*Omelia 15 novembre 2018*
“Io sono la vite e voi i tralci”
Sono Io l’Origine della tua vitalità, della tua fecondità nel mondo. Tu sei fatto per dare frutto, generare, costruire; infatti pensa l’amarezza che ti invade quando ti scopri sterile: ti senti inutile.
Ma dove nasce la fecondità vera, potente, quella che ti realizza?
“Se rimanete in me farete molto frutto”
Il frutto non viene da me, ma dal mio radicamento in Lui. Io porto frutto se conosco e accolgo la potenza infinita della vita Eterna con cui Lui irrompe nel mondo e nella mia vita. Da questo viene il frutto, che passa attraverso le mie gemme, ma le gemme danno un colore, danno un timbro – infatti le gemme fanno il vino bianco o il vino nero – ma quello che fa il vino, con la potenza alcolica che ha dentro, è la linfa. Le gemme sono come uno strumento musicale – il pianoforte o il violino – il problema è se la musica di Beethoven o di Mozart o se è di uno vuoto e stupido. Questo è il problema, non con quale strumento mi arriva. Se io accetto questa linfa, spendo la vita per conoscere, amare, lasciarmi invadere da questa linfa, io porto dei frutti insperati, che non sono spiegabili con le mie capacità, mi stupiscono e mi fanno gridare: ma questa cosa vien da Dio!
C’è un solo nemico per questa fruttificazione, per questa fecondità – che è l’esperienza più esaltante di un uomo, perché vuol dire essere come Dio: Dio è Creatore e Padre, generatore –: se un tralcio non porta frutto viene potato perché ne porti di più. Quello che spesso ci blocca, ci sterilizza, è il terrore della potatura, che noi temiamo che ci tagli via il frutto, invece la potatura taglia solo lo spreco della linfa e la vite lo sa. L’albero da frutto appena potato, dopo pochissime ore smette di sgocciolare, di piangere la parte tagliata e convoglia tutta la linfa in quella che gli è rimasta e fa dei frutti enormi. Esattamente come Gesù sulla Croce: non rimpiange la vita che perde: “piangete su voi e sui vostri figli, scemi! [dice] Io metto il cuore qui su questa Croce, mi è rimasto un filo di sangue, un filo di voce, ci metto il cuore”. E ha portato il frutto più grande, perché il frutto non viene dallo strumento con cui lo esprimi, ma dalla potenza dell’Amore che c’è dentro.
Quando ci sentiamo sterili, inutili, siamo pieni di amarezza è perché ci ostiniamo a rimpiangere quella gemma o quell’altra che ci è stata tagliata, invece che mettere il cuore in quelle che ci sono rimaste. Noi – ecco l’errore – assolutizziamo la gemma, pensiamo che quello che dà frutto sia il mio fare, invece quello che porta frutto non è il mio fare, la mia gemma, è il mio amare. Le gemme sono relative, il problema è se dentro ci passa l’amore eterno o se ci passa un magma di sentimenti che sono naturali. Il frutto viene dall’irruzione della vita soprannaturale, dentro quella naturale.