Omelia Don Carlo 18 novembre 2018

Omelia 18 novembre 2018

“Tribolazione, sole, luna, stelle (…) Le potenze del cielo sconvolte”.
Con il linguaggio apocalittico Gesù annuncia la fine di tutto. Apocalipsis vuol dire dissoluzione definitiva.
E’ un discorso perfettamente scientifico: la fisica, l’astrofisica dice, appunto, che l’universo si espande, poi finisce, o si disperde o ritorna in un immenso buco nero, poi magari un nuovo Big Bang.
Comunque quel che è certo è che questo universo, questo Sole, questa Terra, questa vita, questo corpo, questo fiato, finisce
L’apocalisse, la dissoluzione finale dell’essere e della vita è scientifica.
Ma che differenza c’è fra l’annuncio dell’astrofisica e l’annuncio di Gesù?
Gesù non è uno scienziato, ha l’intuizione del genio del profeta, ma vede la realtà; ha una preoccupazione esistenziale, di intervenire sull’esistenza dell’uomo, di cui all’astrofisica non importa niente; descrive le leggi e pensa di spiegarle introducendo una legge, ma ha solo spostato il problema da qui a qui. E quella legge da dove viene?
Cristo, invece, risponde alla domanda sul senso e sul destino.
E quando finisce tutto cosa succederà? La scienza dice: “Ma potrebbe essere un nuovo ciclo”.

“Allora” – dice Gesù – “vedranno il figlio dell’uomo venire con potenza e gloria”.
Quando sembra che tutto finisce si apre lo spazio perché venga il Creatore di tutto. Per Gesù la fine non è la fine, ma il fine. La fine del mondo si realizza quando si realizza il fine, lo scopo per cui il mondo esiste, che è l’incontro col Creatore del mondo. Gesù lo preannunzia: “Io lo so adesso”.

Che cosa mi cambia sapere adesso cosa accadrà alla fine? Questa conoscenza del futuro che io ho nel presente, che si fonda sull’esperienza del presente – perché io Cristo lo incontro adesso e Gli vedo in faccia che è vero quel che dice – cosa Gli cambia a Lui sapere questa cosa? Se capisco che cosa cambia a Lui, capisco che cosa cambia a me.
Che esperienza nuova mi fa fare? E se la faccio dico: “E’ vero”, perché quel che mi cambia la vita è vero; quel che non me la cambia non è vero. E’ l’esperienza che ne faccio io che mi dice se una cosa è vera. Se è un viaggio di testa non mi fa vivere la realtà; le allucinazioni e i deliri sono l’uscita per la tangente dalla realtà. I matti non perdono la ragione, perdono tutto fuorché la ragione, cioè perdono la realtà. Pensano un pensiero molto logico – perfetto e vigoroso – che non c’entra niente con quel che accade. Pensano i pensieri e non le cose. Invece, la fede posso dir che è vera se mi cambia il modo di vivere le cose.

Che cosa cambia a Gesù sapere adesso quel che accadrà dopo: che alla fine ci sarà l’incontro, l’abbraccio definitivo al Creatore, per cui Lui sospira da 33 anni?
E’ che Gesù, sapendolo adesso, conoscendo adesso lo scopo di tutto, sa che cosa farsene adesso, sa come spendere la vita adesso, che cosa farsene di ogni cosa. Per Gesù e per me, che Lo incontro e verifico la Sua esperienza, è che non c’è più un istante senza scopo. Conoscendo adesso lo scopo di tutto, tutto per me adesso è al suo posto. Tutto è bello, bellissimo, tutto è utile e, come dice questo Salmo 15, pregno di questa speranza, di questa certezza nel presente di quel che accadrà dopo: “Tu mi indichi il sentiero della vita, gioia piena alla Tua presenza”. Se sto alla Tua presenza, l’istante è il sentiero della vita – senza la Tua presenza è il sentiero della morte – e posso iniziare a sperimentare la gioia piena. Un pò di gioia la sperimentano tutti: un pò qui, un pò qui, un pò qui. Piena vuol dire che può vibrare in tutte le cose, perché senza Cristo l’istante presente è il sentiero della morte, va verso il buco nero, definitivo che svuota il presente, gli toglie intensità, gusto, entusiasmo, perché non è amabile quel che finisce nel nulla; lo puoi godere, puoi provare un piacere istintivo, ma amarlo esige la conoscenza che è per sempre: questo è quello che porta Cristo, ma non che porterà dopo.
L’escatologia un pò di tutte le religioni che hanno una promessa di eternità e anche un certo protestantesimo esasperato delle origini è “tutto accadrà dopo”. Adesso c’è una massa dannata, la salvezza sarà dopo. No! Gesù fa fuori quest’equivoco.
L’ultima frase del Vangelo: “Non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”, cioè tutto questo, abbiamo detto, questa esperienza di abbraccio definitivo vibrante all’istante presente, perché è il sentiero della vita ed è eterno, accade per questa generazione: per voi che siete qui davanti a me, se ne accettate la sfida.
Per chi accetta Cristo, per chi si coinvolge nell’esperienza di Gesù, c’è un modo di abbracciare persone e cose con la coscienza del per sempre. Io non vi posso spiegare a parole che vibrazione si prova ad abbracciare una persona o godersi una cosa con la coscienza che quella lì non la perdi più, che quella persona, con la sua originalità, con quello che quella lì ti fa provare, nessun’altra te lo farà mai provare, che quella cosa di questo istante tu ce l’avrai per sempre, la godrai per sempre, l’amerai per sempre.
C’avete mai provato ad abbracciare una persona bellissima per voi, di cui vedete l’unicità nell’universo e dire: “l’abbraccio adesso e questo abbraccio non lo perdo più”?!
Per l’eternità potrà andare in fondo al Mistero la bellezza di cui vi fa vibrare questa persona.
Se l’avete provato vi si vede in faccia, non lo potete spiegare; altri daranno spiegazioni banali, come mi accade questi tempi quando, con i miei parenti – la maggior parte atei, di fronte a quello che è accaduto alla mia mamma, diamo delle spiegazioni penose, patetiche e io gliele lascio dire, ma ne cercano sempre di nuove perché vedono in faccia a mia madre e a me – e adesso un po’ anche a mia sorella e a mio fratello più piccolo – che quella vera è un’altra, ma loro non la possiedono. E io non so come dirlo, ma come dice Jacopone: “Internder non può chi non lo prova”. E anche l’inno a Cristo, Jesu Dulcis Memoria, “Expertus potest credere”: chi ne ha fatto esperienza lo capisce senza che glielo spieghi; chi non l’ha fatta è lì che ti guarda e gli vedi una strana invidia dentro.