*Omelia 10 marzo 2019*
“Con il cuore” – dice Paolo ai Romani – “si crede per ottenere giustizia”, per diventare giusti, uomini veri.
“Con il cuore si crede” perché credere, nella fede di Paolo convertito, è un atto di cuore, il più profondo, il più personale atto che uno possa compiere: è esprimere chi sono io veramente. Credere è dire “io” fino in fondo, non è pensare ad un essere lontano in un altro mondo, non è compiere riti religiosi o osservare leggi morali, cambiare comportamento o la psicologia, i sentimenti, no! Credere non è adeguarsi a qualcosa di esterno che ti rende artificioso, che a volte è violento, no, questa era la fede di Paolo prima che si convertisse; adesso la fede è un atto del cuore, coincide con dire io. Infatti dice: “Chiunque crede in Lui non sarà deluso” – intuisce il Salmista. La fede è conoscere e amare Chi non mi delude, cioè Chi mi compie, Chi mi realizza, Chi mi fa libero, Chi mi rende me. Questa è la fede: è l’atto più umano, più liberante che esista. Dopo l’incontro a Damasco questa è la fede di Paolo. Quella di prima lo alienava, di fatto lo aveva incattivito, odiava tutti gli infedeli, quelli che non rientravano in quei format lì. Adesso è il contrario: la fede è il gesto più espressivo del suo cuore. Infatti dice: “adesso” – mentre prima li odiavo tutti, gli infedeli – “adesso, per me non c’è più distinzione tra giudeo o greco”, poi aggiungerà “libero o schiavo, barbaro o sciita, maschio o femmina”, non c’è più nessuna distinzione fra gli uomini; adesso io li posso abbracciare tutti quelli che incontro, perché adesso posso abbracciare me, posso voler bene a me.
La fede di Paolo coincide con l’essere uomo, credere vuol dire essere uomo fino in fondo, essere me. E una fede così, un Dio così, tu non te li puoi immaginare, non li trovate mai in nessuna fiction artistico-letteraria. Gli uomini della fede normalmente han ben altra idea: normalmente è la cosa più artificiosa, alienante, opprimente, deformante. Io il mondo lo conosco, bazzico un po’ in Medioriente e lì, ragazzi, son tutti religiosi, ma un uomo, una cosa che sia se stessa non la vedete; è tutto artificioso, dal vestito, il mangiare, la lingua, cioè non c’è l’uomo nudo e crudo come lo fa Dio, bello come l’ha fatto Dio, nudo! Infatti Dio, il rimprovero che fa ad Adamo ed Eva è che si son messi le foglie di fico: “Ma non andavate bene così? Ma perché vi vergognate di come Io vi ho fatti?”
Capite?
Il peccato è un’artificiosità, è aggiungere o togliere qualcosa all’uomo e alle cose. Cristo è venuto per riportare le cose e l’uomo alla bellezza originaria, per farli risplendere! Un Dio così, una fede così, tu non te li puoi immaginare, li puoi solo incontrare, perché l’uomo non pensa che sia così. Pensi che Dio venga a complicare? Non bastiamo noi?
Bene, dove tu incontri questo Dio e questa fede? Dove sperimenti questo abbraccio a te? La fede è una cosa che ti deve calzare. Avete presente nel matrimonio che si fa l’abito sartoriale, invece che il _prêt-à-porter_, di solito te ne fai uno che ti ha fatto uno sulle tue misure, che esprime quello che tu sei e quello che hai dentro?! Ecco, la fede è come l’abito del matrimonio, che ti fa risplendere, ti rende raggiante, perché ti calza, esprime quello che tu sei.
Dove ti accade questo? Non starci a pensare troppo! Basta che pensate dove e come è accaduto a Gesù, al confine del deserto. Quando vien fuori?
Quando Gesù, finalmente, ha visto Dio com’è, ha capito lui com’è, ha capito come Dio lo guarda, viene fuori, dice talmente io, ecco, è talmente se stesso, talmente vero, che il diavolo le prova tutte, dice qui. Ma alla fine – bellissima la scena, buffa, da espulsione col calcio di rigore – perché dice: “Il diavolo, esaurite le tentazioni, si allontanò da lui”, cioè davanti alla fede di Gesù, alla faccia di Gesù, non ce n’è per nessuno, anche il diavolo deve uscire dal campo.