ascoltare quel grumo di neuroni, che son meno del 3%, ma che gridano l’infinito, che non son fatti per la finitezza, che non son fatti per la terra.

Se l’uomo vuole prendere sul serio tutto di sé, quel vertice di sé che è quel punto del cervello che gli antichi chiamavano “anima”, che vien chiamato “persona”, “coscienza”, “io”, chiamatelo come vi pare: è quel cuore di Matisse, quel punto dove c’è la nozione dell’Eternità.

E per cui, continua il libro di Cóhelet: “καί μὴ εὕρῃ ὁ ἄνθρωπος, ma così l’uomo è inerme, non riesce più a raccapezzarsi su se stesso, ἀπ’ ἀρχῆς καὶ μέχρι τέλους, dal principio alla fine i conti all’uomo non gli tornano più”.

È come, quando studiavo algebra, la scoperta della classe dei numeri irrazionali reali: “p-greco”, la radice di 2, eccetera. Sono numeri reali, ma tu li puoi soltanto approssimare. Esiste la loro misura, ma tu non la puoi sapere! È l’incommensurabilità che l’uomo trova dentro di sé.

Per questo l’uomo di ogni epoca ha dovuto combattere la sua battaglia, ma dentro, non fuori, non è contro, è per quella parte di sé che sarebbe tentato di non ascoltare.

Sono nate anche delle religioni, come i Buddismo, per anestetizzare l’umano; altre per reprimerlo totalmente!

Ma la seconda ragione che rende la battaglia più esasperata, violenta, lacerante è una ragione culturale. Non tutte le culture sono religiose e noi viviamo in una cultura che religiosa non è, che tende a ridurre l’uomo alla terra e raddoppia la fatica, perché oggi, per essere vero, non devi solo lottare contro la natura che hai dentro, che ti vorrebbe imprigionare sulla terra; ma anche sulla società e sulla cultura che hai fuori.

La battaglia è dentro e fuori, perché se vuoi essere vero oggi, ti alzi al mattino e sei già contro corrente! Sei già contro vento: devi navigare di bolina! Contro vento! Perché niente, dentro di te e attorno a te, ti spinge ad essere te: tutto ti spinge a ridurti. Devi lottare!

A volte anche in mezzo agli amici più cari, ti accorgi, li guardi negli occhi, li senti parlare e vedi in volto la vibrazione, che il tono si abbassa, che son mollicci, che tendono ad accontentarsi, che ti danno sempre delle spiegazioni riduttive, tendono sempre a ridurre! Invece che accettare il numero irrazionale reale, non misurabile, tendono ad approssimare, a togliere i dati che ci sono in eccesso. Come in matematica che, quando si fanno i modelli, si deve sempre prevedere lo scarto dei dati spuri: ci son dei dati della realtà che non ci entreranno mai, che se li tieni dentro il modello, il programma non gira: li devi scartare, così decidi tu l’approssimazione, ma non ti disturbano più! Ecco!

Ecco, questa è la doppia battaglia!

Ma come possiamo sostenere questa battaglia senza essere lacerati, senza star male, senza logorarci?

“Cristo ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie.”
Dice il versetto acutissimo, puntuale, quasi chirurgico, ma profondissimo, dell’Alleluia.
Ha preso Lui le nostre infermità: si è caricato di questa lotta.

Da soli soccomberemmo, andiamo sotto, come i sottomarini che esplodono sotto.
Con Lui si può continuamente riemergere, rialzare la testa: la battaglia diventa battaglia degna.
Questa battaglia si chiama santità in linguaggio ecclesiastico, meglio dire la propria realizzazione umana.
Allora ci tocca – come Pietro quella mattina dopo la cenetta fatta la sera prima dalla suocera miracolata: si sveglia, si stropiccia gli occhi e scopre che Gesù non è più lì nel saccopelo, è scappato via prima, in un luogo deserto a pregare, allora lo va a cercare e Gli dice: “Maestro, qui ti cerchiamo tutti” – ecco, bisogna alzarsi al mattino e andare a gridare a Gesù: “Tutti ti cercano, tutti abbiamo bisogno di Te, con Te ce la possiamo fare; senza Te non val più neanche più la pena, forse, alzarsi veramente al mattino”. Con il corpo ci alziamo perché lo stipendio serve, ma con il cuore a volte…il cuore rimane a letto!
Ci son persone che le vedi durante il giorno, son degli automi, degli zombi, ma il cuore è rimasto…non si è svegliato al mattino!

Le amicizie più gustose, più godibili, sono quelle di coloro che si alzano presto al mattino, si mettono sulle tracce di Gesù, gli si attaccano al mantello e Gli dicono: “Vogliamo fare la battaglia con Te”.

[05/02/2018, 12:59:26] Frankie: Omelia

“Nell’arca non c’era nulla se non le due tavole di pietra”

Eppure fanno una festa enorme per intronizzare l’arca. E non c’era niente se non due tavole di pietra con le leggi date da Mosè. Come si fa a ridurre Dio a due tavole di pietra?
Salomone, che era splendido, che sentiva la bellezza come il segno più potente di Dio, diceva: “Non può essere questo, è troppo poco, come si fa a rinchiudere Dio dentro un’arca su due tavole di pietra incise? No!”

“Il Signore ha deciso di abitare nella nube oscura” Ma neanche per sogno!
Cosa viene a fare un Dio che sta in una nube oscura che non vedo in faccia, mi fa paura, è ignoto. Come faccio ad amare un Dio così?
Allora, ecco la genialata di Salomone.

“Ho voluto costruirti una casa eccelsa, un luogo per la tua dimora in eterno.”
E dà ordine di costruire il grande tempio di Gerusalemme.
Scemo, perché Dio non può stare dentro un tempio che Gli costruisci tu. Tutto diventa un idolo. L’uomo non può vivere senza un segno, ma immediatamente quando ha il segno, lo trasforma in un idolo, lo rinchiude in quel segno.
Anche le stesse folle del Vangelo che si gettavano all’arrembaggio per toccare il lembo del mantello di Gesù, rischiavano questo, un rapporto quasi magico. Tanto è vero che alle volte si voltava: “Chi mi ha toccato?” Oppure ai guariti, ai miracolati, proibiva seriamente di non dirlo, di non mettere l’accento sulla guarigione, perché riducevano l’immensità di Dio, la Sua potenza, la Sua salvezza, a un po’ di salute per un po’. Non c’era l’AUSL, gli specialisti, allora sostituiva la mutua. Ma non si può ridurre Dio a questo! Gesù doveva correggerli severamente, eppure avevano un’intenzione buona. Questo è il dramma della nostra vita: per riconoscere Dio ci serve un segno, senza un segno non si può avere rapporto con Dio perché, come dice Dante, l’uomo “da sensato apprende/ ciò che fa poscia d’intelletto degno” evocando San Tommaso che diceva: “Nihil est in intellectu quod prius fuerit in sensu”. Bisogna sempre passare dai sensi, da un segno!
Come si fa ad evitare che il segno diventi un idolo, che invece di spalancarti sul panorama del Mistero, della bellezza infinita, ti impedisca di ridurlo a un idolo, che lo adori e poi ti riduci come lui?

“Sorgi Signore verso il luogo della tua dimora […], non respingere il volto del tuo consacrato”
Bisogna guardare il segno, toccare il segno, e mentre lo guardi, mentre lo tocchi, ti devi inginocchiare, almeno col cuore e gridare: “Sorgi verso questo segno e non respingere il volto del tuo consacrato”. Manifesta il Tuo volto al mio volto, illumina il mio volto, i miei occhi, il mio cuore, perché io Ti riconosca qui. E senza la preghiera tutto diventa idolo, senza segno l’uomo si svuota. La preghiera di fronte ai segni è l’unica salvezza per fare esperienza di Dio.

[06/02/2018, 18:55:16] Frankie: *Omelia di oggi, 6 febbraio 2018*

“Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra?”

A Salomone è venuto il dubbio dopo aver fatto lo splendido e il presuntuoso: “Io farò a Dio una dimora”. Dà un’occhiata e si rende conto che un di Dio che sta lì dentro…che te ne faresti? Capisce che Dio non ci può stare neanche nel suo tempio.
Allarga lo sguardo, guarda la terra intera e dice: “Ma Dio ci può stare in tutta la terra? Ma è proprio vero quello che ci ha promesso, di venire ad abitare sulla terra con noi? Ma sarà vero?
Ma se Dio non può abitare neppure sulla terra, come facciamo ad abitarci noi?
Come faccio a sapere se Dio abita veramente sulla terra? Che criterio devo usare per scoprire qual è la dimora di Dio sulla terra?”
Gli viene un atroce dubbio: che la promessa per cui gli ebrei spendono tutta la vita non sia realizzabile, gli viene lo sgomento al pensiero di dover abitare sulla terra – lui che ne è quasi padrone – se sulla terra non ci abita Dio.
Come fa un uomo a sapere? Come io posso sapere oggi se Dio abita sulla terra? E dov’è la terra in cui Dio abita? Qual è il criterio?

“Quanto sono amabili Signore le tue dimore”

Ecco dove dimora Dio:
dove io trovo una dimora amabile, desiderabile, dove ci sto bene, dove mi sento abbracciato, dove sento, dove trovo la certezza che il mio compimento esiste, perché dove non ci abita Dio non ci posso abitare neppure io.
Ecco dove Dio abita!
Dove io trovo respiro, dove mi sento me stesso, magari affaticato, in croce per mille cose, dove mi sento tutto abbracciato,
dove sento che tutto di me è preso sul serio, che io non devo rinunciare a niente di me!
Chi si può accorgere di questo?
Chiunque ha il potere di sapere questo!
Chiunque di noi sa dove si sente abbracciato, dove ha una dimora, un abbraccio amabile, desiderabile!
Cioè, non tutti.

“L’anima mia anela e desidera […], il mio cuore e la mia carne esultano”

Soltanto gli uomini che prendono sul serio l’anelito del cuore e dell’anima, la brama di questo! Dovrebbero prenderlo sul serio tutti.
Ma che pena! Quanti uomini incontro durante il giorno la cui anima non anela più, non brama più. Uomini che accettano di vivere disagiati, che sopportano il disagio. Non si sentono abbracciati: “tanto, non c’è altro, mi devo accontentare!”
Quelli non si accorgono dove dimora Dio, perché non cercando più la dimora amabile non possono più riconoscere dove abita Dio.
Siamo amici se ci aiutiamo a tener vivo questo anelito, così riconosceremo dove Dio dimora.

[07/02/2018, 10:55:35] Frankie: *Omelia del 07 febbraio 2018*

(STUPENDA)

Non dall’esterno, ma dall’interno del cuore dell’uomo, si decide l’impurità o la purezza, la confusione, la menzogna o la consapevolezza di sè, la possibilità di essere libero, di realizzarti o di perderti. Erano tutti così: “sbaricentrati”. Nessuno era centrato su se stesso, neanche i suoi discepoli che poi lo interrogano. Dice: “Anche voi, anche voi, non siete stati capaci di comprendere”. Stolti, confusi. Cristo entra in un mondo di gente in cui nessuno dice io. Sono come tutti lì appoggiati a qualcosa di esterno, come un bambino sul girello che deve appoggiarsi a qualcosa sennò non sta più in piedi e dipendevano ed erano alienati dalle circostanze, dall’ambiente, dal livello sociale, dal potere, dagli dei, dal destino, dagli astri, da tutto fuorché da se stessi. Nessuno era protagonista, nessuno diceva io, erano tutti schiavi di qualcosa di esterno a sé. La rivoluzione di Gesù è che riporta il baricentro dentro l’uomo, l’uomo sta in piedi. Dice io.

“Le tue parole sono verità”, ti dice la verità di te, ti fa vedere chi sei, ti fa vedere che tu sei come Lui, figlio di Dio, grandissimo, bellissimo come Lui. Ti rende certo che Dio ti compie, che ti puoi affidare a Dio, che Lui i figli non li abbandona, che Dio ha pronto, per ognuno dei suoi figli, la pienezza, l’eternità. E sei libero dalle circostanze… No, ho sbagliato…Non “dalle”, ma “nelle”, Cristo non ti tira fuori! Ti rende libero dentro, perché sei dentro come tutti, ma non come tutti, sei sulla croce e dici: “Padre, nelle Tue mani mi affido”. E il centurione dice: “Ma chi è questo qui? Ma che uomo è? Ma questo è il figlio di Dio! Appunto glielo ha visto in faccia che quell’uomo diceva io e diceva io e diceva Dio, diceva la pienezza. Questo è il cristianesimo, questa è la rivoluzione! Che cosa possiamo fare in questo mondo che è pagano esattamente come quello: tutti sono sempre centrati su altro?

“Consacraci nella verità”, vuol dire immedesimaci, rendici consapevoli della verità, quella che hai tu nel cuore, esattamente come te. Ogni giorno la strada per la libertà è una sola: conoscere la verità di sé, immedesimarci nella verità di noi stessi. Questo ci rende protagonisti. Senza Cristo, tu reagisci all’ambiente, come gli animali, come i dinosauri, che gli sposti le foglie e son fatti fuori, non ci son più. Prima reagisci, come una palla da biliardo che esce con l’angolo di entrata, perché qualcuno ti ha spinto. Dopo agisci, la mossa non viene più di rimbalzo da qualcun’altro o da qualcos’altro, la mossa viene da dentro, sei tu che hai in mano la tua vita e manifesti in quel che fai quel che sei e gli altri ti vedono, ti guardano e sono innamorati, sembra che vedano Dio, perché tu appunto hai coscienza di essere in quell’istante di Dio, tutto suo.

[08/02/2018, 19:23:08] Frankie: Omelia (meravigliosa) 08 febbraio

“Entrato in una casa non voleva che alcuno lo sapesse.”

Perché tutti Lo cercavano e volevano che dicesse – sopratutto che facesse – mille cose, che diceva, che faceva sempre col cuore, con tutto se stesso. Non si risparmia. Ma perché continuamente si nasconde? Al mattino, prima dell’alba, o la sera, o in questo momento, che è sconfinato, è andato all’estero, l’unica volta, a Tiro, in Libano, un attimo di rifugio. Rifugiarsi da che? Perché? Cosa c’era di più importante del dire e del fare? Cosa va a fare che non vuole la folla?

“Accogliete con docilità la parola seminata.”

Doveva accogliere con docilità una Parola, non la parola della gente, non le parole che diceva Lui. La parola del Mistero che Lo faceva, del Padre che Lo faceva. Doveva alimentarsi, conoscersi, lasciarsi colmare dal Padre, perché un uomo non è ciò che dice, ciò che fa. L’idea americana è che l’uomo è ciò che fa. Un uomo è ciò che conosce e ciò che ama, ciò da cui si lascia colmare, ciò che lui assapora continuamente, è questo, e lì c’è il segreto di un uomo. Ciò che fa esprime questo – se questo c’è. Ma se il cuore è vuoto, che cosa fa e che cosa dice?
Era il bisogno di alimentarsi, continuamente, giorno e notte, che Lui aveva. Era lì che c’era il Suo segreto.

Come un lago che deve avere non solo l’emissario, ma anche l’immissario, se no si svuota immediatamente. Questa era la Sua grandezza. Per capire un uomo devi capire ciò che lui capisce, conoscere ciò che lui conosce, amare ciò lui ama, lasciarti riempire da ciò che riempie lui, il resto è una conseguenza inesorabile. Tanto è vero che subito dopo Lui non voleva che alcuno sapesse, ma non poteva restare nascosto, perché un uomo che è pieno di verità, di amore, di bellezza, di gioia, che è pieno, che è compiuto, lo scovano… Si può nascondere finché vuole, basta che ci sia, annusano la sua presenza e lo trovano. L’hanno sempre trovato. L’hanno sempre trovato: perfino nel sepolcro un uomo così attira. Andarono le donne al mattino perché anche il suo cadavere attraeva, anche il suo cadavere parlava. _Mortuus_ _adhuc_ _loquitur_, anche se morto continua a parlare. Basta che un uomo così esista che cambia il mondo. Questa è la sfida dentro questo mondo, che noi siamo chiamati, non tanto a fare agli altri, ma a raccogliere per noi. Altrimenti il nostro essere scompare: se il mio essere fosse il parlare e il fare, sarebbe terribile per me nei momenti in cui la vita ti comincia a corrodere piano piano, a vedere che inesorabilmente o velocemente il parlare o il fare ti è tolto. Se non scopri che il tuo essere è ciò che conosci, ciò che ami, sei già disperato anche quando parli, e non fai niente di interessante.
Se sei pieno, non parli e non dici, ma ti scovano inesorabilmente, perché tutti hanno bisogno di conoscere ciò che conosci ed ami tu.

[09/02/2018, 17:11:04] Frankie: Omelia (meravigliosa) 08 febbraio

“Entrato in una casa non voleva che alcuno lo sapesse.”

Perché tutti Lo cercavano e volevano che dicesse – sopratutto che facesse – mille cose, che diceva, che faceva sempre col cuore, con tutto se stesso. Non si risparmia. Ma perché continuamente si nasconde? Al mattino, prima dell’alba, o la sera, o in questo momento, che è sconfinato, è andato all’estero, l’unica volta, a Tiro, in Libano, un attimo di rifugio. Rifugiarsi da che? Perché? Cosa c’era di più importante del dire e del fare? Cosa va a fare che non vuole la folla?

“Accogliete con docilità la parola seminata.”

Doveva accogliere con docilità una Parola, non la parola della gente, non le parole che diceva Lui. La parola del Mistero che Lo faceva, del Padre che Lo faceva. Doveva alimentarsi, conoscersi, lasciarsi colmare dal Padre, perché un uomo non è ciò che dice, ciò che fa. L’idea americana è che l’uomo è ciò che fa. Un uomo è ciò che conosce e ciò che ama, ciò da cui si lascia colmare, ciò che lui assapora continuamente, è questo, e lì c’è il segreto di un uomo. Ciò che fa esprime questo – se questo c’è. Ma se il cuore è vuoto, che cosa fa e che cosa dice?
Era il bisogno di alimentarsi, continuamente, giorno e notte, che Lui aveva. Era lì che c’era il Suo segreto.

Come un lago che deve avere non solo l’emissario, ma anche l’immissario, se no si svuota immediatamente. Questa era la Sua grandezza. Per capire un uomo devi capire ciò che lui capisce, conoscere ciò che lui conosce, amare ciò lui ama, lasciarti riempire da ciò che riempie lui, il resto è una conseguenza inesorabile. Tanto è vero che subito dopo Lui non voleva che alcuno sapesse, ma non poteva restare nascosto, perché un uomo che è pieno di verità, di amore, di bellezza, di gioia, che è pieno, che è compiuto, lo scovano… Si può nascondere finché vuole, basta che ci sia, annusano la sua presenza e lo trovano. L’hanno sempre trovato. L’hanno sempre trovato: perfino nel sepolcro un uomo così attira. Andarono le donne al mattino perché anche il suo cadavere attraeva, anche il suo cadavere parlava. _Mortuus_ _adhuc_ _loquitur_, anche se morto continua a parlare. Basta che un uomo così esista che cambia il mondo. Questa è la sfida dentro questo mondo, che noi siamo chiamati, non tanto a fare agli altri, ma a raccogliere per noi. Altrimenti il nostro essere scompare: se il mio essere fosse il parlare e il fare, sarebbe terribile per me nei momenti in cui la vita ti comincia a corrodere piano piano, a vedere che inesorabilmente o velocemente il parlare o il fare ti è tolto. Se non scopri che il tuo essere è ciò che conosci, ciò che ami, sei già disperato anche quando parli, e non fai niente di interessante.
Se sei pieno, non parli e non dici, ma ti scovano inesorabilmente, perché tutti hanno bisogno di conoscere ciò che conosci ed ami tu.

[09/02/2018, 17:11:04] Frankie: *Omelia 09 febbraio*
Questa è di una verità disarmante!

“L’ho abbandonato alla durezza del suo cuore.”
Seguano pure i loro progetti e si rendano conto com’è la vita senza di Me! Non li voglio “per forza”, l’ho abbandonato alla durezza del suo cuore.
E non è vero, quello che dicono le anime pie, che Dio non ci abbandona mai.
E’ vero il contrario: Dio ci abbandona alla nostra libertà, ci dà tutto Se stesso, ma dobbiamo desiderare di stare con Lui. Un matrimonio è bello se è totalmente libero. Dio ama la nostra libertà non meno della nostra salvezza, la ama ancora di più, perché una salvezza senza la libertà sarebbe un inferno! Se non vogliamo verificare com’è la vita con Lui fino a stupirci a dire: “Ma che bello, ma si può veramente vivere così?!” Ci abbandona ai nostri progetti: “Che seguano pure i loro progetti!” Che proviamo a vivere la vita senza di Lui, la realtà ci farà capire! E dovremo dire come in un teorema, per assurdo: “Non si può vivere così!?” Dobbiamo capirlo sbattendo il muso contro la realtà.
L’amore eterno è una cosa seria, è un amore alla libertà. Non è che ci abbandona perché non ci ama, non è mai il Suo amore che ci manca… “Sono Io che vi ho fatto uscire dall’Egitto, te lo sei dimenticato”

Come faccio a non amarti, ti ho fatto io libero all’inizio, hai dimenticato il mio amore, non è mai il mio amore che ti manca, ma il tuo a te stesso, e per valorizzare il bene che ti voglio devi volerti bene tu, devi guardarti con l’ammirazione con cui ti guardo Io. Spalanca gli occhi, aprili come disse Gesù a lui: “Apriti! Renditi conto! renditi conto! ascolta quelli che ti dicono: – Ha fatto bene ogni cosa – ha fatto bene anche te, guardati come ti guarda Lui!”
Per poterci amare dobbiamo ammirarci, guardarci con l’ammirazione con cui ci guarda Lui, intercettare ogni giorno, almeno uno sguardo che ci guarda con l’ammirazione da farci sentire l’amore di Dio; non è per questo che ci si sposa?
Perchè trovi uno o una che ti guarda come ti ammira Dio! Non è per questo che coltiviamo le amicizie? Per intercettare il Suo Sguardo.
Ma Dio ci ama, ma non può farci sentire il Suo amore se noi non incominciamo a volerci bene!

[12/02/2018, 13:24:38] Frankie: Omelia 11 febbraio

“Rallegratevi, esultate, gridate di gioia.”

Questo è il comando di Dio: viene nel mondo per gridare questo e questa è la fine, il funerale di ogni moralismo.

Lo scopo della vita è esultare, rallegrarsi, gridare di gioia.
La legge di Dio ha come scopo questo, non ha come scopo l’essere giusti secondo la legge e neanche essere bravi, ma “gridare di gioia”.

San Tommaso dice che la morale cristiana, a differenza di tutte le altre, è eudemonistica: εὐδαιμονία (eudemonia), in greco, vuol dire felicità. Non ha come scopo la legge, la morale, neanche la giustizia, neanche il bene: ha come scopo che tu sia felice.

Il criterio per sapere se fai o no la volontà di Dio è se tu fai o no quello che ti fa veramente felice! Il peccato non è male perché lo dice Dio, è il contrario. Dio dice che è male, perché è male, fa del male a te e a qualcun altro: se no, non sarebbe male.

“Vivens homo gloria Dei”, gridava Ireneo commentando i salmi. “La gloria di Dio è l’uomo vivente”, non l’homo moriens, l’homo vivens, pieno di vita, non morente! Dio è contento se tu sei contento, se tu realizzi la tua felicità. Questo è il criterio per sapere se una cosa è giusta o no. É giusta quella cosa che ti fa gridare di gioia, e il tuo cuore sa benissimo per che cosa è fatto.

Questo è lo scopo della morale cristiana: ogni istante tu sei felice, sei più felice, se scegli quella cosa che ti fa andare verso quello scopo.

Ma come fai ad andare verso quello scopo, se quello scopo non ce lo hai davanti agli occhi, se non lo conosci?

È come quando vai in macchina e ti accorgi che agli incroci il navigatore non dice niente e ti accorgi che non hai digitato la meta, allora lui sta zitto: una scelta vale l’altra, se tu non hai digitato la meta, non dice niente.

Come diceva Seneca, quando ha visto il fallimento – lui era l’educatore di Nerone – quando ha visto il risultato della sua opera educativa si è suicidato, si è tagliato le vene. Se avesse capito le cose che lui aveva detto non lo avrebbe fatto: “Ignoranti quem portum petat, nullus suus ventus est”: “l’ignorante del suo porto” – il navigatore che non sa dove deve andare – “nullus suus ventus est” nessun vento è il suo vento. Ad ogni vento che cambia non sa che vento prendere, ed anche il vento di poppa, il più favorevole, non lo prende perché non sa dov’è che deve andare.

Per scegliere ogni istante la cosa giusta, giusta per te, quella che ti farà gridare di gioia, devi aver chiaro davanti agli occhi il porto, la meta. E qual è la meta?

Cosa ti fa capire il bene, che cosa devi digitare nel navigatore?

“Fratelli”, dice Paolo agli amici di Corinto che erano molto effervescenti, reattivi a tutto, ma facevano una confusione totale, “qualsiasi altra cosa facciate, fate tutto per la gloria di Dio”. In ebraico “gloria di Dio” “kabōd YHWH”, “kabōd” bellezza da incubo, bellezza che ti schianta, che quando la vedi non riesci più a distrarti!

Per scegliere ogni istante la cosa giusta dovete digitare nel navigatore, qui, nella testa, la gloria di Dio, guardare la bellezza totale, la bellezza che fa scoppiare il cuore: se ce l’hai davanti allora tu, allora, ad ogni incrocio, capisci bene se vai verso là o se vai dall’altra parte. Se vai ad “inifinito.com” oppure se fai tutte le altre stupidaggini “.it”. Lo capisci, ma se tu al mattino non digiti la meta della giornata come fai a scegliere?

Quando noi siamo paralizzati, confusi, non ci muoviamo più, abbiamo l’angoscia, non vediamo più, ogni cosa che vediamo è sempre male, nessuna cosa ci prende, è esattamente perché non abbiamo digitato “la gloria di Dio” al mattino!

Ogni giorno bisogna intercettare questa esplosione del big bang, come fanno i satelliti, per sapere dove andare, per sapere cosa scegliere!

Essere amici vuol dire ricordarsi continuamente, aiutarsi ad avere davanti agli occhi quella bellezza totale.

E come si fa a trovarla? Dove si trova questa bellezza totale?
Non c’è bisogno che nessuno te lo dica, anzi! Gesù, che ce l’aveva addosso qeulla bellezza, dice che si nascondeva, non entrava pubblicamente in una città, rimaneva fuori, in luoghi deserti, per avere un attimo di respiro! Ma le folle venivano da ogni parte, lo sentivano a naso dove era. Chi cerca trova, chi la desidera, la intercetta! Siamo amici per aiutarci ad intercettare continuamente quella bellezza, siamo amici per evitare di scandalizzarci, “non scanadalizzate nessuno”, non distraete nessuno: lo scandalo è distrarsi, è sprecare energie dietro a qualcos’altro. Questa è la partita della vita! In questo mondo chi ci aiuta ad aver davanti agli occhi ogni mattina quella bellezza? E chi ci aiuta ogni mattina a scegliere quello che ci fa veramente felici? Chi prende tutto il cuore? Certo, Sanremo pare abbia preso, mi pare, il 49-51% di share, perché certamente nella musica c’è qualche cosa, qualche cosa che intercetta il cuore! Che poi Sanremo sia sufficiente a farti scegliere ogni istante quello che veramente riempie il cuore, questo è tutto da dimostrare! Io lo rispetto, non l’ho mai guardato, però è suggestivo: vuol dire che lì qualche cosa c’è, altrimenti la gente non starebbe a guardarlo, il problema è se poi quella bellezza vola via e non sai più dove rintracciarla, o se ogni giorno tu hai dei segni, delle tracce, come quelle folle, il cui cuore non barava, la rintracciava, anche se quella bellezza si stava nascondendo.

[12/02/2018, 13:24:38] Frankie: Omelia 12 febbraio 2018

“ChiedendoGli un segno”

Perché questa generazione chiede un segno? Per vivere, da uomini!
Senza segni non si vive perché non si cammina. Ai nostri bisogni si risponde con delle cose, ma ai nostri desideri si risponde solo con dei segni, delle cose che siano segni di “altro” perché il desiderio è sempre desiderio di “altro”.

Dicono gli psicanalisti: quando hai avuto la cosa, desideri ancora, altro, ciò di cui quella cosa è segno che ti fa presentire. Senza questo l’uomo è fermo, sta male e non sbaglia in questo a chiedere un segno dal cielo, un segno radicale che indicasse il cielo.
Ma a questa generazione non sarà dato un segno da me perché non glielo posso dare io, e nessun altro, perché il segno te lo dà solo la realtà, se la prendi sul serio, se ne accetti la sfida. Il segno non te lo può dare una persona. Tu puoi vedere una persona che è segno per te, puoi vedere la sua esperienza che è segno, ma lo vedi sempre fuori, che è in lei, ma per vederlo in te devi imitare quella persona, buttarti tu nella realtà, accettare le sfide, le prove – come dice Giacomo – della realtà.

“Considerate perfetta letizia quando subite una sorta di prove” perché senza prove tu non raggiungi la certezza, se non accetti le sfide, i drammi della realtà.

“Bene per me se sono stato umiliato”
Umiliato vuol dire messo a terra, atterrato (l’humus è la terra) dalla realtà perché è la realtà che mi dice la verità. La realtà ha sempre ragione.
Quando c’è una discussione devo cambiare idea io, ha ragione la realtà, la realtà fa chiarezza, mi dice il mio valore e i miei limiti, fa chiarezza su di me. Quando io sono incerto, quando io non so che cosa vale, quando io non ho la perfetta letizia, ma ho una velenosa inquietudine dentro, un’insoddisfazione velenosa è perché io non accetto le prove della realtà, non mi metto alla prova; uno studente ha “perfetta letizia” quando ha fatto un esame ed ha avuto il voto sul registro, il segno del suo valore è il voto scritto!
Uno studente finché non ha fatto l’interrogazione d’esame non è certo di quanto vale!
Quando noi siamo incerti, quando dubitiamo di noi stessi, quando non siamo sicuri del nostro valore, è perché non accettiamo le prove della realtà, abbiamo paura di buttarci, abbiamo paura che ci smascheri, vuol dire che siamo insinceri, che facciamo i bari, che facciamo i furbi, sappiamo che la realtà ci metterà sempre a nudo; per questo Gesù gli suggerisce, gli suggerisce il segno, gli fa presentire il loro valore, ma non li sostituisce: “Li lasciò, salì sulla barca e partì per l’altra riva sperando di trovare qualcuno più audaci di quelli, più sinceri di quelli, disposto a mettere tutto se stesso nella realtà esattamente come faceva Lui”.

[13/02/2018, 22:49:11] Frankie: *omelia 13 febbraio 2018*

“Non vedete? […] non udite? […] non comprendete?”

Il rimprovero di Gesù non è sulla morale: “non siete bravi, fate dei peccati”. Ma è sulla conoscenza, è non usare l’intelligenza, il talento più grande che Dio ci ha dato. Gesù non sopporta una fede fideista, una fede che si fida senza capire, sentimentale, volontarista. La fede di Gesù non è fidarsi di Dio, ma conoscere Dio! Verificare la proposta di Dio e toccarne con mano le ragioni: solo questa è una fede umana, degna di un uomo uomo. Questa è la fede cristiana. Non esiste una cosa simile dentro il mondo, nè antico nè moderno.
Qual è il male di questa fede? È il lievito dei farisei e il lievito di Erode.
Il lievito è una piccola cosa che ti altera la natura, te la stravolge. Che cos’è il lievito dei farisei? La legge, la legge, la legge, è il normare tutto, misurare tutto, ridurre le cose al misurabile e quindi perdere il Mistero delle cose, lo stupore delle cose, il segno che le cose possono essere. Anche Erode: è il potere, le cose sono oggetti, sono utensili, anche le persone sono utensili, tutto è utilizzabile ma niente è segno di niente, niente stupisce, niente entusiasma, niente ti indica Altro, tutte le cose diventano banali, diventano un carcere; tolgono il respiro, non si respira più se le cose sono solo cose, se sono ridotte alla loro misura, ad essere un utensile, così anche le persone.
Amici sono quelli che hanno occhi che aiutano a vedere, orecchi che fanno cogliere la profondità; e persone che usano l’intelligenza per lo scopo per cui ci è data: per capire.

[14/02/2018, 13:36:40] Frankie: Omelia 14 febbraio

“Convertiti e credi nel Vangelo”, grideremo tra qualche minuto nel gesto dell’imposizione delle ceneri.

Convertiti, cambia, ricomincia da capo la vita tua perché tu puoi cambiare.

Tu, se vuoi essere felice, devi cambiare, devi rinascere. La quaresima, quadragesima “dies”, il quarantesimo giorno da qui alla Pasqua, è l’inizio del percorso in cui ogni anno la Chiesa ci sfida a cambiare, a rinascere.
Tu non sei già fatto da tua madre, i tuoi lineamenti esteriori non sono niente, la tua nascita vera non è quella. La tua vera nascita, la rinascita, è quella che decidi tu, in cui tu decidi di ridisegnare il tuo volto eterno.

Il volto vero non è quello esteriore, il volto vero è quello del cuore, il tuo cuore lo devi rigenerare tu. Ti metto in mano la tua vita, fanne quelle che vuoi. Le opzioni che farai per tutta la vita contribuiranno a creare il tuo volto eterno. Il vero volto è quello che nasce dalla conversione.

Come accade questo? Qual è il passo che inizia il cambiamento del cuore?

“Il Padre tuo che vede nel segreto” e basta.

La nascita tua dipende da tuo padre, da tua madre, il vissuto tuo è quello che ti ha dato la natura, la società.
Ma il tuo vero volto, la tua vera vita è quella che non viene da tua madre, non dipende dalla società, da come sei fatto.

Tu non sei fatto così, tu finora hai fatto così ma puoi fare il contrario. Se tu stai nel segreto davanti al Mistero.
È la partita che si gioca tra te ed il Mistero nel segreto in cui non c’entra niente e nessuno né padre, né madre, né natura, né amici, non c’entra nessuno.
Sei tu che sei di fronte al Mistero che ti fa, Lo riconosci Padre, Lo chiami Padre e Lui ti chiama figlio e questo per te è tutto.

Il cambiamento è il cuore di un uomo che riconosce che il Mistero è suo Padre, lo chiama Abbà, papà. Ad un uomo così non serve nient’altro. Questo è l’inizio del cambiamento, vive tutta la vita per scoprire che cosa vuol dire essere figli di Dio, non del signor Grillini o della Natalia, come sono io.

Quello che mi dà il mio volto è che io mi riconosco figlio di Dio, se Lui è mio Padre, io sono un uomo nuovo, sono libero. Quando non mi sento nuovo è perché dimentico questo. Questo accade nel segreto.

Qual è la prova che sei veramente davanti al Padre o che non te lo sei inventato tu il tuo Dio? Che cos’è che dimostra che nel segreto sei davanti a Dio e che rinasci davvero? Sono due i sintomi.

Uno, che esci dal segreto ed investi, sfidi tutto ciò che incontri, perché Dio è il creatore di tutto ed io credo che tu hai incontrato Dio se tu ti spalanchi a tutto, ti interessi a tutto, giudichi tutto, chiami tutte le cose per nome, prendi posizione di fronte a tutto. La seconda cosa è che sei libero perché se rispondi a Dio al fatto che sei figlio di Dio, non ti mette sotto niente e nessuno.
Quando sei schiavo, ricattato da qualcosa è perché tu nel segreto non hai incontrato il Dio vero, il tuo Padre: te lo sei fatto a tua immagine e somiglianza.

[15/02/2018, 16:36:54] Frankie: *omelia 15 febbraio 2018*

(Pazzesca!)

“Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto”

E ha sofferto morto, venire ucciso, è stato ucciso; perché? Cosa ha di così insopportabile, di imperdonabile Gesù agli occhi del mondo? Che cosa ha di così provocatorio? È devastante la sfida di Cristo.

“Che vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo e perde se stesso?”

Il mondo non basta a soddisfare il cuore umano: questo è l’imperdonabile di Gesù che ha gridato la grandezza del cuore umano. Al cuore d’uomo non basta il mondo!
Un cuore d’uomo si placa solo quando incontra il Creatore del mondo. Il mondo intero è solo segno ma non placherà mai il cuore. Questo comporta che se vuoi essere felice tu puoi solo desiderare, tendere, scegliere, domandare, ma non hai il potere di realizzare la tua felicità.

“Davanti a te la vita ed il bene, la morte ed il male”

Davanti, non in mano a te! Non è in tuo potere realizzare il bene o vincere il male. Ce l’hai davanti, è inafferrabile, lo puoi solo scegliere, puoi tendervi con tutta la forza, con tutta la tua passione d’uomo, puoi desiderarlo, puoi domandarlo.

Il bene sarà tuo, tu sarai compiuto, non perché tu conquisterai il mondo, il tuo bene, ma perché tu lo domanderai, accetterai che ti sia donato. Quello che ti fa felice non è conquista tua, ma è dono fatto a te.
L’uomo moderno, l’uomo – l’uomo moderno non fa che esplicitare, anche teoricamente, la tentazione di ogni uomo – esclude a priori che la felicità gli possa essere donata, possa essere un dono di amore. L’uomo se la vuole conquistare da sé.
E l’uomo che vuole conquistarsi la sua felicità e non è disposto a domandare di amare e di essere amato, è poi costretto inesorabilmente a rinunciare a tutto quello che non può conquistare; è un uomo condannato alla rinuncia, alla repressione e alla depressione, perde l’intensità, l’audacia del desiderio, l’intensità, lo splendore vibrante dell’affezione. È un uomo che è costretto a controllarsi, in nome di un micidiale realismo.

Quando noi facciamo fatica, quando dobbiamo soffrire molto, per lottare dentro questo mondo – perché Cristo è entrato in polemica con questo mondo – quando sentiamo questo peso, quando ci costa troppa fatica, dobbiamo rispondere a noi stessi: ma mi fa felice ciò che io conquisto o mi fa felice ciò che mi è donato? È la conquista o è l’amore donato è ricevuto che mi fa veramente felice?
Questo è il livello di sfida che Cristo introduce per sempre nella storia.

[16/02/2018, 11:09:51] Frankie: *Omelia 16 febbraio 2018*

“Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte?”

Ditemelo voi! Perché voi siete molto religiosi, è la vostra religiosità che vi spinge a digiunare; siete monoteisti, per voi c’è un solo Dio e quel Dio è tutto, quel Dio è l’essenziale della vostra vita. Tutto vi parla di questo Dio. Ma di un Dio lontano, ne sentite la mancanza, avete fame di Lui. Di tutto il resto vi potete privare, e anche del cibo vi private tante volte, per affermare che il vero cibo è Dio. Ma Dio è lontano. Voi siete sempre mancanti dell’essenziale, siete la religione della mancanza, è per questo che digiunate; avete sempre le facce un po’ mancanti, siete lamentosi, spesso anche rancorosi, violenti, amari.

“Perché i tuoi discepoli non digiunano?”

Perché la nostra esperienza è opposta alla vostra: anche per noi tutto parla di Dio, ma c’è un segno tra noi, un volto così luminoso, così infiammato, così pieno di bellezza che ci rende presente Dio, ce lo fa sentire presente. La vostra religione è la religione della mancanza, perciò si digiuna; la nostra è quella della Presenza, c’è un segno attraverso il quale Dio ci riempie di gioia e noi siamo sempre festanti. Anche noi manchiamo di mille cose, manchiamo di tutto, abbiamo meno cose di voi, ma quel vuoto è riempito dalla Sua Presenza.
Anche noi siamo imperfetti, peccatori, ma quello che ci fa felici non è essere perfetti, è che Lui sia qui , che Lui sia presente. Perciò noi arriviamo a sera, ci sono mancate tante cose, non abbiamo messo a posto niente, ma il cuore è festoso e grato. E ci svegliamo al mattino di nuovo pronti, bramosi di festeggiare ancora.

