*Omelia 07 ottobre 2018*
“Tutti gli esseri Dio li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati”.
Bellissima la scena: Dio curioso della curiosità di Adamo. Appena creato, è davanti alle cose, le osserva, le prende, cerca di dare un nome a tutte le cose. Ne cerca il senso, lo scopo, le fa sue. Sente che sono tutte per lui.
E Dio è lì, ammirato, che sorride, affascinato da questa scena.
Adamo è ancora sano, ha la posizione vera, coglie il suggerimento che gli viene dalle cose e l’impeto del cuore.
“E Dio decise che quello doveva essere il suo nome”.
È Adamo che deve dare un nome alle cose, non l’ha preordinato Dio. È Adamo che deve diventare protagonista; Dio non gli impone nulla, gli offre tutto e dice: “Dai, di’ cosa pensi, cosa vuoi, quanto questa cosa ti corrisponde, tira fuori i tuoi talenti, le tue capacità di conoscere, di manipolare, di godere, di affezionarti. Io godo che tu diventi grande”, dice Dio ad Adamo. “Ti amo”.
È diabolico il pensiero che verrà, suggerito ad Eva e poi ad Adamo, il sospetto che Dio sia un padrone invidioso che non vuole che Gli tocchino niente! Invece, nel cuore di Dio tutta la realtà e la vita dentro la realtà è l’avventura della conoscenza.
Questa sfida, che a me fu lanciata quando avevo dodici anni e mezzo, non si è mai più spenta.
Mi fu detto che la vita era un’avventura, dovevo esserne il protagonista, non dovevo sprecare niente, ma dovevo usare tutto per correre in questa avventura: di conoscere la grandezza che c’era per me, dentro di me e dentro le cose.
Io ricordo che da quel giorno è finito il problema della noia e dei passatempi. Non ho più saputo cosa sia annoiarsi, non ho più avuto il problema di far passare il tempo.
Capii che il tempo non doveva passare, ma mi era dato perché io lo vivessi da protagonista per conoscere, incontrare ed interpretare tutto: era l’avventura dell’interpretazione delle cose. E lì ho intuito che un cristiano che s’annoia non ha mai conosciuto Cristo, la sfida di Cristo!
Perché Cristo non svuota il tempo, non ti fa venire il problema del tempo vuoto che poi lo devi riempire con i passatempi.
Invece Cristo, dirà san Paolo, il tempo lo riempie, è kairós (καιρός), tempo pieno di opportunità, e perciò è breve, breve, passa sempre troppo in fretta e capisci che non ti basterà mica campare novantatré anni, come mia madre. Non ti bastano! Non si esaurirà la tua avventura.
Hai bisogno di morire per avere l’eternità perché continuare questa vita invecchiando progressivamente è ben triste.
Ti serve un altro tipo di vita, esplosiva, potente, piena di giovinezza, di gusto dell’avventura, che non finisca più e sei disperato se non c’è l’eternità perché in questa vita mica ce la farai a conoscere tutto! Solo la certezza dell’eternità rende avventura l’istante presente.
E Adamo, spontaneo come un bambino, dice il Vangelo, si butta in questa avventura.
E cosa trova Adamo?
“Non [acutissimo] trovò un aiuto che gli corrispondesse”.
Nessuna cosa gli corrispondeva. Questo è il test che la vita è un’avventura. Non che trovi, ma che non trovi niente che ti corrisponda totalmente!
Cioè Adamo si scoperse solo e triste e Dio dice: “Non è bene che sia solo, non è bene che sia triste”.
Il test che la vita è un’avventura non è che sistemi tutto, è il contrario! È che ti senti solo, solo vuol dire che sei solo al mondo ad essere fatto così, che non c’è nessuno come te, che nessuno ti può capire: ti serve il Creatore del mondo! Triste, non perché il bene c’è, ma perché è sempre più grande e sfuggente che niente ti basta.
E Dio dice: “Ti faccio Eva”.
Ma appena Adamo la vede e la abbraccia dice: “Questa è carne della mia carne, ossa dalle mie ossa”.
È spataccata come me, è uguale a me, perciò non mi può capire, avendo l’abisso che ho io!
E dobbiamo andare insieme a cercare chi ci corrisponde. Infatti, dice Adamo: “Questo è un kenek-dò – tradotto malissimo: un “aiuto” non vuol dire niente. In ebraico kenek è la bilancia, quella con due piatti, kenek-dò è il secondo piatto, il contrappeso, quello che pesa quanto vale il primo, che pesa quanto il primo! Lei pesa come me! Capisce quanto ne capisco io!
Due abissi non si colmano a vicenda, dobbiamo insieme andare a cercare! Lei a cosa mi serve?
A cosa serve il secondo piatto? A far stare su il primo, a fare in modo che il primo sia in equilibrio, che non voli via tutto, mi serve solo a fare una ricerca equilibrata, armonica, perché uno che non ha un contrappeso, che non ha il partner, che non ha una compagnia che lo tenga in equilibrio è una persona zitella, si scompone, si butta sul particolare, si ossessiona, si abbruttisce, si inaridisce affettivamente, perché non cerca in un modo equilibrato!
“È carne della mia carne”.
È perfetta, ma non come moglie, è perfetta come segno, come compagna di cammino, sì! Può essere imperfetta come moglie, ma perfette come compagna di cammino perché mi indica, tende alla perfezione a cui tendo io. Ecco, l’avventura è questo dramma, non è sistemarsi la vita, non è star bene, ma andar bene!
I primi cristiani lo ebbero ben chiaro, quando si salutavano – c’è anche un romanzo su questo – non si chiedevano: “How are you?”, come stai?, non usavano il verbo “stare”, ma: “Quo vadis?”, dove vai? Verso che cosa cammini, a che cosa tendi? Perché avevano chiaro che la felicità non è il wellness; stare è il verbo più disumano che esista, inchioda l’uomo ad essere una cosa! L’uomo è uomo solo se vive, se cammina, se brucia, se tende!
Bella sfida per chi vuole essere amico.