Omelia Don Carlo 11 novembre 2018

*Omelia 11 novembre 2018*

“Cristo non entra in un santuario fatto da mani d’uomo”.
Penetrando il linguaggio un po’ dottrinale, dialettico, ecclesiastico di questo ignoto autore della Lettera agli Ebrei – un amico di Paolo, ma non Paolo – scopriamo quello che lui ha davanti agli occhi: parla di una vita che l’ha vista e io lo posso intercettare perché la vivo, altrimenti il linguaggio un po’ astruso la metterebbe in freezer.
Cristo non è entrato in un santuario fatto dagli architetti, cioè non fonda una nuova religione, Gli basta quella che c’è, comincia di lì, ma dentro quella religione Lui vive la vita, la vita di tutti, ma non come tutti. Dentro la vita di tutti Cristo porta una novità, un’altra cosa, e fa scoppiare quella religione.
Cosa fa Cristo?

Dice: “È entrato nel cielo stesso”.
Il cielo è nell’immaginario di ogni cultura il limite dell’universo, il contenitore dell’universo, il confine dell’universo, della realtà.
Vedendo Gesù – dice quest’uomo – io ho visto Uno che sfonda il confine, sfonda il limite delle cose, col Suo sguardo, innanzitutto.
Gesù, agli occhi di quest’uomo, ha uno sguardo che sfonda, uno sguardo radicale, uno sguardo a cui l’apparenza delle cose non resiste, perché Lui non resiste dentro il confine dell’universo. A Gesù l’universo non basta: guarda il mondo, guarda il confine del mondo e lo sfonda! Perché Lui vuole altro e vede altro! Ha un altro scopo: guardando il mondo ha uno scopo più grande del mondo.

E continua: “Ha fatto questo per comparire al cospetto di Dio”.
Perché stare al cospetto del mondo a Gesù non basta; Gesù ha uno sguardo vorace, come direbbero gli animalisti che accusano la specie umana di aver depredato ormai tutti i cinque continenti e non gli basta il mondo, già sta depredando la luna e poi Marte e poi tutta la galassia. Cristo è un uomo con questo sguardo – è un po’ violento, però rende – “predatore”, che si mangia il mondo in un istante, ma Lui deve arrivare al cospetto del Creatore del mondo.
Appunto, è lo sguardo che Gesù, sedutosi di fronte al tesoro del tempio, vede negli occhi di quella povera vedova. Vede gli altri che buttano il superfluo, magari dei bigliettoni, ma si vede benissimo che il loro tesoro non coincide col tesoro del tempio. Il loro tesoro ce l’han già, se lo tengono ben stretto, in banca o nelle mani, mettono il superfluo, perché per loro il tempio di Dio è superfluo, non ne hanno in fondo bisogno di sapere dove dimora Dio.
La vedova, invece, c’ha un altro sguardo. Mette due spiccioli, la monetina, però Gesù vede, in quel gesto, gridare un’altra cosa. Lei grida – guarda il tesoro nel tempio – dice “questo è il mio tesoro! Il tempio di Dio è il mio tesoro”: è il luogo dove dimora Dio cogli uomini, dove Dio abbraccia gli uomini e dove gli uomini abbracciano Dio. Quello è il mio tesoro. Io posso abitare soltanto dove abita Dio, dove Dio viene ad abbracciare gli uomini, dove gli uomini possono abbracciare Dio. Quello è il mio tesoro, dò tutto per questo.
Perché loro danno il superfluo, il tesoro del tempio è superfluo, in fondo non ne hanno bisogno. A lei invece manca l’essenziale, per questo che ci può buttare tutto, ma non perché ha poco; fosse Berlusconi, avesse il mondo intero, a quella vedova non basterebbe. Lei ha bisogno di un’altra cosa, ha un cuore troppo grande rispetto al mondo e col suo sguardo, con la sua faccia, sfonda, sfonda come Gesù guarda le cose, sfonda l’apparenza, guarda il mondo e sfonda il limite dell’universo. Lei vive per arrivare al cospetto di Dio, guarda le cose e vede, già dall’apparenza è già davanti al Creatore delle cose.
Questo aveva in faccia Gesù agli occhi di quest’uomo ignoto che non conosciamo. Questo c’ha in faccia Gesù e Lui vede in faccia alla vedova.

E nelle facce che io vedo ogni giorno, che intercetto in questa città da mattina a sera, i ricchi e i mendicanti, che cosa vedo?
É rarissimo trovare la faccia della vedova, la faccia di Gesù. S’accontentan tutti di molto di meno: i ricchi che ce l’hanno già e i mendicanti, invidiosi, che lo vorrebbero avere. Quante volte ci provo ad andare oltre il “dai moneta, dai moneta”; gliela dò anche quando posso, ma li guardo, li cerco, gli dò la mano, gli chiedo: “Come ti chiami?”… Frega niente. Il massimo per loro sarebbe essere Berlusconi, pensano anche loro, come lui, che con la moneta ci fan tutto. “Ma ti dò me stesso, mi vuoi conoscere? Vuoi incontrarmi? Vorrei incontrarti!”. Niente.

E in faccia agli amici, i miei amici, cosa vedo? Che cosa gridano le loro facce? E quando parlano dei soldi, del lavoro, della salute, della politica, di cosa stanno parlando?
E nella mia faccia, la faccia con cui affronto voi, le giornate, il mondo, che cosa rintraccio?
Queste sono le domande che ci permettono, in questo istante, se lo vogliamo, di vedere e fare l’esperienza di quest’ Uomo che non si può spiegare. “Expertus potest credere”: ne può fare l’esperienza soltanto chi l’ha vista, chi la vive, solo lui sa di che cosa si tratta; agli altri non glielo puoi spiegare, gli puoi solo dire: non “Se l’hai capito”, ma: “T’interessa capirlo?”. C’è una strada, vieni e segui me.