[20/02/2018, 10:23:35] Frankie: *Omelia 16 febbraio 2018*

“Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte?”

Ditemelo voi! Perché voi siete molto religiosi, è la vostra religiosità che vi spinge a digiunare; siete monoteisti, per voi c’è un solo Dio e quel Dio è tutto, quel Dio è l’essenziale della vostra vita. Tutto vi parla di questo Dio. Ma di un Dio lontano, ne sentite la mancanza, avete fame di Lui. Di tutto il resto vi potete privare, e anche del cibo vi private tante volte, per affermare che il vero cibo è Dio. Ma Dio è lontano. Voi siete sempre mancanti dell’essenziale, siete la religione della mancanza, è per questo che digiunate; avete sempre le facce un po’ mancanti, siete lamentosi, spesso anche rancorosi, violenti, amari.

“Perché i tuoi discepoli non digiunano?”

Perché la nostra esperienza è opposta alla vostra: anche per noi tutto parla di Dio, ma c’è un segno tra noi, un volto così luminoso, così infiammato, così pieno di bellezza che ci rende presente Dio, ce lo fa sentire presente. La vostra religione è la religione della mancanza, perciò si digiuna; la nostra è quella della Presenza, c’è un segno attraverso il quale Dio ci riempie di gioia e noi siamo sempre festanti. Anche noi manchiamo di mille cose, manchiamo di tutto, abbiamo meno cose di voi, ma quel vuoto è riempito dalla Sua Presenza.
Anche noi siamo imperfetti, peccatori, ma quello che ci fa felici non è essere perfetti, è che Lui sia qui , che Lui sia presente. Perciò noi arriviamo a sera, ci sono mancate tante cose, non abbiamo messo a posto niente, ma il cuore è festoso e grato. E ci svegliamo al mattino di nuovo pronti, bramosi di festeggiare ancora.

[20/02/2018, 10:23:35] Frankie: Omelia ritiro di quaresima 18 febbraio 2018

“Depongo il mio arco sulle nubi” dice Dio a Noè alla fine del diluvio. È l’arco di guerra, depongo l’arco e smetto di farvi guerra. Siamo schifati dagli uomini.
La Bibbia dice che Dio vedendo il male degli uomini si pentì di aver creato gli uomini. Voglio allagare tutti i peccatori, facciamo il reset. Poi si accorge che per allagare i peccatori doveva allagare tutti.
Non ce n’era uno che non fosse peccatore. Dice la Bibbia che Dio si pentì di essersi pentito, capì che non era il metodo combattere i peccatori e distruggere il male. Doveva trovare un altro metodo per salvare gli uomini. “Depongo il mio arco sulle nubi.” È l’arcobaleno che è l’immagine suggestiva che anche un bambino capisce di un abbraccio radioso del cielo alla terra. Dovrò abbracciarvi con la luce, con l’amore che ho dentro come l’arcobaleno finita la tempesta viene giù e ci abbraccia. È la prima immagine della redenzione.
L’arcobaleno è l’immagine degli occhi di Gesù, dell’affetto di Gesù. La quaresima è il tempo per rintracciare nella nostra vita quotidiana gli arcobaleni, i segni che ci rimettono di fronte a questo abbraccio radioso di Dio ai poveri peccatori. Noi portiamo questo, siamo coloro che fanno vedere l’arcobaleno dove spunta dopo ogni temporale.

[21/02/2018, 14:04:40] Frankie: *Omelia 21 febbraio 2018*

“Questa generazione cerca un segno”

Che cosa deve cercare se non un segno?
Gli uomini non vivono solo di cose. Tu stesso l’hai capito, dopo quaranta giorni nel deserto, che “non di solo pane vive l’uomo”, non di sole cose gli uomini hanno bisogno.
Fonte di bisogno di cose, hanno il desiderio a cui si risponde non con delle cose ma con dei segni. E non sbagliano quindi a cercare dei segni.
Sono uomini radicalmente religiosi. Sbagliano a chiedere troppo poco, dei segni troppo piccoli, chiedono cose, pane, salute, benessere…

“Non sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona” che non è una cosa, ma è un uomo, anzi, “di uno ben più grande di Giona”.
Di un uomo ben più uomo, ben più libero, ben più vero, ben più profondo di Giona.
Le cose non cambiano la vita, l’unico segno che cambia la vita è un uomo così immedesimato nel Mistero che se tu quell’uomo lo incontri, lo accogli, lo conosci, lo ami e ti immedesimi, diventi un segno come lui e una città intera come Ninive, vedendoti, può cambiare vita.
Anzi, la mia e la tua certezza è proprio qui: non sta nella carriera, nel potere, nel benessere…sta nella profezia.
Un uomo è grande quando è profeta. Il profeta è un uomo vedendo il quale tu vedi il segno di Dio: se lo cogli e se lo segui diventi come lui. Puoi anche tacere, puoi essere un poveraccio, come Giona, che la prima volta se ne è andato, è scappato con la barca, poi si è fatto mangiare da un pesce, poi è tornato, si è pentito, poi ha maledetto la città sulla collina, poi è stato invidioso e si è arrabbiato con Dio quando gli ha distrutto la pianta su cui faceva la siesta, il glicine; poi alla fine, un poveraccio, pentito dei suoi peccati: “Crea in me, o Dio, un cuore puro”
Sono un uomo dal cuore contrito e affranto, sono niente, ma Tu mi ha scelto, e addolorato Ti dico di sì:

“Crea in me un cuore nuovo”

Ecco, Giona è entrato in città senza capacità, senza sentirsi adeguato, si sentiva un pover’uomo, un peccatore umiliato e affranto, ma è entrato in quella città, l’ha attraversata gridando: “Crea in me un cuore nuovo”.

Questa semplice preghiera dentro il cuore gliel’han vista in faccia. Una città intera si è convertita, ma potevano anche non convertirsi.
La felicità di Giona non è che si è convertita Ninive. Ce l’ha avuta un attimo prima che Ninive si convertisse. Quando ha gridato a Dio: “Cambiami il cuore!” e Dio gliel’ha cambiato. Lui è diventato segno, è diventato profeta.
La cosa più miracolosa al mondo non è una cosa, è un uomo con il cuore affranto e umiliato che dice: “Crea in me, o Dio, un cuore nuovo”.

[22/02/2018, 20:09:05] Frankie: “Tu sei Pietro e su questa pietra [povera pietra!] edificherò la mia Chiesa”

La Mia costruzione divina sulla fragilità tua, di Pietro. È assurdo. È il contrario di quello che pensano gli uomini più religiosi: che è l’umano che deve essere costruito sul divino.
Dio viene nel mondo e ha il progetto opposto: vuole realizzare la Sua costruzione divina fondandola sull’umano. Il fondamento, la roccia è Pietro, non è Gesù, è Pietro, “su questa pietra”, su di te.
E Pietro sappiamo bene che roccia era.

Come è possibile questo? Di cosa ha bisogno? Cosa deve fare un uomo per accettare l’audacia insostenibile di questa sfida? Cosa è chiesto a Pietro?

E ancora gli uomini religiosi direbbero: che Pietro si annienti, che Pietro sia disponibile ad uno svuotamento, a lasciare fare tutto a Dio, ad una obbedienza cieca. E ancora si sbagliano. Perché invece Dio chiede a Pietro: “Ma voi, tu chi dici che io sia?…Ciò che scioglierai o legherai, giudicherai sulla terra…Mi ami tu?”
Non gli chiede di annientare la sua ragione, di rinunciare a pensare, giudicare, per una obbedienza cieca. Gli chiede di giudicare tutto quello che accade sulla terra, di sciogliere e legare tutto, di usare la ragione. E gli chiede di impegnarsi: “Mi ami tu più di costoro?”
Chiedo tutta la tua ragione e tutto il tuo amore. È il contrario! Non vengo per annullare, per svuotare, annullare le tue capacità umane, ma per valorizzarle fino in fondo; perché io ti stimo, ti stimo capace di giudicare le cose, di capire, di interpretare il disegno, di dire Chi Io sono, tu lo puoi capire. Infatti dirà: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”, adeguatamente provocato.
E Pietro sarà la roccia, non nonostante, ma attraverso tutta la sua fragilità, questa non gli impedirà di essere la roccia della Chiesa e la certezza del mondo.

Questa è la sfida cristiana: che noi accettiamo, non di annientare noi stessi, ma di impegnare tutto noi stessi per Lui.

L’ultima eresia che la Chiesa cattolica ha scomunicato per un problema dottrinale è del 1721, in Belgio, un’associazione di beghine, di donne belghe che contagiate dal giansenismo, da un virus protestante che disprezza l’uomo, avevano fatto un’associazione: il quietismo. Dicevano: “Qualunque cosa facciamo, facciamo dei danni. Stiamo quiete, non facciamo niente, così quello che accade lo fa la grazia di Dio”.
La Chiesa ha detto: “Bene, siete eretiche! Voi dovete impegnare tutto della vostra umanità, perfino il rossetto che vi mettete per la gloria di Dio! Questa è la sfida, questa è la stima che Cristo ha dell’uomo.

Il frutto qual è? Come si fa a sapere se veramente impegniamo tutto per Lui, se veramente si realizza nella nostra umanità, così fragile, la Sua costruzione su cui non prevarranno le porte del male?
Perché quello che leghi in terra è legato in cielo e viceversa. Sperimenterai l’armonia tra la terra e il cielo. Vivrai con i piedi nel fango della terra, come nella melma di stamattina, ma il tuo cuore vibra già del divino, vibra già del cielo, ci sarà un’armonia tra la terra e il cielo.
Come dice Dante chiudendo la Divina Commedia:
“Sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
La ruota, l’ingranaggio. C’è un ingranaggio tra la terra e il cielo e la terra scoprirà che, pur rimanendo terra, è già in armonia con il cielo.

[23/02/2018, 18:53:09] Frankie: *Omelia 23 febbraio 2018*

“Se la vostra giustizia non supera quella di scribi e farisei”

che è una giustizia imposta all’uomo dall’esterno c’è una legge oggettiva che deve inchiodare la vita: la vita deve rientrare in quella misura se non ci rientra peggio per la vita, peggio per la tua persona. È il positivismo giuridico: una legge posita, imposta da un’autorità che ti inchioda, una legge esterna, estrinseca, formalista, che ti uccide, non permette che tu ti esprima fino in fondo. É alienante. Sei in potere, dominato, da qualcosa di esterno a te.
La giustizia di Gesù, profetizzata già da alcuni grandi profeti: “scriveró la mia legge nei loro cuori”, è una giustizia che nasce dall’interno, nasce dal cuore. È giusto ciò che corrisponde al cuore. È giusto ciò per cui il cuore è fatto, che compie le aspirazioni più profonde del cuore. È una giustizia non oppressiva ma espressiva. È bene ciò che fa venire fuori tutta la bellezza e la grandezza che hai dentro. È bene ciò che ti compie, che ti fa respirare. Ma che cosa c’è veramente nel cuore? Per che cosa è fatto il cuore? Come è fatto il cuore?

“Più che le sentinelle l’aurora, Israele attende il Signore.”

Ecco il cuore dell’uomo è il cuore di una sentinella, che veglia tutta la notte con la paura dei pericoli, dei nemici; e non vede l’ora che arrivi l’alba perché quando arriva il sole si vede in faccia chi è amico e chi è nemico, le cose si chiariscono e non hai più paura, sai contro chi combattere e soprattutto per chi, per che cosa, per amore di chi combattere. Il cuore dell’uomo è un cuore che attende come le sentinelle all’aurora, che non sta bene qui, non è fatto per la notte, ma per il giorno. Il criterio del bene e del male è ciò che corrisponde a questo cuore che è in attesa come una sentinella: è bene ciò che risveglia l’attesa, che ti risveglia una sana ma potente inquietudine, che ti mette in cammino. Nella cultura del mondo è il contrario, è bene ciò che mi acquieta, che mi tranquillizza, che mi fa star bene lì.
È il contrario della giustizia del mondo: è bene ciò che per me è segno di ciò per cui sono fatto. Il criterio del bene è ciò che è segno, ciò che ti mette in cammino. Questo è il respiro che porta la giustizia di Cristo, che sfida il mondo di oggi, non meno farisaico, non meno scriba di quello di allora.

[26/02/2018, 12:39:12] Frankie: *Omelia 26 febbraio*

“Date e vi sarà dato”
Date, perché l’unico potere che avete sulla vostra vita è di dare. Non avete il potere di creare, di conservare, di dominare. Potreste perderla in questo istante. Non siete creatori di voi stessi. L’unico vero potere è di donarla tutta quanta a chi ve l’ha data e alle sue creature. Questo è il vero potere. Ma questo è il vero potere anche del creatore. La vera onnipotenza di Dio non è di creare e di dominare, di essere signore, la vera natura di Dio è di essere amore. Anche perché da quando Dio ha creato la libertà non fa più quello che vuole. Non usa più l’onnipotenza come potere, ma la vera onnipotenza di Dio è di essere amore, di dare tutto se stesso.
È per queso che è venuto nel mondo, non per dominarlo, non per ricrearlo con la forza dell’essere, ma di amarlo con tutto il suo essere. Ma è ragionevole dare tutto se stessi? Come dice Claudel nell‘Annuncio a Maria.
“Forse che i piedi degli uomini resteranno saldi a lungo tempo su questa terra? Che vale il mondo rispetto alla vita?
Che vale la mia vita se non per essere data?”
Ma è proprio vero, quello che il mondo di oggi rifiuta completamente. Perché oggi la felicità è dominare, è fare, è creare, nessuno dice che è amare.
“Date e vi sarà dato una misura colma, traboccante”.
Chi dà tutto se stesso si trova con il cuore pieno, così pieno di vita, di gioia e amore che trabocca e si riversa come una spugna inzuppata che chiunque la tocca si bagna.
Ma è proprio vero che accade questo? Noi siamo fatti per amare, ci realizziamo amando. È così vero che il cuore è così pieno che non si contiene più.
Quando noi ci sentiamo invece vuoti, mancanti, lamentosi non è perchè ci mancano delle cose, abbiamo tutto, non ci manca il mondo non ci manca neppure Dio, ci manca il dono di noi stessi. Ci manca l’amore che viene da noi. Il cuore si riempie solo dall’interno, non lo riempie nessuno all’esterno.
Neppure Dio!
Come si fa a sapere?
Raccogliendo la sfida stessa di Dio che ha verificato questo, che la felicità è donare, non è potere, non è fare, ma è donare se stessi venendo nel mondo. Le tue parole sono spirito e vita, e per verificarle bisogna che diventino anche per me spirito, cioè energia, e vita, che io ne faccia esperienza.
È la sfida dell’esperienza. Non lo puoi capire, dice Dio, se non mi imiti, se non ci provi non te lo posso spiegare.
Soltanto se tu doni tutto, capisci che io ho ragione. Questa è la pretesa di Dio, pretendere che noi diamo tutta la vita per essere certi della sua sfida perché Lui stesso ha dato tutto.
Pretende tutto e solo quello che Lui stesso ha già dato per noi.
Ogni istante noi decidiamo se raccogliere la sfida di Dio come amore o se la sfida del delirio da onnipotenza.

[27/02/2018, 12:13:34] Frankie: *Omelia 27 febbraio*

“formatevi un cuore nuovo”

Perché se il vostro cuore è nuovo, tutto è nuovo, tutto mi stupisce. Il cuore nuovo è il cuore capace di cogliere la verità delle cose. Ma se è vecchio il cuore è tutto vecchio, vince la noia, non c’è più niente di nuovo.
Ma come faccio a formarmi un cuore nuovo? Io ho un cuore vecchio, un cuore ottuso, superficiale, con lo sguardo del mondo; ho bisogno di essere condotto nella profondità delle cose: chi mi può condurre? Chi mi può guidare?

“Una sola è la vostra guida: il Cristo”, “uno solo è il vostro Maestro, il Cristo”

Di maestri ce n’è uno solo, di guide ce n’è una sola. C’è un Uomo solo al mondo che ha un cuore nuovo, soltanto seguendo Lui, immedesimandomi in Lui, il mio cuore diventa nuovo.
Che cosa cambia questa sfida?
Il fondamentalismo dice: se è solo Lui segui Lui e basta, è finita la ricerca. Che tristezza se con la fede finisce il cammino, finisce la ricerca, non mi devo interessare più di niente se non di Lui. È il contrario! Se Cristo è l’unico Maestro, è l’unico dal cuore nuovo, l’incontro con Lui mi scatena ad incontrare tutti gli altri maestri. Come faccio ad essere certo che Lui è l’unico Maestro? Chi me lo dice? Non perché me lo dice Lui, me lo devono dire gli altri, devono inchinarsi tutti davanti a Lui; devo scoprire che nessun altro mi introduce come Lui, se scoprissi un altro che è più guida di Lui, più maestro di Lui, dovrei seguire Lui. È il contrario: l’incontro con Cristo scatena l’interessa a tutti gli altri cristi, a tutti gli altri maestri, a tutti gli altri padri! Li devi conoscere tutti, setacciare uno alla volta e dire: “cosa mi dici? Cosa mi dici? Mostrami il tuo cuore”. E più incontro gli altri più mi innamoro di Cristo. Sarebbe terribile se la fede distruggesse la vita come avventura. La cosa più bella dell’incontro con Cristo é che tutto diventa utile, ogni incontro, anche i nemici di Cristo diventano occasione per verificare chi è Cristo.

[28/02/2018, 16:48:53] Frankie: *Omelia 28 febbraio*

“Il Figlio dell’uomo sarà consegnato, Lo condanneranno, Lo consegneranno ai pagani.”
“Voi non sapete cosa chiedete.”

Per questo Gesù viene condannato dai nemici e abbandonato dagli amici, perché smaschera la menzogna, la dittatura dei desideri.

“Voi non sapete quello che chiedete”.
Desiderate ciò che non vi corrisponde, voi confondete i desideri con le esigenze.
Il desiderio è ciò che sento: son tutti giusti i desideri, ma tutti parziali e la felicità non è una somma di desideri soddisfatti. La felicità è ciò che corrisponde alle tue esigenze. Desideri ed esigenze non coincidono affatto. Quando vai a tavola e magari sei malato, ciò che desideri mangiare è diverso da ciò di cui hai esigenza tu: è un’altra cosa.
Per capire i desideri ci si chiede: “Cosa sento in questo istante?”; per capire l’esigenza devi usare l’intelligenza, tener conto del bene totale, della profondità e totalità che il tuo cuore desidera.

Gesù ha smontato questa menzogna: ha chiesto agli uomini di usare l’intelligenza, non appena l’istinto e il sentimento. Ha smascherato la menzogna di concepire la felicità come una somma di desideri parziali soddisfatti.
La felicità è cercare ciò di cui hai veramente esigenza per realizzare te stesso.
Esempio: se uno vuole diventare grande – esigenza sacrosanta: realizzare la mia grandezza – …ma cosa mi viene in mente immediatamente? Cos’è che sento subito? Il potere! Chi dei due sarà il primo? Chi avrà più potere? No! La grandezza non è il potere che tu raggiungi o il piacere che sogni. La grandezza e l’amare, il donare e il servire.

Quando ti senti piccolo, non ti senti realizzato, ti senti che sei diminuito, che ti manca…non è che ti manca più potere o più piacere: ti manca l’amore, perché tu non sei più disposto a donare tutta la vita, perché quello che ti fa grande è imitare Dio. D’altronde l’unica cosa che si può sempre realizzare è il dono di sè: comandare non si può sempre – il potere te lo possono togliere o lo perdi tu – il piacere non ce lo hai sempre a disposizione, anzi! L’unica cosa che tu puoi sempre realizzare è donare tutto te stesso, perfino ai tuoi nemici come Cristo in croce. Il dono di te non te lo può togliere nessuno. Questa è la tua grandezza.

[01/03/2018, 11:48:35] Frankie: *Omelia 1 marzo 2018*

“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”

Perché confida in uno che è come lui, una immensa domanda, e due domande non fanno una risposta. Il cuore dell’uomo è una voragine e due voragini non si colmano a vicenda.
Quando noi ci sentiamo maledetti, abbandonati e disperati, non è perché Dio ci ha abbandonati, é perché abbiamo confidato nell’uomo, in uno come noi. Gratta gratta lo chiamiamo Dio, ma è un dio così uguale a noi – appunto – che ci fa sentire maledetti.

Cosa accade, qual è il sintomo che confidiamo nell’uomo e non in Dio?

“È come un tamerisco nella steppa”

Il tamerisco è una pianta dei luoghi aridi, quasi deserti, che per conservare quel briciolo di umidità che trova di notte ha delle foglie così strette, che si restringono sempre di più, che non si espongono più al calore, per non disperdere tutto; quindi è un uomo tutto raggrinzito, tutto rattrappito, per cui viene il bene, viene l’acqua, viene il sole e lui non lo vede, non se ne accorge perché è tutto rinchiuso in sé.
Non è che ci manca il bene nella vita, che ci mancano i segni di Dio, è che noi siamo come il tamarisco: tutti raggrinziti, non ci esponiamo più, non rischiamo più, in noi non penetra più niente. Perciò la vita è noia.

Che cos’è che smaschera questa menzogna? Cos’è che ci fa ripartire?

“Beato l’uomo che custodisce con cuore integro”

È un cuore integro, un cuore totale, che lascia esplodere la fiamma di un desiderio totale, che capisce al volo che quello è un uomo in cui non puoi sperare, in lui tu non puoi sperare.
Ma non è da buttare, non è da rifiutare. Il fatto che non puoi sperare in un uomo per non essere maledetto, non vuol dire che l’uomo è inutile: l’uomo è prezioso, prezioso compagno di cammino perché, se ha un cuore integro – anche se non ha un cuore bravo e perfetto -, può essere il tuo più prezioso compagno di cammino per cercare il Dio in cui tu puoi sperare.

[05/03/2018, 18:13:07] Frankie: *omelia 5 marzo 2018*

“Per gettarLo giù dal precipizio”.

La brutalità di questa reazione. Perché? Cos’ha di insopportabile quell’Uomo?
“Nessuno è profeta in patria.”
L’aveva detto Lui un istante prima perché la patria a Lui stava stretta. Porta addosso qualcosa di più grande della patria, la patria non lo contiene. Neanche l’appartenenza più grande, che è la patria, può contenere quel che quell’Uomo si porta addosso.
“Ha sete di Te l’anima mia” diceva il salmo. Quel salmo parla di noi. Quell’Uomo aveva dentro una sete che lo infiammava, faceva saltare i coperchi. Aveva una sete di qualcosa di più grande della patria stessa. Quell’Uomo apparteneva a una patria più grande, il Suo cuore apparteneva ad un abbraccio più grande della patria. Loro non reggono quell’Uomo, non Lo capiscono, capiscono che è troppo, capiscono che davanti a Lui non reggono. O accettano di lasciarsi infiammare anche loro – ma a questo non sono disposti – o devono gettarLo giù dal precipizio, non possono vivere davanti a un Uomo così, fa saltare tutti gli schemi. L’appartenenza è più grande della patria; ma Lui, passando in mezzo a loro, andò dritto per la Sua strada: sono paralizzati, perché nel primo istante sono stati indifesi, denudati, Lo hanno guardato e ascoltato e il loro stesso cuore per un istante ha vibrato in armonia con il Suo. Sono paralizzati, è più forte e non sono più riusciti a fermarlo. La forza che quell’Uomo ha dentro ha invaso, per un istante, anche loro.
Poi dopo tre anni si organizzeranno e Lo uccideranno, pensando così di farlo fuori. Ma davanti a quell’Uomo il loro cuore si è svegliato. Il primo alleato di Gesù è il cuore stesso di quelli che incontra. Anche il cuore dei suoi nemici per un istante, se si lascia colpire, è alleato di Cristo. Basta che noi portiamo la nostra umanità dove andiamo e il cuore degli altri, anche dei nemici, per un istante è impotente. Questo è il mistero che ha invaso la nostra vita. Infiamma il cuore di un desiderio, di un’esigenza indomabile, poi quello che accade dipenderà dalla libertà degli uomini. A noi non è chiesto altro che di essere quello che Lui ha deciso di fare di noi.

[06/03/2018, 09:08:18] Frankie: *omelia 4 marzo 2018*

I giudei chiedono segni cioè miracoli così imponenti, travolgenti che non lasciano scampo: non puoi dire di no, è un’evidenza abbagliante, non ti lascia spazio per ragionare, per pensare, per interpretare, per decidere. È una religiosità che schiaccia, che ti chiede di non usare la ragione e la libertà.
Volevano una fede fideista o fondamentalista: basta il fondamento, non importa costruire nessun palazzo sul fondamento, basta la radice, non importa che fiorisca nessuna pianta, non servono i fiori e i frutti. Cioè la fede come sottomissione a schiavi, come un’obbedienza cieca, da cui puó solo venire un‘umanità handicappata, rachitica che non ha splendore, che non ha bellezza, che non è godibile.

[urta contro il microfono]
Eh anche io sono un po’ fondamentalista a destra dove l’occhio non c’è più, un po’ travolgente.

A questa fede, come Paolo ha predicato, noi invece annunciano un’altra cosa, anche ai greci che erano l’opposto dei giudei che erano laicisti, moderni. I greci invece volevano sapienza, volevano capire con la loro testa, misurare tutto con la loro ragione, fra i teoremi e gli algoritmi. Erano disposti a credere purché fosse tutto ragionevole secondo la loro idea di ragione. Erano disposti a credere in un Dio che non fosse più grande della loro ragione, delle misure della loro ragione, che non chiedesse niente di oltre, che fosse rinchiuso dentro al recinto di quello che loro potevano capire, che loro sentivano ragionevole, politicamente corretto. Una fede che non chiedesse nessun cambiamento. Una fede a cui ci sarebbero arrivati anche da soli, quindi a loro misura, un abito sartoriale fatto a loro misura. Gli altri lo volevano
prêt-à-porter, già fatto, in cui devi entrare e se non ci entri ti picchiano; questi volevano una cosa che aderisse a quello che loro capivano da soli, come le calze, no? Che aderiscono al muscolo.
Quindi una fede piccola, meschina, perciò una vita a misura della natura. Lo diceva Cicerone: noi abbiamo questa concezione del uomo, “homo filibus naturae contentus”, un uomo che nei limiti della sua natura si accontenta, che non vuole andare oltre i limiti della natura. Quindi un uomo tristone, che si accontenta, che si fa bastare, che non si pone domande a cui lui non è in grado di rispondere da solo. Diceva il mio omonimo Karl Marx: sono un moderno e un moderno non può dipendere da nessuno, si pone solo domande, desidera solo cose a cui può rispondere da solo, risposte che si può dare da solo. Un uomo cioè senza entusiasmo, un uomo che si auto proibisce l’audacia del desiderio. Questo volevano i greci. E San Paolo ribatte agli uni, i fondamentalisti, agli altri i razionalisti, nichilisti:

“noi invece annunciamo Cristo crocifisso e risorto.”

Che è una sfida per gli uni e una sfida per gli altri, che spacca le pretese e gli schemi di entrambi, li spiazza tutti.
Questo Cristo crocifisso che per lui era niente, per noi è potenza di Dio dentro il mondo, porta nel mondo un potere che potenzia l’umano, che trasfigura l’umano, lo rende più grande e più bello di fronte ai primi che lo volevano annientare, di fronte ai secondi che lo volevano ridimensionare, ridurre alle capacità misurative della ragione.
Cristo crocifisso pretende di portare nel mondo, dice Paolo: prima non lo credevo neanche io, ma quando l’ho incontrato alle porte di Damasco mi ha accecato, non mi ha costretto, mi ha detto che se volevo potevo essere Suo, farmi battezzare; dopo una settimana l’ho deciso, mi ha lasciato una settimana per pensarci, non mi ha costretto. Do la vita per lui perché Lui è potenza di Dio dentro il mondo, non dopo il mondo, non dell’eternità, adesso. Potenzia l’umanità adesso, mi fa usare la ragione come nessun altro, infiamma l’affettività come nessun altro. Gli innamoramenti impallidiscono di fronte al fuoco che mi ha messo dentro Lui. Mi da una libertà spregiudicata che non temo nessuno.
Questa è la sfida per l’esperienza di ognuno.

La vita a tutti gli uomini è data per cercare “come a tentoni, se mai arrivino a trovarlo” dirà lo stesso Paolo ad Atene. A noi cristiani la vita è data per verificare la sfida di Cristo, per riverificare da capo se è proprio vero che Lui è potenza di Dio dentro l’umano, dentro il mondo, se è proprio vero che con Lui ragione, libertà, affezione, desiderio vengono potenziati. Se è proprio vero che non siamo costretti a sbattere sugli scogli di Scilla o di Cariddi del fondamentalismo e del nichilismo, se c’è una lotta che ci riempie di progressivo entusiasmo, che ci rende audaci nel desiderio. È l’intuizione che si ha all’inizio ma deve essere ripresa ogni giorno. Ho risposto stanotte a una messaggio di un mio confratello in crisi, in un momento drammatico; mi dice “ma io all’inizio ho visto quello che hai visto te, ho visto la bellezza che hai visto tu. All’inizio l’ho vista anche io”. Dico “e ti basta all’inizio?”. Gli ho risposto con una frase di Pasolini che dice: non l’aver conosciuto, l’aver amato ma il conoscere e l’amare adesso conta. Non c’è cosa più triste che “un consumato amore”, dá l’angoscia. L’anima non cresce più.
Ecco, la Quaresima è il tempo opportuno, propizio, pieno di segni, di sfide che la Chiesa ci da ogni anno per verificare la portata dell’annuncio di Cristo crocifisso, se è proprio vero che porta la potenza di Dio dentro il mondo della nostra vita.
In questo tempo siamo chiamati a verificarlo e a testimoniarcelo l’un l’altro, quello che dice anche il salmo:

“I comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi e fanno gioire il cuore”

La potenza di Dio è inesorabile: se c’è si vede nello sguardo e si sente vibrare nel cuore. Non puoi barare, non te la puoi raccontare e non lo puoi raccontare.
O ce l’hai o non ce l’hai, o ne fai esperienza oppure no.
Come diceva acutamente Vico, per un altro problema: chi è filosofo vede l’intero, chi no no. Se tu l’esperienza la fai la percepisci, te la vedono in faccia e negli occhi, se non la fai non si vede.
Questa è la sfida di questo tempo.

[06/03/2018, 12:30:15] Frankie: *Omelia 6 marzo 2018*

“Fino a sette volte?”

Per Pietro è il massimo. Perché sette nella loro cultura è il numero perfetto, il settimo giorno disse che il mondo era ormai perfetto, l’opera era compiuta, bisognava festeggiare. Perdonare sette volte per Pietro è il massimo, è imitare Dio, cosa c’è di più di questo? No.

“fino a settanta volte sette”

Che vuol dire sette alla settantesima, incalcolabile, non avevano i computer. La sfida di Gesù è che il massimo non è sette, é ben più grande di quello che tu puoi calcolare, è oltre ogni calcolo tuo, oltre il tuo limite. La tua perfezione è oltre te: tu sei perfetto se superi te stesso. Pietro è sgomento, ogni ebreo è sgomento. Infatti la prima lettura concludeva dicendo:

“Salvaci Signore con i tuoi prodigi”

Perché con le nostre opere non ci possiamo salvare.
Questo è il dramma dell’uomo: sentire che il suo compimento non è opera sua. Tu ti compi se domandi a un Altro, se accetti di essere amato. É per l’opera di un Altro che tu sarai compiuto. Non è per potere mio, ma per amore di un Altro che mi realizzo. Per la ragione elementare che io sono creatura e non sono creatore di me stesso; io sono il dono di un Altro all’origine e anche il mio compimento é il dono di un Altro, perché io non sono Dio. È un pensiero diabolico che dilaga nel mondo, il pensiero che io mi basti, che io mi debba compiere da solo, che il massimo sia quel che io riesco a fare. E quando non ci riesco sono deluso, amareggiato, mi sento fallito, sono incattivito perché fallito e dico “sono sbagliato”. Ma la ragione è un’altra: è perché io non accetto di domandare e non accetto come mio compimento l’amore di un Altro. La sfida ogni istante è questa.

[07/03/2018, 14:11:04] Frankie: “Voi sarete una grande nazione, un popolo saggio e intelligente”.

La promessa ebraica: che la fede faccia di te un uomo e un popolo più intelligente.
La fede non cambia – la sfida ebraica e poi del compimento cristiano – innanzitutto la morale: cambia l’intelligenza; non nel senso che ti aumenti il Q.I., il coefficiente intellettivo – quello è naturale, è dato -, ma cambia il punto di vista: a parità di coefficiente intellettivo, la fede ti dà il punto di vista totale, come uno in cima a una montagna che vede il posto di ogni cosa.
Il Cristiano sa a che cosa ogni cosa serve, perché esiste, la usa per il suo scopo e se la gode.
Questa è la novità che la fede porta dentro la vita.

Quando il nostro sguardo si spegne, perde il senso di tante cose o di sè, è perché non è più uno sguardo di fede, è inutile che ce la raccontiamo.

Ecco, in cosa consiste questa nuova intelligenza?
Il primo step di questa nuova intelligenza che Cristo porta: “Non sono venuto per abolire”. Non c’è nulla da abolire: ogni cosa ha un senso e uno scopo. Non esiste una cosa sbagliata: quelle che fai tu, tante sono sbagliate, ma le cose, la natura, la realtà, quella che non fai te, che fa il Mistero, son tutte buone! Non c’è niente da distruggere nell’uomo! Pensare che positività, che intensità affettiva.
E tu non puoi più dire: “Io sono sbagliato”, “quello è sbagliato”! Nessuno è sbagliato! Sei solo incompiuto e Io sono venuto per dare compimento. Nessuno può mai più dire: “Io sono sbagliato”; ma non puoi neanche più dire: “Vado bene così”, questa è una stupidaggine! Come vai bene così?! Ti devi convertire, devi rinascere, sei incompiuto! Non vai bene così come sei! Devi essere compiuto! Son venuto per sfidarti al compimento, per darti la possibilità di compierti, di trovare quel che ti manca, di correggere quel che non va!
Nessuno è sbagliato, ma nessuno va bene così! È una stupidaggine “io vado bene così”, ma sei scemo?! Ma non ti vedi?! Cos’è che va bene in te? Cos’è che basta a se stesso? Sono venuto perché tu sfidi le tue giornate con questa domanda: “E allora cosa mi compie? Chi mi compie e cosa mi compie?”

Pensate vivere una giornata senza tregua, in cui non dai tregua a niente e a nessuno: sfidi ogni cosa e ogni persona: “Ma tu mi puoi compiere? Ma a te cosa ti compie?”
È una giornata senza tregua e la giornata del Cristiano proprio per questo è una giornata di pace, perché quando tu non sei in pace è perché hai smesso di cercare il compimento, ti fai bastare quel che sei e quel che hai. Dal momento in cui scateni la lotta per trovare ciò che ti compie e Chi ti compie, sfidi amici e nemici così, cominci a respirare, cominci a vivere la pace, perché la pace comincia non quando l’hai trovata tu, ma quando hai deciso di scatenare la guerra della vita per trovarla.

[08/03/2018, 21:09:35] Frankie: *Omelia 8 marzo 2018*

“Scacciava un demonio muto”

Il demonio è muto, non ha niente da dire, perché a lui le cose non dicono niente, sono cose e basta, non sono segno di niente, perché lui nega il Creatore delle cose. E le cose senza il Creatore non gli dicono niente. Questo è lo sguardo demoniaco.
Quando non abbiamo niente da dire, non sappiamo cosa dire, non abbiamo un’idea, vuol dire che le cose a noi non dicono più niente, non impariamo più niente da niente, sono cose usa e getta, usa e getta. Non è perché le cose in sé non valgono, è perché noi le guardiamo con lo sguardo del demonio: cose.
L’opera di Gesù è che l’indemoniato comincia a parlare, le cose a lui parlano, tutte le cose a lui Lo riempiono della bellezza e della grandezza del Mistero, una pienezza incontenibile e irresistibile. Il test che è arrivato Cristo nella tua vita è che tu parli, tu hai da dire, hai il cuore pieno di bellezza, di significato, il cuore colmo dei segni del Mistero, incontenibile. Questo è lo sguardo di Cristo.
Dove accade? Dov’è che le cose parlano, ti parlano? Dov’è che tu ti trovi pieno e devi dire, devi comunicare? Dov’è che le cose cominciano a parlare, e tu ti trovi fecondo, comunicativo, creativo, esattamente come Gesù? Perchè chi riconosce le cose come creature di Dio diventa come il Creatore delle cose, comincia a ricreare il mondo, porta a compimento l’incompiutezza del mondo. Il mondo lo ha fatto apposta incompiuto perché noi lo creiamo insieme con Lui. Dove questo accade tu lo sai, dove accade che diventi muto tu lo sai: se diventi muto lì ti ha preso il demonio, se cominci a parlare lì è presente Cristo. Fatti furbo e decidi dove stare, dove fissare lo sguardo, dove attaccare il cuore.

[09/03/2018, 12:22:03] Frankie: *Omelia 9 marzo 2018*

Egli è Uno” e merita di essere amato con tutto se stesso, con tutte le forze, con tutta l’intelligenza, tutto.

“Non sei lontano dal Regno di Dio.”
Hai veduto l’essenziale, tu ti realizzi, realizzi la tua bellezza e grandezza, dando tutto di te; in ogni parola, in ogni gesto dai tutto, perché lo dai a Lui che ti fa.
Questa è la tua realizzazione umana.
Quando ti senti mancante, quando non ti senti realizzato, non è perché ti manca qualcosa, ma perché hai ancora qualcosa che non hai dato. I momenti in cui dai tutto, in quell’istante tu sei realizzato. Sei bellissimo. Le immagini primaverili della prima lettura: “Sarà come rugiada, spanderanno i suoi germogli, avrà la bellezza dell’ulivo, la fragranza del Libano, fioriranno come le vigne”, fiorirai umanamente perché in ogni parola ci metti te, sì, ti vedi tu in ogni parola, in ogni gesto: è la tua fioritura umana.
Questa è la sfida che Cristo lancia, è l’unica che è per tutti, perché se la felicità fosse “fare”, “possedere”, “riuscire”, chi potrebbe?
Ma se la mia fioritura umana consiste nell’amare, dare tutto gratis, in ogni parola, in ogni gesto metterci quel che sono, io sono sempre capace di realizzare me stesso, perfino – lo ha dimostrato Gesù il Venerdì Santo – sulla croce dei Romani; perché di possedere e di riuscire a fare non è dato a tutti e, prima o poi, ci viene meno il potere, ma il potere di amare è l’unica vera democrazia, perché ogni uomo, in qualunque condizione, può dare tutto di sè, non c’è respiro al di fuori della sfida di Cristo.

[12/03/2018, 11:25:41] Frankie: *Omelia 12 marzo*

“Io creo nuovi cieli e nuova terra.” Non “voi dovete fare, dovete riuscire”, non è una morale, qualcosa che dobbiamo fare noi, ma è qualcosa che faccio Io, sono Io che creo un mondo nuovo!
Voi dovete, se volete, conoscere e accogliere quello che Io creo. Perché voi potete conoscere e accoglierlo? Per una sola ragione: se non vi basta il mondo che c’è già – o quello che state costruendo voi – Io non sono venuto ad aggiustare, a rattoppare, sono venuto a fare un mondo nuovo dentro il vecchio perché il mondo vecchio, anche se lo aggiustaste, se Io lo riparassi, non vi basterebbe, non vi riempirebbe il cuore se non di uno struggimento infinito. Il mondo vecchio è terra vecchia. Quel che fate voi non vi è dato per farvi felici, ma per risvegliarvi il desiderio della felicità. E quando Io creo il mondo nuovo è facile per voi riconoscerlo. Non si ricorderà più il passato in quel momento, non verrà più in mente, è talmente corrispondente quello che Io ho creato che per un istante vi dimenticate di tutto il resto.
Allora a che serve il resto? A che serve il vecchio mondo, la natura o quello che voi costruite, la società? Se non è quello che vi compie è da buttare? Viene disprezzato come pensa il fondamentalismo…mai! Che rapporto c’è tra il vecchio mondo, la natura o la società che costruite voi uomini, e il mondo nuovo che faccio Io? Che rapporto c’è? Questo fu il secondo segno che Gesù fece in Galilea, il primo era stato le nozze di Cana, questo: guarire il figlio del funzionario dell’impero, il secondo, poi ci sarà il terzo, il quarto, il quinto…
Ecco, questo mondo sarà riempito di segni del nuovo mondo! Ecco che cosa serve il vecchio mondo – non c’è da buttare via niente, non c’è da disprezzare niente – il suo scopo è quello che il mondo vecchio aveva fin dall’inizio: Segno della Bellezza di Dio, una finestra spalancata, il presentimento del nuovo mondo che attizza, risveglia il desiderio dell’uomo! Ha la funzione dell’antipasto e dell’ aperitivo che non ha come scopo di ingozzarti ma, appunto, di risvegliarti il desiderio, di salvare la portata del tuo desiderio, perché senza il nuovo mondo il desiderio è sempre più complicato. Alla fine si spegne, come vediamo nella maggior parte dei volti che incrociamo nella giornata, se c’è una cosa di cui non mi posso rimproverare nella mia vita è di non aver mai snobbato nessuno dei miei desideri!

