*Omelia 19 maggio 2019*
“Dio ha aperto ai Pagani la porta della fede!”
Gridano entusiasti Barnaba e Paolo ai cristiani di Antiochia. I Pagani erano gli abitanti dei _pagoi_ i villaggi rurali, agricoli fatti di allevatori, agricoltori, pastori. Eran persone che vivevano della natura; per loro la natura era tutto. Ci nascevano, ci morivano, vivevano di quello che gli dava la natura, non c’era la civiltà, non c’era niente di manufatto, di artificioso, erano persone appiattite sui ritmi biologici e quindi pagani vuol dire idolatri, adoravano le forze della natura, le forze cieche, erano identificati con la natura. Avevano un’idea naturalistica: loro erano parte della natura, come le bestie, avevano dei desideri sì, ma erano quelli degli animali, non desideravano altro. C’era solo la natura, non arrivava neanche la politica ed il potere. Quindi si concepivano un po’ come animali, quindi erano idolatri: adoratori delle forze della natura, che era un carcere. Era gente che non si poteva permettere neppure di pensare che ci fosse qualcosa di più grande di quello che ti dà la natura.
Barnaba e Paolo arrivano, vanno in questi villaggi, da cui nessuno si aspettava niente, al massimo andavano per riscuotere le tasse, e poi arrivederci e basta… Questi arrivano, gli testimoniano il fuoco di Cristo risorto, che si è incendiato dentro il cuore, e questi si elettrizzano, questi strabuzzano gli occhi, questi capiscono che loro capiscono, e si coinvolgono, e diventan cristiani, e gli si dilata il cuore, la faccia, si vede che incominciano a desiderare quello che Paolo e Barnaba desiderano.
E dice: “Dio ha aperto lo squarcio gli ha aperto la porta.” In questo carcere del naturalismo, Dio ha aperto uno squarcio. Gli aperto la porta della fede. La fede squarcia il carcere. Ti apre una breccia. Ti fa vedere un mondo che tu non vedevi. E tu lo cominici a desiderare, perché vedevano in faccia che cominciavano ad avere desideri grandi come loro. Avevano cominciato anche loro a godere del mondo nuovo di Cristo risorto. E cosa cambia quando uno entra nel mondo nuovo? Cieli nuovi e terra nuova, che ha dentro il vecchio, a cui anche delle quasi-bestie come erano questi abitanti dei _pagoi_ potevano respirare, si sentivano uomini.
Dice ancora Giovanni nell’Apocalisse: “In questo mondo nuovo” – che è dentro il vecchio, non è in cielo, è qui, sulla terra, Giovanni ne parla, e parla del mondo che è dentro le miniere di Patmos dove lui era destinato a morire come tutti gli altri, ché Diomiziano aveva deciso la pulizia etnica dei cristiani. Perché eran troppo simili agli ebrei. Avevan fatto fuori Tito e Vespasiano, gli ebrei con Gerusalemme, dopo quattro anni di assedio.
Domiziano dice adesso per starne al sicuro facciam fuori anche i parenti stretti degli ebrei, che sono i cristiani. Decise la pulizia etnica: 92-93 d.C. Bene, Giovanni era l’ultimo apostolo vivo, e là dentro le miniere scrive questa lettera, in linguaggio apocalittico appunto perché gli ispettori romani non lo capissero, e dice: “In questo mondo nuovo” – siamo dentro il carcere nelle miniere – “non c’è più morte, lacrime, lutto, lamento e affanno”. Ci sono tutte le cose che fanno morire, che fanno versar lacrime, che ti mettono i dubbi, che ti fanno lamentare, ti mettono in affanno come quelle degli altri uomini, ma noi, dentro tutte queste cose, non abbiamo la faccia da lutto, facce da funerali, le nostre lacrime non sono avvelenate, sono consolate, non ci lamentiamo di niente e non siamo in affanno per niente. Queste cose ci sono come nel mondo vecchio, ma a noi non ci dominano più. Qui domina il tono di Cristo risorto. E anche nelle facce dei pagani ormai c’è questo tono. Quando tra noi dominano queste cose, non che non ci sono, ci sono sempre: il problema è se dominano o se non dominano. Se la faccia vibra di queste cose o vibra di Cristo risorto. Come possono i Pagani entrare in questo mondo? Cosa hanno fatto i pagani quel giorno, dice Barnaba agli amici di Antiochia, ad entrare nel mondo nuovo? Che cosa han fatto? Se Cristo è risorto e gli ha aperto una breccia con la spallata di Barnaba e Paolo, gli ha fatto vedere che c’è ben altro oltre la natura, che c’è il creatore della natura che è entrato dentro la natura. Hanno varcato questa porta aperta, hanno varcato la porta della fede. Perché la fede ti apre la porta dappertutto. Per l’uomo di fede non c’è più un vicolo cieco. C’è sempre una possibilità. Come diceva un mio amico, morto anni fa di un linfoma: “Ricordati Carletto che la fantasia è il lato umano della fede”. Capisco quanta fede hai da quanta fantasia hai. Per l’uomo di fede c’è sempre una strada, non c’è mai un vicolo cieco, mai, c’è sempre una strada. Perché le cose, se sono di Cristo risorto, hanno sempre una finestra verso di Lui, sono come un ipertesto che ci metti il ditino e si apre una finestra. Perché la porta della fede è la porta del sepolcro vuoto di Cristo, dove han ficcato la testa dentro prima Giovanni, poi Pietro, poi arriva Maddalena che quando Lo vede, Lo abbraccia. Ecco, si varca la porta della fede se si varca la porta del sepolcro di Cristo risorto e si vede che non è più morto ma che è vivo. Lo si abbraccia appassionatamente come Maddalena.
Dov’è questa porta? Dove la trovate voi tutti i giorni la porta della fede, come la breccia che spacca l’orizzonte naturalistico, grigio e cupo come questo maggio norvegese finto, che ci fa sentire tutti lì, così… È facile trovare questa porta, ragazzi, è facile: basta guardare la faccia della gente. Questa porta dove ci sono facce in cui non domina più la morte, le lacrime, il lutto, il lamento e l’affanno. Tu li guardi, giri per la città e capisci, anche perché facce dove queste cose non dominano sono così rare che appena ne vedi una, l’afferri al volo.