*omelia 30 gennaio*
“Ha reso perfetti quelli che sono santificati”. Ma quale perfezione ha portato Cristo nella vita di tutti? Mi guardo e in me è tutto imperfetto. Ho i problemi, le ferite, l’incompiutezza di tutti, di chi non crede. Cosa c’è in me di perfetto? Perchè una cosa c’è, me la sento addosso, ho un tono di certezza,di pienezza, un vertice del sentimento di me stesso che mi fa provare un brivido che altri non hanno. Questo è vero.
“Porrò la mia legge nel loro cuore e nella loro mente”, ecco il punto perfetto. Che la legge della mia vita, quello che mi muove, che mi spinge, che mi conduce, il driver, la direzione e la spinta sono dentro il mio cuore, coincidono con il mio cuore. La legge ce l’ho dentro, non ubbidisco a uno superiore a me, sarei alienato. Ubbidisco a me stesso, seguo il mio cuore e sono libero. Questa è la perfezione di Cristo, mi ha reso libero.
I primi cristiani usarono una parola sintetica per indicare l’opera di Cristo, ‘Redemptio’, in latino, in greco è απωλύτρωσις, il riscatto dello schiavo.
Ero schiavo, oggetto, possesso di un altro, mi ha reso protagonista di me stesso. Posso fare della mia vita quello che voglio. Posso desiderare l’infinito e domandarlo a Lui che è l’infinito. Se io voglio la felicità totale Dio me la dà, basta che io Gliela domandi e non vede l’ora che io Gliela domandi. Se io non voglio niente, voglio far da solo, Lui si inginocchia e mi dà il potere di fare da solo quello che voglio della mia vita.
Questa è la perfezione portata da Cristo. Si chiama libertà: l’essere io protagonista della mia felicità. C’è tutta quella che voglio, e solo quella che voglio. Questo è blasfemo per gli uomini religiosi, inorridiscono al pensiero che l’uomo sia legge a se stesso, che sia lui protagonista della sua felicità. Per gli atei è una favola, dicono “ma tu te la racconti”, “voi ve la raccontate”.
E per noi? È vero o non è vero che abbiamo questa perfezione dentro di noi? Non dobbiamo rispondere con le parole, non dobbiamo convincere nè gli uomini religiosi, nè gli atei. Dobbiamo raccogliere la sfida, che chi accoglie il Seminatore semina il seme, chi accoglie il seme che io semino porta frutto, al trenta, al sessanta e qualcuno al cento per uno. Si può sapere solo cogliendo il seme, coltivandolo, ospitandolo, dedicandosi al seme. È il seme che deve rispondere, non io. E il seme se c’è si vede, se non c’è, si vede. Che frutto porta questo seme che Cristo è nella mia vita? È la cosa più bella che abbiamo da condividere.