[13/03/2018, 21:06:33] Frankie: *Omelia 13 marzo, davvero bella*.
“Vuoi guarire?”
Tu ti aspetti: “si, lo voglio!”
No: “da trentott’anni sono qui c’è sempre un altro che è prima di me, che è più fortunato di me. Io sono uno sfortunato, il destino cel’ha con me. Io non ho la colpa, non è colpa mia, é destino che son nato sfortunato.”
Qual è la malattia di quell’uomo? Non è nel corpo, è nel cuore. Quell’uomo non dice più “voglio!”, dice ‘vorrei’, ‘mi piacerebbe’, ‘è tutto contro di me’, non dice ‘guariscimi’, non ama più con decisione se stesso, non lotta più per la propria felicità.
Possibile che in trentotto anni non sei mai riuscito a passare davanti agli altri, a farti degli amici, allearti con la mafia??! ma fai qualcosa!!! Hai smesso di lottare, sei malato dentro. Questo è il tuo problema. Adesso la grazia te la faccio, ti curo il sintomo, ma la causa non te la posso curare io, vai e non peccare più. Smetti di lamentarti, di sentirti sfortunato, comincia a volerti bene, perché la malattia del corpo te la posso curare io, ma la malattia dell’anima… ti ho fatto io, il tuo io è in mano a te, tu puoi decidere di volerti bene o di non volerti bene. Di dire ‘voglio’, o di dire ‘vorrei’, di lamentarti. Se non curi il tuo io, se non decidi di lottare per la tua felicità, ti capiterà altro che trentott’anni, trentotto mila anni.
Devi curarlo tu il tuo io, l’ho messo in mano tua.

Per questo perseguitavano Gesù, conclude il Vangelo di Giovanni. E sfido io, perché uno che cura i corpi può anche essere utile al welfare, ma uno che cura l’io, che risveglia l’io e che insegna a un povero lamentoso, che si sentiva sfortunato, a dire io, a lottare perentoriamente per la propria felicità, un uomo così è pericoloso, agirà su un popolo di gente che dice come il salmo 45, “noi non temiamo, se trema la terra!”. Non è che non temiamo, temiamo perché siamo sani e abbiamo coscienza del triplo, ma non temiamo il tremore. Il tremore non ci blocca, il tremore distrugge la terra ma non il nostro io. Noi il tremore non lo temiamo, ma lo viviamo, viviamo con tremore, ma il tremore non ci ferma più. E, secondo l’immagine del profeta Ezechiele, siamo come un fiume misterioso che ha un’acqua tale che dove giungeva quell’acqua rinasceva tutto. Dove arriva un uomo così il mondo comincia a rinascere. E Gesù dice: “guarda che devi cambiare pelle, non pensare che adesso sei a posto.”
Di fatti gli han chiesto “ma chi è che ti ha guarito?”, “ah, non lo so, boh, è successo…”.
E si è fatto bastare la guarigione, non si è neanche interessato di capire chi era colui che lo aveva guarito.
Questa è la novità di Cristo dentro il mondo: cura l’io, o meglio lo sfida, perché l’io si deve curare da se stesso. Io ho in mano quello che voglio, lo decido io ogni istante. Quello che riesco, no, ma quello che voglio, si. Dio mi ha messo in mano il potere di volere, e se io voglio mi da Se stesso . Questa è la sfida che Cristo porta nel mondo, è per questo Cristo fa tremare chi vuol dominare il mondo.

[14/03/2018, 16:20:54] Frankie: Omelia 14 marzo 2018.

“Il Padre ha concesso al Figlio di avere la vita in Se stesso”

Bene, quel Figlio non sono io, perché io non ho la vita in me stesso, mi è data questo istante. La vita mi è data e l’istante seguente la sto già perdendo. Non mi appartiene la mia vita. Ce l’ho ma non è in me, io sono creato in questo istante, non sono il creatore di me stesso. C’è Uno solo che ha la vita in Se stesso: è Dio, ma è anche la pretesa inaudita di Gesù:

“Come il Padre ha la vita in Sé Io ho la vita in Me stesso”

Questa sfida costerà a Gesù la morte cruenta. Era intollerabile se non era vero, ma se era vero?
È vero o non è vero che Gesù ha la vita in Se stesso?
La sua pretesa è da pazzo, hanno fatto bene ad ucciderLo? O la sua pretesa era vera, Lui ce l’ha davvero la vita in Sé? Cioè Lui è Dio. Questa è la partita del mondo, questo cambia la vita del mondo, dell’uomo e della società, non chi va al governo le prossime settimane in Italia, o come sarà il PIL i prossimi mesi, o la disoccupazione.

Come faccio a sapere se hanno fatto bene ad uccidere Gesù o se hanno fatto bene a seguire Gesù quelli che Lo hanno seguito? Qual è il test da cui capisco che in Lui c’è la vita Divina? Qual è il test del Divino? Non nelle visioni, ma nel rapporto con la realtà, con le cose quotidiane, con la giornata di oggi. Il salmo potentissimo che abbiamo appena recitato:

“La sua tenerezza si espande su tutte le sue creature”

Uno che dice così questa cosa l’ha vissuta; uno non può dire questa cosa perché non è umano, nessun uomo espande la sua tenerezza su tutte le creature, è entusiasta di tutte le creature. All’uomo la maggior parte gli sfuggono. È impossibile la tenerezza per tutte le creature, è impossibile l’entusiasmo per tutte le creature. Questo è il criterio del divino. Un uomo che dice questo lo ha intuito.
In Gesù hanno visto questa tenerezza invadere tutte le creature che incontrava, perfino i nemici; solo il Divino è capace di questo abbraccio. Noi non possiamo. Ma se un uomo dimostra questa tenerezza, in quell’uomo c’è la vita di Dio. Pensate come diventa alzarsi.
Questa mattina mi sono svegliato alle 4 e qualcosa con questa frase in testa: “alzarsi al mattino per cercare durante la giornata un motivo adeguato per alzarsi”, per andare ad intercettare una tenerezza che si espande che si espande su tutte le creature. Dove c’è questa tenerezza? Dove intravedo oggi quest’abbraccio? Lì c’è il Divino, lì c’è la vita che era nell’Uomo Gesù di Nazareth.
La vita diventa un’avventura se ti alzi al mattino per intercettare le tracce di una tenerezza e di un entusiasmo che invadono tutte le creature. Pensate che amicizia può nascere tra persone che vivono la giornata per intercettare questa tenerezza, questo entusiasmo e che hanno la possibilità di condividerla.

[15/03/2018, 20:39:20] Frankie: *Omelia 15 marzo 2018*… DI ALTO LIVELLO!

“Si fabbricarono un vitello d’oro”

Un idolo, che è la tentazione dell’uomo, di ogni uomo; non dell’uomo religioso, perché ogni uomo è fatto per l’infinito, per l’assoluto, per il totale e sempre l’uomo assolutizza qualcosa, anche quando non lo chiama dio, lo tratta come se lo fosse.
Ma non resiste a cercare l’infinito, il totale, l’uomo cede, normalmente, al finito, al parziale, non regge una tensione tale. Guardate le facce della gente da mattina a sera: è raro trovare facce tese, tese all’infinito, tese alla pienezza. Tutte facce distese, rallentate, tono basso; come la gente parla, sentite il tono. Si fanno bastare dei particolari, sostituiscono Dio con un surrogato, per cui hanno sempre il tono deluso, sempre. Quando ne trovo una infiammata, io di schianto entro in sintonia.

“si fecero un idolo e scambiarono la loro gloria con un toro”

La vitalità naturale, la passionalità, l’istinto. Non dice “scambiarono la gloria di Dio”, ma “la loro gloria”, la loro bellezza; l’idolo non fa un dispetto a Dio, non è che Dio si arrabbia perché non lo adori! Mah! “Scambiarono la loro gloria con un toro”: si ridussero ad un livello bestiale, persero la propria bellezza e grandezza, rinunciarono cioè a realizzare se stessi. Si fecero bastare di star bene, non di essere veri, ma di sentirsi bene. Ecco, ridurre la felicità invece che a compiere il proprio essere, ma a sentirsi bene con se stessi. L’offesa non la fecero a Dio, ma a se stessi, alla loro umanità. Per questo che Gesù finisce il Vangelo e dice “non crediate che sia io ad accusarvi”, no, non vi accuso io, non c’è nessuna autorità dall’esterno che vi colpevolizza, che vi punisce. è il vostro stesso cuore, è l’autorità che avete dentro che vi accusa: un disagio, un dolore. Benedetto dolore! Benedetto disagio! Che vi fa accorgere che vi siete traditi, che avete adorato un idolo. Che cosa è che può aiutare a smascherare l’idolo? Che cosa fu dato a Gesù e ai suoi contemporanei? Giovanni. Una lampada che arde e risplende. Ne avete goduto per un istante, e poi le avete voltato le spalle.
La lampada, che arde e risplende, sono dei volti ardenti, che risplendono, splendono, che smascherano l’idolo e rivitalizzano il cuore. Perchè il cuore non si rassegnerà mai all’idolo: appena vede ciò per cui è fatto, inesorabilmente ricomincia a gridare.
E’ questa la sorgente della speranza per noi.

[16/03/2018, 21:49:11] Frankie: “ci è insopportabile al solo vederlo”.

L’impressione di un uomo di fede: è insopportabile al solo vederlo. Perché provoca la tua libertà, non ti dà tregua, tu lo vedi e devi prendere posizione, non puoi più essere indifferente, devi decidere da che parte stare: o con lui o contro di lui. L’impressione che ebbe Rainer Maria Rilke, uno scrittore agnostico del primo ‘900 che andò a Roma in un museo, vide il torso incompiuto, spezzato, dell’Apollo del Belvedere, che c’è tutta una funzione alla perfezione, anche se tutto incompiuto e spezzato, e lui diceva: “ogni punto di quel marmo mi grida ‘devi cambiare la tua vita, devi cambiare la tua vita’, o cambiavo la mia vita o dovevo frantumare quel marmo”.
Ecco, e se tu non vuoi cambiare? Appunto, di fronte a Gesù cercavano di ucciderLo: Lo devi uccidere, perché hai già ucciso te stesso, il tuo desiderio di cambiamento, di essere vero.
Quando tu sei violento con gli altri, li ferisci, è perché lo sei verso te stesso, sei violento verso il tuo desiderio, non ti vuoi veramente bene, non vuoi che la tua vita sia vera. Non li sopporti perché non ti sopporti, non ti sai amare. Ma Dio non pretende che tu sopporti te stesso, che tu sia capace di amare te stesso, lo sa bene che non siamo capaci. Ti chiede solo di accettare il Suo amore, come ogni innamorato; dice solo: “lo accetti il mio amore? Posso volerti bene?”. Ti disarma, ti toglie ogni arma. Infatti di Gesù, dice il Vangelo, che:

“nessuno riuscì a mettere le mani su di lui”

Li aveva disarmati. Li aveva disarmati, non potevano opporre nulla, chiedeva solo di potergli voler bene.
Ecco, non Gli misero le mani addosso:

“perché non era ancora giunta la sua ora”

La Sua ora è l’ora in cui Lui smette di amarli, e non è mai giunta per Lui; fino all’ultimo istante ti chiede: “amico, perché mi tradisci?”. Ti toglie l’arma più micidiale, che è la presunzione di non aver bisogno di essere amato, di bastare a te stesso.
La Settimana Santa che ci attende ci sfida a questo livello.

[18/03/2018, 17:26:11] Frankie: *Omelia 18 marzo 2018*

Arrivano i greci: “vogliamo vedere Gesù”. E Gesù esplode: “è giunta l’ora che sia glorificato”, che sia conosciuto, che Io sia conosciuto, che vedano che cosa porto nel mondo. Non posso più sopportare di vedere gli uomini così schiavi, perché Io porto la libertà e guardo gli uomini con una pena sconfinata; tutti, gli atei e quelli religiosi, i non circoncisi, i goyim e i teocriti, quelli che hanno la legge di Dio, son tutti schiavi.
I pagani, questi greci, i romani, sono schiavi del loro istinto, che ce l’hanno addosso, gridano, vivono come le bestie e fuori hanno l’impero che li picchia quando vanno fuori dai binari. I religiosi hanno la legge di Dio, ma è una legge esterna che li incastra, li ingabbia, li inchioda: muoiono dentro le regole, sono incattiviti, son depressi, repressi, non sono liberi, non sono contenti, sono tutti anaffetivi, nessuno conosce un’affezione vera.
Io porto nel mondo la possibilità della libertà, come il profeta Geremia aveva promesso:

“Quando verrò, scriverò la mia legge nei loro cuori”

Il loro stesso cuore porterà scritta la legge: non saranno schiavi né dell’istinto, dei meccanismi bestiali, né di una legge esterna, che sia di Dio o che sia dello stato, sempre esterna è, sempre ingabbia, toglie a tutti libertà. Io farò fiorire la legge dal fondo del cuore; davanti a loro farò luce sul loro cuore, scopriranno la legge che hanno in cuore, le loro esigenze più profonde, esprimeranno in quel che dicono e quel che fanno quel che gli viene dal cuore. Fiorirá nelle parole e nei gesti quello che è radicato nel fondo del cuore; avranno il gusto di dire “io penso”, “io voglio”, “io sono questo”, “io ti dono me stesso”. Avranno il gusto di dire “io”, faranno le cose per amore, avranno il gusto di amare e non si sentiranno più soli come il chicco di grano, che se si rifiuta di donare se stesso, di morire rimane solo; se invece accetta di donarsi, di far le cose per amore, ha una compagnia straordinaria, produce il cento per uno. Quando noi ci sentiamo soli è perché non ci doniamo più, non ci mettiamo il cuore. Quando uno ci mette il cuore non è mai solo.
Una volta, più volte, quando annuncio questa novità entusiasmante che Cristo ha portato nella mia vita anche degli amici cari dicono “eh ma così tu rischi l’anarchia, tu esageri, così se ognuno segue il cuore viene fuori l’anarchia. Ognuno interpreta”. Come se fosse male interpretare, come se l’anarchia fosse un male in sé…“Non c’è il rischio dell’anarchia”, “eh ma non devi dire troppo ‘io’, non bisogna esagerare con il cuore, non bisogna esagerare con la libertà”. Chi dice così è perché non ha mai preso sul serio il proprio cuore, non ha mai guardato fino in fondo al cuore degli altri.
Gesù risponde indirettamente a questa obiezione:

“quando sarò innalzato da terra [cioè nel massimo del dono di me stesso, sulla croce] attirerò tutti a me”

Perché il cuore è fatto per Me: se tu segui il cuore ti trovi davanti a Gesù, davanti a Colui che ha fatto, sei attratto da Lui; e davanti a Lui scopri che anche gli altri sono attratti da Cristo, che il contenuto del desiderio è sempre Lui. Più si prende sul serio il cuore, più ci si trova davanti a Gesù e ci si accorge che questo non ti manda allo scontro con gli altri, ma all’incontro, ti porta ad incontrarli; e fa fiorire tra te e quelli con cui naturalmente non avresti nulla in comune, una miracolosa affezione. Quante volte mi trovo negli ultimi tempi a guardare in faccia a una persona che mi corre incontro e che mi guarda, che mi abbraccia con una tenerezza sconfinata e a dirle: “ma ti rendi conto?”. Quante volte! “Ma cosa c’è tra noi? Siamo due estranei, cosa c’entro io con te? Non c’è nessun legame naturale di nessun tipo, a cominciare dall’età. Com’è possibile che ci sia questa affezione che è cento volte più bella, più potente, più limpida, più vibrante, più liberante dei legami naturali?”.
Questa è l’esperienza di chi prende sul serio il cuore illuminato da Cristo; perché non è vero quello che disse una volta una cara amica: “eh ma il cuore lo devono seguire quelli che non hanno altro che il cuore, prima di Cristo, quelli pagani sì, gli atei devono seguire il cuore; ma chi incontra Cristo dopo deve obbedire a Gesù”. Ho detto: No! Obbedisce sempre al proprio cuore illuminato da Cristo, in presenza di Cristo, che è ancora più cuore se è illuminato da Cristo. È prima di Cristo che non si può seguire il cuore perché è confuso, non sai neanche per che cosa è fatto. Prima adori il Dio ignoto, davanti a Cristo adori il Dio noto. È solo allora puoi veramente seguire il tuo cuore.
È per questo che per essere amici veramente tra noi dobbiamo, come quei pagani, quei greci, che andavano prima da Andrea, poi da Filippo, poi da Gesù a dire: “vogliamo vedere Gesù”. Vogliamo vedere Gesù, che è l’unica possibilità che abbiamo di essere ognuno fino in fondo se stesso e di essere realmente uniti, di sperimentare un’affezione altrimenti impossibile.

[19/03/2018, 14:10:59] Frankie: “Tuo Padre ed io angosciati ti cercavamo”

È evidente l’angoscia e il dramma: un figlio perso per tre giorni. Ma il dramma vero ed anche i momenti di angoscia acuti sarebbero venuti dopo, anzi avvennero subito dopo.

“Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”
Questo è il dramma molto più acuto del primo. Non sapevate che devo occuparmi di altro che di voi? Che devo obbedire a un altro più grande di voi due?
Viene lacerata in quel momento, di schianto, l’immagine che avevano di se stessi e di lui: c’è un Altro, più grande, a cui anche voi due dovrete obbedire; c’è un altro compito di cui mi devo occupare, che io devo realizzare, ben più grande delle aspettative che voi avete su di me; più grande dei vostri progetti.
Qui si schianta l’idea che Giuseppe ha di se stesso, come sposo e come padre.

Oggi è la festa di San Giuseppe sposo, il padre putativo. Qui Giuseppe accetta di diventare lo sposo più virile e il padre più virile della storia, perché non è più lo sposo della madre dei suoi figli – son capaci tutti, poco o tanto, padre di suo figlio – è l’uomo più virile perché è lo sposo della madre del Figlio di Dio, non del suo! È il padre più virile perché è l’educatore del figlio di Dio, dell’uomo più grande della storia. E darà la vita per quella donna e la vita per quel figlio e per il loro compito, un compito che lui non ha immaginato, lo ha immaginato il Mistero; e si alzerà ogni giorno e darà la vita ogni giorno chiedendosi non “che cosa mi aspetto io oggi da questa donna?”, ma “cosa si aspetta il Mistero?”; non “mio figlio realizzerà il progetto che io ho fatto su di Lui?”, ma “che cosa vuole Dio da questa donna e da mio figlio? Che progetti ha il Mistero?”; saltano le sue aspettative.
Amare quella donna e quel figlio vuol dire aiutarli a scoprire la volontà di Dio e a realizzare quella, che normalmente non è la propria.
Amarli vuol dire aiutarli a scoprire la volontà di Dio e a farla.
Amarci tra di noi vuol dire: “Che cosa vuole Dio per la tua vita? Qual è il progetto di Dio? Qual è il tuo scopo? Per quale grandezza tu sei fatto, tu sei fatta?” Ti amo se do la vita perché tu scopra questo!
Pensate che acutezza di sguardo su ogni cosa che gli accade, che intensità affettiva di fronte ad ogni indizio, come ci mette il cuore. Noi siamo amici se, come Giuseppe, ci aiutiamo a respirare di questo orizzonte e di questa intensità.

[21/03/2018, 11:55:40] Frankie: *Omelia 21 marzo* “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.

Perché non è il potere sulle cose e sulle persone su voi stessi che vi fa liberi.
Perché nessuno è padrone di niente nemmeno di me io sono padrone. In questo istante se c’è una cosa evidente è che io non mi faccio.

E non sono libero se domino ma se conosco e se amo.

Ogni cosa mi è data perché io la conosca, perché io la ami e perché io la usi per il suo scopo.

Ogni persona mi è data perché io ne conosca la bellezza, la ami e la aiuti a realizzare il compito che ha nel mondo. Questa è la libertà,

senza questo siamo schiavi infatti “chi commette peccato è schiavo del peccato”. Perché il peccato è ciò che ti rende schiavo, diventi schiavo di un particolare perché “peccato” in greco si dice ἁµαρτίαν (amartìan). ἁμαρτάνω (amartàno) vuol dire fallire, ἁµαρτίαν (amartìan) è il fallimento del bersaglio.

Tiri la freccia e non fai mai _top_. Cadi sempre e non arrivi al _top_ ma tu sei fatto per il top, per il centuplo, sei fatto per andare in cima alla montagna e non ci arrivi mai. Ma è solo dalla cima che tu conosci tutto e vedi la bellezza di ogni cosa e abbracci ogni cosa. Nessun uomo centra il bersaglio, nessun uomo ti porta in cima alla montagna. Ogni uomo ha sempre una zona d’ombra nello sguardo, perde sempre dei pezzi ed è costretto a ripiegare su un particolare che lo rende schiavo.

“Se il Figlio vi farà liberi sarete liberi davvero”.

È la sfida di un uomo e questa sfida sappiamo che gli costerà la pelle perché ha detto una cosa che nessun uomo può dire.

Ma è vero o non è vero quello che Gesù ha detto?

Io sono il top venuto dentro il mondo, chi segue me vede le cose dalla cima è come se fosse in cima all’Everest, fa l’esperienza del senso di ogni cosa, può usare ogni cosa per il suo scopo la vede bellissima, utilissima.

Può incontrare ogni persona e scoprire il compito, dare la vita perché ogni persona realizzi il suo compito. E’ vero o non è vero? C’è un solo modo per scoprirlo provare a seguirLo, andare in cordata dietro di Lui che pretende di portarci in cima alla montagna e raccontarci come compagni di cordata il panorama che si vede ad ogni tornante.

Ho 72 anni e ho visto il panorama sempre allargarsi, sempre allargarsi, questa è la sfida della nostra amicizia.

[21/03/2018, 12:56:09] Frankie: *Omelia 20 marzo 2018*

“Voi mi cercherete”.
Non potrete non cercarmi!
Una volta che mi avete incontrato, i conti con me li dovete fare. Chi mi ha visto per un istante, sul serio, ha il cuore bruciato perchè Io vi ho lanciato una sfida! Vi ho promesso una felicità così grande che il cuore non ha più tregua. Voi mi dovete cercare, dovete verificare la mia sfida, dovete conoscere, perché se è vero quel che vi ho proposto mi dovete servire, vi dovete impegnar prima; se non è vero, o mi uccidete o andate nel mondo a cercare un’alternativa a me! E non avrete tregua se non la trovate!

“Dove vado io voi non potete venire!”
Non perchè Dio ve lo impedisca, non c’è Dio e nessun altro, non per un ostacolo esterno, ma interno!
Voi avete un ostacolo dentro di voi che vi impedisce di trovarmi, di conoscermi, di rendervi conto. Perchè voi siete di questo mondo, io sono di un altro mondo! Voi avete in testa un orizzonte piccolo, meschino,
avete dei desideri piccoli e da questi siete incarcerati, non ne volete uscire, vi manca l’audacia del desiderio!
Vi fate bastare le cose piccole; a voi, per esempio, il mondo vi basterebbe, se aveste il mondo intero voi sareste appagati, forse molto meno. Ma Io vi dico: “A cosa vi serve conquistare il mondo se poi perdete la potenza di desiderio del vostro cuore?
Per seguire Me non bisogna essere bravi, bisogna essere audaci nel desiderio!”.
E sappiamo cosa decisero poi i Farisei, ma in quel momento molti di loro non capivano – perché parlava col Padre – ma molti in quel medesimo istante credettero in Lui, perché la partita dell’apertura del cuore è la partita di ogni istante.
Ogni istante tu decidi se aprire il cuore o chiuderlo. Il cuore di ogni uomo è sempre apribile, è sempre richiudibile, fino all’ultimo istante; è per questo che il cristianesimo non ti dà mai la tranquillità. Ti fa sempre vibrare di una drammaticità; hai sempre in mano quello che tu vuoi essere.

[23/03/2018, 08:59:47] Frankie: *Omelia 22 marzo*

“Diventerai padre di una discendenza, avrai una generazione”. Non ti prometto delle cose, ma la capacità di generare! Che tumulto nel cuore di Abramo, settantacinquenne, sterile, era stato il desiderio più impetuoso della sua vita; un ebreo sente la sterilità come una maledizione. Ma non un ebreo: ogni uomo vivo!
Ho sempre davanti agli occhi la reazione delle coppie che si scoprono sterili: un dolore scomposto, risentito, amaro!
E a Dio non perdonano questa ferita perché è sentita come contro natura! Non gliela perdonano! Abramo sentì questa promessa e gli fu concesso di intuire, un giorno, il compimento. “Quando vidi il mio giorno”, non il giorno di Isacco, quando gli nacque un figlio
pure a 76 anni…Ma quando intuì il Mio giorno, intuì che cosa Io avrei portato nel mondo!
Perché la nascita di Isacco non rispose al bisogno di fecondità che Abramo aveva, perché Isacco è un figlio naturale e come tutte le cose naturali è mortale. Isacco sarebbe morto, non a ventidue anni per mano sua, ma sarebbe pure morto di vecchiaia, sazio di giorni, ma non sazio nel cuore! I greci lo sanno bene che ogni esperienza naturale è deludente!
Che la nascita di un figlio, normalmente o in modo artificioso, complicato come la tecnica oggi ci permette, non risponde al bisogno di fecondità, della generazione della vita!

I Greci chiamavano gli uomini “thnetoi” cioè i “mortali”, questo aggettivo sostantivato che definisce gli uomini! I Greci usavano bene la ragione e gli uomini, qualunque cosa facciano, sono dei mortali!
La promessa ad Abramo non si compie quando vede il giorno della nascita di Isacco, ma quando intuisce il compimento nel giorno di Cristo.

“Chi vede me non vedrà la morte in eterno”, è pieno di gioia per questo: intuì che un giorno, con il Messia, nel mondo avrebbe fatto irruzione l’Eterno. È il giorno di Cristo risorto quello che risponde al bisogno della fecondità. Solo una vita immortale risponde al dramma della sterilità.
Chi si accontenta di una fecondità naturale, o perché è una coppia normale o perché riesce con gli artifici complicati a produrre un figlio, è un meschino, perché gli affetti naturali, anche quelli normali, sono sempre disperanti e deludenti per chi ha cuore.

Io posso abbracciare e abbandonarmi tutto soltanto all’Eterno, ad uno che vive per sempre! Quello che è mortale non è per me, non mi prende mai tutto. Questo giudizio di Cristo, totalmente esplosivo, totalmente inattaccabile, perché era vero, lo sentirono benissimo! Dice che presero le pietre per seppellirlo e seppellire con Lui il sussulto del loro stesso cuore che Lui aveva fatto bruciare anche solo per un istante!

[23/03/2018, 13:21:34] Frankie: *Omelia 23 marzo 2018*
“Ti lapidiamo non per un’opera che hai fatto, ma per una bestemmia che hai detto perché tu offendi Dio e noi difendiamo Dio”.

Alla faccia?! Voi difendete Dio?! Ma che Dio è se deve essere difeso da voi?

L’unico Dio interessante per l’uomo è quello che difende Lui l’uomo, non che è difeso dall’uomo.

Dio, il mio Dio, dice Gesù, non deve essere difeso da nessuno, ma è Lui che sfida, anzi vuole essere sfidato a salvare la nostra vita, a cambiarla! Pretende di renderla vera con le Sue opere.

Io non vi chiedo di credere in me! È secondario che crediate in me o no, non mi interessa avere dei credenti che mi adorano, che si prostrano, che si umiliano; o degli uomini che pretendono di difendermi: se non credete in me è lo stesso, credete nelle mie opere, guardate le mie opere! Verificate se le mie opere salvano la vostra vita!

Non mi dà gusto un uomo che si sottomette a me ma un uomo in piedi che mi sfida a salvargli la vita, che mi chiede di compiere delle opere che gli cambino la vita. A quest’uomo sono io che mi sottometto, alla sua esperienza, per stupirlo, commuoverlo e per entusiasmarlo, fino a sentirlo gridare: “Tu hai parole di vita eterna, Tu rendi eterna con le tue parole e con le tue opere la mia vita”.

Ecco questo Dio merita la mia fede, merita la mia vita! Io questo Dio lo ascolto, perché questo Dio non mi vuole credente sottomesso, ma mi vuole felice, mi vuole realizzato! Non gli importa neanche che io creda in Lui o no: vuole che io sia me stesso! Questo è il Dio di Gesù! Questo è il Dio a cui Gesù dà tutta la vita.

E per chi incontra questo Dio ogni altro Dio diventa insipido, non gli dice niente, un altro Dio non mi merita, perché io ho coscienza della portata della mia vita, del mio desiderio, della capacità della mia ragione!

Solo un Dio che mi stima così tanto è degno della mia vita.

[26/03/2018, 10:38:03] Frankie: *Omelia del 25 marzo, Domenica delle Palme*

La passione di Gesù – abbiamo sentito il racconto succinto che ne fa Marco – la passione di Gesù non è la sofferenza di Gesù, ma l’amore appassionato di Gesù.
“Passio”, in latino, da “patio” non vuol dire innanzitutto soffrire, vuol dire “provare passione per”.
La passione di Gesù non è appena quanto ha sofferto, ma quanto ha amato!
Il soffrire è una conseguenza dell’amare! È la conseguenza di una passione totale per noi uomini!
È tanto appassionato a noi, ci ama tanto appassionatamente da abbracciare tutto di noi, di me! Da provare tutto quello che provo io, nel bene e nel male, esattamente come nel matrimonio: ti do tutta la mia vita nella buona e nella cattiva sorte; la cattiva sorte è dentro la buona.
Perché Gesù ama veramente, l’amore vero è totale: “Ti amo, ti do tutto e per sempre!”
Se manca qualcosa l’amore non è vero e il cuore lo capisce benissimo, gli resta un vuoto dentro, un incompiuto che lo logora, progressivamente!

Ma è ragionevole amare così? È stato ragionevole l’amore di Cristo per noi!? Era giusto che Lui mi amasse così? Ed è ragionevole che io ami così? Che io mi ami così e che ti ami così? È stato ragionevole per Lui?
Ha fatto bene ad amarci così? Che cosa ci ha guadagnato? E ha fatto bene a me che Lui mi amasse così?

Queste sono le domande con cui affrontiamo i giorni prossimi della Settimana Santa, che ci sono dati apposta per rispondere a queste domande, per guardare il Suo Volto, per vedere che frutti ha portato questo amore nel Suo Volto così sfigurato dalla violenza!
Che segni di bellezza intravediamo nel Suo Volto?

Lo dicono i frutti se è stato ragionevole o no. Cosa trapela dal Volto di Cristo così torturato e morente? Cosa ci ha visto il centurione e quelli che lo hanno visto? Che bellezza ha fatto fiorire questo amore?

Sono i giorni per contemplare il Suo Volto ed anche il nostro, per vedere cosa è fiorito nel nostro, che pienezza umana ha fatto fiorire Lui!
Cosa fiorisce sul mio volto quando io amo appassionatamente tutto il Bene e tutto il male come Lui? Che cosa mancherebbe al mio Volto se io togliessi quello che ha fatto fiorire Lui, se io non avessi conosciuto e accolto il Suo amore?
E anche tra noi, sui nostri volti, che affezione ha fatto fiorire? Che bene ci vogliamo tra noi?
Questo è il senso di questi giorni: scrutare sul Suo volto e sui nostri volti i frutti divini, cioè pienamente umani, di quell’Amore appassionato.

Ecco, così gli auguri di Pasqua non saranno una formalità, saranno un racconto di questo.

[26/03/2018, 19:44:33] Frankie: Omelia 26 marzo 2018

“Perché l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale riprenda vita per la passione di Tuo Figlio”.
Domandiamo all’inizio di questa settimana: ecco, noi siamo l’umanità sfinita dalla debolezza mortale. Non debolezza morale: non riesco, non sono bravo, sbaglio, o la debolezza psicologica: mi sento giù, sono triste, faccio fatica. No, debolezza mortale, perché ho capito che si muore, che Gesù muore: questo è il dramma dell’uomo, di ogni uomo, a cominciare da Gesù.
Tutte le debolezze secondarie ci sono date per capire quella primaria: il nostro essere muore. Questa è la domanda da risvegliare in questi giorni della settimana santa, non la risposta, non ce la possiamo dare; ci potrà solo essere data, la risposta, ma la capiremo se sarà sveglia questa domanda.
Per questo Gesù dice a Betania, durante la cena, correggendo Giuda: “Lasciala fare, perché Maria ha chiaro il problema, tu no!”.
Tu paghi dei soldi per i poveri, non è neanche il tuo problema, ma non è neanche il problema dei poveri. Non lo sanno, ma quando gridano: “Dai moneta, dai moneta!”, credono che quello sia il problema! Il problema dei poveri, il problema nostro ce l’ha chiaro Maria di Betania.
Lei ha profumato il mio corpo perché lei c’ha il problema che perderà il mio corpo. Lei lo ha già capito. Il mio corpo sarà distrutto, finirà in un sepolcro. Questo è il problema di Maria.
E senza il mio corpo che speranza ha Maria? Il mio corpo è il punto di luce per la sua vita.
È così affezionata a me perchè il mio corpo vibra l’oggetto della sua speranza: la speranza dell’eternità. Che cos’e la vita di Maria senza il mio corpo?
Il suo affetto che fine fa? La sua voglia di vivere su cosa si poggia?
Che segno ho io di speranza se perdo il Corpo di Gesù? Che speranza ho per il mio corpo, per il corpo di chi amo?
Che fine fanno i miei affetti? Dove trovo il mio entusiasmo, se non c’è più il corpo dove vibra l’Eterno?
Questo è ciò di cui Maria ha bisogno per questo ha profumato il mio corpo, pesando alla mia sepoltura: è un grido di eternità.
In questi giorni sarà un bene per noi tutto ciò che sveglia in noi il senso della nostra debolezza mortale perché gridiamo la domanda, non la risposta: quella ci può solo essere data domenica mattina all’alba.

[27/03/2018, 15:53:59] Frankie: Omelia 27 marzo 2018

“Dal seno materno mi ha chiamato; dal grembo ha pronunciato il mio nome”.
Fu il Tuo volto nel cuore che ebbi il giorno della mia conversione.
Capii che la fede è questo: che io sono voluto nel mondo, non ci sono a caso, anzi che niente, nel mondo, è a caso. Il mondo intero è per me, tutte le cose sono per me. C’è nel mondo un posto che solo io posso occupare, una musica che solo io potevo suonare, che tutto di me valeva, che dovevo spendere la vita, da quel giorno, per scoprirLo.
E la vita divenne un’avventura.
Che cos’è cambiato nel rapporto con le cose, col tempo?
“Invano ho faticato e consumato le mie forze”.’
Non potevo più sopportare di faticare invano, di consumare le forze invano, per ciò che non merita, che non mi merita, per la piccolezza. Ho cominciato ad esigere che ogni cosa sia grande, come è grande la promessa.
Come si fa a scoprire qual è il mio posto nel mondo? Come fa a diventare grande la mia vita?
Dando, in ogni istante, tutto di me. Non essere mai frenato, contratto, dare tutto.
Ma come si fa? Quante volte l’ho udito: “Come fai a dare tutto, se le cose son piccole, ci deludono – soprattutto le mille cose che non ti piace fare? Come fai a farle con entusiasmo, se non ti piacciono o ti sembrano contro di te?”
Ma io non vivo per le cose, non dò il cuore alle cose, non ce n’è nessuna che mi merita! Le cose le lodo perché mi han “chiamato dal seno materno” e ogni mattina, per questo, mi alzo e comincio a cercare il Suo volto, mi metto in ascolto della Sua voce, per risentire come ha pronunciato, quella volta, il mio nome.
“Uno di voi mi tradirà”.
Ecco, il tradimento. Giuda Lo tradisce perché si fissa sulle cose, trenta denari o qualcos’altro e non più Colui che l’ha chiamato, che un giorno ha pronunciato il suo nome -come il nome di Pietro, Giovanni, Maddalena – e gli ha ingigantito il volto. Va in confusione, Giuda, perché si fissa sulle cose e non più sul volto di Chi l’ha chiamato. Diventa un traditore.
Quando io mi sento tradito o mi riconosco traditore è perché mi sono fissato sulle cose che tradiscono sempre e tradisco gli altri, perché tradisco me stesso, appunto perché mi fisso sulle cose e ho smesso di cercare il Suo volto e la Sua voce, che sono quelli che salvano la vita come avventura.
“Dalla giovinezza m’hai istruito e ancora proclamo le Tue meraviglie”.
A 72 anni, dopo quasi cinquant’anni che Ti ho incontrato, ecco – come dice ancora questo bellissimo Salmo 70: “Ogni giorno una salvezza che non so misurare”, tanto continua a stupirmi.

[28/03/2018, 10:12:11] Frankie: *Omelia 28 marzo 2018*

Meravigliosa!! Ve la regalo

“Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”.
Perché se l’avessi sottratta, l’avrei sottratta al mondo, sarei fuggito dal mondo che è il luogo della mia realizzazione. Perché io sono stato chiamato dal seno materno, ma ad essere protagonista nel mondo; se fuggo dal mondo, non mi realizzo più, fuggo da me stesso.
Infatti, quando io mi sento perso, confuso, è perché son fuggito dal mondo; non è mai il mondo che mi confonde, il contrario; il mondo mi realizza!
Nel mondo, certo, son tentato di fuggire, perché c’è una lotta, inevitabile.
“Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, ma “non chiedo che Tu li tolga dal mondo” – dice Gesù nel capitolo XVII che leggeremo nel Vangelo della veglia di giovedì santo.
“Non chiedo che Tu li tolga dal mondo, ma che li preservi dal maligno, nel mondo”.

Per questo, rendo “la mia faccia dura come pietra”; dal mondo non posso fuggire, ma perché il mondo non mi vinca, non mi distrugga, devo avere la faccia dura come pietre. Non vuol dire cattiva, indurita – non il cuore indurito – ma una faccia certa e cosciente, come il diamante; devo saper chi sono, devo aver chiara la mia identità, appunto – dice Isaia – “Sapendo di non restar confuso”; devo saper chi sono per non restar confuso. Il mondo distrugge solo chi non ha faccia, chi non sa chi è, ma chi dice: “Io”, chi dice: “Tu”, chi dice: “Mio”, il mondo non lo può distruggere; è come il diamante, invece, che incide nel mondo, che lascia il segno.

