*Omelia 12 maggio 2019*
“Io sono il buon pastore”
ὁ ποιμὴν ὁ καλός (o poimèn o kalós), dice Giovanni. Questa traduzione è proprio pessima, fuorviante, traduce “il buon pastore”, mettendo l’accento sulla morale; il buono, quello che si comporta bene, che ci dà una legge morale. Ma in greco c’è καλός (kalós), che primariamente vuol dire “bello”, non vuol dire “buono”! Solo secondariamente, perché bello e buono son legati. Letteralmente, la traduzione è “o poimèn o kalós”, sono il pastore, il bello, la guida che vi guida non col bastone per costringervi, il bastone della legge, della punizione, cioè la violenza. Ma vi guida con la bellezza, vi attrae senza violenza.
Voi mi seguite perché è bello seguirmi e mi seguite da persone libere. È d’estetica, non d’etica, la forza della fede cristiana! Uno si muove, non per fare la cosa giusta, ma per fare la cosa bella. È giusta solo se è veramente bella. Questa è la rivoluzione portata da Gesù; non ha disprezzato l’etica o la morale, ma gli ha dato un’altra motivazione. Non la fa nascere dalla legge imposta, ma la fa fiorire dall’interno, da una bellezza che prorompe dal cuore.
Infatti, che cosa cambia? Dice il Vangelo riportando negli Atti degli Apostoli cosa accade a Iconio, dice che:
“I pagani si rallegravano ed i discepoli erano pieni di gioia”.
Ecco che cosa cambia, che il comportamento, cioè la morale, nasca dall’estetica, dalla bellezza, invece che dall’etica, dalla legge. Che la bellezza rallegra i pagani, li riempie di gioia i discepoli, cioè li entusiasma, perché tu sei fatto per il bello. Ed anche il bene, se non è bello, ti intristisce. È uno sforzo per fare le cose giuste senza il gusto di farle. Fai le cose per ubbidienza, per dovere o per paura del castigo. E non sei convinto, ti si vede in faccia, perché non sei avvinto, e solo la bellezza ti avvince, cioè ti prende senza costringerti.
Lo diceva anche il pagano Virgilio: “Trahit quemque sua voluptas”. Ognuno è catturato – “sua voluptas” – dal piacere che gli è proprio. Se no tu le fai, ci provi, poi ti accorgi che non ci riesci. Mai osservare fin in fondo la legge, le cose in cui credi. E ti viene il senso di colpa e ne sei schiacciato, se non riesci a schiacciarlo devi andar dallo psicanalista, devi lasciar perdere un ideale così grande. Rinunci al bene vero, al bene totale, te lo aggiusti, te lo fai a tua misura, cioè come fa l’uomo moderno: si abbassa l’asticella a quelle cose che riesce far da sé. Come diceva Karl Marx: “Mi pongo solo problemi che sono in grado di risolvere da solo”. Ma un uomo così, senza un ideale, senza la grandezza, diventa un uomo meschino; un meschino non è un uomo cattivo, è un uomo piccolo nei desideri, che desidera poco, che vive senza tensione, senza una grande passione. È un uomo non appassionato, ma spassionato. Avete presente l’icona buddista di quell’uomo là seduto, incrociato, che guarda nel vuoto, nel cielo e nella terra con la faccia inespressiva. Ecco, l’ideale buddista, con tutto il rispetto, è l’uomo spassionato. L’ideale greco-cristiano è l’uomo appassionato.
Che cosa occorre per vivere di questa passione? Di quello che ci porta il pastore, il bello che ci conduce col bello? Dice ancora il Vangelo:
“Le mie pecore sentono la mia voce e mi seguono”.
Ecco, il problema è solo sentire la voce del pastore, il bello, che porta il bello della vita. Dove la senti tu la voce del bel pastore, della bellezza? Dove senti che il cuore vibra, che ti invoglia a seguire? Lo puoi dire solo tu e nessun altro, anzi non puoi dirlo neanche tu: lo può dire solo il tuo cuore. Lui sa per cosa è fatto. Quando lo segui ti approva, ti fa dormire in pace; quando invece vai contro il tuo cuore, è lui che non ti fa dormire!