Da dove nasce una faccia così, tutte le mattine? Che cos’è che rende la mia faccia certa e chiara, invincibile dal mondo?
Bellissimo questo Salmo: “Mi divora lo zelo per la tua casa”.
Ecco da dove nasce la faccia che il mondo non può distruggere: da uno zelo – zelo significa fuoco, fiamma, bruciore. Ma il fuoco esige sempre il combustibile; c’è un luogo del mondo dove c’è il combustibile, che rende zelante, infiammata la mia faccia.
“Mi divora lo zelo per la tua casa”.
Tutte le cose, poco o tanto, alimentano il fuoco del cuore, rendono chiara e certa la faccia, ma c’è un luogo dove non ci sono appena le creature: nella Tua casa c’è il Creatore, altro che un po’ di combustibile!
Nella Sua casa c’è il combustibile nucleare, avviene la fissione del nucleo dell’atomo.
Io mi spengo, mi perdo, quando perdo lo zelo per la Tua casa, quando perdo quel combustibile.
L’avventura di ogni mattina è alzarsi, cercare la Sua casa, per trovare il combustibile che rende il cuore adeguato ad affrontare il mondo.

[04/04/2018, 19:28:25] Frankie: *Omelia 4 aprile 2018*

“Non ci ardeva il cuore nel petto mentre parlava con noi lungo il cammino?”
Il segno, anche psicologicamente potente, della risurrezione di Gesù.
La Sua presenza infiamma il cuore, fa ardere il cuore. Certo, tutte le cose, un po’, fanno ardere il cuore, infiammano di bellezza, di gioia, di piacere…poco o tanto, alcune no, molte sì, ma sono fiammate istantanee, come un cerino che dopo un po’ si spegne. Non è fatto, il cerino, per essere fumato; serve per accendere il sigaro, devi fumar quello, ma il cerino si spegne e noi siamo sempre delusi perché quella luce e quel fuoco non durano, si spengono inesorabilmente.
Non c’è nessuna cosa che sia eterna, che infiammi permanentemente e totalmente il cuore.
Ma quella sera, dicono l’un l’altro, dopo quell’esperienza: “Οὐχὶ ἡ καρδία ἡμῶν καιομένη ἦν ἐν ἡμῖν”:
non era tutto infiammato, tutto ardente, il nostro cuore?
Non era mai stato così, eppure non c’era niente che in quel momento ci infiammasse: camminavamo, con il volto triste, pensando a quello che era successo. Era una strada tristissima, tornare a casa dicendo: “Ci siamo illusi per tre anni”. Tutto era nero, tutto era cupo, eppure il cuore ardeva in un modo come mai aveva arso prima. Come quando c’era Lui, ma non proprio uguale, di più di più di più. Un ardore crescente che era evidente che non dipendeva dalle cose, che avevamo in mente e che avevamo davanti agli occhi: non era un ardore suscitato dalle cose, ma dal Creatore delle cose.
Emergeva, vibrava, tra ogni cosa di cui parlavamo, che guardavamo, il Creatore delle cose. Accadeva così anche se non ci riuscivamo a pensare, non riuscivamo a capire cos’era ad essere chiaro.
Tra le cose emergeva, al fondo delle cose ci era andato Lui, faceva vibrare le cose Lui, si rendeva presente attraverso le cose.

Questo è il test che Cristo è risorto. Tutti sappiamo la piccola fiammata che ogni cosa ci procura, ma non ci possiamo fermare alle cose; si spengono presto.
Abbiamo bisogno di un combustibile totale che ci prenda tutto – e nessuna cosa ci prende totalmente – e che non si spenga dopo un secondo, due secondi, che duri, che duri, che duri e che cresca.
Questo accadde quel pomeriggio. Lo raccontarono e si sentirono raccontare quello che era accaduto alle donne e agli altri durante quel giorno. Fu la prima impressione potente che disse: questo è Lui presente.
Solo se Lui è presente accade questo: un ardore, una fiammata che da duemila anni non si è più spenta, se no non saremmo qui in questa strana, uggiosa mattina a parlarne.
Il problema della vita è intercettare quel combustibile che infiamma totalmente il cuore di un ardore che invade le cose, che infiamma le cose.
Chi non conosce Cristo si aspetta il combustibile, l’energia, dalle cose; sappiamo il cadere continuo a cui è soggetto.
Chi ha incontrato Cristo non si aspetta più la pienezza, l’entusiasmo, dalle cose, ma lo mette lui nelle cose! È lui che entusiasma le cose, non le cose che devono entusiasmare lui! Le cose esprimono e si infiammano del bisogno che ha dentro; è lui che riempie di entusiasmo le cose che fa, perché ce l’ha dentro, perché ha visto Lui.
Dove, poi, sia la strada che conduce da Gerusalemme a Emmaus e viceversa, questo ognuno di noi lo sa; non c’è bisogno che qualcuno me lo dica dove il mio cuore si infiamma di un ardore inesorabile che mi invade e mi prende tutto come niente mi prende e dove c’è questo ardore che è segno.
Io e te sappiamo benissimo qual è questa strada dove il nostro cuore percepisce sempre più potentemente la Sua presenza. E ogni giorno bisogna fare una scappata per quella strada per intercettarLo.

[05/04/2018, 15:33:06] Frankie: *Omelia 5 aprile 2018*

“Perché sorgono dubbi nel vostro cuore?”
Ma che domanda è?! Ci mancherebbe che non sorgessero dubbi di fronte ad un Fatto come questo! Qui si tratta di riconoscere che un morto è di nuovo vivo. Ma da che mondo è mondo, quando mai si è sentito questo?!
Dicevano gli antichi: “inauditum seculi”: mai sentito in tutto il corso del tempo!
Qui i dubbi sono sacrosanti. Mi preoccuperei se io non avessi dubbi, se incontrassi mio padre, che è morto 17 anni fa, per strada!
Che abbiamo dubbi – dicono gli apostoli a Gesù risorto – vuol dire che siamo gente sana, coi piedi per terra, reale, che non siamo gente vanesia, ma soprattutto che qui si tratta di un’altra cosa, di altro che ci sta succedendo!
E prima di accettarlo, lo dobbiamo capire, dobbiamo vedere, dobbiamo verificare!
Avere dei dubbi qui non vuol dire avere “il diavolo in corpo” … come disse una volta il capo di una comunità: “il dubbio è il diavolo”, ma va a quel paese!
Preferisco Dante che dice: “Nasce per quello (…) a piè del vero il dubbio; ed è natura”: il dubbio è la tua natura. “Ch’al sommo pinge noi di collo in collo”: che ti fa andare in cima alla verità, facendoti sempre venire il dubbio che non sia così, che sia più grande, più grande e più grande, che non hai ancora capito tutto, che forse è un po’ diverso, meno male!
E come si fa a uscire dal dubbio?
Ma Gesù fa un’altra domanda: “Perché siete turbati?”
Certo che lo sono, ma non è appena per la paura, comprensibile di fronte al Mistero; è la resistenza al cambiamento che li turba, perché se quel che appare è vero, ragazzi, cambia tutto, non si continua più come prima, perché di fronte a quello che accade, che ci sta accadendo, niente sarà più come prima! E saremo usciti dal dubbio e scopriremo che niente è più come prima, perché o ci scopriamo matti – e allora andiamo da uno psichiatra, perché abbiamo le allucinazioni e il delirio e siamo ricoverati in un manicomio e la nostra vita è cambiata – oppure scopriamo che è vero, che Tu sei proprio vivo e allora è cambiato il mondo, questa è una rivoluzione del mondo intero; non possiamo restare nel mondo come prima e dobbiamo sapere se il dubbio è aumentato o no.

Come facciamo a sapere se sei veramente risorto o no? Questa è la questione di quel giorno.
“Toccatemi e guardatemi!”, punto e basta.
“Toccatemi e guardate”.
È solo l’esperienza concreta, personale che vi toglie i dubbi.
Coi pensieri dentro di voi non andate da nessuna parte; se pensate i vostri pensieri affogherete nei vostri dubbi e non vi butterete più, perché il dubbio non ti permette più di buttarti. Come se uno piccolino avesse il dubbio di quanta acqua c’è nella piscina o nel fiume o nel mare e non si butta, è tutto trattenuto!
Soltanto nella certezza uno si butta nel mare della realtà.

E come faccio a sapere?
“Toccate e guardate”.
Se toccando e guardando, arrivate in fondo e riconoscete che sono Io, che c’è il divino, l’eterno, in fondo a quello che vedete e toccate, allora prendete una strada; se scoprite che non è così, ne dovete prendere un’altra.
E se, arrivando in fondo, non riconoscete che lì c’è il divino, che c’è l’eterno, vuol dire che non è vero che vedete, non è vero che toccate.

“Di questo voi sarete testimoni dentro il mondo” e solo di questo!
Agli altri non potete raccontare altro; a voi stessi non potete raccontare niente altro.
Solo questa certezza, raggiunta vedendo e toccando, sarà capace di sfidare il mondo.
Chi vi incontrerà, dovrà fare i conti con voi, analogamente a come li ha fatti con Me. Si ripeterà nel mondo, incontrando voi, la stessa vicenda drammatica e rivoluzionaria che è accaduta a voi, incontrando Me. Continuerà attraverso di voi.
Guardate e toccate, e rispondete!

[06/04/2018, 12:14:50] Frankie: *Omelia 06 aprile*

“Con quale potere, nel nome di chi?” apostrofano ai capi, Pietro e Andrea.
Perché il problema di quella gente era di essere autorizzati a vivere: per vivere, per parlare, per fare, bisognava avere un’autorizzazione, fare il nome di qualcuno, avere un potere che ti era stato dato, era gente non libera, non si esprimevano, non gli era concesso di esprimersi senza il permesso di qualcuno, fino al permesso di Dio.
Pietro, invece, no, Pietro era colmato di Spirito Santo! Non dice “Pietro agiva nel nome di Dio”. Pietro agiva nel nome di quello che gli colmava il cuore, di quello che gli traboccava dal cuore, era autorizzato dalla sua stessa esperienza umana, questa è la rivoluzione cristiana!
I cristiani non parlano nel nome di Dio, di un Dio lontano che gli dà l’autorità, ma di un Dio che ha fatto irruzione nella loro vita, gli ha riempito il cuore con un’esperienza di energia ed entusiasmo che si chiama Spirito Santo, e parlano in nome di questa pienezza, come Gesù: “Fu detto, ma io vi dico”… ma Chi sei Tu? “Fu detto, ma io vi dico”. Lo Spirito era il fuoco che colmava il cuore di Gesù, che adesso colma il cuore di Pietro, lo riempie, lo rende libero, impetuoso, immediato, travolgente; come quando è lì sulla barca, sconsolato per la notte senza pesci, si sente sfidato “avete qualcosa?” “No” “allora cosa avete pescato? Prova a buttare di qua”. Appena Giovanni dice “è il Signore!” di schianto si getta, quasi svestito, non gli serve nient’altro, non gli servono quasi neanche i vestiti. Gli serve solo quell’Uomo là sulla spiaggia, che lo sfida ancora, e si butta. Non ha neanche bisogno che quell’uomo, Gesù, gli parli; dice che nessuno osava chiederGli “chi sei?” perché era talmente evidente Chi era che non c’era bisogno neppure che Gesù parlasse, che dicesse qualcosa. Bastava che ci fosse lì davanti a loro. Questo é quello che serve a Pietro.
Allora il problema di Pietro, per essere libero, il problema mio, è che il cuore sia ogni istante colmato. Di che cosa è colmato? Che cos’è che ogni giorno rabbocca e fa traboccare il cuore? Cosa fanno gli amici di Pietro? Abbiamo bisogno degli amici di Pietro che “trascinarono a terra la rete piena di 153 grossi pesci”, degli amici che trascinano a terra la rete piena di pesci – i pesci sono i segni del miracolo che hanno invaso quel mare, che adesso invadono quella spiaggia – che mettono davanti agli occhi di Pietro ogni giorno la rete piena dei miracoli, che gli dimostrano la presenza e la potenza di quell’Uomo e che ravvivano la speranza di Pietro, infiammano di nuovo il cuore.
Ci servono solo amici che ci sbattono davanti agli occhi ogni giorno la rete piena di pesci, dei miracoli che hanno riempito la loro vita.

[09/04/2018, 08:29:32] Frankie: *Omelia 8 aprile 2018*
“Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza”.
L’impressione – la prima impressione – vedendoli, sentendoli, di una grande forza; energici, incisivi, lasciavano il segno. Segnavano l’animo perché loro erano uomini segnati, a loro volta.
C’era qualcosa che li aveva “bruciati”: un Fatto inimmaginabile.
Erano testimoni, con grande forza, della Resurrezione di Cristo.
Ecco il fatto che li ha “bruciati”: hanno visto un morto, vivo!
La morte, prima di quel momento, era un muro nero; oltre, il nulla, come per tutti gli uomini.
Adesso, da quel muro nero, era emerso Lui, aveva fatto irruzione di nuovo Lui: Gesù. Per 40 giorni.
Poi era ritornato oltre quel muro, ma adesso quel muro era diventato trasparente; per gli altri era nero e basta – oltre il Big Bang non c’è nulla, non c’è neanche lo spazio e il tempo, c’é zero: dicono gli scienziati.
Bene, loro hanno ancora di fronte la morte, come tutti gli uomini, ma è cambiato lo sguardo. Sanno che oltre quel muro nero c’è Lui, non c’è il nulla, c’è l’Eterno. Per 40 giorni l’Eterno ha fatto irruzione da quel muro. È come se avessero lo sguardo ad infrarossi: vedono cose che con lo sguardo normale non si vedono, le percepiscono.
Mi viene in mente una scena di un film di Indiana Jones – non mi ricordo bene se è l’ultima avventura “Alla ricerca dell’arca perduta”, probabilmente – in cui c’è lui che è inseguito dai tedeschi, si trova su un abisso, un precipizio tra le montagne e lui salta di là.
Arrivano i suoi amici e anche loro stanno per essere catturati, però vedono il precipizio, non possono saltare.
E Lui sa che sul precipizio c’è una lastra di cristallo, ma è trasparente e si vede l’abisso. Loro non lo sanno e, quindi, han paura di precipitare, non saltano.
E Lui prende, con la mano, dalla terra, dei sassi e li butta sulla lastra; loro si rendono conto che c’è la lastra, mettono il piede e saltano anche loro.
Ecco che cosa ha fatto Gesù! L’abisso della morte resta, ma c’ha buttato un pugno di sassi o di terra e t’ha fatto vedere che c’è una misteriosa lastra di cristallo e puoi poggiare il piede.
L’abisso c’è ancora, ma non ti paralizza più, non ti blocca più, sei salvo!

Loro vedono la morte, ma la morte non li ferma più, non li blocca più, non li paralizza più e non blocca più la loro capacità affettiva: di buttarsi, di lanciarsi nella vita. La morte non toglie più l’entusiasmo.

Come hanno fatto a diventar così?
Esattamente come ha fatto Tommaso.
Pieni di dubbi, di resistenze.
“Se non vedo o se non tocco, non credo”. Infatti, loro non credono le donne, dicono, sul mare, che é un fantasma…Resistono per 40 giorni; cederanno soltanto dopo altri dieci – a Pentecoste – quando avranno l’evidenza che dal tetto di quella casa, da quei muri, è entrato come un uragano, senza sbaraccare nulla: l’energia di Cristo risorto.

I dubbi, le resistenze e le paure, come fa Tommaso a superarle?
Non è che non gli vengano, li trasforma in domanda a Gesù, li sfida: “Se non vedo e se non tocco”!
Domanda un’esperienza che lo travolga, che sia più travolgente dei dubbi, non che elimini la morte, ma che trapassi come i raggi infrarossi – come fa Indiana Jones – che documenti che c’è un punto d’appoggio anche se apparentemente non c’è, è invisibile.
San tommaso non subisce i suoi dubbi, è un uomo normale, ce li ha – la vita non è mica tutta bianca o nero, c’è tantissimo grigio! – ma lui trasforma il dubbio, la paura e le resistenze in una domanda, in una sfida!
E Gesù – che ci tiene bene a rivelarsi, molto più di quanto non ci tenga Tommaso a vedere e a capire – acconsente: “Metti qua la tua mano, tocca, guarda”!
Lui tocca, guarda e cade in ginocchio, è certo.
Perché il cammino al Vero – il cammino alla chiarezza e alla certezza – è un’esperienza, non é un pensiero.
Non è che i dubbi li fai fuori, cacciandoli via come delle mosche o facendo finta che non ci siano. È soltanto un’esperienza che vince i dubbi.

Noi siamo qui, dopo duemila anni, certi, pieni di energia, di incisività, di forza, come loro, perché?
Perché abbiamo potuto mettere la mano, vedere, toccare, andare in fondo e percepire che c’era Lui. Puoi toccare il costato di Gesù, il Suo fianco, toccare il costato, abbracciare un’altra persona che ti ricordi Cristo, chissà mai che cosa cambia?!
Sempre un segno ci vuole. Il problema è guardarlo veramente e toccarlo veramente, andarci veramente fino in fondo, perché se tu, di fronte al segno, non raggiungi la certezza, non è vero che guardi, non è vero che ci metti la mano, non è vero che tocchi, non è vero che guardi veramente: tu pensi i pensieri, invece che pensare ai fatti.
Questa è la strada che compie oggi il medesimo miracolo di duemila anni fa.

[10/04/2018, 10:31:21] Frankie: *Omelia 9 aprile 2018*

“Concepirai un figlio”. Impossibile, “non conosco uomo”

Certo che è impossibile, per il possibile bastavi tu, non doveva venire un Dio nel mondo. Il cristianesimo comincia con la sfida dell’impossibile all’uomo e al mondo, davanti all’uomo dentro il mondo. La fede è l’esperienza dell’impossibile. È per questo che la fede stupisce, esalta, potenzia l’umano.
Quando noi pretendiamo che i conti tornino nella nostra vita non è più fede, non c’è più stupore, esaltazione, sfida: tutto ritorna nella malinconia di sempre.

E perché dovrei accettare la sfida? Dice Maria all’Angelo.
Accettala se corrisponde di più al tuo cuore dei tuoi progetti, dei tuoi sogni. Cos’hai sognato con Giuseppe? Uno figlio vostro, due-tre figli vostri? Cosa ti corrisponde di più? Essere madre di un figlio di Giuseppe o di un figlio di Dio? Questa è il livello della sfida.
Ma come avverrà questo?

“Lo Spirito Santo scenderà su di te”

Non te lo posso spiegare, come avverrà lo saprai solo se accetterai, provando; pensando, discutendo con me non arriviamo a niente. Quando a noi sembra di essere inconcludenti, di non concludere mai niente è perché, non perché siamo scemi o perché gli altri non ci spiegano, è perché noi non decidiamo: è soltanto la decisione dell’azione che chiarisce l’uomo, che porta nel vero.
Maria allora cede:

“accada a me secondo quanto tu hai detto”

Un istante dopo l’angolo partì: non serviva più che restasse lì, aveva già fatto quel che doveva, adesso toccava a lei e toccava alla realtà. La partita ormai si giocava tra lei e la realtà. La risposta non doveva darla l’angelo, non doveva commentare niente, non doveva neanche assistere. Era un problema solo di Maria; anzi, lei stessa doveva andarsene da quel luogo. Nazareth non è un luogo sacro in sè, è il luogo dell’inizio, è il luogo dove comincia un metodo che te lo porti dietro nell’affronto di tutti gli aspetti della vita. Doveva andare da Elisabetta, a sfidare Elisabetta con l’impossibile, a condividere con Elisabetta l’esperienza, per entrambe, dell’impossibile.
Esattamente come noi oggi: siamo qui a raccogliere ancora la sfida dell’impossibile.

Noi portiamo nel mondo questo livello di sfida; che sia cominciato a Nazareth o da un’altra parte è secondario, non è il luogo che è sacro ma è un momento di vita che diventa sacro,con cui noi affrontiamo tutto.

[11/04/2018, 10:47:18] Frankie: *Omelia 10 aprile*

“Dovete nascere dall’alto!”
“E come può accadere questo?”
“Ma Nicodemo! che problema è come può accadere?
Il problema è perché nascere dal cielo?”
Perché se tu hai chiaro il perché, il ‘come’ lo trovi, metti in moto la fantasia, scateni la lotta, domandi aiuto agli uomini o preghi Dio, se ti serve il miracolo. Ma se tu non hai chiaro perché quella cosa ti interessa, non ti muovi, non ti cambia niente.
“Dovete rinascere dall’alto”
Il problema è: Ti interessa o no? O ti basta la nascita dalla terra, la vita naturale che ti hanno dato i genitori? o vuoi l’eternità per la tua vita, vuoi rinascere dal cielo?Questo è il problema vero, questa è la partita! Questo ti cambia tutto perché lo scopo lo decide ogni istante come quando nel navigatore cambia la destinazione ad un incrocio dice un’altra cosa, c’è sempre un’altra strada, un’alternativa.
È la meta che decide le scelte di ogni istante. E tu mi chiedi cosa cambia se uno rinasce dall’alto, se nella sua vita irrompe l’eterno, cosa cambia, adesso, non dopo!
“La moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un’anima sola”.
La moltitudine, gente estranea, che uno non sbatteva con quell’altro, giudeo, greco, schiavi, liberi, maschi, femmine, barbari, sciiti, travolti da una miracolosa comunione. Da un’affezione che non si spiegavano, si guardavano, si abbracciavano, entusiasti e commossi insieme, a chiedersi: ma che cosa c’è qui, che cosa è che può legare me e te, che eravamo pure nemici.
Non c’e niente di naturale che abbiamo in comune eppure c’è un’affezione bellissima e miracolosa, questa non viene dalla natura, non viene dalla terra, questa può solo venire dal cielo!
Io e te siamo rinati dal cielo.

[18/04/2018, 11:40:47] Frankie: *Omelia 12 aprile*

“Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”.
La sfida audace, quasi inconsulta di Pietro al sommo sacerdote, il capo del sinedrio, che lo guarda e dice: “Ma io sono il sommo sacerdote, io sono il capo del sinedrio, io rappresento Dio, io conosco e possiedo la volontà di Dio, non Lui deve dirla a voi; a noi Dio parla nella legge che noi custodiamo, ma a te Dio dove ti parla, come fai a dire che tu e Giovanni obbedite a Dio?”

“Gustate e vedete come è buono il Signore”.
La sfida di quel salmo 33: “Gustate e vedete come è buono”, beato chi lo riconosce. Pietro dice: “Io gusto, io vedo, io sono beato! Nella mia esperienza vedo, gusto, sperimento un bene che mi dà la certezza che Dio è presente nella mia vita, ciò che vedo, ciò che gusto, ciò che sperimento è così potente, così suggestivo, così corrispondente che per me è miracoloso, è sovrumano, è divino; di qui viene la mia certezza: dall’esperienza miracolosa che io faccio. Il mio cuore, che è creato da Dio, qui riconosce Dio: è la voce di Dio! Questa è la mia certezza”, dice Pietro.
E sappiamo cosa accadrà: saranno ancora fustigati, altri saranno perseguitati, dovranno fuggire presto a Damasco, poi ci sarà Paolo, poi ci sarà Nerone, poi ci sarà Tito.
Dove Pietro trova questa audacia che ha sfidato il potere di allora, che ha sfidato 2000 anni di storia? E questa mattina ci fa essere qua ancora quasi sconcertati, esterrefatti: ma come fa un uomo a dire ubbidisco a Dio e non agli altri uomini, del tuo potere non me ne importa nulla, sono libero dalle tue minacce?
Io ho bisogno di saperlo, a me non basta ammirare Pietro: io voglio per me oggi la stessa certezza, audacia libera di Pietro.

[23/04/2018, 07:58:56] Frankie: Omelia 22 aprile

“In nessun altro c’è salvezza”.
Il giudizio perentorio di Pietro. Ma come fa Pietro a essere così certo di questo: che in nessun altro c’è salvezza?

Perché Pietro ha cercato per tutta la sua vita la salvezza. Non si è accontentato di niente di meno della salvezza. Aveva la sua professione di pescatore, aveva la sua famiglia, il suo ruolo stimato nella città di Cafarnao e le città intorno al lago di Tiberiade. Ma questo non gli bastava; lui voleva la salvezza. Salvatio, salus, salute! La salute del suo io, la floridezza, la pienezza della coscienza di se stesso: questa è la salvezza, non è una roba dell’aldilà delle anime. È la salute dell’io nell’aldiqua, l’io florido,  direbbe Ildegarda di Bingen la virilitas, la bellezza, la floriditá dell’io, questo voleva Pietro.

E quando un giorno l’ha incontrata, ha lasciato il resto – che non era la sua salvezza – e l’ha seguita, l’ha intravista in quell’uomo. Per questo lui può dire: “In nessun altro c’è la salvezza, se non il Lui”. Può dire che non è in nessun altro perché lui l’ha cercata in tutti gli altri che ha incontrato e siccome l’ha cercata, li scrutava, li guardava in faccia, li sfidava: “Ma tu cosa cerchi nella vita? Cos’hai trovato? Mostrami che salvezza e che bellezza hai trovato. Mostrami in che cosa tu vivi, mostrami la tua bellezza, la grandezza che tu porti nel mondo. Qual è?
Che ci stai a fare tu nel mondo? Che grandezza porti adesso che io ti sto incontrando?”.

Pensate la faccia di Pietro, piena di sfida, coi peccatori, coi pescatori, con tutti quelli che incontrava. Non dava tregua a nessuno, perché lui cercava la salvezza e l’ha cercata in tutti. È per questo può dire che non l’ha incontrata in nessuno se non in Uno, che non era della sua città, era di Nazareth.
Ecco da dove viene la certezza di Pietro. Prima l’aveva cercata per tutta la vita e l’aveva cercata in tutti quelli che ha incontrato, per questo può dire : “non l’ho mai trovata in nessuno se non qui”. E adesso sa dove cercarla, adesso lui non perde più tempo. Ogni istante per lui è prezioso. Ricerca ma non più a caso, in qua in là, in tutto… Ci ha già provato in tutto ma non l’ha mai trovato. Adesso ha trovato la miniera d’oro e spende tutta la vita, come i cercatori d’oro che vendono tutto, s’indebitano, per andare a scavare lì, in quel pezzo di terra, in quel pezzo di mare. Pietro era così. Solo che il suo amico, Giovanni, che ha incontrato Gesù soltanto 24 ore prima di lui insieme con suo fratello Andrea, dice, abbiamo sentito in questa prima lettera: “Per questo il mondo non ci conosce”. Il mondo non ci conosce, non ci capisce, nel mondo ci sentiamo soli. Chi ha trovato la salvezza, il test che hai trovato la salvezza, che Gesù è la tua salvezza, qual è? É che tu incominci a conoscere la misteriosa solitudine e senti che il mondo non ti capisce più. C’è un punto un cui ti lasci solo, non ti senti capito, ti guardano, dicono: “Non ti capisco, non ti capisco”. Quante volte me lo sento dire. “Non ti capisco, i conti non mi tornano”. Guardate. Perché il mondo non ci conosce? Perché noi nel mondo abbiamo un punto di solitudine, noi cristiani? Perché non ci basta la compagnia che ci fa il mondo?

Perché nel mondo nessuno vive a questo livello radicale. Il mondo non cerca la salvezza, cerca la sistemazione, l’aggiustamento.

Noi, come fa dire Paul Clodel a Pietro di Craon, il grande architetto, fine Medioevo, dedicato tutto a costruire le cattedrali, cioè dei luoghi nel mondo dove si è in qualche modo incontrato il divino e l’umano, dove il cielo si incontra con la terra, dove Dio incontra gli uomini. Una dimora per Dio nel mondo, una dimora per gli uomini. Dice lui a Violaine, dopo che gli ha chiesto perdono del gesto scomposto con cui l’ha baciata e l’ha contagiata con la lebbra, lei l’ha perdonato, lui le dice: “Vedi” – lei gli ha detto: “é evidente, io e te non potremmo far famiglia insieme, io sono una buona ragazza, molto parrocchiana, non ho molto pretese, ho il mio moroso, sto per sposarmi, per me io non cerco altro; tu invece sei un grande, sei un genio, sei un santo, sarai scomposto e peccatore, ma tu sfondi ogni limite, hai un estensione più grande del vivere, tu avresti grandemente sfondato l’orto del recinto”.-   Lui: “hai ragione Violaine, io ormai non vivo più a livello degli altri uomini; io li vedo dall’alto di questo campanile, gli altri sono li nel giardino, in piazza, i bambini che giocano, gli innamorati che si baciano, i pensionati che chiacchierano, fanno il governo due volte al giorno… Io non vivo più a livello degli altri uomini: raso terra. Loro non sono mai né troppo profondi né troppo alti; io sono sempre o laggiù, sotto terra, a cercare le fondamenta dell’essere della costruzione, o lassù nel campanile a cercare il cielo. Io ho un estensione del cuore, della mente, dei sentimenti, che non son più a livello degli altri uomini: quando sono con gli altri c’è un  punto in cui mi sento sempre solo, Cristo quando mi ha preso, mi ha dilatato il cuore, mi ha reso bramoso di qualcos’altro. E gli altri non mi capiscono, non mi sento capito. Bramoso di una pienezza che il mondo non conosce, per questo che non mi capisce e mi lascia solo. Il mondo mi lascia sempre solo, ma quella solitudine drammatica che io provo in mezzo agli altri uomini, é uno spazio sacro, in cui io sono solo con Dio. Quello è lo spazio per me e per Dio, là io prego Dio, sono in rapporto con Lui, è Lui che riempie quello spazio, è solo per Lui. E ho capito Violaine – dice- che quando tu ti senti sola, non è che ti manca la compagnia. É che ti manca la solitudine vera. Quella che provo io. Ti manca lo spazio in cui ti fa compagnia soltanto Dio”.

‌Ecco, il cristianesimo, attraverso Pietro, attraverso l’esperienza di Pietro di Craon, mostra che cosa porta a noi. Porta nel mondo non una nuova morale, una nuova dottrina, una nuova politica, una nuova psicologia, un nuovo tipo di famiglia, porta nel mondo un nuovo livello dell’Essere. É come se ci fosse un nuovo Big Bang da cui è nato il regno minerale, la pietra, il regno vegetale, le piante, il regno degli animali, il regno umano: in Cristo c’è il quinto livello, con Cristo risorto c’è un nuovo livello dell’essere. Oltre l’umano c’è il cristiano, che è un uomo che vive ad un livello così profondo, ha un estensione così grande che nel mondo si sente solo, ma dentro il mondo sperimenta la compagnia di Dio; questo è l’orizzonte che ci fa respirare. Se ci accontentiamo di meno di questa salvezza, potremmo dare le colpe a tutto, sentirci in colpa noi, ma non è un problema di colpe di qualcuno, nostro o di altri; nel mondo non siamo sbagliati noi, è un problema di conoscenza. Non conosciamo quello che Lui ha portato. Come disse alla Samaritana  al pozzo di Sicar, dove sono stato tre giorni fa: “Se tu conoscessi il nome di Dio, mi capiresti. Respireresti”.

[23/04/2018, 12:45:04] Frankie: *Omelia 23 aprile 2018*

“Quel che Dio ha purificato, tu, non chiamarlo profano!”, si sente intimare nel sogno Pietro.

Perché prima di Gesù ci sono cose pure e cose impure, cose trasparenti, cioè finestre spalancate su Dio, tu le guardi, le scegli e sei davanti a Dio. Ci sono cose sacre e cose profane in tutte le religioni, antiche e moderne. Profano, fano, che è il tempio, il sacro, son fuori, escluse, non possono avere rapporto col luogo dove sta Dio. Ci sono cose che ti escludono dal rapporto con Dio: condizioni, situazioni, di natura e di storia, come sei fatto, mille cose. È terribile! Mille cose che non dipendono da te son impure e son profane. Tu ne sei contaminato e te lo tieni per sempre.
“Io sono la porta!” grida Gesù.
“No: l’ingresso a tutti lo spalanco io, con me entra chi vuole entrare. L impedimento non è più fuori di te, nelle cose, nelle situazioni, come sei fatto o a chi sei sottomesso.
L’unico impedimento, l’unica impurità, l’unica profanità è dentro di te. Ciò che è puro o impuro, sacro o profano è il tuo cuore, sacro e profano è la tua libertà, tu sei libero, io ti metto in mano la vita tua e ti dico “fanne quello che vuoi”. Fanne quel che vuoi! Nulla per te è più impuro, nulla è più profano.

“Io sono venuto [l’ultima frase del Vangelo] sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”

Allora il vero problema è che vita vuoi per te: la vuoi in abbondanza, piena, esuberante, incontenibile, che si riversa su tutto dove arrivi tu, come un torrente in piena? O preferisci sopravvivere in un modo stentato?
Che faccia vuoi per te? Perché in faccia si vede che vita scegli.
Una faccia stentata, estenuata, rachitica, si vede; una faccia piena di vita è uno splendore e si vede. Non si può barare con la propria faccia.
Ma la decisione della faccia è tua, è solo tua. La partita – dice Gesù – te la giochi tu e te la giochi dentro di te. La vittoria e la sconfitta sono in mano tua, non dipende più da nessun altro.
Ecco cosa è venuto a fare Gesù: a riportare in gioco la partita della vita dentro di te. Con Lui giochi sempre in casa, come il derby, giochi in casa, dove tutto è per te, tutto è un pubblico che tifa per te, questo è il cristianesimo. Quindi la vera questione dopo che è venuto Gesù è se tu vuoi vincere la partita della tua grandezza o se la dai per persa, ti accontenti di meno, non sei disposto a lottare per questo, non vuoi neppure entrare in campo, fai lo spettatore e ti tieni la curva in cui ti sei trovato.

[24/04/2018, 11:35:19] Frankie: “A chi si pente, il Signore offre il ritorno”

Così gli Agostiniani guardano la conversione di Sant’Agostino di cui oggi fanno memoria: un Uomo che ritorna, che cambia, che si converte. Questa è la fede cristiana, nasce non dalla nascita – è una fede che non si trasmette la fede cristiana, si incontra – nasce da un incontro in cui tu ti converti, in cui tu cambi strada. La Conversione di Agostino, come quella di Paolo, e quella di tanti altri Santi, dice che il cristianesimo non si trasmette, ma si incontra.
C’è un giorno in cui la vita ha una svolta! Che l’uomo può cambiare, che non è vera la menzogna della cultura greca ἦθος ἀνθρώπῳ δαίμων – ethos anthropo daimon – il carattere dell’ uomo è il suo destino.
Come nasci, come sei fatto lo sarai per sempre, no!

Il cristianesimo dice che tu puoi cambiare, puoi dare una svolta alla tua vita! Nessuno può dire: sono fatto così, sono fatto male, per come io sono fatto, per come lui è fatto. No, nessuno è schiavo di come è fatto. La vita può avere una svolta, c’è dentro l’uomo un punto, come il cruscotto dell’automobile, in cui tu puoi pilotarti, puoi seguire la corrente del mondo, quella che hai dentro, e puoi andare contro corrente.
L’uomo può andare controcorrente. I Santi sono uomini convertiti che vanno controcorrente: c’è una forza più grande del come tu sei fatto e del come ti condiziona il mondo e la realtà.

Cosa è la forza che genera la conversione? Cosa ha cambiato Agostino? Cos’ha cambiato il figliol prodigo del Vangelo?

“Rientrò in se stesso”, “in te ipsum redi”, gridava sempre Sant’Agostino: “Rientra in te”, guardati in faccia, riprendi coscienza di te, riprendi l’amore a te stesso. L’uomo si converte non per obbedire a Dio, ma per obbedire a sé, per prendere sul serio se stesso.
Il peccato è uscire da sé, essere alienati, perdere la proprietà di se stesso. La conversione è riprendere la padronanza di sé, ridiventare – dicevano i latini – “compos sui”, padrone di te stesso, nel senso bello, nel senso construttivo: ti prendi la responsabilità della tua felicità e la cominci a cercare. Questa è la conversione, questo il cristianesimo annuncia che è possibile per tutti.
Nessuno è fatto così o nessuno è fatto cosà: tu puoi essere protagonista della tua realizzazione umana.

Terzo.
Che cosa converte l’uomo? Cosa lo fa vibrare? Cosa gli ricrea il cuore?
Che cosa ha visto Sant’agostino? “Bellezza tanto antica e tanto nuova”, dice quando parla della sua conversione: “Ho visto la bellezza e mi ha preso il cuore”.
Poi racconta nei suoi diari che la bellezza fu una sera, era a Milano, avvocato famoso, ha avuto la notizia di una conferenza di un centro culturale della città, che aveva a tema il bene e il male. Lui era stato manicheo, va a sentire, parlava Ambrogio. E disse, tornando a casa: “Quella sera sono uscito da quell’incontro e avevo negli occhi una ‘ecclesiam plenam’”, ‘ecclesia’ vuol dire ‘assemblea’, ‘riunione’; ‘plenam’, piena di vita.
Sembrava che per chi parlava, per quella gente lì, la vita fosse piena, che ci fosse un bene in tutte le cose, che non ci fosse nulla da buttare, che loro non buttassero via nulla della vita.
Io, che ero stato manicheo per anni, sapevo che c’era il bene e il male, il dio del bene e il dio del male, e tu non puoi avere tutto nella vita: devi adorare uno dei due. O cerchi la felicità adorando il Dio del bene, scegli le cose buone, morali, giuste, secondo la legge e scarti quelle altre; oppure scegli il dio del male, decidi che la felicità è fare il delinquente, ti butti sulle cose cattive. Non puoi comunque avere tutto, puoi avere soltanto la metà delle cose della vita. Non puoi adorare due dei contemporaneamente.
Sembrava che quegli uomini quella sera, Ambrogio e i suoi, avessero un Dio che adoravano in tutte le cose, le cui tracce erano in tutte le cose, che loro non buttassero via della vita neanche un capello. Quella bellezza antica e nuova è un abbraccio totale alla realtà. E il cristiano si converte perché ama se stesso, perché vuole tutto per se stesso.

[28/04/2018, 22:14:25] Frankie: *Omelia 26 aprile 2018*. Fu il primo, l’inizio dei segni compiuti da Gesù.
E l’inizio dei segni, primo segno è il vino al banchetto di nozze, questo è il biglietto da visita di Dio che viene nel mondo.
Perché si è stancato che gli uomini gli obbediscano come un Signore onnipotente che impone la sua legge. Non vuole essere ubbidito perché è un signore onnipotente, perché lui ha sempre ragione. Non vuole che sia fatta la sua volontà, ma che sia fatta la nostra festa.
La volontà di Dio è che la vita dell’uomo sia una festa, piena. È ragionevole obbedire a Dio non perché è il Signore ed ha sempre ragione, questa è un’idea che hanno in testa gli uomini.
Dio vuole essere ubbidito perché Lui vuole la felicità degli uomini. E il primo miracolo è questo. Concluderà la vita con l’ultima cena, dando un vino e un pane ben più potenti ed esplosivi di quelli di Caana.
Pane e vino sono per la fame dell’uomo, per la sua sete, ma non solo…per la sete basterebbe l’acqua.
Il vino, la gioia esplosiva, questo è quello che Dio vuole per l’uomo e lo vuole non nell’altro mondo ma che cominci adesso, che la festa cominci adesso: questo pranzo e l’ultima cena sono in un giorno e in una sera del tempo, non dell’Eterno, in questo mondo non nell’altro mondo. Questa è la rivoluzione cristiana. Gli uomini religiosi hanno sempre capito che Dio c’era: hanno detto che il Dio era il Signore onnipotente che deve essere obbedito perchè ha ragione Lui, perchè è il Signore, perchè Lui comanda; perchè il massimo che gli uomini riescono a realizzare è il potere, il comando e gli altri devono obbedire a chi comanda e hanno attribuito a Dio questa concezione. Dio non la sopporta: Dio viene nel mondo perchè l’uomo faccia festa adesso. Conviene seguirLo, fare quello che mi dirà perchè sono sicuro che Lui vuole la nostra felicità.
E questo noi non dobbiamo mai darlo per scontato, dobbiamo verificarlo continuamente che dandoGli tutta l’acqua che abbiamo per riempire fino all’orlo le anfore la festa comincia adesso, perchè Lui non fa il miracolo come una magia di cui noi siamo spettatori e comunque passivi: il miracolo lo farà ma bisogna darGli tutta l’acqua necessaria, riempire fino all’orlo i recipienti. Lo fa per noi ma non senza di noi, non ci tratta appunto come degli schiavi o dei robot da riemepire, da soddisfare. Ci vuole protagonisti nel miracolo: nell’andare a prendere l’acqua e dargliela tutta, tutta quella che serve. Non ci si può tirare indietro, è solo questa collaborazione con Lui, essere coprotagonisti con Lui che è la nostra felicità.
Che felicità sarebbe se facesse delle gran magie con la bacchetta e noi siamo lì e siamo soltanto passivi? Andrebbe bene per le bestie, andrebbe per i robot e per i computer ma per gli uomini no, perchè una gioia che non sia mia, che non sia prodotta anche da me, non è veramente mia, non mi fa contento. Io son contento solo se sono trattato da uomo libero, da uomo protagonista, da creatore, perchè io sono l’immagine del Creatore del mondo: io sono felice se io creo, non se io subisco e basta, non mi fa felice il comodo, una felicità datami, non mi fa felice essere un consumatore come in questa società, no! La felicità non è essere consumatori, è essere coprotagonisti. Questo è il cristianesimo. Ha bisogno di uomini liberi che diano tutto se stessi. La sorpresa finale che il suo vino è migliore di quello che si era acquistato prima c’è sempre alla fine, c’è sempre una sorpresa che è di più, è di più, è di più.
Ma per scoprire che è di più di quello che avevi immaginato devi avere l’audacia di scommetterci, anche se in un primo istante sembra che non ti ascolti: che c’è tra me e te donna? “Non è ancora giunta la mia ora”, non devo rispondere a te, io rispondo a un Altro. Anche se sul momento sei spiazzato, ti conviene accettare la sfida, perché comunque deve essere chiaro che il miracolo nasce non perché ce la raccontiamo tra noi, ci mettiamo d’accordo, ma perché accettiamo i tempi, i modi e le condizioni di un Altro.
Noi comunque non siamo i padroni, non siamo i creatori di noi stessi: non ci tratta da schiavi, ma il miracolo accade solo quando i conti non li fai tra te e te o non ti metti d’accordo con gli altri, ma quando comunque sei tutto spalancato a Lui, alla Sua sfida, quando rispondi a Lui.

[30/04/2018, 14:05:43] Frankie: *Omelia 27 aprile 2018*

“La promessa si è compiuta resuscitando Gesù”

Perché la morte di Gesù non compie nessuna promessa. Un morto in più non dà gioia a nessuno. Anzi, che muoia un uomo così buono ci rende più tristi. La Croce di Cristo, non compie la promessa. Certo mostra amore Cristo, ma un amore impotente, sconfitto dalla morte. Quando Cristo muore, all’apparenza vince il male e con la croce non si compie nessuna promessa.

“È resuscitando Gesù – dice Pietro – che si compie la promessa”.

È nella resurrezione che si vede il potere di Gesù, perché l’amore non basta a far felici, lo pensano i bambini, si sentono amati e son felici perché non hanno coscienza.
Non ci basta l’amore di Cristo, occorre il potere di Cristo. Un amore senza potere è sconfitto. La morte distrugge tutto, i buoni e i cattivi. È la resurrezione di Cristo che ricrea tutti, che mi ridona tutte le persone che io ho amato, che ho abbracciato e mi mostra che vale la pena amare, vale la pena abbracciare. La resurrezione di Cristo mi mostra che io non perdo chi amo, che lo riavrò per sempre e mi permette di amare totalmente, senza trattenere nulla di me, senza rifiutare nulla dell’altro. Mi permette un abbraccio totale. Se Gesù non è risorto, è impossibile un abbraccio totale e consapevole. È possibile un abbraccio sentimentale, sì, ma consapevole no.

“Abbiate fede in Dio e anche in me”

Questo è il vostro problema. O meglio, più che fede, abbiate coscienza della fede. Perché ci credete pure, ma non cogliete la portata di quel che credete. Dite che Gesù è risorto, ma si vede benissimo, mentre lo dite, che non vi dice niente, non vivete niente. Si capisce bene che non cogliete cosa cambia con la fede, cosa cambia nell’amare. Perché se Gesù è risorto, io posso amare per sempre, se no l’amore è effimero, un amore senza cuore, un amore tiepido, un abbraccio languido che non è degno del mio cuore che è consapevole.

[30/04/2018, 14:05:43] Frankie: *Omelia 30 aprile 2018*

“Com’è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?”

Giuda, non l’Iscariota, ma lo Zelota, non capisce: “Più vi guardo e meno capisco perché hai scelto me e hai scelto noi. Ma cosa ci vedi di interessante in gente come noi?”
E bravo Giuda! Se continui a guardarti addosso ci capirai sempre di meno. Perderai l’entusiasmo perché ti guardi coi tuoi occhi.
Se io ti chiedessi perché hai preferito la tua donna, faresti ridere i polli se lo dici! Diresti soltanto perché mi sono innamorato, non è che uno può spiegare perché si innamora, ecco. E cosa credi, che io non mi sia innamorato? Io sono uno come te, mi sono innamorato di te e di ognuno di voi: è per questo che vi ho scelto. E se vuoi capirti e capire i tuoi amici devi smettere di guardarti addosso, di analizzare i pregi e i difetti. Dovete guardar me, non guardare voi stessi!
La ragione per cui vi ho scelti non sta in voi, sta in Me e nel Mio volto, nel Mio cuore – o meglio, è in voi, ma voi non lo vedete perché avete gli occhi confusi, stravolti.
Quando noi andiamo in confusione, quando perdiamo la stima di noi stessi, quando perdiamo entusiasmo è perché ci guardiamo addosso e ci analizziamo, ognuno se stesso e gli altri e affoghiamo.

“Se uno mi ama, verremo a Te e prenderemo dimora”.

É questa la condizione per capire, per stimar te stesso, per essere entusiasta, per capire perché ti ho scelto: è che io possa prendere dimora presso di voi, che la tua dimora diventi la Mia. Se Io dimoro con te e condividiamo la vita insieme, allora tu impari a guardarti come ti guardo Io, sei entusiasta di essere al mondo. Bisogna che la tua dimora diventi la Mia, e così la tua dimora sarà veramente la tua, ci potrai abitare più fino in fondo, perché tu da solo stai male anche con te stesso, vai a letto – se non ti vuoi bene – non dormi in pace.
Dove non c’è Tempio – diceva Eliot – non ci son dimore. Il Tempio è il luogo dove dimora Lui. Se la tua vita, la tua casa, diventa Tempio, diventa la Mia dimora, allora ci potrai stare fino in fondo tu, ci potrà stare il mondo intero.

[02/05/2018, 16:31:52] Frankie: *Omelia 2 maggio 2018*

“É necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge”.

Perché la circoncisione è una incisione nella carne, nell’intimità, come un tatuaggio, un marchio di proprietà, per ricordarti che tu appartieni, che Dio è il Signore della tua vita: Lui comanda e tu obbedisci.
La religiosità da che mondo e mondo è obbedienza al
Signore della vita, sottomissione!
Nessuna religione ha mai immaginato altro, nessuna ha mai pensato alla valorizzazione dell’umano. Gli uomini hanno sempre immaginato Dio come un signore e un padrone, cui diedero ubbidienza e Dio non ha più sopportato questa calunnia, è venuto nel mondo e ha gridato: “Il Padre mio è glorificato nel fatto che voi portiate molto frutto e in voi quel frutto rimanga”.
È il contrario di quello che voi pensate! Gesù ribalta il rapporto fra Dio e l’uomo.

Dio viene nel mondo per un altro scopo, non di sottomettere l’uomo a Sè e l’uomo lo adori e vi ci sottometta, ma ha come scopo la valorizzazione dell’uomo: che porti molto frutto e il suo frutto rimanga, un frutto eterno, non effimero.
E il Credo che recitiamo sempre la
Domenica dice “Homo factus est propter nos hómines et nostram salútem”: per noi uomini, non contro, non per Dio, è venuto per noi e per la nostra salute, per la vitalità, la fruttificazione della nostra vita; nessuna repressione dell’umano, se non una apparente. Quando un frutto, un tralcio, può portare molto frutto, lo pota perché ne porti ancora di più. I tagli della potatura non sono micidiali, non sono per distruggere, sono perchè torni più forte.
Ti vien tagliato quello secondario in cui sprecheresti energie inutilmente, quello che non porterebbe frutto – perché tu ti concentri sulla gemma che porta frutto – perché il frutto viene dalla qualità e non dalla quantità; vien dalla profondità dello sguardo, dall’intelligenza, dall’intensità dell’affezione su un punto, su quello che porta più frutto.
Quando noi ci sentiamo sterili perché ci fissiamo sui piccoli desideri, le piccole gemme che sono sterili, la vita ce le taglia perché noi ci concentriamo su quella rimasta dove portiamo il frutto che è la grandezza della nostra vita!
Per chi è questa sfida, la sfida di Gesù?
È per gli uomini che amano la propria realizzazione umana, che amano il Vero per sé, più del comodo.

[03/05/2018, 15:28:01] Frankie: “A meno che non abbiate creduto invano!”
Grida Paolo ai suoi amici di Corinto: ha il terrore di una fede vana che non cambia la vita, ma la complica.

La fede di Paolo è vera se rende più vera la vita! Che fede è la sua, che gli cambia la vita?

“Io vi ho trasmesso quello che anche io ho ricevuto”
Questa è la fede di Paolo, è la trasmissione di fatti ricevuti, fatti storici accaduti, non dei sentimenti interiori, dei pensieri anche profondissimi.
Non è una religiosità interiore, la fede di Paolo, é un’esperienza esteriore, non una cosa che sente, sono dei fatti che ti accadono fuori, dei fatti giornalistici di cui puoi dire quando, come, cosa e dove è accaduto! La fede di Paolo è una fede che si fonda sulla storia, sulla geografia, sono fatti del passato che lui non ha conosciuto, perché lui è arrivato dopo, gli sono stati trasmessi; e dei fatti del presente accaduti a lui, e che loro devono conoscere se vogliono che la loro fede non sia vana! E dice a quelli di Corinto: “Dovete fare la fatica di conoscere, la storia bisogna studiarla, l’ignoranza è il primo nemico della fede. Quando tu vai in crisi di fede è perché tu hai smesso di conoscere, senza conoscenza, senza studio della storia, non c’è fede cristiana. Cosa verifichi se non conosci? Se hai smesso di conoscere?
Conoscere, studiare, conoscere quei fatti che ti sfidano con una Bellezza mai vista, che ti infiammano! In quei fatti c’è Uno che ti dice: “Chi crede in Me compirà le opere che io compio” cioè farà l’esperienza umana che faccio Io, anzi, “ne compirà di più grandi” perché, più il tempo passa, più i fatti divengono arricchiti, son più pieni, invadono più aspetti della vita, trasformano di più la vita, sono fatti che illuminano le cose della vita e le trasformano in segno, le rendono vere, perché le cose in sè sono segno, sono rapporto con Dio, ma solo quei fatti portano luce, te le illuminano; e tu in quelle cose, nelle cose della vita, come in quei fatti, tu incontri Dio e, quindi, incontri te, perché tu ti realizzi quando incontri Dio, quando ti immedesimi con Dio! Tu sei nato per incontrare Dio, niente di meno ti realizza, niente di naturale, mai!

Ieri sera, andando a letto, ho visto un servizio sulla religiosità e la cultura dell’oriente, terribile! Un naturalismo che ha, come ideale, l’armonia con la natura: mi veniva l’asfissia, un carcere! La natura, per me, è un carcere: io ci muoio dentro la natura! La felicità non è essere in armonia con la natura, ma siamo matti?

Quando io non mi sento vero, mi sento perso, confuso, è perché mi sono arrestato prima di arrivare lì, mi sono accontentato delle cose belle della natura.

Ecco, questa è una fede vana, una fede che mi fa sprecare la vita; ma accade così perché io ho smesso di conoscere quei fatti, di studiare i fatti del passato, di una storia, e di verificarli oggi dentro la mia vita.
Questa è la fede di Paolo, questa è la natura vera del cristianesimo!
È come le montagne dell’Himalaya che sbucano fuori da tutte le coltri di nubi che le possono ricoprire.
Sono lì, da milioni di anni, sono lì. Su questo fondamento si erge la fede cristiana, questa è una fede che non è vana… merita spenderci la vita!

[04/05/2018, 12:05:24] Frankie: *Omelia 4 maggio 2018*

“Nessuno ha un amore più grande che dare la vita per…”

Che amarezza è quando non hai nessuno che voglia dare la sua vita per te, che la voglia condividere con te; è la cosa più bella che ti possa accadere: incontrare uno che voglia vivere per te, con te. O addirittura che eroismo è un uomo che sia disposto a morire anche per te. Per tanti questo è il massimo, non accade quasi mai. E naturalmente è il massimo trovare uno che voglia vivere o, addirittura, morire per te,
Ma il cuore dice: no! Il cuore grida altro. Non mi fa felice uno che dà la vita a me o uno che muoia per me mi rattrista: lo voglio vivo, non morto, il mio amico.

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”

E’ bellissimo che uno mi scelga, ed è tristissimo che nessuno mi scelga, che mi voglia. E’ bellissimo essere scelti, ma non basta a farmi felice. Io ho bisogno di scegliere chi mi ama. Pensa, io sono stato due volte in medio-oriente in questi ultimi mesi: terribile scoprire il matrimonio combinato, tu sei scelto ma non puoi scegliere. Terribile, è l’inferno.
Ma perchè Tu mi hai scelto?

“perchè andiate e portiate frutto”

E’ bellissimo portare frutto, fare figli, lavorare, cambiare il mondo, ed è un’amarezza inconsolabile quando una persona, una coppia, si trova sterile, un uomo viene cacciato via dal lavoro e si trova disoccupato.
Ma basta avere figli, il lavoro? Essere utili? Si vede in faccia che non basta a nessuno. Che cosa manca a tutti questi amori?

“Che il vostro frutto rimanga”

Ecco che cosa manca: un frutto che rimanga, un amore che rimanga, una vita che rimanga. Solo questo basta al cuore e questo nessuno lo può dare: l’innamorata o l’innamorato non mi può dare una vita che rimanga, la vita che mi dà non rimarrà, a volte la cancella via. Ogni amore, ogni frutto, ogni figlio, ogni padre, ogni madre, ogni amante, non rimane. Il cuore grida un bene, grida un frutto che rimangano per sempre, che non siano cancellati dal tempo e dalla morte.
Questo accade solo in un punto dell’universo e in un momento della storia: nel momento in cui Gesù risorge. Lì c’è una vita che rimane, c’è un frutto che rimane, un amore che rimane.
Quando mi alzo al mattino e penso a questa vertigine, a questo desiderio vertiginoso, mi aspetta una giornata da vivere avventurosa, nuova, perchè sfidare con questa vertigine di desiderio l’imprevisto, o le cose previste, i desideri, gli affetti, le delusioni, quello che fai, tutto quello che ti accade è un’avventura.

[07/05/2018, 16:26:10] Frankie: *Omelia 7 maggio 2018*

“Perché non abbiate a scandalizzarvi”.

Perchè scandalizzarvi è il primo obiettivo del diavolo. Non è il peccato: in un istante ti penti e il peccato lo hai vinto, non ti ferma.
Il vero nemico di chi ha incontrato Gesù è lo scandalo.
“Scandalum” in greco vuol dire esca: quel particolare che ti intrappola; ti fissi su quello, lo assolutizzi, come se quello fosse il problema della tua felicità.
Se è una cosa bella, ti attacchi a quella e non vedi altro; se è una cosa brutta, quello è il tuo problema, finché non hai risolto quello non vedi altro, sei intrappolato lì, è il tuo carcere.
Che cosa ti libera dallo scandalo, dal carcere?

“Vi ho detto queste cose perché ve ne ricordiate, quando verrà la loro ora”, cioè vi ho detto l’essenziale. Vincerete lo scandalo se starete sull’essenziale, se manterrete l’orizzonte intero, se spenderete il tempo e le energie della vita, gli strumenti, i rapporti, per fissare l’essenziale, per approfondire l’essenziale, per capire – ogni giorno di più – che cosa è essenziale. Come un giorno Gesù dice a Marta: “Ti affanni e ti agiti per troppe cose” – non sbagliate, son troppe – “Porro unum necessarium”: l’essenziale è una cosa sola.
Affezionatevi agli amici che vivono dell’essenziale.

Il Salmo: “Esultino i fedeli nella gloria, facciano festa”: questo é il frutto.
Se stai sull’essenziale, tu esulti, sei entusiasta. L’essenziale entusiasma sempre. È inesauribile questo entusiasmo che nasce da chi guarda l’essenziale – è un mistero – mentre i particolari ti spengono, ti inaridiscono. Ti abbrutisci se ti lasci scandalizzare da un dettaglio; i particolari non ti meritano mai.

[09/05/2018, 08:19:14] Frankie: *Omelia 8 maggio 2018*

“Cosa devo fare?”
grida terrorizzato, terremotato, il carceriere.

“Credi nel Signore Gesù e sarai salvato”.
Il frutto del credere è essere salvato: il test della fede vera è l’esperienza della salvezza.
Che cosa è mai questa salvezza?
Una delle parole più fumose e fuorvianti che la nostra cultura religiosa conosca!
“Ah io ci credo, ma cosa mi cambia ora?!”
Ecco, hai una fede con la quale e senza la quale rimani tale e quale!
Il tuo non è un problema di fede, ma di ragione: una ragione dissociata da se stessa!
Tu ci credi – sì, sì – ma non paragoni la fede con il resto delle cose della vita; resta lì in un cantuccio, come in un freezer, come in un bilancio di azienda la contabilità in nero: entra ed esce senza mai entrare nei conti. La fede è come quando in un foglio Excel tu metti un nuovo dato o cambi il criterio di ordinamento dei dati, AZ o ZA, si capovolge tutto! Ecco, se la fede non la metti nella contabilità normale non cambia niente! Oppure è come in un laboratorio di chimica, che ti danno un reagente per vedere che sostanza c’è lì dentro; tu prendi la fialetta o la bottiglietta del reagente e la metti, la immergi, tappata, dentro la sostanza: c’è, è lì dentro, ma non cambia niente!
La fede è un reagente, un nuovo criterio che riordina tutto.
Che cosa cambia?

Questo salmista dice: “Hai accresciuto in me la forza”.
Una forza nuova, che cresce, sei più potente nella comunità e nella vita, incidi, lasci il segno di te, segni il mondo per la tua personalità, il mondo intero cambia, riordini i dati del mondo, entri tu e niente è più come prima in quell’ambiente.

“Il carceriere fu pieno di gioia” come la sua famiglia.
Pieno di gioia: la cosa che un uomo cerca di più e di cui non è padrone mai. Sennò la fede ce l’hai, ma non ti fa crescere; nessuna forza e non porta nessuna gioia, non perché manchi di fede, manchi di ragione. Hai una ragione, ma non la usi realmente, è dissociata, è a compartimenti stagni, non è stata educata a paragonarsi con tutto, a paragonare ogni cosa fra loro: quel che fai e quel che pensi. Tu vivi ma non ti muovi a partire dalla ragione, da dei giudizi che dai, da quel che hai capito, ma ti muovi per l’istintività, per la psicologia, per le pressioni dell’ambiente, cioè non sei protagonista di te stesso, sei in balia di, sei mosso da altro, non ti muovi da dentro, non sei veramente maturo e libero.
Come dicevano i pedagogisti latini: “Pueri et naves ad posteriora reguntur” – i bambini e le macchine li piloti meglio di dietro – “Non homines, ad interiora moventur” – gli uomini si muovono dal di dentro, sennò non sono uomini.
Per noi il problema stesso non è un problema di fede, ma di ragione; non siamo veramente umani, perché non è umano pensare una cosa e amarne un’altra, amarne delle altre; permettersi di amare una cosa senza pensarla, senza pensarci, essere in balia di mille meccanismi, ma non essere protagonisti.
Noi ci vogliamo bene se risvegliamo l’io a pensare, a capire, a ragionare.
Una volta mi dissero: “È ma non può mica essere un ragionamento la fede e la vita”, e invece è proprio un ragionamento! Perché una fede senza il ragionamento, appunto, è nulla. Ma ti annulli tu.

[09/05/2018, 10:43:44] Frankie: *Omelia 9 maggio 2018*

“Ho trovato la scritta con l’iscrizione: a un Dio ignoto”.
E se Dio vi è ignoto, tutto vi è ignoto: le Sue creature, le cose, il mondo intero, le persone, tu a te stesso sei ignoto. Vivete nell’estraneità, nella lontananza, nella paura, nella solitudine, nella bruttezza! Perché tutte le cose sono Sue, anche tu; se è ignoto Lui, tu non sai neanche chi sei, sei solo e non ti capisci tra te e te.
Quanta gente: “Non mi capisco”, perché adori un Dio ignoto!
Se Dio diventa noto – “io ve lo annuncio” – da quell’istante, se è noto Lui, è noto tutto: se ha una faccia Lui, tutto ha una faccia!
In tutto, in tutti, tu trovi le tracce della Sua faccia, del Suo amore. E allora i cieli e la terra diventano pieni della Tua gloria, della Sua bellezza: ogni cosa è bella, perché traluce della Sua bellezza e tu stesso ti puoi ammirare, ti puoi stimare, sei orgoglioso di essere al mondo. Ti abbandonassero tutti non sei mai solo! Se ti è noto Lui, Lui ti è familiare e tu stai bene con te stesso, sei in compagnia dentro di te, perché Lui ha un volto, tu hai il tuo, unico al mondo!
Certo che quando uno dice: “Io ve lo annuncio”, in quell‘ istante la piazza, l’Areopago, si spacca in due: inesorabilmente l’annuncio del Dio noto, della faccia di Dio, spacca sempre il mondo, perché smaschera i segreti pensieri dei cuori.

“Alcuni lo deridevano” e Paolo si allontanò da loro, non ci perde tempo; lo deridevano perché si deridevano, perché non si prendevano sul serio, non ascoltavano il grido che il loro cuore aveva di questa familiarità.
“Alcuni altri” – quindi “alcuni” e “alcuni”, forse la maggior parte è rimasta indifferente, generica – “si unirono a Lui, divennero credenti”; e c’era Dionigi, c’era Damaris e c’erano altre 5 persone: i primi sette che sono la prima comunità di Atene.
La differenza quel giorno, in Atene, era tra quelli che riconoscevano il Dio noto e il Dio ignoto e chi li avesse incrociati in quella piazza e per le strade, vedeva una differenza, una luce diversa; alcuni erano soli, estranei anche a se stessi, altri avevano in faccia una luce, un’affezione, un‘affettività che avresti voluto andare a guardarli negli occhi ed abbracciarli!
Questo dramma si ripete ogni giorno: che in un Areopago di questo mondo, in una qualunque via Zamboni o Piazza Verdi, arriva un uomo con dentro il cuore il fuoco di Paolo.

[10/05/2018, 10:46:43] Frankie: *Omelia 10 maggio 2018*
“Quando venne la pienezza del tempo”, scrive Paolo agli amici della Galazia.

Nella storia è accaduto un fatto che riempie il tempo di senso, da quel fatto, da quel giorno nessun istante del tempo è più vuoto, senza senso. Io- dice Paolo- posso vivere la densità di ogni istante, essere pieno di un’affezione che infiamma tutto.

Ma cos’è questo fatto?

“Ha inviato il suo Figlio nato da donna”. Il fatto è un uomo reale, nato da donna come tutti gli uomini reali. Ma Lui è il più reale, il più uomo.

Chi Lo incontra, sente che fa irruzione attraverso di Lui un’umanità debordante, affascinante che Ti prende, che irrompe nella tua, che irrompe dovunque, irrompe nell’inferno, nel calvario, nella croce dei romani, irrompe nella disperazione nera di un sepolcro ma fa esplodere quel sepolcro lì, quell’umanità, deborda perfino la sua, risorge dal sepolcro e da duemila anni continua a debordare ed irrompere, a fare rinascere il mio io di donna e di uomini.

Questa mattina irrompe nella mia e nella tua, se no perché siamo qui? E noi siamo ancora qui, invasi, debordanti di questa vitalità umana per noi, per me sempre più inspiegabile. Più passa il tempo, non so quante volte al giorno debbo dire: “Ma come la spieghi te questa vita che mi deborda addosso?”. Io non me la spiego, non si spiega, alla mia età, con il mio carattere, con le condizioni in cui vivo, che sono le tue.

“Non sei più schiavo, ma figlio” dice Paolo.

Ecco che allora che essere schiavi voleva dire una certa cosa, essere figli un’altra: essere schiavi si nasceva, essere figli si nasceva. E noi siamo schiavi liberati, che possono vivere da figli. Liberi in tutto, non liberi da tutto. La vita ci inchioda tutti da qualche parte, ognuno ha la sua croce dov’è inchiodato e non si schioda, non si può scendere. Non liberi dalla croci ma “sulle” e “nelle”. Non c’è più nessuna croce che ci impedisca di realizzarci. Io guardo la mia vita, ho settantadue anni e debbo dire che non c’è nessuna circostanza umana che mi faccia disperare, in cui non possa dire “qui non posso essere me stesso”. Non metto a posto niente, non metto a posto me, ma realizzo me.

Il delitto per me, per te che ti sei imbattuto in questa umanità assoluta, sarebbe vivere come se questo non ci fosse accaduto.

[14/05/2018, 13:36:08] Frankie: *Omelia 14 maggio 2018*

“La sorte cadde su Mattia […] fu associato agli undici”.

La sorte decide che Mattia da quel giorno era uno di loro e per sempre.
E lui cosa c’entra con quelli lì e loro con lui? Lui non li ha scelti e loro hanno tirato a sorte, invece di sceglierlo proprio. Ma perché hanno scelto lui e lui deve stare con loro?
Non hanno guardato le sue capacità o i suoi meriti, non hanno guardato lui, hanno guardato Gesù e obbedito a Gesù scegliendo Mattia. La sorte lo mette davanti a Gesù, loro sono trasparenti a Gesù. Da quell’istante, se Mattia vuole capirci qualcosa di se stesso, delle loro facce, del fatto che deve obbedire a Pietro che durerà meno di lui, ha un solo modo: non deve guardarsi addosso, analizzare se stesso e gli altri, deve guardare Gesù, per star con quelli, per condividere, per obbedire a Pietro, per andare a morire con loro. I conti Mattia li farà con Gesù, esattamente come noi! Per amare chi ci è dato, i compagni, il marito, la moglie, i colleghi, l’autorità, c’è un solo modo: guardare Lui che ha scelto te, se no andiamo in confusione.

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”.

Questo è il punto che fa luce: bisogna guardare Chi sceglie tutti. E ti può scegliere pure con la sorte, perché è uno strumento nelle Sue mani, chi sceglie è sempre Dio. E io, per essere libero, devo rispondere a Dio. Gli altri Lo rendono presente, esattamente come Gesù, che aveva di fronte suo padre Giuseppe, putativo: il padre putativo era quello che rendeva presente Dio, lo metteva davanti a Dio e Gesù obbedisce a Dio, è per questo che è libero anche di far cose che suo padre e sua madre non si aspettavano; esattamente come Mattia è libero di condividere con gli altri undici o di obbedire a Pietro, perché si ricorda che il comando era di Cristo, che i conti li fa con Cristo. Solo questo permette che sia feconda quella compagnia e quell’ubbidienza.

“Io vi ho scelto perché portiate frutto e perché il vostro frutto rimanga”

Senza questa obbedienza trasparente tu non sei libero, non porti frutto, sei sterile, o, se lo porti, non resta, non resta nulla. Se non obbedisci a Dio davanti al padre putativo, agli amici putativi, sei un alienato, sia che obbedisci, sia che ti rifiuti di obbedire, è uguale: sei comunque schiavo dello strumento, ti fissi su quello. In quel caso era la sorte.
Quanta gente, quante facce vedo rassegnate a una mala sorte, da un triste destino, perché si fissano sullo strumento, sul modo, e non hanno uno sguardo trasparente, non vanno all’origine di Chi ha scelto te e loro. Non rispondono a Dio che li ha scelti. Tutto il resto è un puro strumento.
Qui si gioca la libertà, l’entusiasmo, la leggerezza dell’uomo che il mondo lo vive e non lo subisce mai.

[15/05/2018, 14:33:55] Frankie: *Omelia 15 maggio 2018*

“È giunta l’ora” …che ho atteso più di ogni altra ora nella mia vita.
Ho vissuto ogni ora per questo, per ciò che doveva accadermi in questa ora, era il mio scopo.
È lo scopo che ha dato verità, intensità alla mia vita. E quando tu sei grigio, sei spento, è perché hai smarrito lo scopo: uno scopo per cui fare tutto.
E allora, quando perdi questo, ti confondi, la vita si spegne, niente più è veramente utile.
È lo scopo che rende utile il tempo, utili i frammenti.
Qual è lo scopo di Gesù? Per cosa ha bruciato ogni ora della vita?
Per vedere realizzato lo scopo.

“É giunta l’ora: Glorifica il figlio tuo!”
Gesù ha vissuto per essere glorificato, per vedere la propria gloria, la propria bellezza. Non aveva come scopo delle cose, aveva come scopo Sè.
Ha vissuto per glorificar Se stesso, perché divampasse il fuoco che si sentiva dentro, che sento io, che senti tu, che ogni uomo porta dentro, di cui quasi mai ha coscienza.
Perché la vita ci è data esattamente per accorgerci del fuoco che abbiamo dentro, per farlo divampare, per trovare il combustibile che lo fa divampare perché con questo fuoco incendiamo il mondo, inneschiamo il desiderio che è dentro il cuore di ogni uomo.
Questo scopo della vita è il criterio per scegliere, per guardare, le cose e le esperienze.
Una cosa e un’esperienza sono bene se fanno divampare il cuore, sono male se lo spengono.
E chi l’ha detto che il bene coincida con il comodo o con il facile?!
Basta con il mantra del “faccio fatica, faccio fatica”, come se far fatica fosse un male!
C’è una fatica che fa divampare il cuore, c’è una fatica che lo spegne: questo è il problema. C’è un piacere che innesca l’entusiasmo del cuore, ce n’è un altro che lo svuota o lo aliena, lo porta fuori. Soprattutto, basta (!), di fronte allo scopo di Gesù.

“Glorifica il figlio tuo, perché il figlio tuo glorifichi te”. Coincidono le due cose.
Basta con una fede dualista, diabolica, che investe il mondo da sempre, oggi soprattutto – ugualmente investe gli atei ed i fondamentalisti – per cui sembra che la gloria data all’uomo sia tolta a Dio e viceversa.
Alcuni difendono l’uomo contro Dio, alcuni Dio contro l’uomo. No! Per Gesù la mia gloria è la gloria di Dio! Dó gloria a Dio se cerco la mia gloria, la mia bellezza.
Che bellezza ha un uomo a cui togli il fuoco del Divino?
Ma un Dio, che bellezza ha un Dio se Gli togli il fuoco che lo fa innamorare dell’uomo?
Questo segreto è stato consegnato ai discepoli di Cristo.
E noi da questo saremo giudicati, ci siamo solo noi che affermiamo che le due glorie coincidono.
Questo è il posto che abbiamo nel mondo; tutto quello che ci è dato è per realizzare questo compito.

[16/05/2018, 15:40:09] Frankie: *Omelia 16 maggio 2018*

“Non prego che Tu li tolga dal mondo”

Io li ho mandati nel mondo, noi siamo nel mondo, dentro al mondo, come tutti: presi dentro le dinamiche della nostra natura, coinvolti nei fatti della storia, come tutti. Viviamo l’esperienza umana di tutti, come Gesù.

“Homo sum humani nihil a me alienum puto” gridava Terenzio alla sua commedia: sono un uomo e tutto l’umano mi riguarda, io vivo tutto dell’umano, comprese le tentazioni, e quando ci sono dentro dico: “Ma come è umana la mia umanità, come è bello che io combatta per la verità e la Bellezza della mia umanità!”
Perché è sull’umano, non sul divino, che si gioca la fede cristiana. Il cristiano non ha per oggetto Dio, ma l’umano investito dal divino! È una sfida su come io vivo l’umano, questo è il cristianesimo. Ma:

“Essi sono nel mondo, ma non sono del mondo.”

Come Io non lo sono, noi siamo dentro, dentro tutto, ma ci portiamo addosso un modo nuovo di vivere tutto. Affrontiamo tutto con un’altra natura, che insorge, che ha fatto irruzione in me, che insorge ogni istante, un’altra forza ha fatto irruzione, l’eternità, con il sepolcro di Cristo; e ogni cosa che vibra in noi vibra, in qualche modo, dell’eterno, ha come il sapore dell’eterno dentro questo mondo; nel pensiero, per esempio, la prima novità cristiana: ti trovi addosso un pensiero radicale, luminoso, sintetico, come se un’aquila t’avesse portato in cima all’Everest e vedi tutto unito, vedi il posto di ogni cosa, e vedi che di lá è tutto bello, ogni cosa ha il suo posto, non c’è una cosa senza il suo posto nell’universo e tu la collochi, la vedi lì dove deve stare. E capisci che ogni cosa è degna del tuo amore, e ti prende per ogni cosa, ogni persona, un’affezione che gli altri non hanno, un brivido, un sapore, in ogni cosa che guardi e che ami tu senti che quella Bellezza è per sempre. Tu la puoi sperimentare adesso, quello che gli altri vedranno dopo la morte tu lo cominci a vedere adesso. Poi hai tutti i mille problemi di tutti, ma il problema della vita è uno solo, non sono più mille, come finisce questo Vangelo:

“Che siano anch’essi consacrati nella verità”

Io ho bisogno ogni mattina di essere consacrato in questa verità della vita, immedesimato, di capirla sempre un po’ di più, di capirne l’origine, di capire cosa comporta soprattutto, che portata ha. Io pian piano ho capito che cosa ogni mattina consacra me, che cosa immedesima me; e tu, guardando la tua vita, devi capirlo, se non lo capisci sono delle emozioni che ad un certo punto volano via, non sono diventate tue. Parlavo ieri con una ragazzina giovane che mi diceva: “ma, si è tutto bello, ce lo stupore all’inizio, ma dopo un po’ lo stupore finisce e mi sfugge sempre via tutto”: capivo che non aveva, non riusciva a rubare il segreto, a cogliere la portata di quello che viveva, non riusciva ad immedesimarsi nella verità delle cose.

[17/05/2018, 13:17:22] Frankie: *Omelia 17 maggio 2018*

“…a motivo della risurrezione…scoppiò una disputa nell’assemblea tra farisei e sadducei”.

Sana disputa, l’unica disputa sensata è questa sulla risurrezione di Gesù, nessuna guerra, nessuna violenza è giustificabile in nome di Dio ma l’unica comprensibile non giustificabile – non la farei mai!- è quella sulla questione di fondo e farisei e sadducei si azzannano subito su questo. Mi stanno antipatici su tutto il resto, sbagliano su tante cose ma su questo sono intelligenti, sono stati educati dal grande pedagogo del popolo ebraico, almeno colgono la portata dei problemi, hanno chiaro che il problema dei problemi è questo. L’unico fatto che cambia la vita è la risurrezione di Cristo, la cambia se è vero, la cambia se è falso. Perché se è risorto tutto nella vita vale, è sempre ragionevole vivere per, o morire per. Se non è vero, niente vale, niente è ragionevole, non c’è niente per cui vivere, niente per cui morire. Se Gesù è risorto tutto vale per sempre e nella vita c’è l’entusiasmo ragionevole, fondato, se Cristo non è risorto tutto diventa banale. E che cosa mi serve una fede che non serva né per vivere, né per morire con entusiasmo? E’ una fede penosa. La pena che ho incontrato nella maggior parte dei cristiani è che non colgono la portata di questo problema. Vivono nel dubbio sulla risurrezione di Cristo, non sono certi né che sia vera né che non lo sia ma non si preoccupano neppure di saperlo, non colgono che questo è il problema e perdono la vita dietro a tutte le questioni secondarie per esempio la morale, la liturgia, mille altre cose, soprattutto la morale, ma la morale non serve a niente se Cristo non è risorto. Se Cristo è risorto c’è speranza per i buoni e per i cattivi, se Cristo non è risorto non c’è speranza né per gli uni né per gli altri. Vivono senza spendere la vita per sapere se è vero o per sapere se non è vero, perché è l’opposto. Vivere certi che non è vero, che è il più grande imbroglio, vivi in un certo modo, se sei certo che è vero, vivi nel modo opposto, non è uguale. Siccome sono tutti uguali, per me la cosa più immorale, più scandalosa è vivere nel dubbio sulla risurrezione. “Sì io ci credo”, però di fatto da come lo dici si capisce benissimo che non cogli la portata.

Il senso dell’amicizia tra noi è di spendere tutta la vita per diventare certi sulla questione della risurrezione di Cristo, certi che sì o anche certi che no, perché in ogni caso se sei certo non sprechi più la vita dietro a cose secondarie, non vivi più nel dubbio perché il dubbio è logorante, è paralizzante, ti estenua, ti svuota la faccia. Preghiamo Dio che ci impedisca di sprecare la vita nelle banalità, che ci impedisca di arrivare alla fine della vita senza aver raggiunto una certezza perentoria o che è vero o che non è vero. La vita merita di essere spesa soltanto per fare questa ricerca. E’ possibile dopo duemila anni raggiungere la certezza che raggiunsero i testimoni diretti? Questa è la grande questione della vita senza questo il resto è secondario. La nostra vita – dissi una volta con una parabola algebrica- è come una parentesi in cui c’è dentro un polinomio. Imparai in seconda media che cambia tutto se davanti c’è il +1 o il -1. Il +1 è Cristo risorto, il -1 che azzera tutto quello che c’è dentro, lo capovolge di senso, è se Cristo non è risorto. Io lo devo sapere e lo voglio sapere. Sono miei amici quelli che colgono la portata di questa urgenza.

[18/05/2018, 12:53:08] Frankie: *Omelia 18 maggio 2018*

“Si trattava di questioni relative alla loro religione, ad un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere vivo”

Eh, no Festo, ti sbagli! Sarai pure un bravo funzionario romano, concreto, essenziale, puntuale e capisci subito i problemi, ma queste non sono questioni relative alla religione: sono relative alla tua vita di uomo. Se tu sei un uomo cosciente di te, ma non ti rendi conto che ti riguarda sapere se quell’uomo morto da alcuni anni adesso è vivo o no? Ma quando tu abbracci tua moglie e i tuoi figli non senti che il tuo cuore grida “per sempre, per sempre, per sempre, non li voglio perdere”? E non vedi che c’è la morte che te li porta via? Ma come fa a non interessarti se quell’Uomo è vivo o morto, se è rimasto nel sepolcro o se è risorto?
Tu non capisci il problema di Gesù perchè non capisci il tuo, di uomo, perchè non hai coscienza di te, sei fuori di te, ci sei col corpo ma non ci sei tutto quando fai il funzionario. Perchè se tu sei presente ti rendi conto, capisci come ti riguarda quella questione e capisci che devi spendere la vita per verificarlo pure te se è vivo o morto, non è una quesitone religiosa da mandare a Roma dall’imperatore.
E se sei presente a te stesso ti accorgi, ti accorgi, intuisci, hai presentimento, anche solo presentimento che quell’Uomo sia vivo adesso! E tu fai come Pietro, non è che diventi più bravo, o più capace, ti slanci verso quell’Uomo e Gli dici: “Tu lo sai che Ti amo, io do la mia vita per Te, io pascolo il Tuo gregge, mi prendo a cuore il Tuo gregge, dedico tutta la mia vita alla Tua opera, la Tua opera è la mia, da questo giorno i Tuoi interessi sono i miei, dedico la vita a quello che interessa a Te”.
E ti trovi addosso uno scopo che ti fa respirare: ti accorgi che accettare per te il compito stesso di Cristo – dare la vita per la Sua opera – per vivere per ciò per cui ha vissuto Lui, per capire chi è veramente Lui, ti fa respirare. Non trovi nel mondo – altro che funzionari romani! – un compito che ti valorizzi tutto come ti valorizza Lui, perfino la tua angoscia repressa, la tua paura della morte a cui non pensi.

[22/05/2018, 12:04:10] Frankie: *Omelia 22 maggio 2018*

“In questo è glorificato il Padre: che portiate molto frutto”.

Dio vuole che io porti frutto, non mi vuole sterile, inutile, mi vuole fecondo, bello, prezioso, utile a tutto il mondo. Che bello quando mi sento dire – anche ieri, che ero su a Milano – da una persona con una vita travagliata, rinata a quasi cinquant’anni: “Che bello che t’ho incontrato, che ti ho conosciuto, mi sei mancato” oppure “bello quel momento, però mancavi tu”. È la cosa più bella sentirsi preziosi. Io sono nato perché il mondo diventi più bello, che sia colorato di me, che quando muoio io si spenga un mondo, che si riaccenderà soltanto nella risurrezione finale e tutto il mondo aspetterà che arrivi io ad accendere quell’interruttore, a mostrare quella bellezza. Dio vuole che io goda di questo, che il mondo goda della mia esistenza e della mia presenza. L’amarezza più grande che vedo in faccia alla gente è quando uno si sente inutile, si sente sterile oppure quando mi scontro con il pensiero diabolico del fondamentalismo. Sono stato più volte in questi tempi in Medioriente, terribile. Là guardi in faccia la gente e sono tutti convinti che c’è un’opposizione fra la gloria del mondo e la gloria di Dio, che per dar gloria a Dio devi annullare l’uomo, che la bellezza dell’uomo sarebbe rubar gloria a Dio. Questo pensiero in testa ce l’hanno tutti: che Dio sia invidioso di me, che non voglia la mia felicità, che mi voglia sottomettere per affermare la sua signoria. Ma è diabolico questo pensiero. No. “Vivens homo gloria Dei”, ha sempre gridato la Chiesa nei salmi e da Ireneo in poi. La gloria di Dio è l’uomo vivente, non l’uomo morente. L’uomo bello, non l’uomo brutto.

Oggi festeggiamo Rita, una donna che ha portato molto frutto, da secoli, da otto secoli, ormai. Noi siamo il frutto di Rita, della bellezza di Rita, se quella donna non era bella, noi non saremmo qui. Pensate, per ottocento anni una bellezza che ha illuminato, irraggiato gli uomini fino a noi questa mattina. Ci portiamo addosso qualcosa del frutto di bellezza che lei si è trovata addosso.

Qual è la condizione che ha permesso a Rita di diventare bella, vera? Si dice santa, nella tradizione della Chiesa, ma è meglio dire vera, una vera donna è una donna bella.
Qual è la condizione che disse Gesù ai suoi amici qualche ora prima di essere catturato?
“Se un tralcio porta frutto, Dio lo pota perché ne porti ancora di più”.
La condizione per portare frutto è la potatura.
Ho fatto l’allevatore e l’agricoltore fino a 28 anni e lo so bene. La potatura non è una dispersione della pianta dell’albero. Si fa nei frutteti perché gli alberi non sprechino tanta linfa in fogliame secondario e la concentrino tutta nelle gemme che portano frutto. Nel bosco invece non c’è potatura e non ci sono frutti. C’è un gran fogliame, andrà bene per mangiarsi l’anidride carbonica, ma non porta frutto. Ecco, la potatura è quell’operazione per cui Dio interviene nella mia vita per togliermi gemme secondarie, che sarebbero uno spreco, perché io concentri tutto su quelle che portano il frutto più grande. La potatura è l’aiuto a concentrarsi sull’essenziale, perché nei particolari io mi spreco.
Disse Gesù a Marta, quella sera, che era tutta indaffarata a fare la piadina e la pizza, mentre lei: “Di’ a mia sorella che mi aiuti!” E Lui: “Marta, tu ti affanni e ti agiti per troppe cose”.
Ti stai sprecando in cose secondarie. Vuoi che il problema di stasera sia la piadina e la pizza?
Qual è l’essenziale?
Maria ha scelto l’essenziale, stai sull’essenziale. Ecco, Gesù pota Marta quella sera, la richiama a non sprecarsi in cose che la affannano e la agitano e basta.

Che cosa Dio ha valorizzato di Rita? Che frutti ha portato Rita nella sua vita? Che frutti ha introdotto, ha fato vibrare dentro la nostra vita?
Noi crediamo in Cristo, Lo cerchiamo comunque. Per quali frutti? Che bellezza porta Gesù nella nostra vita? Quali sono le gemme che Lui ha valorizzato di tutti noi?
Non sarebbe ragionevole una fede che non portasse frutto adesso. Non si crede per andare in Paradiso, si crede per fiorire adesso. Il Paradiso non sarà nient’altro che la continuazione e il compimento dell’adesso. Una fede che non porta frutto non convince gli altri perché non convince me. La fede è convincente se è avvincente, se si dimostra con la bellezza, con la mia, nella mia faccia innanzitutto.
A Dio tocca potare, a me tocca metterci la linfa. Se ce la metto tutta, vedo fiorire il centuplo nella mia vita, se non ce la metto tutta no, non vedrò mai il centuplo. Mi vedrò sempre più striminzito.
La sfida che Santa Rita ci lancia è questa: alzarsi al mattino, individuare l’essenziale, non sprecare tempo sul secondario e mettercela tutta la vita.
Chi dà tutto ha il centuplo, chi no, no.

[23/05/2018, 10:45:45] Frankie: *Omelia 22 maggio 2018*

“In questo è glorificato il Padre: che portiate molto frutto”.

Dio vuole che io porti frutto, non mi vuole sterile, inutile, mi vuole fecondo, bello, prezioso, utile a tutto il mondo. Che bello quando mi sento dire – anche ieri, che ero su a Milano – da una persona con una vita travagliata, rinata a quasi cinquant’anni: “Che bello che t’ho incontrato, che ti ho conosciuto, mi sei mancato” oppure “bello quel momento, però mancavi tu”. È la cosa più bella sentirsi preziosi. Io sono nato perché il mondo diventi più bello, che sia colorato di me, che quando muoio io si spenga un mondo, che si riaccenderà soltanto nella risurrezione finale e tutto il mondo aspetterà che arrivi io ad accendere quell’interruttore, a mostrare quella bellezza. Dio vuole che io goda di questo, che il mondo goda della mia esistenza e della mia presenza. L’amarezza più grande che vedo in faccia alla gente è quando uno si sente inutile, si sente sterile oppure quando mi scontro con il pensiero diabolico del fondamentalismo. Sono stato più volte in questi tempi in Medioriente, terribile. Là guardi in faccia la gente e sono tutti convinti che c’è un’opposizione fra la gloria del mondo e la gloria di Dio, che per dar gloria a Dio devi annullare l’uomo, che la bellezza dell’uomo sarebbe rubar gloria a Dio. Questo pensiero in testa ce l’hanno tutti: che Dio sia invidioso di me, che non voglia la mia felicità, che mi voglia sottomettere per affermare la sua signoria. Ma è diabolico questo pensiero. No. “Vivens homo gloria Dei”, ha sempre gridato la Chiesa nei salmi e da Ireneo in poi. La gloria di Dio è l’uomo vivente, non l’uomo morente. L’uomo bello, non l’uomo brutto.

Oggi festeggiamo Rita, una donna che ha portato molto frutto, da secoli, da otto secoli, ormai. Noi siamo il frutto di Rita, della bellezza di Rita, se quella donna non era bella, noi non saremmo qui. Pensate, per ottocento anni una bellezza che ha illuminato, irraggiato gli uomini fino a noi questa mattina. Ci portiamo addosso qualcosa del frutto di bellezza che lei si è trovata addosso.

Qual è la condizione che ha permesso a Rita di diventare bella, vera? Si dice santa, nella tradizione della Chiesa, ma è meglio dire vera, una vera donna è una donna bella.
Qual è la condizione che disse Gesù ai suoi amici qualche ora prima di essere catturato?
“Se un tralcio porta frutto, Dio lo pota perché ne porti ancora di più”.
La condizione per portare frutto è la potatura.
Ho fatto l’allevatore e l’agricoltore fino a 28 anni e lo so bene. La potatura non è una dispersione della pianta dell’albero. Si fa nei frutteti perché gli alberi non sprechino tanta linfa in fogliame secondario e la concentrino tutta nelle gemme che portano frutto. Nel bosco invece non c’è potatura e non ci sono frutti. C’è un gran fogliame, andrà bene per mangiarsi l’anidride carbonica, ma non porta frutto. Ecco, la potatura è quell’operazione per cui Dio interviene nella mia vita per togliermi gemme secondarie, che sarebbero uno spreco, perché io concentri tutto su quelle che portano il frutto più grande. La potatura è l’aiuto a concentrarsi sull’essenziale, perché nei particolari io mi spreco.
Disse Gesù a Marta, quella sera, che era tutta indaffarata a fare la piadina e la pizza, mentre lei: “Di’ a mia sorella che mi aiuti!” E Lui: “Marta, tu ti affanni e ti agiti per troppe cose”.
Ti stai sprecando in cose secondarie. Vuoi che il problema di stasera sia la piadina e la pizza?
Qual è l’essenziale?
Maria ha scelto l’essenziale, stai sull’essenziale. Ecco, Gesù pota Marta quella sera, la richiama a non sprecarsi in cose che la affannano e la agitano e basta.

Che cosa Dio ha valorizzato di Rita? Che frutti ha portato Rita nella sua vita? Che frutti ha introdotto, ha fato vibrare dentro la nostra vita?
Noi crediamo in Cristo, Lo cerchiamo comunque. Per quali frutti? Che bellezza porta Gesù nella nostra vita? Quali sono le gemme che Lui ha valorizzato di tutti noi?
Non sarebbe ragionevole una fede che non portasse frutto adesso. Non si crede per andare in Paradiso, si crede per fiorire adesso. Il Paradiso non sarà nient’altro che la continuazione e il compimento dell’adesso. Una fede che non porta frutto non convince gli altri perché non convince me. La fede è convincente se è avvincente, se si dimostra con la bellezza, con la mia, nella mia faccia innanzitutto.
A Dio tocca potare, a me tocca metterci la linfa. Se ce la metto tutta, vedo fiorire il centuplo nella mia vita, se non ce la metto tutta no, non vedrò mai il centuplo. Mi vedrò sempre più striminzito.
La sfida che Santa Rita ci lancia è questa: alzarsi al mattino, individuare l’essenziale, non sprecare tempo sul secondario e mettercela tutta la vita.
Chi dà tutto ha il centuplo, chi no, no.

[23/05/2018, 10:45:45] Frankie: “Abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome”. Ma scacciare i demòni è opera Tua, è il Tuo compito nel mondo.
Non possiamo permettere che lo facciano altri!
Perché Gesù scaccia i demòni, perché quello è lo scopo? Perché Il demonio è uno che ha una menzogna nello sguardo e nel pensiero. Non ha lo sguardo vero sulla realtà, sul mondo. Lo sguardo del demonio o di chi lo segue è uno sguardo falso perché il mondo non è Dio, è una creatura. Tutte le cose sono segno di Dio. Il mondo è una foresta di segni che ci sono dati come strada, per intercettare la strada, per cercare Dio. Questo è lo sguardo vero su tutto. Tu sei grato che esistano tutti questi segni, non ti passa neanche per la testa che il mondo è Dio, che la natura è Dio e ti aspetti sempre la delusione. Mentre lo sguardo del demonio è il contrario: per il demonio niente è segno, le cose sono cose, come una preda da depredare, dalle cose dipende la felicità; dalla somma: più ne possiedo, più prede catturo e più sono felice. Il demonio è uno che, non volendo adorare Dio adora il mondo, si aspetta la felicità dal mondo, dalle cose, tutte sono un idolo. E l’idolo più del sogno, l’idolo inesorabilmente ti lascia deluso, ti lascia pieno di amarezza, di veleno e di rabbia. I diavoli vivono sempre arrabbiati. Quando noi siamo arrabbiati è perché abbiamo lo sguardo del demonio, non lo sguardo vero.
Allora che dobbiamo fare – disse Giovanni – se troviamo uno che scaccia i demoni come Lui? Che guarda le cose ed anche per lui sono un segno? E’ uno che anche lui vede i segni di Dio e si mette a cercare Dio?
Ma siate grati! Avete un segno in più, avete una strada in più, una strada che vi porta verso Dio. Quell’uomo ha uno sguardo vero, fatevelo amico, anzi, siano questi i vostri amici preferiti.
Questo è il segno, il criterio per scegliersi gli amici: quelli che guardano le cose. non le adorano, quelli per cui le cose sono segno, quelli che cercano Dio.
“Beati i poveri in spirito”, non i poveri di portafoglio, quelli sono infelici non sono affatto felici quelli a cui mancano i soldi. I poveri veri sono quelli che guardano il mondo e il mondo non gli basta, il mondo è soltanto un segno, il mondo non è la loro ricchezza. Quelli che cercano Dio nel mondo questi siano i vostri compagni. Che siano poi cristiani o non cristiani che cosa ve ne importa?
“Chi non è contro di noi è per noi”. Tutti possono essere vostri amici anche soltanto per uno step, per un piccolo passo, siate grati. Non vi serve qualcuno che abbia l’etichetta!
Che libertà lo sguardo di Gesù, che apertura, che respiro, che abbraccio, che purezza di affezione: valorizza tutti, quel punto di luce che ogni uomo può avere nello sguardo, quel pensiero vero, quel desiderio vero che può avere nel cuore.

E’ per questo che noi amiamo tutti ma non seguiamo tutti. Possiamo fare un pezzo di strada con chiunque, siamo ben grati che facciano un pezzo di strada con noi, amiamo tutti, ma seguiamo Gesù, perché nella foresta dei segni, paurosa e confusa come ogni foresta, Gesù è il segno dei segni, solo Lui è il segno dei segni, quello più alto, quello più chiaro che chiarifica anche gli altri. Toglie a tutti gli altri segni le menzogne e anche gli equivoci.

[24/05/2018, 12:09:00] Frankie: *Omelia 24 maggio 2018*

“Se il sale diventa insipido”… ogni cibo diventa insipido non ha più gusto, ti passa la voglia di mangiare, ti si spegne il desiderio!

Esattamente come quando la vita diventa insipida, senza gusto, si spegne il desiderio di vivere, si intiepidisce l’affezione,
non vivi più, sopravvivi. Durante il giorno, quanto volti spenti, sopravvivono, ma non vivono intensamente, non si realizzano.

“Abbiate sale in voi stessi”
Com’è semplice, come è evidente, l’urgenza di ogni mattina, trovare il sale in se stessi, quello che da gusto alle giornate;
ed è drammatico, non sono le cose, le cose non sono il sale della vita, le cose hanno bisogno del sale, perchè sono piccole,
sono creature, le cose non sono mai gustose abbastanza, quando tu punti sulle cose, non ne sarai mai entusiasta, fino in fondo.

Il sale della vita, di una giornata, non sono le cose, è il Divino, il sale! Senza Dio dentro quella cosa, non c’è niente che ti prenda
fino in fondo, se non sei preso, ti si spegne il desiderio, inesorabilmente. Quando sentiamo che viene meno il gusto, l’entusiasmo è semplice,
siamo atei, diciamo a parole che Dio c’è, ma non è lì, non è il sale di quella cosa. Ed è perché noi ci facciamo bastare le cose,
ecco, ci facciamo bastare il mondo, pensiamo che se possedessimo il mondo, noi saremmo entusiati, stupidamente, per un istante…no!
Il ritornello che abbiamo ripetuto: “Beati I poveri in spirito, di essi è il Regno”
Non dice: “Beati i poveri di soldi”… quelli non sono beati! Dicono a Napoli che: “La ricchezza non fa la felicità, figuriamoci la miseria!”

I poveri sono quelli che non possiedono la risposta al proprio desiderio, sono poveri della risposta, hanno un desiderio tale che il mondo non gli basta,
perchè quello che manca nel mondo non è mai il regno di Dio, c’è da 2000 anni, quelli che manca è la fame del regno!
Mancano uomini veramente poveri di spirito, poveri nella coscienza, che hanno un desiderio tale a cui basta solo il regno di Dio!

Ecco, abbiamo bisogno, ogni giorno, di amici poveri di spirito, se poi sono anche pieni di soldi, tanto meglio, ma devono essere poveri di Spirito.

[03/06/2018, 19:26:02] Frankie: *Omelia 3 giugno 2018*

“Questo è il Mio Corpo.”
La festa del Corpus Domini è la più tipica della fede cristiana, cattolica; dice che Dio ha un Corpo – Corpus Domini – c’è nel mondo il Corpo di Dio. Quindi, Dio si può vedere e toccare, abbracciare e ammazzare, un corpo d’Uomo che 2000 anni fa è il Corpo oggi. Perché questo Dio è presente e senza Corpo presente non si vive. Di Dio io posso fare esperienza, posso aver certezza su Dio, perché senza esperienza non c’è certezza; mi dispiace per Lorenzo il Magnifico “di doman non v’è certezza” perché di domani non hai ancora esperienza, non è l’oggi che rende certo, ma l’esperienza che fai oggi, vedere, toccare, paragonare il cuore. E’ possibile una certezza verificata. Tutte le fedi sono certezze, ma sempre in un Dio ignoto e lontano, che non è mai qui; la fede cristiana è una certezza ragionevole, fondata, su cui si può costruire la vita, che ti rende libero, altrimenti avrai sempre paura di Dio e, sull’umano non costruisci; e se temi Dio perché non lo vedi in faccia, sei schiavo.
Ma, oggi, non voglio andare sul contenuto del Corpus Domini. L’intuizione l’abbiamo tutti, è questo, ma voglio dirvi come è diventato esperienza per me. Quel passo che una sera, verso il tramonto, il 3 giugno, il giorno che celebravo la mia prima messa di rientro da Roma – mi aveva dovuto consacrare il Papa – ero lì, facevo la prima messa ormai celebrata; già che non sono di ispirazione liturgica io avevo due preti anziani che mi controllavano di fianco tutti preoccupati che rispettassi bene inchini, parole, mosse, parole, il tono, quelle cose liturgiche lì, perché sapevano che non erano nella mia indole e, mi avevano spiegato bene che, soprattutto, quando pronunciavo le parole della consacrazione “questo è il Mio Corpo, questo è il Mio Sangue” le dovevo pronunciare in persona Christi, come dice la teologia, cioè impersonato, immedesimato in Cristo, dovevo pensare di essere Gesù che parlava del Suo Corpo, e non ci riuscivo proprio ad immedesimarmi! Ed io vedevo l’Ostia e vedevo l’Ostia, come i miei alunni all’Itis a cui facevo veder l’Ostia non vedevano Dio, ma vedevano l’Ostia, ed io non vi riuscivo proprio a far finta di essere Cristo, a far finta di vedere Dio, io vedevo il pane, io ero immedesimato in me stesso, immedesimato in me, nel mio corpo. Quelle parole le dico lo stesso e mentre dico: “Questo è il mio corpo”, guardavo l’Ostia ma guardavo, sentivo me stesso il mio corpo vibrante ma questo mio corpo è il Tuo corpo, sei Tu che lo fai in questo istante. Sei tu, Dio,che mi stai facendo, ma allora il mio corpo è sacro, è pieno di Te. E nell’istante che io dico: “Il mio corpo è sacro”, mi sono illuminato, mi sono infiammato, si è illuminata anche l’Ostia. Perché prima avevo innalzato l’Ostia, la gente guardava l’Ostia e non ci capiva niente, alzo l’Ostia la gente guarda la mia faccia e si rende conto che prima di conoscere l’Ostia ho consacrato me stesso, avevo coscienza di essere io il corpo di Dio in quell’istante, allora si è illuminata anche l’Ostia, hanno capito che cosa c’era dentro l’Ostia.
Mi è successo come quando ero con negli scout e si faceva un falò. Allora c’era un falò pieno di legna tutta inzuppata, idratata e quindi non si incendiava niente. Bisognava trovare un legno disidratato, un pezzo di legno secco con un po’ di alcool e di benzina che desse fuoco a tutto. Ecco in quell’istante ho avuto quell’intuizione che l’innesco disidratato che immediatamente infiammava non era l’Ostia, ero io, ero io che dovevo perdere coscienza di me e se mi infiammavo io si infiammava tutto e infatti si è infiammata anche l’Ostia. La gente ha visto, ha capito che lì c’era Dio da come io guardavo l’Ostia, perché io la guardavo come guardavo me stesso.
Ecco lì ho capito che per capire un sacramento ci vuole un carisma. Ci vuole un uomo infiammato perché cosciente di sé, un uomo che dice “Questo è il mio corpo”, lo dice di se stesso mentre lo dice di quello di Cristo perché allora sì che la gente guarda l’Ostia ma se chi la porta non è lui il Corpo di Cristo non capisce niente. Ma se io guardo l’Ostia e chi dà l’Ostia ha coscienza di essere lui il corpo di Dio presente allora anche l’Ostia prende il suo posto e ha il suo posto..che non posso spiegare adesso. E’ solo un carisma, un uomo infiammato che risveglia la fede. Lì ho capito quello che avrebbe detto San Giovanni Paolo II con Ratzinger nel grande incontro con i movimenti: carisma e istituzioni sono coessenziali per la fede cristiana. L’istituzione è il sacramento, il carisma è un uomo infiammato e cosciente di essere fatto da Dio in quell’istante. Ci vogliono tutte e due perché altrimenti è come un fuoco che non può prendere fuoco perché manca l’innesco e l’innesco è sempre un uomo vivo. Questa è una parabola non è spiegata tutta, chi ha orecchi per intendere, intenda, chi vuol capire di più sa dove mi trovo.

[04/06/2018, 16:45:46] Frankie: *Omelia 4 giugno 2018*

“Siamo diventati partecipi della natura divina.”
La sintesi potente di Pietro che su tante cose andava in confusione ma l’essenziale l’aveva ben capito.
L’incontro con Gesù aveva preso lui, un povero uomo con tutta la grandezza e i limiti della sua natura, come quella di tutti, un uomo chiamato a partecipare del divino. Un povero uomo come tutti, chiamato sulla terra a vivere da Dio. Dice ad un certo punto: “Ma esiste il divino!”. E’ come uno che un giorno gli viene offerto un cibo mai gustato prima: “Ecco che cosa mi era sempre mancato, questo!”. Prima sentiva la mancanza ma non sapeva che cosa gli mancava, si lamentava di tutto e non si godeva più niente. E cambiava continuamente le cose, pensando che gli mancasse un altro, un altro, un altro, cercava sempre cose uguali. Quel giorno sa cosa gli mancava e non si lamenta più del resto. Per tutta la vita cerca quello. Ecco che cosa è il divino.
“La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo.”
Quello che tutti gli altri scartano, perché chi si lamenta scarta sempre tutto perché di fatto “ho sbagliato il partner, ho sbagliato marito, ho sbagliato lavoro”, ha sempre sbagliato tutto, alla fine è sbagliato pure lui ma cerca sempre cose uguali a quelle, che hanno un altro limite ma sempre quelle. L’incontro con Cristo per Pietro è stato un incontro con il fondamento, la pietra scartata che si è rivelata il fondamento, cioè quello su cui puoi costruire tutto. Quella pietra lì, il fondamento, non disprezza l’umano, il naturale ma vede in ogni cosa limitata il lato costruibile. Quello che per gli altri e prima per te era motivo per scartare e scartare, per lamentarsi e buttare via, adesso diventa tutto un incastro sul fondamento, è solamente quel punto che permette di fissarlo sul fondamento. Perché se un pezzo non ha un incastro, se è perfetto in se è inutilizzabile.
Ecco che cosa fa Cristo, è quel fondamento che salva tutte le cose. Senza il fondamento tu degli altri ti lamenterai sempre che non sono perfetti. Quando trovi il fondamento non hai più la nevrosi del cambiamento, ‘cambiare cambiare cambiare’. Non c’è più niente di sbagliato. Una cosa non è sbagliata è semplicemente naturale. Tu non sei sbagliato, sei soltanto umano, naturale; ti serve solo il fondamento su cui costruire, che valorizza tutto. Alla fine ti accorgi che su quel fondamento non c’è niente da buttare, niente è sbagliato. Quando senti le cose sbagliate e ti viene da lamentarti è perché pretendi di costruire sull’umano invece che sul divino.
“E’ una meraviglia ai nostri occhi.”
Senza questo è tutto un lamento ai nostri occhi.

[05/06/2018, 13:48:04] Frankie: *Omelia 5 giugno 2018*

“Aspettiamo cieli nuovi e terra nuova”
Il grido di Pietro perché questo cielo e questa terra a noi non bastano più, sono troppo piccoli per il cuore.
L’incontro con Gesù ha dilatato il cuore; ogni giorno guardo la terra e guardo il cielo e – dice Pietro – li divoro in un istante. Il cuore è troppo vorace, è un abisso senza fondo, al mio cuore adesso non bastano le cose, il mio cuore brama il Creatore delle cose. Le cose deludono sempre. Infatti, quando noi siamo delusi sapete perché? Non è perché pretendo troppo – no! – ma perché pretendiamo troppo poco, pretendiamo di farci bastare il mondo. Dice Pietro: Poveretti!

“Attendiamo cieli nuovi e terra nuova nei quali abita la giustizia”
Dice “abita”, non “abiterà”, come in tutte le religioni, in un momento futuro e in un altro mondo. No! L’incontro con Gesù risorto trasforma questa terra e questo cielo in un nuovo cielo e una nuova terra, perché qui incomincia ad abitare la giustizia. Le cose cominciano ad essere giuste adesso, il Paradiso comincia qui. Noi entriamo, ogni mattina, dentro la realtà, dentro la società, come una squadra che entra con la mentalità vincente (il Barcellona, il Real Madrid), cioè le squadre vincenti entrano in campo e han già il tono del vincitore: questo è il cristiano. Il suo amico Paolo – che ci lascerà la testa – quando scrive la lettera ai romani dice: “Per noi non c’è più nessuna condanna, nessun κατάκριμα, nessuno ci fa più il pollice verso, non c’è più nessun giudizio che ci atterra”. Questo è il contrario di quello spirito serio, un po’ dolente, triste di tante anime pie e religiose che credono benissimo nel Paradiso, ma tutto sarà dopo, qui rimane un tono dolente, da perdente…no! Qual è il test che in questo mondo abita già la giustizia, è già iniziata la giustizia, che le cose iniziano ad essere giuste? La risposta tagliente, spiazzante di Gesù ai farisei.

“A Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”

Quando arriva Gesù, ognuno sta al suo posto: Cesare fa Cesare e Dio fa Dio e l’uno non pretende di essere l’altro, perché nell’ateismo e nel nichilismo Cesare è tutto. Cesare, le cose di questo mondo, il potere di questo mondo diventa Dio. C’è qualcosa che viene assolutizzato e scaccia la bellezza. Nel fondamentalismo è il contrario: Dio schiaccia Cesare, schiaccia le cose di questo mondo, le schiaccia invece che valorizzarle.
Gesù, invece mette ogni cosa al suo posto: Dio fa Dio, fa il Creatore, le cose fanno le creature. La felicità è quando ogni cosa è al suo posto. La vedi per dove deve stare e la usi per il suo scopo. Come è limpido e rispettoso di tutto lo sguardo di Gesù!

[06/06/2018, 12:35:49] Frankie: *Omelia 06 giugno 2017*

“Siete in grave errore”

Non cattivi, di per sé, ma confusi. Il vostro non è un problema morale, ma di conoscenza: avete un’idea sbagliata di Dio e della religiosità. Voi non credete nel Dio vero, Quello che c’è, ma in quello immaginato da voi. Qual è l’errore?

“Non è il Dio dei morti ma dei viventi”

Il Dio di Gesù è il Dio dei viventi, non dei morenti, cioè un Dio di uomini pieni di vita, che hanno volti luminosi, non tenebrosi, hanno un pensiero chiaro in testa, in faccia non hanno la confusione, perciò hanno il fuoco, l’affezione, non facce spente. Ecco, hanno il tono della passione e dello slancio, non di gente che rinuncia a qualcosa della vita.
Questa è la chiarezza di Pietro e la chiarezza di Paolo.

“Non ci ha dato [dice testualmente] uno spirito di timidezza”

Cioè uno spirito cedevole, ma non nel senso alla don Abbondio che il coraggio uno non se lo può dare, non è un problema di coraggio: è un problema di esperienza. Il coraggio uno non se lo può dare, ma l’esperienza del Vero e del Bello uno la può fare. Quello che mancava a don Abbondio, perché cedeva, non era la forza della volontà, gli mancavano le ragioni, perchè gli mancava l’esperienza della Bellezza.
La differenza, chiesero un giorno a Paolo: quando parli tu dici le stesse cose che dicono altri, che diciamo noi, ma quando parli tu si incendia il mondo, qual è il tuo segreto? E lui dice: “Scio cui credidi”, io ho coscienza di Chi è Colui in cui credo, io Lo conosco.
E Chi è Colui in cui Paolo crede? Chi è Colui che Paolo ha incontrato? Nell’attimo in cui l’ha incontrato non ha incontrato un morto, Gesù era morto sette anni prima quando lui l’ha incontrato. L’aveva ucciso Pilato, ma lui Lo incontra vivo.

“Io sono la risurrezione della vita”

Se guardi Me non cedi di fronte a nessuno, Io sono il Dio dei viventi che ti riempie di vita.
Quando invece noi…come dice Pietro, Lui non ci ha dato uno spirito di timidezza, traduce qui, un po’ equivoco: non è un problema psicologico, è uno che cede perchè è privo di ragioni, perché guarda il Dio dei morti, allora crolla.
Quando guardi il Dio dei viventi, non crolli.

[07/06/2018, 14:06:27] Frankie: *omelia 07 giugno 2018*

“ E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo” perché Lui dice la verità, chiama ogni cosa con il suo nome. E qual è il nome di ogni cosa? È di essere creatura, fatta da Dio in ogni istante, rapporto con Dio. Lui vede le cose e ogni cosa lo mette in rapporto con Dio. Davanti a Lui – tu lo vedi – sei davanti a Dio, glieLo vedi in faccia, per come guarda tutto. Le cose a Lui dicono chi è Dio, glieLo rivelano e Lui guarda le cose e dice: “Abbà” – papà, l’affettuoso, il familiare, il vezzeggiativo… Abbà, il paparino, letteralmente vorrebbe dire in aramaico. Una famigliarità assoluta, una rivoluzione nel rapporto con Dio. Perché se Dio, il Dio di cui le cose Gli parlano, è il Suo papà, si capisce che il primo comandamento,e l’unico, è: “Ama Dio con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza, con tutto di te”.
Gesù è il primo uomo al mondo che ha un rapporto di amore vero, totale, con Dio. Lo guarda negli occhi, gli da del Tu, e non teme, non ha paura di Dio, libero davanti a Dio, quindi è libero con tutto! È l’opposto dell’idea di Dio che hanno tutte le religioni, tutte, compreso I monoteisti. Perché per le religioni Dio è il Signore, onnipotente, che fa paura, che ti schiaccia. È un Signore onnipotente ignoto di cui hai paura e, quindi, l’unica possibilità di arginare la paura è di regolamentare il rapporto con Dio. Tutte le religioni hanno la legge di Dio: un contratto in cui è stabilito cosa deve fare Dio e cosa devo fare io, così Dio mi lascia in pace. Gli do quelle cose che sono nel contratto, come tra la Lega e i 5 stelle, il programma di governo per cui adesso per cinque anni vi lascio in pace. Questo è il rapporto con Dio, il rapporto legalista.
Il Dio di Gesù chiede troppo, perché l’amore chiede tutto, se Dio è amore l’amore chiede tutto: non si contratta con chi ami. E uccideranno Gesù perché non vogliono dare tutto, perché non vogliono un rapporto di amore con Dio, preferiscono un rapporto legalistico con Dio. Questa è la rivoluzione di Gesù. E Gli resisteranno e Lo uccideranno per questo.
Qual è il rapporto più ragionevole con Dio? Un rapporto regolamentato dalla legge o un rapporto di amore totale? Cosa c’è in gioco di umano in questo doppio tipo di rapporto? Ho risposto stamattina appena mi sono svegliato all’ultima mail ricevuta da una persona che dice di essere cristiana, sta nella Chiesa da sempre, ma non gli è manco passata per la testa questa idea: gli ho detto “hai un’idea fondamentalista di Dio, che schiaccia l’uomo” e gli ho detto “ma tu dei diventare cristiana”. E lei “ma come, ci sono nata!”; “ci sei nata, ma di fatto non hai mai conosciuto il Dio di Gesù!”.
La nostra esperienza cosa dice? Qual è il rapporto più ragionevole? È la nostra amicizia, che Dio ci testimonia. L’amico vero è chi ti mette davanti il Dio di Gesù.

[08/06/2018, 11:26:40] Frankie: *Omelia 8 giugno 2018*

“Perché Cristo abiti per la fede nei vostri cuori”.

Questa è la pretesa della fede cristiana: che Cristo abita oggi nel mio cuore, per cui io non ricordo un uomo vissuto duemila anni fa. Io sperimento in me la Sua Presenza oggi, che Lui oggi vive in me e che io vivo oggi come Lui ha vissuto la vita Sua duemila anni fa.
Io oggi posso vedere insorgere in me la potenza che insorgeva nella Sua vita allora, che faceva dire allora: “Perché parli con autorità? Ma chi sei Tu? Allora non sei un falegname”.

Che io possa vivere oggi la stessa intensità che ha vissuto Gesù, che sento vibrare quando leggo la vita di San Paolo o i testi di San Giovanni.
Io li leggo e non ho mai provato un sentimento di invidia, perché io oggi vivo quel che vivevano loro, ogni mattina riprendo la giornata con quell’impeto, ogni alba è di nuovo l’alba di tutto, di tutto quello che accadde allora, cioè…che cosa accadde allora in Lui, poi in Pietro, Paolo, Giovanni, Maddalena?

Dice uno di loro, Paolo: “L’amore di Cristo che supera ogni conoscenza.”
L’amore, la capacità di abbraccio! Il Suo supera ogni conoscenza, cioè ti fa conoscere tutto, abbracciare tutto. Quello che ogni amore umano vorrebbe, che desidera, più o meno consciamente, ma di cui è incapace, perché io amo, ma sono incapace di amare tutto, di abbracciare tutto, sempre perdo dei pezzi e, alla fine, li perdo tutti, perché il mio amore non trattiene, non salva né me, né le cose, né le persone che amo. Questo è il dolore.

Bene, l’esperienza di Gesù, dei santi, che io posso fare, mi fa sentire che posso abbracciare tutto, amare tutto, perfino il nemico, con la certezza vivida che non perdo niente.

Quando mi viene da dire a tanti Cristiani, forse la maggior parte, questa esperienza, ti guardano increduli, scettici, straniti, non sanno di che cosa stai parlando. È proprio una pena, una pena che siano ignari della loro grandezza. Gli è stato dato il segreto del mondo e vivono da straccioni, come un povero mendicante che non riesce ad immaginare altro per la sua vita che “dai moneta, dai moneta”.
Hanno avuto il tesoro che Lui ha portato nel mondo e sono straccioni come chi non ha conosciuto niente.

[11/06/2018, 12:43:38] Frankie: *Omelia 10 giugno 2018*

Gli amici dicono è indemoniato, i suoi: sono ignari, smarriti, dicono: “ὅτι ἐξέστη: oti exeste”, “è andato fuori di testa”.
Questa è l’impressione che quel giorno fa Gesù! Ma anche a chi Lo conosce da quando è nato, i suoi, san tutto, ma adesso è troppo. Dice, fa cose inaudite, che per loro non sono reali, appunto dicono che è fuori, paranoico, “parà” – vuol dire un pensiero parallelo alla realtà – perché il matto non è quello che perde la ragione, perde tutto furchè la ragione, perde la realtà. Ragiona benissimo, la logica è ferrea, ma non c’entra niente con la realtà, è come una catena di ragionamenti senza il gancio iniziale: non tiri su niente.
A loro sembrava, appunto, che fosse fuori, che dicesse cose irreali, per loro erano irreali.
E per Lui sono così reali che dice: “Se insistete voi bestemmiate contro l’evidenza, e lo Spirito Santo vuol dire il Divino che entra lì dentro, nei fatti. Se voi negate i fatti, dite che non sono reali, che non son veri e che non son belli, non vi può salvare nessuno! Fino a che vi ostinate a negare l’evidenza, non può farci niente neanche Dio”.

Esattamente come Paolo – gli avevano chiesto: “Ma cosa stai dicendo, dici cose mai sentite, ma sei proprio sicuro? come fai a dirle?” – e lui dice: “Ho creduto, perciò ho parlato”. Io parlo di ciò in cui ho creduto e in cui credo, di ciò che vivo, di ciò di cui sono certo per esperienza.

Di cos’è certo Paolo? Qual è l’evidenza di Gesù in quel momento, che fa dire agli uni “sei indemoniato” e agli altri e ai parenti “sei fuori”?
Che novità irrompe nella sua vita davanti ai loro occhi? Che bellezza porta la fede di Gesù, la fede di Paolo dentro il mondo? Perché la Verità coincide con la Bellezza.
Come si fa a sapere se una cosa è vera? Vedendo se è bella. Il bello e il vero coincidono. Nella sana filosofia medioevale “verum bonum pulchrum unum”, il vero, il bello, il bene sono una cosa sola: siamo pazzi se non coincidessero!
Per capire se quello che Lui dice è vero o no, non ho bisogno ragionarci, di andare in un laboratorio e far cose, devo vedere: se la Sua vita e la più bella della mia ha ragione lui! Punto!
Che bellezza porta nella vita quotidiana quel che Gesù dice e quel che fa? Quello che accade sotto gli occhi, perché Lui è certo di quel che vive e tu sei certo di quel che vedi vivere da Lui. Non puoi vivere se no sei travolto, ti perdi da solo.

Qual è questa esperienza di bellezza che da quel giorno irrompe e che sconcerta tutti a cominciare da sua madre, dai suoi?
Chi sono mia madre e i miei fratelli?
“Ecco mia madre e i miei fratelli, questi qui”, volgendo lo sguardo intorno, li guarda in faccia e vede che sono più intimi, più affezionati, più legati, più Suoi e Lui appartiene più a loro che a sua madre e i suoi fratelli.
È questa affezione nuova, ultra naturale che irrompe quel giorno, che sconcerta perfino sua madre e le fa dire: mio figlio è andato fuori!
E’ la più impossibile nella natura, perché noi conosciamo benissimo gli affetti naturali: il sangue, i genitori, figlio, figlia, le sorelle; l’innamoramento: sappiamo che potenza ha dentro e l’affetto che ne consegue, e anche certi interessi naturali: amicizie, le simpatie, interessi economici e di altre origine…queste cose naturali e sociali noi le conosciamo, sappiamo quanto sono belle e quanto sono importanti .Ma lì quel giorno c’è una affezione tra le prime file di quella folla e Lui che dimostra Dio presente!
Con Lui e tra loro, creati da Lui, – immagino che si guardano, quante volte mi succede (negli ultimi tempi soprattutto) di guardare qualcuno, che venga qualche persona mai vista prima, arrivata e non ho capito bene, mi hanno mandato uno straniero, ci siamo incrociati, non so dire perché, ma dopo mezz’ora che eravamo in pizzeria ci guardavano e sembrava che ci conoscessimo da una vita, che fosse mia figlia: si era creata una immediata affezione così potente, così impossibile e inaudita, così reale, che uno dice: “Ma da dove viene? Che cosa cercavamo noi due?”

Quelli che cercano e vogliono realizzare la volontà di Dio, quel bene per cui Dio mi ha fatto! Avevamo in comune quello mangiando quella pizza napoletana e ti fa dire: “Ma cos’è? Ma ti rendi conto? Da dove viene?”

Questa è l’esperienza che Gesù ha portato nel mondo! Un torrente di bellezza e di affezione che ti inchioda e ti mette davanti a Dio, ti mette a nudo, ti cambia anche la faccia, ti emozioni, diventi rosso: che cos’è? Se sei nudo… questa esperienza copre tutto. C’è un test, dice San Paolo, alla fine di questa pagina (letta benissimo dal baritono di prima! È raro trovare un ragazzo della sua età che legga con questa intensità e decisione acuta San Paolo: io San Paolo non sopporto che lo leggano gli adolescenti…bravo amico!)

“Tutto è per voi”, tutto questo, questa affezione! Cos’è che te lo fa dire? Le cose restano cose, il bello resta bello e il brutto resta brutto, non è che quell’affezione lì cambia le cose. Se hai un tumore, ti resta; se non ti piace il governo, te lo tieni fino a che dura; se non ti piace il tempo, se la suocera…tutto resta uguale, il tuo caratteraccio resta uguale e vai a confessare per tutta la vita gli stessi peccati, non è che cambiano le cose! È che le stesse cose, belle o brutte che siano, che restano quelle, di fronte alle stesse cose, dice Paolo: se avete questa affezione, se ci inonda questa corrente di bellezza e di affezione che Gesù crea, che creò quel giorno, tutto è per voi! Tutto quel che c’è! Non è che tutto è bene- non è che siamo masochisti!- è che, di fatto, tutto diventa opera , tu ci riesci a crescere in tutto: strappi un passo, un accrescimento, un di più che ti rende grande sia alle cose brutte che alle belle, perché le cose dolorose ti fanno sperimentare la mancanza, che è il bisogno di essere salvato e non ti illudi che ti bastino; le cose belle sono segno, inizio, un lievito di questa salvezza, tu impari da tutto e cresci in tutto: sei grato e attraversi tutto. Questa cosa non succede mai, ma a me succede.

[12/06/2018, 10:42:41] Frankie: *omelia 12 giugno*

“Voi siete la luce, il sale della terra”, come Io sono il sale della terra: avete nel mondo il mio stesso compito, questa è la vostra dignità. Il compito del sale è dare sapore, rendere gustose le cose.
Se manco Io e se mancate voi, le cose perdono di gusto, di bellezza e, quando il mondo non è bello, è perché manchiamo noi.
Non possiamo lamentarci noi Cristiani, possiamo solo essere presenti, perché quello che manca al mondo è sempre stato dato a noi.
Ci è stato dato perché gli uomini godano pienamente questa vita sulla terra, perché, se se la godano sulla terra, possono desiderare il Paradiso, ma se il Paradiso non inizia qui perché mai gli uomini dovrebbero desiderare il compimento di questa vita?
Noi siamo stati scelti perché gli uomini possano gustare fino in fondo la vita sulla terra.
Il cristianesimo è tutto fuorché uno spiritualismo che disprezza la realtà decaduta.

E per questo voi siete anche la luce del mondo: la luce svela il volto vero delle cose. Non è che le cambia: le belle appaiono belle, le brutte brutte! Ma te le fa vedere: tu le puoi distinguere e le puoi scegliere, le belle, e combattere quelle brutte – vivere vuol dire anche combattere, perché nel mondo c’è il bene e c’è il male e non è tutto uguale – la luce ti permette di vivere da uomo libero che sceglie, che abbraccia, che combatte senza che tu debba imporre nulla.
Solo la luce ti permette di essere libero, anche di non guardare, anche di non far niente, ma te ne dà la possibilità senza imporre.

Allora l’urgenza è una sola:
“Risplenda la vostra luce davanti agli uomini”.
Cosa fa risplende, infiamma il tuo cuore e fa splendere il mio volto? Io lo so bene, guardo alla mia vita e lo so.
E tu devi guardare la tua vita e devi saperlo.
Quando ti spegni è perché non guardi più dove la luce ha fatto irruzione nella tua vita. E la luce una volta che fa irruzione non viene più meno: c’è sempre, come la luce fisica, arriva ancora a noi, pensate al big bang, arriva ancora qua!
La luce, come quella fisica, ha un solo nemico: i buchi neri, dicono gli astrofisici, luoghi in cui c’è una tale gravità, così concentrata che imprigiona la luce e le impedisce di uscire fuori. Un cuore totalmente chiuso in sè, che non guarda più fuori di sè, a cui non interessa più niente di quello che è fuori: un cuore che basta a se stesso, questo è il nemico della luce. Che tristezza un cuore che si chiude in sè come un buco nero e pensa di bastare a se stesso, non conosce e non ama neppure se stesso.

[13/06/2018, 13:03:48] Frankie: *Omelia 13 giugno*

“Finché non sia passato cielo e terra non passerà uno iota della legge”
Perché la legge è vera, traccia la strada sulla terra verso Dio. Come l’alveo del fiume conduce alla strada, l’acqua fino al suo destino, fino al mare. La legge, ricordatevelo, condusse 800.000,00 schiavi per 40 anni nel deserto e ne fece 800.000,00 uomini liberi.
Per questo Io non vengo per abolirla, ma per darne pieno compimento, per realizzare lo scopo per cui esiste. Come l’alveo realizza lo scopo che l’acqua sorga dalla sorgente per arrivare fino al mare.
L’alveo impedisce che l’acqua si disperda nel deserto, che faccia la palude, che faccia degli allagamenti, le alluvioni, dei danni. Mette a frutto l’acqua, non ha come scopo di soffocarla, ma di salvarla e di portarla fino al suo scopo. E cosa faccio io nel mondo? Per salvare, per compiere, per dare valore a tutte le vostre leggi, a tutte le strutture sociali, politiche, a tutto quello che avete realizzato: la legge, le strutture, come faccio a salvarle?
“Io porto dentro quel deserto del mondo la vita eterna”.
Faccio irrompere una vita nuova che prima non c’era, una vita più potente di quella naturale. E chi la incontra vede rifiorire il deserto intorno a se, vede che rinasce lui.
Io mi trovo addosso, da quando ho incontrato Gesù, una vitalità prorompente, a volte incontenibile. Una strana vitalità dentro che realizza come una performance dell’io, ti rende protagonista. Gesù lo chiama il centuplo.
Il centuplo è la chiarezza del pensiero nello splendore del pensiero e nella vibrazione affettiva che il mondo non conosce. È questa vitalità nuova che Cristo porta. Per questo è utile avere un alveo, e se è da correggere si aggiustano gli argini, si può anche tracciare un altro percorso ma un alveo ci vuole sempre, ma deve essere adeguato all’acqua che irrompe e portare l’acqua dove deve andare. Dov’è la sorgente della mia vita, della tua vita? Dove tu ti vedi rinascere e rifiorire?
È lì che devi tornare perché allora amerai la legge e la struttura che c’è, e se la devi cambiare la cambierai. Senza quest’acqua è una prigione, è una fossa, ti infogni, è un ostacolo.
Quando noi sentiamo le leggi, le strutture della società, della comunità come un carcere, non è più di tanto colpa della legge, è che ci manca la sorgente. Non sappiamo neanche dire cosa c’è da cambiare. È la sorgente che ogni mattina andate a riassaporare, l’acqua della sorgente.
Come una cerva, dice il salmo, che anela ai corsi d’acqua.

[14/06/2018, 16:01:20] Frankie: *Omelia 14 giugno*

“Fu detto ma io vi dico”

Fu detto da Mosè, una legge che viene da Dio, fu detto pesantemente dai Romani e ai Romani obbedisce il mondo, tutti obbediscono, nessuno discute Dio e a nessun conviene discutere i Romani.
Quindi? “E quindi niente” ribatte Gesù: “Fu detto, ma io vi dico”.
Io ho una legge dentro di me, non fuori di me: anche la legge di Dio non è sopra di me, non è fuori di me, è la legge del mio cuore: Dio è il fondo del mio cuore! Per me è bene ciò che corrisponde al cuore ed è male il contrario.
Una legge esterna, fosse anche quella di Dio, ti aliena, ti espropria, ti schiaccia!
Tu sei libero solo se la tua legge coincide con il tuo cuore! E Io sono venuto nel mondo per questo, perché ogni uomo possa dire, come me, “fu detto, ma io vi dico”, io ti dico: quello che mi dice il cuore!
Io sono venuto perché ogni uomo diventi protagonista: possa dire io con gusto, sfidando il mondo!

Ovvio che si capisce perché Gesù è stato ammazzato da quelli che difendevano Dio e da quelli che difendevano la legge dei Romani!

Ma qual è la legge del cuore?
Quello che Gesù scopre in fondo al proprio cuore?
“Se la vostra giustizia non supera quella di scribi e farisei”, perché quella non è una vera giustizia, non è la legge del cuore, è una legge fissa, scritta, rigida, predefinita, violenta, in cui la realtà ci deve rientrare e, se la realtà non entra nella legge, peggio per la realtà: si picchia la realtà.
Quella legge lì scritta è una misura che ti giudica, ti ferisce, non ti abbraccia e tu ti senti sbagliato! Se ti senti sbagliato non ti muovi più: quanta gente vedo bloccata, “Io sono sbagliato!”, perché quella legge ti giudica, ma non ti abbraccia!
E invece il desiderio acuto, più struggente del cuore, qual è?
Di essere abbracciato e di abbracciare! Di sentir che ho il fondo fatto bene, da poter dire: “Ho sbagliato tanto, ma non sono sbagliato! Posso riprendermi!”
Uno che ti abbraccia è uno che in fondo valorizza questo di te e ti dice che sei fatto bene, ti aiuta a cambiare le cose che hai sbagliato, ma non te! Ti abbraccia affinché tu ti possa realizzare!

Ogni giorno, per essere libero, devo ripartire da questo, dall’abbraccio a me stesso: solo se al mattino mi trovo l’abbraccio totale di Dio a me, io quel giorno son libero; quando al mattino ritrovo questo abbraccio, che Dio mi ha detto che son fatto bene, mi ha perdonato, io sfido chiunque, gli punto gli occhi in faccia e gli dico: “Cosa vuoi?! Ma se Dio stamattina mi ha perdonato, ma come ti permetti?!”

Dove ogni mattina tu ritrovi questo abbraccio che ti fa respirare da uomo?

[15/06/2018, 12:54:28] Frankie: *Omelia 16 giugno*

“Io ti cerco, mostrami il tuo volto!”
Il grido di un ebreo consapevole di un uomo realmente religioso, cioè realista, che prende sul serio la realtà e se stesso. Ha bisogno di vedere il Suo volto. Elia ha bisogno di vedere il Suo volto e si rifugia nella grotta a lamentarsi con Dio perché non è più presente, sembra averlo abbandonato. Lui fa la lotta per purificare la fede di Israele diventata idolatria, la regina Gezabele gli ha dichiarato guerra, lo vuole uccidere. Dio sembra non essere più con lui perché Elia ci ha una sua idea di Dio. Un fondamentalista, un Dio violento, e in nome di Dio aveva fatto un’operazione veramente violenta, aveva sgozzato 450 sacerdoti di Baal. E voleva un Dio così, e questo volto lui non lo vedeva, ma chiede il volto di Dio, e Dio gli dice: “esci dalla grotta, esci alla Presenza e mi rendo di nuovo presente”.
Arriva il vento, l’uragano ed il fuoco, segni di potenza, Elia crede di vedere Dio e non lo vede perché lì Dio non c’è, perché Dio non è violento, non vuol costringere nessuno, Dio è uno che ama.
Arriva una brezza leggera, delicata, discreta, suggestiva, che si fa sentire come un bene per te ma non impone nulla. Lì è presente Dio. Elia capisce che lui non riesce a capire e dovrà essere sostituito. Verrà Eliseo, un profeta, un bovaro, un mandriano, appunto con la placidità dei suoi buoi, perché il Dio che svela il suo volto svela il volto di un Dio che è amore, e chi ama ci ha gusto soltanto a godersi un sì libero. Chi ama non può neanche pensare un momento che l’affetto dell’altro sia frutto di un ricatto, di una costrizione. Dio, che è amore, non vuole nessuna violenza su nessuno, eccetto un caso, si, che prevede la violenza: se una cosa della tua vita ti scandalizza, cioè ti uccide, ti fa perdere ciò per cui sei fatto, tagliala, come fa il chirurgo che ti taglia un pezzo di te per salvare tutto te. Ma è una violenza che non è sugli altri, non è su di te,
la decidi tu per amore a te. Se ti vuoi veramente bene lo capisci dal fatto che sei disposto a tagliare ciò che ti sta distruggendo la vita. Questo è il Dio che Elia non era in grado di immaginare, per questo è stato sostituito. Il Dio che si è svelato, che ha svelato il suo volto, che è il volto di Gesù, che la violenza la subisce ma non la scatena mai su nessuno. Noi siamo stati scelti per conoscere il Dio della brezza leggera.

[19/06/2018, 16:18:45] Frankie: *Omelia 19 giugno 2018*

“Siate perfetti come il Padre Celeste”.

È vero: io sono fatto per essere perfetto e sentirmelo dire, in un istante, é un terremoto dentro,
un’emozione impetuosa perché Tu mi hai detto chi sono. Io non sono perfetto in niente, vengo dal nulla e ci torno, ma, per un istante, mi sono sentito perfetto. Mi hai detto per che cosa sono nato. Non son perfetto in nulla tranne che in un punto: l’unica cosa che può essere perfetta in me è il desiderio, il desiderio di esserlo. Io posso desiderare la perfezione, posso domandarla, domandarla a Chi è perfetto, posso cercarla per tutta la vita. Ecco, questa tensione totale del cuore, io la posso vivere ogni istante, nessuno me la può togliere e quando la vivo cambia tutto, perché le cose che faccio sono tutte tese, perfette come me. E sono un miracolo. Chi vede me, le cose che faccio, vede Dio. Ed è provocato a schierarsi, cambia posizione, pro o contro il proprio desiderio di essere perfetto – non è pro o contro Dio, ma pro o contro di sé. E sono due nel mondo gli schieramenti degli uomini: non sono i buoni e i cattivi, i belli e i brutti. Sono gli uomini che sono amici del desiderio della perfezione e i nemici, quelli che lo reprimono, lo anestetizzano, si distraggono, hanno una vita spenta, meschina, sempre con le facce, come si dice, “low energy”, a basso consumo, o quelli che, invece, hanno il desiderio, ne hanno stima, vivono del proprio desiderio, vivono come – avete presente nel Medioevo – i cavalieri del Santo Graal: erano amici per andare a cercare nel mondo le tracce del Graal, le tracce dell’eterno, avevano bisogno almeno di un segno, di una traccia che che esiste. Se c’è un segno che esiste vale la pena continuare a cercare, sennò non vivi, ma sopravvivi.
Ecco, la cosa più preziosa è avere amici come i cavalieri del Graal, amici che non è che sono simpatici di carattere, ma simpatici per lo scopo, ecco! Non quelli che mi stanno simpatici, ma che hanno simpatia per il mio stesso scopo, che è la ricerca dell’infinito, del perfetto, delle tracce.
Le cose più care che hanno nella vita sono le tracce di ciò per cui siamo fatti.
Ecco, ogni mattina io mi alzo e devo decidere in che schiera stare: o gli amici del desiderio o i nemici del desiderio. Al mattino io decido e, a sera, faccio il bilancio e vedo la differenza.

[20/06/2018, 13:19:15] Frankie: *omelia 20 giugno*

“Fai che due terzi del tuo spirito diventino miei!”
Povero Eliseo! Ha davanti il grande Elia, è stato chiamato a sostituirlo, perché Elia era diventato un po’ fondamentalista, e dice che qualcosa, i due terzi, “del tuo spirito diventi mio”. Si accontenta! Perché sa che la grandezza sempre decade, che il discepolo non sarà mai come il maestro, sarà sempre un po’ di meno, un po’ di meno, una brutta copia!
Ogni grandezza che si vede nel mondo è destinato a decadere e a finire. Questa è la tristezza di Eliseo, ma di ogni uomo che conosce soltanto la dinamica della natura, perché la dinamica naturale e così: la vita comincia e poi finisce.
Ieri ho visto ancora la mia povera mamma che si sta piano piano consumando. La natura è così!
Con Gesù no! Perché in Gesù, dentro la natura di uomo, c’è l’Eterno, c’è la sopranatura! E Lui un giorno, guardando i Suoi discepoli un po’ malinconici che pensavano a quando Lui sarebbe morto e che pensavano a questo decadimento, dice: “No! Voi farete le opere che ho fatto io, anzi, ne farete di più grandi!” Sgranavano gli occhi e non capivano! Perché voi darete alle mie opere la vostra grandezza, la vostra originalità, ognuno di voi ha qualche cosa, ha un colore, una luce, una musica dentro che è solo sua!
Non c’è un uomo uguale ad un altro! Voi metterete il cuore nelle mie opere, con la vostra originalità: metterete qualcosa che io non potrei mai mettere! Darete al mondo un colore che è solo il vostro, farete sentire una musica che è solo vostra!
E quando voi vi spegnerete, si spegnerà quel mondo. E io, che mi sono innamorato di ciascuno di voi, vi dovrò far risorgere per ricolorare l’universo della bellezza che ognuno possiede.
Questo è il fondamento dell’autostima del cristiano che può dire: “Io faccio quello che ha fatto Gesù, anzi faccio di più di lui, faccio qualcosa che Lui non poteva fare, che Lui ha affidato a me!” Questo è Il Cristiano, lo a detto Gesù! Altro che malinconia del decadimento!
Qual è il segreto? Come accade questo? Perché Gesù ha fatto queste opere così grandi? Perché Gesù non fa discepoli che sono sempre una brutta copia del maestro, ma fa solo figli di Dio?
Qual è il segreto di Gesù? Il segreto dei santi?

“Solo il Padre tuo che vede nel segreto”, solo con quello devi parlare, solo a quello devi rispondere!
Quando noi perdiamo il tono, decadiamo, siamo meno liberi, ci spegnano, è perché rispondiamo a qualcun altro, non stiamo, abbiamo paura di stare nel segreto davanti a Dio!
Siamo schiavi dei giudizi e del comportamento degli altri che sono solo un tramite!
Quando, invece, noi rispondiamo a Dio e solo a Dio, ci sentiamo grandi come Gesù e più di Gesù!
Siamo essenziali per la bellezza del mondo! Per l’eternità! Alla resurrezione il mondo avrà il colore che gli ho dato io!
Altro che “non siate malinconici come quelli che digiunano”!
Noi non abbiamo rimpianti: questa è la grandezza che Gesù porta dentro il mondo!
C’era un salmo che diceva (credo 83-84): “Cresce lungo il cammino il loro vigore”, degli uomini di fede, mentre gli uomini senza fede, appunto come la mia povera mamma, perdono, piano piano, tutto il vigore.

[21/06/2018, 15:42:03] Frankie: *Omelia 21 giugno 2018*

“Non sprecate parole come i Pagani” dicono mille parole, mille formule senza cogliere il punto. Non sanno chi pregano, pregano un dio ignoto, che gli fa paura, e la paura paralizza il cuore, dopo non ti butti più e si spegne il desiderio, si oscura il volto.
Gesù no. Glielo vedono bene in faccia quando Lui prega: dice una parola sola e quella Lo infiamma!
Quando pregate dite: “Padre”. “Il Padre sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate”.
Gesù dice quella parola: “Abbà”, prega Suo Padre e mentre lo dice non c’è un’ombra, è certo che il Padre Lo ama e Lo ascolta. Ma Gesù impazzirebbe al pensiero di non potersi fidare di Suo Padre; per questo Gli chiede tutto, anche i particolari di una giornata. Ma Lui sa che il Padre non Gli risolve i problemi di questo mondo, non Gli sistema la vita. Gesù sa che la vita Gli è data e ci è data in questo mondo non per sistemarcela in questo mondo. A Lui non l’ha sistemata, non Gli ha tolto la croce, ma Gli ha dato sulla croce un cuore e un volto miracolosi. Tanto che il centurione Gli vede Dio in faccia. Dice: “Ma tu sei il Figlio di Dio, tu sei bello come un Dio”. Lo dice ad Uno crocifisso, pestato.
Per Gesù la vita non si sistema qui sulla terra. A Dio si può chiedere tutto ma Dio non ci risolve i problemi, non ci ha mandato per questo. Sulla terra la vita è guerra. É la guerra della libertà, la guerra della scelta. Ci è data per decidere se vogliamo Dio o non vogliamo Dio; se vogliamo produrre da soli la nostra felicità o se la vogliamo domandare a Chi ci ha fatto. E se tu dici: “Faccio da solo, me la produco io”, ti dovrai accontentare di quel poco che riesci a far tu e diventi meschino, ti spegni tutto. Se scegli Dio e dici: “Dammi quella per cui mi hai fatto”. Tu diventi audace, ti permetti tutto perché Dio è tutto e hai il cuore infiammato e hai il volto luminoso e dici “io” con quel brivido che hanno solo le persone che hanno deciso di voler veramente bene a se stessi, per potere amare il mondo.
Dice questo Salmo: “Esulti la terra, gioiscano le isole tutte”. Ecco se scegli Dio, esulta la terra, tutto esulta davanti ai tuoi occhi. Quando invece non esulti è esattamente perché hai deciso di scegliere te e quel poco che riesci a fare da solo.

[22/06/2018, 11:22:15] Frankie: *Omelia 22 giugno 2018*

“Dov’è il tuo tesoro la sarà anche il tuo cuore”.
Dov’è il tuo tesoro? La cosa più preziosa, quella per cui fai tutto, lo scopo per cui tu fai tutto.
‘σκέπτομαι’ (skeptomai) in greco vuol dire “osservare a 360 gradi”.
Lo scopo, la cima del monte, il punto che abbraccia tutto, che dà bellezza a tutto, anche alle cose che in sé sono piccole, insignificanti. Perché quando tu senti che niente è bello, che niente è utile, è perché ti manca lo scopo! Oppure perché di scopi ne hai troppi, una fila di scopi non ne valgono uno: se ne hai troppi la vita è divisa, frammentata e tu stai male.
“Dov’è il tuo tesoro la sarà anche il tuo cuore.”
Come fai a capire qual è il tuo tesoro, quello vero? Basta che guardi qual è quella cosa che ti prende il cuore, che ti prende tutto, perché tu sei fatto per il tutto!
Solo il tutto ti prende. Dice il proverbio che al cuore non si comanda, vero! Il cuore comanda lui, il cuore non si lascia prendere mai da un particolare, non si entusiasma! L’istinto sì, ma il cuore si butta solo su ciò che lo merita, si appassiona a ciò che lo prende tutto. Quando noi siamo frenati, apatici, spenti è perché non ne abbiamo nessuno o ne abbiamo troppi. Allora la vita è fatta a pezzi e non la riempiamo sommando i pezzi, perché il tutto non è una sigma, una somma di pezzi, è il senso di quei pezzi.

Ogni mattina la domanda è “dov’è il mio tesoro?” Dove lo trovo lo scopo, quel punto di vista che dà valore a tutto?

Questo salmo, l’intuizione del salmista dice: “Il Signore ha scelto Sion per sua residenza”. C’è un luogo nel mondo, che è Sion, dove Lui si rivela, dove risiede lo scopo del mondo!

“Qui siederò perchè l’ho deciso”. Qui siederò perché ogni mattina io lo ridecido.

[24/06/2018, 10:32:12] Frankie: *omelia 23 giugno*

“Molti si rallegreranno della sua nascita” dice l’angelo a Zaccaria.

E stasera ci rallegriamo noi della nascita di San Giovanni Battista.
È nato per essere precursore di Cristo. I “praecursores” erano quelli…i soldati che non avevano problemi coronarici, come i bersaglieri, che arrivavano prima a portare l’annuncio, a dire: “Sta arrivando il re, sta arrivando questo, preparatevi all’incontro!”

Così hanno chiamato i Padri della Chiesa Giovanni Battista: è nato per preparare l’incontro con Cristo, per realizzare la cosa più grande che può cambiare il mondo.
Ha vissuto per questo, ha imparato questo dallo sguardo di suo padre e di sua madre, ha speso tutta la vita, fin dalla giovinezza, per questo compito. Questo era il suo compito, questa era la sua dignità dentro il mondo, il criterio per cui lui stimava se stesso.

Ecco, questo è il nostro compito! Noi siamo stati scelti, così come siamo, come siamo fatti, tutto quello che siamo – natura, carattere, storia, sofferenze, intelligenza, limiti – tutto quello che io sono mi è stato dato perché io sia, in questa terra dove vivo, in questa città dove siamo, precursore di Cristo.
Questo è il criterio per stimare e misurare me stesso!
Se mi ricordo di questo io ho sempre un brivido, non mi mette sotto nessuno, mi si mette in moto la fantasia, so sempre cosa fare e dove andare!
Ma se perdo questo criterio, se mi giudico con i criteri del mondo, con dei criteri psicologici o morali, io sono finito, non ne esco più!
Che pena vedere dei Cristiani che invece di guardarsi per il compito, per la dignità che Dio gli ha assegnato nel mondo – precursori di Cristo, nati per preparare l’incontro di Cristo con ogni uomo – si automisurano, cioè si autodistruggono con i criteri del mondo!

Cos’è che ha reso Giovanni precursore? Cos’è che rende noi oggi, in questa città, insieme con il nostro vescovo che incontriamo alla fine della messa, precursori di Cristo, quelli che favoriscono l’incontro di Gesù con ogni uomo?
C’è una cosa sola: io posso essere precursore di Cristo, se io sono felice di averLo incontrato, se ogni giorno faccio l’esperienza del centuplo, della bellezza che Lui porta nella mia vita.
Io non sono precursore di Cristo, che arrivo là, faccio l’annuncio e la gente mi ascolta. Non mi ascolta perché faccio l’annuncio a parole o perché ho delle performance morali, sociali professionali di qualunque tipo.
La gente mi guarda in faccia, sente la vibrazione della mia voce, e capisce che cos’è l’incontro con Cristo; se io sono fiero di averLo incontrato, sono fiero di avere questo compito!
Se quando dico “io” sentono questa fierezza che non è presunzione, non è orgoglio, è gratitudine di uno che ha trovato il compito più grande del mondo. Perché tutti gli altri compiti – ingegneri, medici, politici – tutti possono far tutto, ma praecursores di Cristo lo fa solo uno che Lo ha incontrato, anzi, che Lo continua a incontrare tutti i giorni, che è entusiasta di vedere che tutto di lui, compreso i suoi difetti, vibrano di questo! Anche i nostri difetti sono come – adesso non vedo, non ci son dei fari – avete presente le lampadine e i fari, che hanno la resistenza? Se li guardate quando l’interruttore non fa passare la luce…boh non è niente, è brutta, è insignificante una resistenza, fategli passare i fotoni dell’Enel, di Illumia o di non so che cosa: illumina a giorno la vita, ti fa vedere i campi da calcio di notte delle partire del Mondiale.

Qui ci sta la nostra libertà senza questo non siamo liberi, siamo sotto, sotto a come ci giudicano gli altri o a come ci giudichiamo noi! Sotto alle povere prestazioni che riusciamo a realizzare!

La domanda che abbiamo adesso, che poniamo, che ci poniamo e preghiamo di essere illuminati a trovare la risposta, di poterla esprimere anche dopo nel dialogo con il Vescovo è: ma dove intercetto io questo sguardo su di me ogni giorno? Lo sguardo che mi riassegna questo compito? E che cosa accade, cosa accade nella mia vita, e nelle persone che incontro, quando io porto questo sguardo su di me e guardo gli altri consapevole di quello che mi è stato dato?

[25/06/2018, 10:49:56] Frankie: “Rigettavano le sue leggi” perché per quegli Ebrei ormai Dio è diventato un Signore che impone la sua legge. Gli devono obbedire e basta. Hanno un rapporto legale con Lui, senza ragione, senza amore, senza libertà. Han dimenticato la familiarità che è iniziata con Abramo e poi con Mosè.

E se non obbediscono a questa storia cosa accade?
“Il Signore si adiró molto e li allontanò dal suo volto”. C’è la punizione, l’ira di Dio che poi li allontana e non li vuole più.
Terribile questa fede che vive nella paura, non hai pace, perché tanto davanti alla legge nessuno è mai a posto. E dire che questa idea che c’è un Dio unico, Signore, onnipotente che impone la sua legge e gli devi obbedire e poi ti punisce è il massimo, il vertice a cui siano arrivate le religioni inventate dagli uomini. Il massimo a cui siamo arrivati è questo.

Con Gesù è la rivoluzione nel rapporto con Dio.
Abolisce ogni legge, “fu detto, ma io vi dico”, e quando parla di Dio non Lo chiama mai Signore onnipotente, Lo chiama Padre e soprattutto Lo chiama Abbà, papà. È un rapporto di amore di una familiarità totale, libera, ragionevole.
Gesù sente che il suo papà viene per abbracciarLo, per donarGli se stesso, come ogni papà vero, ed è felice se tu accetti il Suo abbraccio e sei felice anche tu.

Questa è la novità che Gesù introduce nel mondo. E la punizione che fine fa nel Cristianesimo? Non viene mai da Dio. Mai! Non è mai Dio che punisce! Nel Cristianesimo la punizione è sempre un’autopunizione: sei tu che rifiuti il tuo bene, quello per cui tu sei nato. Tu sei nato per quell’abbraccio: se lo rifiuti ti punisci da solo. E Lui, essendo il papà, come dice la parabola del figliol prodigo, non ti abbandona: attende il tuo amore, ma non tanto il tuo amore a Lui, ma il tuo amore a te stesso, perché non è mai, nel Cristianesimo, l’amore di Dio che viene a mancare. Il dramma è che quello che viene a mancare, che può venire a mancare, è l’amore di me a me. Questo è il livello di sfida che Gesù introduce dentro il mondo, che non dà tregua a nessun uomo, perché il primo problema è la partita che si gioca tra te e te.

Quando non senti più l’amore di Dio e degli altri è perché hai chiuso con il tuo amore a te stesso.

[26/06/2018, 11:05:36] Frankie: *Omelia 26 giugno 2018*
“Non date le cose sante ai cani e le perle ai porci.”
Perche cani e porci non apprezzano le cose sante e le perle. Cose preziose, quelle che rendono bella la vita le disprezzano, le rovinano e voi se gliele date, le perderete.
Ma a qualcuno dobbiamo pur darle le cose belle e preziose della vita. Come diceva il drammaturgo norvegese Ibsen: il dolore in certe circostanze, se si è forti, si può portare anche da soli, ma la gioia no. Che gioia è se non puoi condividerla? Per la gioia bisogna darsi da fare almeno in due e lui parlava del matrimonio, ma vale per tutto.
Quali sono le cose belle, le cose sante, le perle preziose della nostra vita? E a chi le doniamo, con chi le condividiamo? Se no le perdiamo, se non le doniamo e non le condividiamo, non possiamo darle a cani e porci.
Ma con i cani ed i porci che ci facciamo? Perché noi, di per sé, non rifiutiamo nessuno.
“Entrate per la porta stretta” per non perdervi. Ecco cosa noi diciamo ai cani e ai porci, che percorrono la strada che percorriamo noi perché la porta larga spaziosa è quella dove ci passano tutti.
Ti porti dietro tanta roba secondaria che non è essenziale che ti appesantisce e ti disperde.
La porta stretta quella in cui ci passi solo tu, nudo come Dio ti ha fatto, solo con il tuo io, solo con l’esigenza essenziale che hai dentro.
La povertà serve a questo, a concentrarsi sulle esigenze delle cose sante, delle perle che abbiamo tutti. Siamo pieni di tante cose, magari buone, tutto può essere vero ma non è tutto uguale, non è tutto essenziale e il cuore si disperde sulle cose non essenziali e tu ti disperdi.
Ogni giorno quante facce incrociamo. La maggior parte sono facce sperse, vite sprecate. Tu le vedi e cambi canale d’istinto perché non ti dicono niente!

[27/06/2018, 12:12:54] Frankie: *Omelia 27 giugno 2018*

“Guardatevi dai falsi profeti”
perché i veri profeti sono uomini tutti immedesimati in Dio, vivono davanti a Dio, tutto li mette davanti a Dio.
Tu sei davanti ad un profeta, sei davanti a Dio. Senti le sue parole, vedi le azioni, il volto, lo sguardo, devi pensare a Dio.
Come Gesù è il vero profeta. “Chi vede me vede il padre” perché quel che vedo fare al Padre io lo faccio sempre.

E questo cosa cambia nella vita, se sei davanti ad un profeta?
Bellissimo questo salmo!
“Distoglie i miei occhi dalle cose vane”
Ecco cosa fa il profeta vero: distoglie gli occhi dalle cose vane, dalle cose che sono vuote, non essenziali, e ti fa concentrare su quelle essenziali; il contrario dei falsi profeti, che invece li fa fissare sulle cose vane, quelle che ti fanno sprecare la vita.
Non è che il cattivo profeta ti propone il male. Il male non c’è, tutto è bene, è che non è tutto uguale, non è tutto essenziale. Se il profeta ti proponesse il male non lo seguiresti mai, sei fatto per il bene.
È che ti disorienta con una domanda infingarda, maligna. Che male c’è? Che male c’e? Come che male c’e? Non c’è nessun male. Il problema vero è che bene c’e.
Ecco, il vero profeta, il vero amico, è quello che ti domanda con la sua presenza: ma che bene c’è? Sei sicuro che questa è la cosa più grande che puoi fare in questo istante?
E tu come riconosci il vero dal falso profeta?

“Dai loro frutti li riconoscerete”.
Ogni sera riguarda la tua giornata e, soprattutto, pensa al tuo sguardo, al tono della voce, al tono del gesto, e capisci se durante la giornata hai seguito il falso profeta o il vero, capisci se hai seguito le cose vane o se puoi dire che sei cresciuto.

[28/06/2018, 15:06:18] Frankie: *Omelia 28 giugno*

“E la sua rovina fu grande.”
E io non sopporto la mia rovina, il mio cuore si ribella, io non sono fatto per rovinare, finire nel nulla. Non posso sopportare che sia sprecata la mia esistenza, che il fuoco dei miei desideri che mi ha animato tutta la vita bruci per nulla, o che la battaglia che fin dall’adolescenza ho scatenato per la mia felicità sia vana.
Io non posso costruire sulla sabbia, io voglio la roccia, io voglio spendere tutta la vita – e la spendo tutta – a cercare la roccia, a cercare dentro la realtà le tracce dell’eterno. E ho bisogno di amici che cerchino la roccia.
Io non sopporto quelli a cui è indifferente l’esito finale della loro vita. Avete presente la gente a cui non importa di se stessi? Hanno altri scopi che non sia la loro realizzazione umana, a cui basta star bene, cioè vivono di istanti senza futuro, inebetiti, ubriacati da emozioni effimere… No! Dice il Vangelo:
“Lui invece insegnava con autorità, non come gli scribi”
Ecco la faccia che mi interessa, perché sono due le facce che tu puoi incontrare: o la faccia degli scribi, lo scriba è quello che scrive sulla carta, che si concentra su qualcosa fuori si sé, fissa se stesso in qualcos’altro., scrive delle parole, delle regole, delle procedure… E tu lo vedi, e in faccia non gli vedi niente, perchè lui scrive sulla carta, non ha niente di scritto in faccia, non scrive sul suo cuore. Tu lo vedi e ti viene da cambiare canale. Invece, la faccia di uno che parla con autorità e ha scritto nella faccia quello che ha scritto nel cuore,
e tu lo devi guardare in faccia e mentre lo guardi vedi quello che ha dentro, e lui comincia a scrivere nel tuo cuore. Ti cambia la faccia a te. Ecco! E anche tu ti accorgi che, ad un certo punto, anche tu cominci a parlare con autorità, ti accorgi che piano piano non hai più la faccia da scriba. E allora la vita cambia, perché se tu scrivi sulla sabbia la vita è sempre una sventura, c’è sempre qualcosa che hai contro, che ti fa cascare il castello di sabbia. Ma se te costruisci sulla roccia la vita diventa, non una sventura, ma un’avventura. Tutto quello che ti accade è un collaudo della roccia. Non hai più paura dei venti, dei terremoti, degli alluvioni, di ogni cosa che si abbatte sulla casa. Tutto quello che si abbatte è un collaudo e dal collaudo della roccia si esce sempre più certi.

[29/06/2018, 16:32:39] Frankie: *Omelia 29 giugno*

Oggi è la festa degli apostoli Pietro e Paolo.

E cos’hanno in comune quei due? Tu li guardi, di soggettivo nulla. Né qualcosa che loro decidono.
Due così, li guardi e mai potrebbero essere più diversi. Infatti quello che li unisce è un fatto oggettivo e loro l’hanno scelto. E a quel fatto tutti e due riconoscono un sì totale.
Per Pietro quel fatto si realizza in un incontro; per Paolo invece in uno scontro. Ma tutti e due dicono quel sì e lo ridiranno tutti e due dopo ogni cedimento, perché ognuno ha i propri cedimenti, le proprie debolezze, le proprie resistenze. E ogni volta si rinnova l’incontro – “mi ami tu?”- ma si ripete anche lo scontro. Paolo si è prima scontrato con Cristo con la persecuzione e a Damasco più che un incontro è uno scontro. Poi si scontrerà con Pietro, poi si scontra con i Galati, poi con i Corinzi. E tu li guardi e dici :”Sono impossibili. Sono troppo diversi per stare insieme. Quindi che siano uniti è un bel miracolo!
E chi li vede dice, deve dire: “Come sono diversi”, ma nessuno è mai riuscito a dire che sono divisi. È evidente, per chi li vede, che ciò che li lega è più di ciò che li divide. Ma sono così diversi che devono perfino dividersi il mondo a un certo punto. Uno deve andare a Est e l’altro deve andare a Ovest. E noi oggi celebriamo il loro martirio insieme a Roma. Sono martiri insieme e muoiono entrambi per Cristo perché entrambi hanno il sigillo di Cristo, perché Gesù, che Pietro ha incontrato, e con cui Paolo si è scontrato e poi l’ha accolto e gli ha detto sì, era tutto. Gesù era tutto per Pietro è tutto per Paolo!Questa é l’evidenza agli occhi dei primi Cristiani. É questo amore personale totale a Cristo che rende la loro diversità una ricchezza. Creavano dei problemi ogni tanto, ma è evidente a tutta la Chiesa che la diversità è una ricchezza.

E quando invece, in una comunità, la diversità è un problema, fa problema e ci divide, non è la diversità che ci divide, vuol dire che non ci unisce Cristo, che Cristo non è più tutto, che Cristo non basta.

Allora a che serve una comunità se Gesù non basta? Se occorre Gesù più qualcosa? É triste che, per essere uniti in una comunità, si debba anche essere un po’ uguali. L’unico respiro è una comunità in cui si può essere così diversi su tutto, come quei due, da avere in comune solo Gesù. E con un rapporto come loro due, così radicale, che in quel rapporto ci stan tutti. Nel rapporto tra Pietro e Paolo ci starà il mondo. Per questo sono morti a Roma, non è casuale. Roma era l’unica città dell’antichità che voleva il mondo, lo voleva con il potere e con la violenza, loro lo volevano per abbracciarlo, ed è solo lì che si sono insediati: il loro cuore ha trovato il suo posto a Roma perché era il popolo degli imperialisti che volevano il mondo e anche loro lo volevano! E ciò che…chi abbraccia Pietro e Paolo può abbracciare il mondo. Infatti da Roma nascerà, da Pietro e Paolo, la Chiesa: verrà chiamata cattolica, quella che abbraccia tutto e tutti.

E dopo duemila anni, stamattina, abbraccia noi che non abbiamo nulla in comune se non quello che avevano in comune quei due. Questa è la sfida che Pietro e Paolo rilanciano oggi al mondo, ma prima ancora alla chiesa, ai cristiani, perché esploda l’unica cosa che li mette insieme, il resto,se c’è va bene se non c’è fa lo stesso, ma se c’è deve essere trasparente questo fatto.

[02/07/2018, 14:50:41] Frankie: **omelia 2 luglio 2018*

“Ti seguirò dovunque tu vada”.

Bello questo slancio sincero del cuore, totale, entusiasta.
Questo scriba vede la bellezza in quell’uomo e l’abbraccia ci si butta, con tutto il cuore.
Il nostro cuore è fatto per abbracciare, di slancio, ciò che gli corrisponde. Vorrebbe abbracciare tutto.
Vede Gesù un uomo che merita il suo cuore e lo dà tutto.
Già questo è un miracolo oggi, è così raro trovare cuori affettivi! Questo è un mondo di cuori aridi, anaffettivi, meschini, penosi che ti lasciano un senso di pena, perché vedi che non fioriranno mai.

Eppure Gesù lo frena:
“Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il loro nido, il Figlio dell’uomo no”.

Non è che lo rifiuta, lo responsabilizza. Lo vuole cosciente: ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Lo sai che il mondo va dall’altra parte? Sei proprio cosciente? Hai le ragioni per prendere questa decisione? Ne cogli la portata? Guarda che, se segui me, dovrai andare contro corrente, potresti rimanere anche abbandonato dagli amici più cari e finire sulla croce.
Non è che lo rifiuti, è che a Gesù non basta la spontaneità dell’istinto e del sentimento, vuole la spontaneità della ragione e della libertà.
Hai le ragioni? Pensaci! Ti sfido come ho sfidato Pietro e gli amici: “volete andarvene?” A me non interessa qualunque discepolo: voglio solo discepoli liberi, voglio ogni giorno godermi delle facce libere, coscienti.

Ma chi c’è oggi che stima la mia ragione e la mia libertà con la venerazione che ha Gesù per me, per come Lui mi vuole? Lui mi vuole dentro il mondo.

[03/07/2018, 17:04:39] Frankie: *omelia 03 luglio 2018*

“Beati quelli che hanno creduto”

Quel che conta è che sono beati perché hanno creduto! Che, poi, abbiano visto con i loro occhi o con gli occhi degli amici, non conta nulla. Quello che conta è che hanno creduto e son beati, che la fede li fa felici! Solo questa è una fede umana. La fede è umana se ha come scopo la felicità dell’uomo – sennò è una fede alienante – se rende me, più me! Gesù disse: “Chi crede in me sarà cento volte se.”
Cos’è questo “di più” in che cosa la fede mi rende cento volte più beato.

“Non siete più stranieri ne ospiti ma familiari di Dio”.

Questa è l’esperienza del padre. La fede segna la fine dell’estraneità, dell’essere sempre “fuori”. Se io credo in Cristo sono sempre a casa, dovunque sia sono a casa mia, di schianto entro nelle situazioni senza indugi,
non ho bisogno di preamboli, entro dentro e, di schianto, c’è una familiarità totale. Perchè se io riconosco Dio Presente – questa è la fede – quella lì è casa Sua e, quindi, è casa mia. Ogni situazione è casa Sua se Dio è lì. E, quindi, anche mia. Per sentirmi a casa dovunque basta riconoscere che li c’è Lui, il resto, se c’è bene, se non c’è bene lo stesso, a volte, “il resto” complica. Quando, invece, mi vince l’estraneità e cominci a dire: “ma, perchè qui, non conosco nessuno”. Non è che manchi qualcuno, manca Uno, manca Dio, perchè non riconosco Dio Presente. Da questo dipende l’estraneità e la familiarità … non raccontiamocela!

“E voi – continua Paolo – se riconoscete questo, venite edificati insieme come abitazione di Dio”.

Ti accorgi che sei parte di una costruzione, di un’abitazione, che quella è di Dio. E, lì, hai il tuo posto nella costruzione, tu sei prezioso in quella costruzione, c’è un posto che è solo il tuo! E, quindi, non dirai mai: “Sono Sbagliato!” ma “Sono prezioso!” Io costruisco con la mia umanità, così misera, costruisco la dimora di Dio nel mondo! Mi vengono i brividi quando la gente ti guarda e, guardando te, ti accorgi che vedono Dio che passa attraverso la tua miseria umana… Ecco, lì ti passa ogni complesso di inferiorità! Tu sei entusiasta di esserci, e ti guardi e hai ammirazione di te, per quel che Dio fa di te. Avere degli amici e guardarsi così è una delle grazie più grandi che ti può capitare.

[04/07/2018, 18:11:58] Frankie: *Omelia 4 luglio 2018*
“Due indemoniati”: la traduzione un po’ fuorviante che ci fa venire in mente la possessione diabolica dei film di Hollywood, l’esorcista…non c’entra niente!
δαιμονιζόμενοι (Daimonizomenoi) vuole dire due persone, due uomini, così devastati dal male che ha loro devastato perfino la mente, che li vedi e li senti parlare e ti svelano la natura del male, tanto li prende! Ma son liberi, non esiste la possessione diabolica, è un’invenzione dei film: l’uomo resta sempre libero, anche quando decide di ospitare il male in sé. E il male è la menzogna su Dio, perché non dice che Dio non c’è – c’è, è una evidenza – dice che non c’entra: “Che c’entri con noi? Sei venuto a rovinarci”. Dice che Dio c’è, ma Dio è un Signore possessivo, geloso, che sfrutta gli uomini e che vuole tante cose da loro – sacrificio, olocausto, vuole tutto, li sfrutta – e che la volontà di Dio è sottomettersi, ubbidirgli. Tutto quello che Dio vuole da noi: “viene a tormentarci”.
Questa è la menzogna, perché Dio è il contrario, non è un Signore onnipotente; questa è una invenzione delle religioni! È un Padre che dagli uomini non vuole niente. Dice: “Non voglio sacrifici, offerta e olocausti” il Salmo 49 che abbiamo letto. Non voglio niente – mio “è il mondo e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti” – è già mio tutto, non voglio indietro niente! La mia volontà non è ciò che voglio da voi, ma ciò che io voglio per voi, perché io sono un Padre, vi amo e non vedo l’ora di darvi tutto per la vostra felicità, per la vostra realizzazione umana, la vostra bellezza.
E cos’è che vuole? Questo non lo possono dire i Salmi, i Salmi son dal Vecchio Testamento in cui nessuna vita è compiuta. Il Vecchio Testamento pone la domanda, la risposta sta nel Nuovo, viene da Gesù. E dice Paolo: vuole che voi diventiate – bellissimo! – “le primizie delle Sue creature”. La primizia, ἀπαρχήν τῶν κτισμάτων: il primo frutto annuncia come sarà il raccolto. Vuole che voi anticipiate dentro il mondo il destino di tutte le creature, che anticipiate il Paradiso qui sulla terra. Dovete essere così belli da far vedere a che cosa ogni creatura è destinata.
E come fa Dio a farvi diventare primizie, belli fra uomini? Quelli che fanno vedere come è il Paradiso, che ce l’hanno già in faccio. Dice: vi ha incendiati con la “parola di verità”.
Semplicemente Dio ci genera e ci fa diventar belli dicendoci la verità su di noi, chi siamo realmente. Dio non ci distrugge. “Sei venuto a distruggerci?”: dicono gli indemoniati. “No, sono venuto a svelare chi siete”. Il male non è ontologico, non è nell’essere; è gnoseologico, è nella conoscenza: è una menzogna sull’Essere.E’ venuto semplicemente a dirci la verità, non a distruggerci. Il male – dice Giovanni – sono le tenebre e le tenebre – tutti i fisici lo sanno – non esistono, sono soltanto la mancanza di luce, nei posti in cui non sono ancora arrivati i fotoni. Non si combattono le tenebre bombardando le tenebre a colpi di mazza. Le tenebre sono semplicemente un punto in cui non c’è più o non è arrivata la luce e non si vede bene la bellezza delle cose. Cristo è venuto a far luce, accende l’interruttore e anche i demoni sono suoi figli, sono sue creature, li ama come tutti gli altri; vivono la menzogna come se fossero circondati da un alone di buio. E Dio rincorre i suoi figli con la luce di uno specchio, per farli vedere in faccia: “Ma non vedi come sei bellissimo? Non vedi che cosa ho fatto di te?”. Li cerca per svelare loro la loro bellezza, perché diventino anche loro “primizie delle Sue creature”. E non smetterà mai di cercarli, come un padre, è l’amore del padre e della madre: è eterno. E Dio non riesce a pensare che possano resistere al Suo amore, alla luce, per tutta l’eternità. Spera – dice un Padre della Chiesa – di prenderli per stanchezza.

[05/07/2018, 11:34:27] Frankie: *omelia 5 luglio 2018*

Alcuni scribi dicono: “Costui bestemmia”, “le folle resero gloria a Dio”.

Lo stesso fatto, reazioni opposte! La differenza non sta nel fatto, ma dentro, nella posizione del cuore!
Gli scribi difendono Dio: Dio si è rivelato a loro, loro sanno chi è Dio. E nessun altro può insegnare a loro niente. Non imparano più da nessuno, non c’è più novità, più stupore nella loro vita.
Devono solo difendere quel che possiedono, il loro cuore è imprigionato, ma non da qualcuno, dalla loro idea di Dio, dalla loro misura di Dio e di tutto il resto. Il loro dramma è che han preso le misure a Dio e, quindi, han preso anche le misure al loro cuore, perché Dio è il contenuto desiderato dal cuore, e un Dio a loro misura è la morte del cuore, perché il cuore è fatto per Dio, ma così il cuore muore perché non può più desiderare niente altro oltre quella misura: devono reprimerlo.

Queste sono le due posizioni! Cosa cambia avere quella delle folle stupite o quella degli scribi?

“Prendi il tuo letto e torna a casa tua”, al paralitico guarito: ti aspetta una vita nuova, tutta da scoprire. Adesso sei guarito, nel corpo e nel cuore. E perdonato, sei grato! Sei così pieno dell’amore che hai ricevuto e del miracolo che ti è successo che sei tutto desideroso di donare quello che hai e di scoprire quello che ancora ti aspetta, che ti deve essere ancora donato: vai incontro alla vita aspettandoti l’impossibile ormai! Per quell’uomo lì la vita è un’avventura!

Invece per gli scribi, per gli scribi… “Pensate”, dice il Vangelo, “pensate cose malvagie nel vostro cuore”.
Pensano male dentro, han pensieri cattivi! Tornano a casa quel giorno incattiviti dentro!
Perché Lui bestemmia Dio, e decideranno poi di ucciderLo perché è insopportabile al loro cuore quell’uomo, perché di fatto, apparentemente sono incattiviti con Lui, di fatto sono incattiviti dentro, con se stessi, con il loro stesso cuore, perché appena hanno visto il miracolo, il perdono e il miracolo, per un istante il cuore non lo hanno potuto controllare: il cuore si è svegliato e ha simpatizzato, per una frazione di secondo, per quell’uomo lì, si è immedesimato nel paralitico: voleva sentirsi dire così il loro cuore!
Adesso è più sveglio: la guerra, da quell’istante, si è spostata dentro. Apparentemente dovranno spendere la vita per fare guerra a Cristo e ci riusciranno, lo faranno uccidere; ma, di fatto, Cristo li ha spiazzati, ha portato a loro una guerra dentro, perché adesso la guerra è dentro di loro: tra la loro idea di Dio, la loro idea del loro cuore, e Dio che brucia dentro il cuore.
Perché Cristo sveglia il cuore, mostrandogli per cosa è fatto! E spingendoli a scegliere: o ascolti o reprimi quella voce.

Questa è la ragione per cui Gesù è tanto amato e tanto odiato: perché ti porta la guerra in casa! Perché capisci che, da quel momento, niente è più bello che avere un cuore sveglio, ma niente è più temibile e ti dà meno pace che avere un cuore sveglio, perché, se non vai d’accordo con il marito o con la moglie, lo butti giù dal letto, e tanto vivi da single e va bene lo stesso; ma se tu non vai d’accordo con il tuo cuore tu non dormi più, tu a letto con te stesso ci vai tutte le sere!

Questo è il dramma di chi incontra Cristo, l’incontro ti segna, ti mette la guerra dentro e, da quell’istante, la vita sarà lo svolgimento di quell’incontro lì. O lo svolgimento del sì – come il paralitico miracolato e le folle – o lo svolgimento del no.
Non si tratterà appena di amare o di odiare Cristo: il dramma e la tragedia è che si tratta di amare o odiare se stessi!
È tremenda la familiarità che Dio stabilisce con noi, che vuol dire che entra nella nostra famiglia e hai a che fare con tutte le cose che vivi nel tuo quotidiano, a cominciare dal fatto che, davanti a Cristo, non sei solo neanche in bagno.

Questa è la drammaticità di un Dio che si rende familiare!

[06/07/2018, 08:16:00] Frankie: *Omelia 1 luglio 2018*

“Dio non ha creato la morte”

Anzi, la morte c’era già, c’era il nulla, più morte di così…Quello che poteva fare era creare la vita, non moltiplicare il nulla. E ha creato la vita, la natura, un mondo. Ma la natura e il mondo sono creature, non ha creato un altro dio, bastava Lui. È per questo che la natura ci scontenta, il mondo ci delude. Ma all’universo, alle galassie, che gli importa? Non hanno coscienza, non pensano. Il dramma, tra le creature dell’universo, ce l’ha una, che pensa: siamo noi uomini, strane bestie, che abbiamo un punto nel cervello che nessun animale ha. È per questo che l’uomo non deriva dagli animali, nessun cervello animale può diventare un cervello umano: è nato diverso, con un punto che è il pensiero. Noi siamo questi esseri strani, dice l’ultimo libro della Bibbia, scritto tra il 180 e il 160 a.C. – hanno già incontrato il pensiero greco, sono discendenti di Alessandro Magno, ci devono fare i conti – un libro leopardiano, si chiama Qoelet, dice che gli uomini sono proprio strani, sono esseri scomposti sbilanciati. E dice nel capitolo III: apparentemente tutto è bello, ma in un tempo limitato, sono occasioni momentanee le cose e la bellezza, poi scompaiono. Ma dentro questa strana creatura che è l’uomo – dice – contemporaneamente gli ha marchiato il cuore con la nozione dell’eternità, con il marchio dell’Eterno, la brama dell’Eterno. E questo povero uomo non si raccapezza più, dal principio alla fine deve fare sempre i conti con questo, e allora l’uomo si sbilancia, si guarda intorno, si mette a cercare qualcos’altro, perché non gli basta né quel che è né quel che ha. L’uomo è un cercatore.
Ma ci sono due gruppi. Tutti gli uomini cercano ma si dividono in due gruppi: ogni mattina quando gli uomini si alzano sono come quando i tifosi di calcio vanno all’Olimpico a vedere il Derby e ci sono i bagarini che gli chiedono: “sei d’a Roma o d’a Lazio? In che curva devi andare? In che curva vuoi andare, d’a Roma o d’a Lazio?”. Sono due i gruppi, uno lo dice brutalmente il libro della Sapienza, quell’altro non lo poteva conoscere: perché il Vecchio Testamento è incompiuto, è pieno di verità incomplete; non ci sono mai verità totali nel Vecchio Testamento, appunto perché la verità non si è ancora rivelata, sono verità parziali.
Il primo gruppo sono gli invidiosi:

“la morte entra nel mondo non per opera di Dio [per Dio entra la vita] ma per invidia del diavolo”

Chi sono i diavoli? Il diavolo, chi è? Dice “per invidia”, è uno che si muove per invidia, è un invidioso. Il primo gruppo dei cercatori sono gli invidiosi, cioè quelli che sono scontenti di quel che sono e di quel che hanno, guardano gli altri e vedono che c’è sempre qualcuno che ha una cosa o un’altra che non hanno, si concentrano su quella, stanno male perché l’altro ce l’ha e la vorrebbero loro. Vive la vita per afferrare quella cosa, magari se hanno forza gliela possono anche rubare violentemente. L’invidioso è uno che vuole le cose, pensa che è felice se ha quelle cose lì: fa della felicità un problema di cose, che gli altri hanno e lui no, un problema di quantità non di qualità, non si rende conto che sommando tutte quelle cose che gli altri hanno sarebbe ugualmente infelice, che i ricchi non sono come i poveri; si fissa su delle cose che sono mortali, che sono finite, e glielo vedi in faccia che ha una faccia meschina perché punta in basso e, ultimamente, disperata. Infatti dice questo acutissimo libro del Qoelet:

“la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo”

Con l’invidioso entra nel mondo la morte, non per opera di Dio, ma per l’invidioso, perché l’invidioso punta su cose che sono mortali e ha il tono della morte, del mortale, di ciò che finisce. Per un uomo così la vita è un inferno: non è che Dio crea l’inferno, sono gli invidiosi che creano l’inferno per se stessi, perché si riempiono di cose vorrebbero, di cose che sono mortali, che hanno già l’odore della morte. Mi è venuto in mente, quando ho visto il testo stamattina, un film: Dead man walking, il morto che cammina. Sono morti che camminano, sono uomini ancora vivi ma stanno camminando verso la morte. Gli invidiosi sono così.
L’altro gruppo dei cercatori invece sono i religiosi. Quelli che capiscono al volo ascoltando il cuore, guardando le cose, che non c’è proporzione, che non c’è un problema di quantità, che se avessero più cose sarebbero più felici: avrebbero un desiderio ancora più esasperato e sarebbero ancora più infelici, dilaterebbero il desiderio.
Infatti il buddismo, che ha qualcosa di antidiabolico ma anche di diabolico, perché gli uomini stiano un po’ sereni si è inventato un percorso di anestesia del desiderio, di sedativo delle passioni.
I 4 passi li ho studiati bene – fu la prima ricerca che feci quella sul buddismo, quando cominciai a studiare la teologia orientale -: sedare il desiderio perché se desideri troppo, possiedi troppo, poi stai male.
I religiosi invece sono come le folle che assediavano, si accalcavano, quasi pestavano Gesù, Lo spintonavano.
Come Giàiro, come la donna che ha l’emorragia che Gli salta addosso e dal di dietro riesce a toccarGli il lembo del
mantello, perché lei sente, a naso, che dentro quel mantello non c’è un “dead man walking”, non c’è un morto che cammina, c’è un vivo che cammina, c’è una vita che non ha mai trovato dentro nessun altro mantello. E lei: “Almeno il mantello Glielo devo afferrare perché è quella vita lì che io cerco, non è che dopo che ho la guarigione sono a posto”.
E voglio un lembo svolazzante di quel mantello, un lembo lacerato, impolverato, sudato…però lei sente che lì dentro c’è la vita che lei cerca, c’ è il Creatore del mondo. Sotto quel mantello non ci sono più cose, non c’è un uomo che ha più cose di lei, come Zaccheo o Berlusconi, Trump e compagnia, c’è un uomo che ha un altro tipo di vita e si butta su quella.
Un’immagine che i padri della Chiesa hanno usato per descrivere la Chiesa è il mantello svolazzante, lacerato, un po’ sudato di Gesù: avrà mille difetti ma dentro quel mantello c’è il sapore dell’Eterno.
Allora nasce un nuovo tipo di cercatore, come dice il salmo 23: “generatio quaerentium Deo”, quelli che cercano il volto del Dio di Giacobbe. E uno che si butta, con quella folla, a cercare il Creatore del mondo dentro quel mantello, dentro la Chiesa, gli cambia la faccia, ha un’altra faccia: non è più il morto che cammina, é un’altra cosa. Anche lui va incontro alla morte, perché la morte resta, ma c’è differenza. Mi è venuta in mente un’immagine mentre leggevo sto Vangelo, perché tutti andiamo verso la morte ma ci sono due modi per andarci: la faccia del morto che cammina, del condannato a morte che va nel braccio della morte e ne esce cadavere devastato; oppure quando io facevo degli interventi chirurgici, c’era l’anestesista che mi sedava ma sapevo che ero nelle mani di un chirurgo che mi aveva detto che ne sarei uscito più sano di prima. Anche i santi vanno incontro alla morte, ma non hanno la faccia del morto che cammina, hanno la faccia di un uomo che ha una malattia ma il chirurgo che lo opera sa che ne verrà fuori, come quando Gesù dice a Giairo e ai suoi: guarda che la bambina non é morta, dorme. Fosse anche morta, la morte è solo un sonno, dalla morte ci si risveglia.
Come faccio io ad andare incontro alla morte – che bene che mi vada fra qualche anno arriva – che può arrivare in un istante per tutti? Come faccio ad andarci pieno di fiducia e di certezza che mi risveglio? Chi mi dà la certezza che io mi risveglierò dalla morte? Una cosa sola, un Uomo solo: esiste nel mondo un Uomo che si è risvegliato, che è tornato indietro, ce n’è Uno. Dicono gli Evangelisti, il verbo che usano per indicare Cristo risorto è “il risvegliato”, vuol dire anche Gregorio, è un sinonimo. Se avessi dei figli naturali li chiamerei Gregorio: il risorto, il risvegliato dalla morte, questo è il cristiano. Se io ogni giorno intercetto lo sguardo di Gesù risorto allora io vado incontro alla morte con la faccia piena di fiducia, ho il tempo alle spalle ma la vita ce l’ho di fronte. Se io un giorno non intercetto lo sguardo di Cristo risorto anche io divento un morto che cammina.
Noi ogni mattina decidiamo se essere cercatori invidiosi o cercatori religiosi. E la nostra faccia dirà ben presto, con il passare delle ore del giorno, se siamo “d’a Roma o d’a Lazio”. E alla sera il nostro cuore ci darà un giudizio inequivocabile.

[11/07/2018, 16:24:43] Frankie: *Omelia 10 luglio 2018*

_vacanza a Madonna di Campiglio_

“Con il loro argento e il loro oro si sono fatti degli idoli”

Perché il nemico della felicità non è il peccato, è l’idolo. Non è un cedimento morale, è un cedimento ideale. Non è che io non sono capace, ma quale felicità voglio, quanta ne voglio e su che cosa punto per averla. E io di felicità ne voglio quanto è grande il dio che io adoro, perché il cuore adora sempre un dio. Il cuore è fatto per adorare, è fatto per l’assoluto e qualcosa assolutizza sempre. Non esiste l’ateo, esiste il credente in Dio o l’idolatra.
Io adoro o il Dio vero o il dio falso. Il Dio vero è il Dio che mi crea, il dio falso è quello che mi creo io e pretendo che mi salvi.

E com’è che smaschero l’idolo?
Dice ancora il profeta Amos, acutissimo: “Hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta”. È un proverbio marinaro, meteorologico, ma rende. L’idolo è un dio che semina vento e come il vento è inafferrabile, ti sfugge via, ti lascia con niente in mano. Infatti dice il salmo: “Gli idoli hanno bocca ma non parlano. Hanno gli occhi e non vedono, le mani non toccano”. Sembrano veri, son morti, sono statue. Cioè non mantengono le promesse che ti fanno. Non compiono le attese che tu gli offrivi.

Invece – dice ancora il Vangelo – le folle, davanti a Gesù che guarisce un indemoniato, che li sfida con autorità, le folle, prese da stupore, dissero :”Mai visto una cosa simile”.
Il Dio vero invece ti riempe di stupore, come il cuore di quelle folle. Stupito, ti accorgi che ti è accaduta una cosa nuova. Sei diverso, sei nuovo, sei grato e sei più teso a lanciarti dentro la realtà. Invece la delusione dell’idolo la smascheri dal fatto che è paralizzante, ti fa passare la voglia, ti lamenti, noti sempre quel che ti manca, ma che una volta ti venga voglia di donare quel che hai.
Ecco, questi giorni ci sono dati per conoscere, per rintracciare, intercettare e conoscere di più il Dio vero e per adorarLo e per smascherare gli idoli che ci portiamo addosso, che si infiltrano da ogni parte e il modo per scoprire il Dio vero, smascherare gli idoli è uno solo, è uno solo: che io sia vero in tutto quel che mi accade. Cioè che metta il cuore, che sia attento, teso, serio, che io ci sia, che sia vero in tutto. Non c’è bisogno di altro. Bisogna abolire ogni artificiosità. Per riconoscere il Dio vero e smascherare gli idoli bisogna che io sia nudo così come Dio mi fa, che il cuore io non abbia incrostazioni, che io sia quel che sono: debole, fragile, peccatore. Anzi, le ferite mi denudano di più, mi tolgono la presunzione di essere qualcosa.
La cosa più bella è avere amici che siano veri in tutto quello che ci verrà incontro in questi giorni.

[17/07/2018, 08:28:30] Frankie: Omelia 12 luglio
_Madonna di Campiglio_

“Io sono Dio e non un uomo e non verrò da te nella mia ira, quindi, basta Amos, vaglielo a dire, basta! Non sopporto più questa accusa infamante che il popolo eletto mi rivolge come se fossi il dio delle altre religioni che è cattivo, che punisce gli uomini, che procura loro il dolore.”
Terribile! Mi sembra di sentire tanta gente di noi che incolpa Dio del dolore: Dio mi manda il dolore…Dio non ne può più, è scoppiato! Dice ad Amos: “basta! adesso glielo sbatto in faccia. Io non sono un Dio che fa soffrire i suoi figli!”
Il dolore non è una punizione di Dio: “non viene da me! Io non punisco nessuno!”
E allora Amos dice: ‘ma allora da dove viene? Scusa, perchè anche io un po’ la penso come il popolo, se Tu sei tutto, se sei onnipotente, allora tutto viene da te.’
Proprio il pensiero fondamentalista che si è infiltrato velenosamente nel popolo eletto, quello chiamato a conoscere il vero Dio.
Ma il dolore, il male viene dalla realtà creata, dalla natura, la natura non è Dio, è che voi la trattate come se fosse Dio, io non ho creato un altro Dio, ho creato una natura limitata, come voi siete limitati e voi pretendete che vi faccia felici, per forza che la natura si ribella e vi punisce. La natura è un insieme di forze cieche peggio di noi. L’unico essere cosciente nell’universo è l’uomo, la natura è cieca, e quindi è sorda non ascolta le preghiere la domanda di felicità. Diceva pure Leopardi della natura che tradisce, “sei matrigna, non hai cuore, perché non mantieni poi quel che prometti allor”.
Prendere le cose come se le cose fossero Dio, pretendere che ci diano gioia e non dolore, questo è il peccato, é trasformar le cose in idoli, trattarle come se le cose fossero Dio. Ma le cose non ci son mica date per farci felici, e i nostri desideri non ci son mica dati per essere soddisfatti dalle cose. Le cose innescano i desideri del cuore, le cose e i desideri tutte e due ci son dati come segni di Dio non come Dio, come indicazione per fare una strada e cercar Dio. Qual è la differenza tra la cosa e il segno? la cosa ti ferisce, ti fa soffrire perché tu le chiedi quello che non ti può dare. Dio perdona sempre, è la realtà che ti chiede i conti e anche salati, esattamente quando tu la snaturi, pretendi che ti dia quel che non ti può dare. Invece il segno non toglie la fatica e il dolore, ma toglie alla fatica e al dolore il veleno. Come quando oggi si saliva sulla montagna: la vista della cima e la luce che te la faceva vedere bella non toglie il sudore e un po’ di vesciche, un po’ di fatica, ma toglie il veleno, rende tutto questo bello e buono, sei grato dei passi, diventano passi che tu puoi fare per andare verso Dio. Se le cose le tratti come cose, cioè come Dio, e non come segno, allora ti ammazzano.
Il salmo potentissimo, ‘fa splendere il tuo volto e saremo salvi”, da questa svista terribile, velenosa, che ci distrugge il cuore e che distrugge il nostro rapporto con Dio, perché è solo lo splendore del volto di Dio che ci fa felici. Non c’è nessuna cosa che risplenda quanto risplende il volto di Dio, quando noi la trattiamo invece come se fosse dio, tutto diventa velenoso.
Ecco, noi siamo stati chiamati ad essere amici come popolo eletto, eletto, cioè scelto per vedere, per scoprire dove nel mondo risplende il volto di Dio, dove le cose sono più segno dello splendore di Dio. È facilissimo riconoscere dove risplende il volto di Dio, perché è dove risplende il mio, perché io sono fatto a immagine di Dio, davanti a Lui mi illumino, risplendo anch’io, e provo per me stesso un’ ammirazione sconosciuta, lí sono davanti a Dio.

[03/09/2018, 21:10:02] Frankie: *Omelia 3 settembre 2018 *

“Oggi si è compiuta questa scrittura”.
Il tempo cristiano è oggi, perché è il tempo della vita: is now, è adesso.
Il passato è andato, non lo cambi più, perderci tempo non serve a niente. La nostalgia del passato fa perdere solo del tempo. (Il passato) serve solo come memoria per investire il presente, perché chi perde la memoria è vuoto nel presente. Il futuro non è nei sogni, il futuro è da vivere e lo vivrai quando diventerà presente, lo prepari vivendo il presente. Io posso vivere solo l’istante. Gesù è grande perché raccoglie e rilancia la sfida dell’oggi, dell’istante.
Ti sfida alla densità dell’istante, al punto che il mondo può finire stasera, io ho vissuto tutto oggi.
L’intuizione del vecchio Simeone al tempio: “Lascia che il tuo servo se ne vada. I miei occhi hanno visto la gloria di Israele”. Basta.
Come fa Gesù quel giorno nella Sinagoga del suo paese, dopo qualche mese che non ci andava?Torna lì e come aveva sfidato Cafarnao, Betsaida e tutti gli altri paesi, sfida anche il suo e appena dice: “oggi è accaduta, si è realizzata, la scrittura che ho appena letto”, dice che erano meravigliati, gli occhi erano fissi su di Lui ed erano meravigliati delle parole che uscivano dalla Sua bocca.
ἐθαύμαζον (ethaumazon): prendeva loro gli occhi, catturava il loro sguardo. Erano tutti presi, più che da Lui, da ciò che prendeva Lui. È come se dicessero, guardandoLo così:”Ecco! Siamo nati per vedere quello che stiamo vedendo adesso”.
Cos’è che li prende così e li riempie così? Cos’è che prende Lui quel giorno? Cosa è che prenderà me e te, oggi? Stasera lo sapremo che cosa ci ha preso lo sguardo, ci ha catturato da farci dire: “Ecco, sono nato per vedere questo, potrei morire!”.
Pensate che sfida è alzarsi al mattino e investire la giornata con questa domanda, con questo impeto.
Provateci, vedrete che la giornata si incendia, le cose si incendiano. Le cose non saranno più solo cose.
Alla sera le cose sono diventate segno.
È questa brama di pienezza che trasforma le cose.
San Paolo diceva: il cristiano cambia la parola tempo non è più Κρόνος (kronos) – il tempo vuoto da riempire con le cose, un passatempo – ma è καιρός (Kairos): occasione propizia, opportuna che può decidere della vita.
Ecco, tutto il tempo diventa così, come disse Dostojeski raccontando la fucilazione a salve quando era stato condannato a morte. Dice “da quel giorno che sono stato una notta intera al pensiero che al mattino prima dell’alba mi avrebbero fucilato, ho scoperto, da allora, che il tempo non mi preme più, sono io che lo premo perché da allora il tempo è tutto mio”.

Affrontiamo questa giornata armati solo dell’istante che stiamo vivendo.

[03/09/2018, 21:32:40] Frankie: *Omelia 1 settembre 2018*
Matrimonio Erica e Matteo

“Diranno i popoli [disse Mosé a suo nipote, Giosué]: questa nazione è il solo popolo intelligente”

Pensate a sto sparuto – alcune centinaia di persone – gruppo di ex schiavi diventati liberi, rozzi com’erano – sono ancora nel deserto, non hanno ancora varcato il Giordano – e già si sentono il solo popolo intelligente. Questa è la pretesa della fede ebraica e cristiana: una fede, unica al mondo, che potenzia l’intelligenza. Credere per gli ebrei e per i cristiani non è fidarsi di Dio, ma conoscere Dio. Non è fiducia, un atto psicologico a cui anche Lutero un po’ riduceva – actio fiducialis – ma è conoscenza di Dio. E conoscendo Dio, che è il Mistero che è dentro tutto, conosci più potentemente tutto: è uno sguardo, una conoscenza nuova di tutto.

Non vuol dire che la fede innalza il QI, il quoziente intellettivo, questo lo dà la natura, c’è chi ne ha di più e chi ne ha di meno. Il QI, il coefficiente di intelligenza, che si può misurare, è una quantità di nessi, che le neuroscienze hanno documentato: riguarda l’uso misurativo scientifico della ragione. L’intelligenza invece non riguarda questo: intus, è la capacità di penetrazione nel cuore delle cose, è la capacità metafisica, è quello da cui nasce il linguaggio simbolico che coglie le cose come simbolo, come segno. Questa invece non è un problema di coefficiente, è un problema di profondità di prospettiva: infatti la fede non è che alza il tuo coefficiente, ma alza il tuo punto di vista, ti alza l’asticella, è come un aquilotto che ti prende e ti porta in cima all’Everest; e vedi il panorama a 360 gradi e vedi che tutte le cose fanno parte di un panorama bellissimo, e vedi il posto che ha ognuna e ognuna è bellissima vista da lì. Quando le cose le vedi brutte o non sai qual è il loro posto, che cosa farne o sono inutilizzabili, non sono né godibili né utilizzabili, é perché le guardi senza la fede, perché non le guardi dalla cima della montagna, dove Dio ti ha portato, ma ritorni giù e hai il cono d’ombra che hanno tutti.

Lo scopo del vostro amore da oggi è approfondire questo: la fede come conoscenza, la fede di Mosè, di Giosuè, di Gesù. Di gente che ha fiducia in Dio ne è pieno il mondo, tutti gli uomini religiosi – e sono la maggioranza anche oggi – si fidano, si affidano a Dio, ma hanno una fede ottusa, che non fa conoscere Chi è Colui a cui si affidano. Disse un giorno San Paolo, mi pare ai Corinzi, che gli chiedevano: “come mai? Anche noi ci crediamo, solo che quando te parli, usi le parole della fede, hai una vibrazione, hai una roba dentro che si infiamma il mondo; noi diciamo le stesse cose, ma non ci vuole bene nessuno. Come mai tu buchi lo schermo (si dice in gergo televisivo)? Com’è che tu parli con autorità, qual é il tuo segreto?”. E lui disse: “scio qui credidi”, perché conosco Chi è Colui in cui credo, Lo conosco, ne ho coscienza. E questo dà autorità, dà peso, fa penetrare nelle cose.

Qual è il frutto della fede come conoscenza, e non come generica religiosità, affidamento, offerta della vita a Dio (questo non incide, non cambia)? Qual è il test da cui si capisce se il vostro amore fa crescere questa fede?

“Il nostro Dio è vicino a noi ogni volta che Lo invochiamo”

È vicino. [tuono] … un po’ troppo vicino! Forse questo è proprio Lui che si sta scatenando…forse devo controllarmi…controllatemi se dico delle mezze eresie…

Qual è la differenza tra la fede ebraico-cristiana e tutte le altre? Qual è il test del rapporto con Dio? “Il nostro Dio è vicino a noi”: te Lo fa sentire vicino. San Paolo quando parlò disse “si passa dal dio ignoto al Dio noto”. Dio è vicino a te, è dentro a tutte le cose. [tuono] …meglio che stia calmo! È dentro tutto, cioè famigliare. Diventa uno di famiglia. Duemila anni fa, quando Dio decise di rendersi vicino lo fece mediante una famiglia, entro un po’ di soppiatto, un po’ scompostamente – direbbe San Giuseppe alla Madonna: “non è questo il modo di entrare nella nostra vita”-. Ecco, entro così a Nazareth, come entra ogni uomo, per quella porta lì. Quindi è Uno che a un certo punto vedi in faccia, quando partorisci vedi che faccia ha, Lo puoi guardare. Gli parli: in famiglia ci si dà del “tu”. Cosa c’è di più desiderabile, di più entusiasmante di questa invadente famigliarità, che Dio diventi uno di noi? È l’aspetto più affascinante e commovente del cristianesimo, da cui nascono i santi gli intimi di questo Dio, che Gli danno del “tu”, Lo guardano negli occhi.

Ma per la stessa ragione, questa famigliarità così invadente e invasiva è la più temibile, la più terribile, è quella che fa scatenare tra gli uomini la persecuzione a Cristo e ai cristiani: non nasce dal fatto che sono cattivi, immorali, ma le persecuzioni ai cristiani – non so se ci avete mai pensato – nascono da quello stesso fatto da cui nasce il rapporto di entusiasmo e di affezione a Gesù: che Lui entra dentro la vita tua con questa famigliarità invadente. È la cosa più desiderabile e più terribile, perché se uno entra nella tua famiglia al mattino ti alzi per andare in bagno e lui è lì in fila per fare la doccia, chiede un posto a tavola, quando si discute entra in ogni dialogo e dice la sua. Da un Dio così non hai scampo, è con te anche nell’intimità, quando vai in bagno, e i rapporti cambiano *9:08*. Con un Dio così tu non sei più padrone, niente è più soltanto tuo, è pure Suo, anzi diventa più Suo che tuo, lo devi condividere con Lui, e Lui quando dice la Sua ha sempre ragione, è sempre più profondo, e Gli devi dare ragione, l’ultima parola è la Sua, ti mette a tacere quando si discute. Niente è più soltanto tuo. La tragedia che scatena la persecuzione è che neanche tu sei più totalmente tuo, sei più Suo che tuo: per dire io devi dire Lui, perché tu ti capisci guardando Lui, sentendo parlare Lui. È proprio questa famigliarità così invadente e audace, che è l’aspetto più desiderabile, questa, Matteo ed Erica, è la sfida vostra ogni mattina. Di notte c’è il reset, di notte la fede non c’è, c’è solo l’inconscio e i sogni, che è meglio lasciare lì. Al risveglio io devo decidere dove collocare l’asticella della mia vita, la password da digitare nel computer, l’asticella: la puoi collocare a 120 cm (il mio primo salto in alto delle medie), la puoi collocare a livello – come ad esempio nei mondiali di atletica – a livello del record mondiale, perché Lui fa il record, io e Lui facciamo il record, andiamo all’infinito. E questo decide il tono della nostra giornata. Voi al mattino dovete rispondere a questa domanda: ma per chi è questa casa? Per chi è questa famiglia? Chi deve ospitare la nostra casa, il nostro affetto? Chi deve ospitare oggi?
E se decidete di ospitare Lui, di mettervi a fare la fila dietro a Lui per il bagno, la doccia, mangiare e tutto il resto, di lasciarLo imperversare, la vita sarà un terremoto come il cielo di oggi qui, ma se c’è posto per Lui c’è posto tutti. Se vi è famigliare Lui, tutti, non c’è più estraneo in quella casa, anche l’ultimo che viene a rompere è della famiglia, voi non sarete più estranei tra voi due. Ma se non siete familiari con Lui sono tutti estranei, anche fra voi ci sarà l’estraneità, ma non appena tra voi, in voi! Quando andrete a letto col muso, ognuno con nel suo pigiama, non riuscirete a dormire perché ognuno è estraneo a se stesso. Perché con l’altro ci si può dormire sempre, ma se tu non sei famigliare a te, se non ti vuoi bene, tu non dormi più, perché a letto con te stesso ci devi andare tutte le sere, anche se vivi da single.
Questa è la sfida, questo è il livello dell’asticella, questo è il tono della giornata. Ecco da questo si decide se nella nostra famiglia inizia un mondo nuovo oppure se la vostra famiglia fa parte di un altro film in bianco e nero che va di moda, quello delle telenovelas e di tutte quelle cose lì. Noi oggi preghiamo con voi perché questa nasce da voi, per avere il coraggio di alzare l’asticella, di tentare di saltare dove salta Lui e di domandarGlielo perché non ci corrisponde niente di meno che il record.

[04/09/2018, 11:15:48] Frankie: *Omelia 04 settembre 2018*

“Non avranno più fame non avranno più sete”

E’ il massimo che riuscisse a desiderare Isaia pensando ad un popolo che ha fame, e non ha cibo, che ha sete e non ha acqua! Il massimo che riesce ad immaginare è di non sentire più la fame, di non sentire più la sete. E’ il massimo. È proprio vero che il vecchio testamento é pieno di verità incompiute, imperfette! Ma poi c’è il salmista che dice: “La bontà del Signore dura per sempre”
Il massimo un po’ più grande di quello che ha immaginato il pur grande profeta Isaia, che sia il non sentire più la fame, non sentire più la sete, avere un cibo che te la toglie definitivamente! Viva il buddismo, viva l’anestetico! Certo si capisce, per un africano che ha fame il massimo è il non sentire più la fame… ma il massimo è più di questo, il massimo non è azzerare la fame e la sete, trovare qualcosa che la uccide, perché a mangiare c’è gusto, a bere c’è gusto, si gode! Il massimo non è non aver più fame non aver più sete, ma avere una fame che non finisce mai e avere un cibo che non finisce mai: è godere per sempre!